Nell’ambito della cronaca giudiziaria il giornalista si pone “quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accaduti nell’attività giudiziaria da un lato e l’opinione pubblica dall’altro. Pertanto, da un lato la notizia mutuata deve essere quanto più fedele al contenuto del provvedimento o dell’atto giudiziario, senza alterazioni o travisamenti di sorta; dall’altro, però, è da escludersi che il giornalista sia tenuto a svolgere specifiche e autonome indagini sull’attendibilità delle dichiarazioni contenute negli atti giudiziari, dovendosi ritenere sussistente il requisito della verità della notizia ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso. Sussiste dunque per il giornalista il solo obbligo di accertare che la notizia sia stata effettivamente resa in ambito giudiziario ed in quale contesto, oltre che l’obbligo di indicare la fase processuale a cui risale e gli atti da cui proviene, in modo che il lettore possa chiaramente intendere se essa abbia già ricevuto il vaglio processuale da parte del magistrato e se ne dovrà avere altri. Peraltro, il criterio della verità della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine e istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già a quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale.

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 4 aprile 2019, n. 3379

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale di Milano

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Orietta Micciche’

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 43678/2015 R.G. promossa da:

(…) (C.F. (…)) con il patrocinio dell’avv. TA.EN. ((…)) ed elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Ma.Lu. in Milano via (…)

ASSOCIAZIONE (…) (cf. (…)) con il patrocinio dell’avv. TA.EN. ((…)) ed elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Ma.Lu. in Milano via (…)

ATTRICI

contro:

(…), (C.F. (…)) con il patrocinio degli avv. FR.MA. e LO.EN. ((…)) con elezione di domicilio nello studio dell’avv. FR.MA. in MILANO, piazzale (…);

(…), (C.F. (…)) con il patrocinio degli avv. FR.MA. e LO.EN. ((…)) con elezione di domicilio nello studio dell’avv. FR.MA. in MILANO, piazzale (…);

(…) SPA O IN FORMA ABBREVIATA (…) SPA O (…) S.P.A., (C.F. (…)) con il patrocinio degli avv. FR.MA. e LO.EN. ((…)) con elezione di domicilio nello studio dell’avv. FR.MA. in MILANO, piazzale (…);

CONVENUTO

IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) e l’associazione (…) di cui la (…) è fondatrice, hanno convenuto in giudizio (…) S.p.a., il giornalista (…) e il direttore responsabile del (…), lamentando il contenuto diffamatorio e lesivo della reputazione di tre articoli giornalistici apparsi sul quotidiano (…) nell’anno 2011.

Hanno dedotto che, nel riportare vicende relative ai procedimenti penali che avevano visto coinvolta la (…), i convenuti avevano pubblicato notizie, affermazioni e fatti non solo non veritieri e gravemente lesivi della loro reputazione e dignità, ma anche carenti di opportuna verifica giornalistica, di un tono narrativo puntuale e adeguato alle notizie, come anche di aggiornamento e rettifica.

Hanno specificato che:

– (…) era stata indagata per gravi ipotesi di reato commessi, secondo la ricostruzione della Procura, nell’ambito delle attività di natura assistenziale svolte dall’associazione;

-l’iter processuale che l’aveva vista coinvolta si era concluso nel 2014 con due sentenze di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per i reati di maltrattamenti e sequestro di persona, e con una terza sentenza di proscioglimento per i reati di riduzione in schiavitù e calunnia;

– gli articoli pubblicati dal (…) nel 2011 si inserivano in una compagna diffamatoria a danno delle attrici, realizzata con modalità e toni che davano esclusivo risalto agli elementi accusatori;

– in particolare, l’articolo pubblicato in data 24.8.2011 dal titolo “Schiava della “santona” liberata dopo 20 anni”, apparso sulla versione cartacea del quotidiano e tuttora visibile sulla versione on-line, aveva un titolo offensivo, conteneva affermazioni riportate senza alcuna seria verifica ed era accompagnato da una fotografia in cui la (…) era seduta sotto un dipinto della (…) con la didascalia “Reincarnazione” tale da attirare l’attenzione del pubblico e suggestionare il lettore; – anche nel secondo e nel terzo articolo pubblicati sulla testata convenuta il 23.02.2011 e il 29.11.2011 veniva utilizzato l’appellativo “santona”, rispettivamente nel titolo e nel corpo dell’articolo.

Hanno chiesto che venisse accertato l’illecito diffamatorio e che conseguentemente i convenuti venissero condannati al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Hanno inoltre chiesto la condanna dei convenuti ex art. 12 Legge Stampa e alla pubblicazione delle sentenze di assoluzione pronunciate in favore dell’attrice, nonché che venisse ordinata la rimozione dell’articolo pubblicato sulla versione on-line del quotidiano dal relativo sito internet.

Si sono costituiti, con unico difensore, (…) S.p.a., (…) e (…) chiedendo il rigetto delle domande attoree.

Hanno sostenuto di aver esercitato il diritto di cronaca nel rispetto dei suoi limiti e che nessuna condotta diffamatoria poteva dirsi integrata a loro carico atteso che i contenuti degli articoli erano aderenti alle risultanze processuali disponibili all’epoca della loro pubblicazione. Hanno altresì evidenziato che il (…) aveva seguito la vicenda, di indubbio interesse pubblico, dando adeguato risalto ad ogni aggiornamento e passaggio processuale e aveva pubblicato alcuni articoli, sia nella versione cartacea che nella versione on-line, ove era dato atto dell’intervenuto proscioglimento della (…).

1. Giova preliminarmente richiamare i principi ormai consolidati in materia di diffamazione e di libertà di stampa, il cui esercizio costituisce estrinsecazione della libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art. 21 Cost. e dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Tale libertà non riguarda solo le informazioni e opinioni considerate inoffensive, ma interessa anche quelle che possano colpire negativamente “essendo ciò richiesto dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non si ha una società democratica” (Corte Europea dei Diritti dell’uomo 8/7/1986 Lingens/Austia ).

Così il diritto riconosciuto dalla Costituzione e dalla Cedu costituisce ed integra una causa di giustificazione che, nell’ambito di un equo bilanciamento con altri diritti parimenti inviolabili e potenzialmente in conflitto, scrimina il comportamento imputabile all’attività giornalistica allorché vengano rispettate le seguenti condizioni:

a) la verità (oggettiva o anche soltanto putativa purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca e controllo del giornalista non solo sulla fonte ma anche sulla verità sostanziale) delle notizie;

b) la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca e anche la critica (come ad esempio l’assenza di termini esclusivamente insultanti);

c) l’interesse pubblico all’informazione in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o altri caratteri del servizio giornalistico. (Cass. 1205/07, Cass. 12420/08).

1.1. Va peraltro precisato che la cronaca giudiziaria, intesa come cronaca giornalistica avente ad oggetto atti o attività giudiziarie, presenta talune peculiari connotazioni.

Come sottolineato dalla Suprema Corte, infatti, nell’ambito della cronaca giudiziaria il giornalista si pone “quale semplice intermediario tra i fatti e le situazioni realmente accaduti nell’attività giudiziaria da un lato e l’opinione pubblica dall’altro” (Cass. 12358/2006).

Pertanto, da un lato la notizia mutuata deve essere quanto più fedele al contenuto del provvedimento o dell’atto giudiziario, senza alterazioni o travisamenti di sorta, (Cass. 18264/2014);

dall’altro, però, è da escludersi che il giornalista sia tenuto a svolgere specifiche e autonome indagini sull’attendibilità delle dichiarazioni contenute negli atti giudiziari, dovendosi ritenere sussistente il requisito della verità della notizia ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso (Cass. 5657/2010).

Sussiste dunque per il giornalista il solo obbligo di accertare che la notizia sia stata effettivamente resa in ambito giudiziario ed in quale contesto, oltre che l’obbligo di indicare la fase processuale a cui risale e gli atti da cui proviene, in modo che il lettore possa chiaramente intendere se essa abbia già ricevuto il vaglio processuale da parte del magistrato e se ne dovrà avere altri (Cass. 5227/2009).

Peraltro, il criterio della verità della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine e istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già a quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale” (Cass. 5657/2010).

2. Nel caso di specie le attrici si dolgono della natura diffamatoria degli articoli pubblicati dal quotidiano convenuto assumendo il travalicamento del diritto di cronaca.

3. In particolare, quanto all’articolo pubblicato in data 24.8.2011 sul (…) in versione cartacea e sul relativo sito web, le stesse contestano innanzitutto il titolo “Schiava della “santona” liberata dopo 20 anni” ritenuto diffamante in quanto darebbe per assodata e dimostrata una riduzione in stato di schiavitù di E.S. per venti anni, nonché offensivo per l’utilizzo dell’appellativo “santona”; in secondo luogo il sottotitolo “Blitz dei carabinieri di Prevalle. La donna disabile psichica, era maltrattata e costretta a lavorare 15 ore al giorno” , erroneamente foriero di una ricostruzione dei fatti in termini colpevolisti, infine il contenuto dell’articolo, che darebbe valore ed evidenza a fatti non solo inveritieri, ma anche esposti con forme verbali inadeguate e non continenti in un contesto espressivo offensivo e colpevolista.

Tali doglianze, tuttavia, non appaiono fondate e non meritano accoglimento.

L’articolo in questione riporta fedelmente i contenuti dell’indagine in corso a carico della (…) e le informazioni, così come emergenti dalla comunicazione della notizia di reato trasmessa dai Carabinieri di Salò (doc. 2 convenuti) e dalla relazione delle indagini difensive ordinate al Comando Provinciale dei Carabinieri di Brescia dalla Procura della Repubblica di Brescia del giugno 2011 (cfr. doc. 3 convenuti).

Nel corpo dell’articolo, infatti, sono correttamente indicate le ipotesi di reato a carico della (…), tra cui figura il reato di riduzione e mantenimento in stato di schiavitù, è chiarito che il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari e che la stessa “ha sempre respinto tutte le accuse dichiarandosi innocente”, è riportato correttamente tra virgolette uno stralcio del capo di imputazione contestato alla (…) per il concorso nel delitto di cui agli artt. 600 e 600 sexies c. 2 c.p. (doc. 6 convenuti), secondo cui E.S., soggetto invalido civile al 100% in conseguenza di una patologia psichiatrica, era tenuta “in uno stato di soggezione continua, cagionandole uno stato di totale annicchilimento mediante brutali punizioni corporali, costringendola a prestazioni lavorative non retribuite con orari di lavoro oltre le 15 ore e fornendole false informazioni sulla vita all’esterno della comunità”, ed è correttamente riferito che si tratta dell’ipotesi accusatoria formulata dalla procura (“secondo l’accusa”).

Pertanto, se pure la notizia del sopralluogo dei Carabinieri presso la sede della associazione e delle gravissime ipotesi di reato contestate alla (…), tra le quali figura la grave ipotesi di riduzione e mantenimento in schiavitù per di più in danno di soggetti deboli, certamente non fornisce un’immagine positiva della (…) e dell’associazione di cui è fondatrice – e come tale è idonea a ledere l’onore e la reputazione delle attrici -, deve ritenersi che non sino integrati gli estremi dell’illecito diffamatorio, ricorrendo la scriminante del diritto di cronaca, nella specie legittimamente esercitato.

3.1. Alla luce di quanto pocanzi esposto, infatti, non è contestabile la verità dei contenuti narrati, atteso che ogni informazione del giornalista corrisponde alle risultanze processuali così come emergenti al momento della pubblicazione dell’articolo.

Non è revocabile in dubbio che l’articolo de quo riproduca con oggettività le risultanze delle attività di indagine compiute dalle forze dell’ordine e dalla Procura competente – fonti evidentemente di primaria autorevolezza -, nè può ritenersi, secondo il richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di cronaca giudiziaria, che spettasse al giornalista valutare l’attendibilità, la credibilità o l’adeguatezza del quadro probatorio di cui alle indagini in corso.

La Suprema Corte è a tal proposito chiara nel ritenere che in tema di esercizio del diritto di cronaca giornalistica, la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso (Ex multis Cass. 5657/2010).

Del pari, il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine e istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già a quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale.

Pertanto, non assume alcun rilievo neanche il proscioglimento della (…) avvenuto successivamente alla pubblicazione degli articoli per cui è causa, al quale, peraltro, la testata convenuta ha poi dedicato altri successivi pezzi giornalistici (docc. 10 e 11 convenuta).

3.2. Neppure è revocabile in dubbio la sussistenza di un interesse pubblico alla notizia, reso palese dalla gravità dei fatti contestati alla (…).

3.3. Deve inoltre ritenersi rispettato il requisito della continenza nell’esposizione atteso che il linguaggio utilizzato, in considerazione della gravità e dell’oggetto dei fatti narrati, non risulta insultante e gratuitamente denigratoria.

Non può considerarsi tale l’utilizzo dei termini “schiava” o “schiavitù” in quanto chiaramente riferibili all’ipotesi di reato di cui all’art. 600 c.p., rubricato “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù” contestata alla (…).

Neppure può dirsi violativo del requisito della continenza il reiterato utilizzo del termine “santona” poiché anche tale appellativo, per quanto potenzialmente offensivo, deve ritenersi scriminato nell’ambito del corretto esercizio del diritto di cronaca.

In primo luogo, il suo utilizzo è correlato al fatto che, come emerge dalle carte processuali, la (…) fosse conosciuta quale “persona di fede” dotata di “poteri paranormali”, di capacità profetiche e di una elevata capacità persuasiva, autodichiaratasi “spirito incarnato della (…)” (Cfr. comunicazione notizia di reato Carabinieri di Salò 2008 e Relazione nucleo investigativo Carabinieri di Brescia 2011), descrizione pienamente confacente con il termine “santona” che, nel linguaggio comune, sta ad indicare proprio una persona, in genere di età avanzata, dedita alla vita religiosa e alle pratiche ascetiche, oggetto di venerazione e di seguito.

In secondo luogo, tale termine è espressamente utilizzato dagli inquirenti nell’ambito delle indagini, con la conseguenza che della sua valenza offensiva non può essere ritenuto responsabile il giornalista che si sia limitato a riferire i contenuti di cui agli atti del procedimento. Come evidenziato da parte convenuta, in particolare, tale appellativo è utilizzato con riferimento alla (…) nella relazione del giugno 2011 del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, ove si legge: “facendo leva sulla molla religiosa, sulla promessa e sulla salvezza eterna, (…) è riuscita, nel corso degli anni, ad acquisire l’immagine mistica di una vera “santona”, disponendo in modo incondizionato di centinaia di adulti e di altrettanti bambini che hanno abbandonato la loro vita precedente per entrare a far parte della comunità”; è anche utilizzato, del resto, nel corpo della sentenza del GUP di Brescia n. 371/2013, confermata in Cassazione, che pure ha pronunciato il proscioglimento della (…) dall’accuse di riduzione e mantenimento in schiavitù.

3.4. Ritenuto dunque il contenuto dell’articolo espressione del diritto di cronaca giornalistica e pertanto esclusa la sua natura illecita, a pari considerazioni non può che giungersi con riferimento al titolo e al sottotitolo dello stesso, atteso che anche gli stessi, nelle parti in cui fanno riferimento al termine “Schiava” e “santona” nonché al blitz dei Carabinieri, risultano ugualmente aderenti alle risultanze investigative di cui danno notizia e parimenti rispettosi del requisito della continenza per le ragioni pocanzi esposte.

Peraltro, quanto al sottotitolo, non risponde al vero che l’uso del termine “blitz” veicolerebbe un’immagine di preconcetta responsabilità in capo alla (…) poiché invece lo stesso – nel suo significato di operazione rapida e inattesa di indagine, ispezione o controllo – è utilizzato in modo tale da veicolare l’informazione, anche al lettore distratto che non si soffermi sul contenuto dell’intero articolo, che accertamenti e controlli sui risvolti penali della vicenda siano tuttora in corso di svolgimento alla data di pubblicazione della notizia.

3.5. Non diversamente deve ritenersi quanto alla asserita natura lesiva della pubblicazione della fotografia della (…) seduta sotto un dipinto della (…) con in braccio il Bambino, accompagnata dalla didascalia “Reincarnazione”.

Tale fotografia risulta espressamente tra gli atti del procedimento quale allegato alla notizia di reato trasmessa dai Carabinieri di Salò nel 2008 e prodotta da parte convenuta sub doc. n. 2 (pag. 9 di 66). Nella notizia di reato, in particolare, con riferimento al dichiarato convincimento della (…) di essere lo “spirito incarnato della (…)” è riferito quanto segue “risultano estremamente significative le foto nelle quali si vede (…) a fianco di un quadro raffigurante la (…) nel quale indossa degli indumenti simili che ne vogliono imitare l’immagine”.

Considerati i sovraesposti principi in materia di diritto di cronaca, anche la pubblicazione di tale immagine, in quanto indubbiamente afferente alle indagini e specificamente riferita ai fatti di cronaca riportati, non può connotarsi di valenza diffamatoria.

4. Alla luce di quanto sin qui osservato non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria avanzata con riferimento agli ulteriori articoli pubblicati in data 23.02.2011 e 29.11.2011. L’attrice, infatti, si duole parte attrice unicamente dell’utilizzo del termine “(…)” rispettivamente nel titolo e nel corpo del testo.

Si è già precisato, tuttavia, che l’utilizzo di tale locuzione, se pur astrattamente offensiva, non può dirsi nella specie integrante illecito diffamatorio atteso che, in quanto fedelmente riportata dalle carte processuali nelle quali tale termine ricorre sovente, risulta integrata la scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca.

5. In definitiva le pretese risarcitorie avanzate da (…) e Associazione (…) vanno respinte sia con riferimento all’articolo apparso il 24.8.2011 sul quotidiano in versione cartacea e sul relativo sito internet, sia con riferimento a quelli pubblicati il 23.02.2011 e il 29.11.2011, risultando le condotte dei giornalisti del (…), autori degli articoli medesimi, scriminate dal legittimo esercizio del diritto di cronaca.

6. Così esclusa la sussistenza degli illeciti diffamatori lamentati, vanno altresì respinte le domande di condanna ex art. 12 L. n. 47 del 1948, di pubblicazione delle sentenze di assoluzione e di rimozione degli articoli dal sito internet del (…).

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore indeterminato della causa e dell’aumento previsto ex art. 4 c. 2 del citato decreto, considerato che il difensore di parte convenuta assiste tre parti aventi analoga posizione processuale.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa:

– respinge le domande svolte da (…) e Associazione (…) contro i convenuti;

– condanna (…) e Associazione (…) al rimborso delle spese del giudizio in favore dei convenuti, liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 in complessivi Euro 10.600,00 per compensi oltre rimborso spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Milano il 4 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.