Nell’interpretare il testamento, il giudice, era tenuto, in applicazione dei principi di ermeneutica contrattuale enunciati dall’articolo 1362 c.c. (applicabili, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), a ricercare l’effettiva volonta’ del testatore, comunque espressa, valorizzando il significato concreto delle singole – espressioni utilizzate, con prevalenza sul dato letterale, tenendo presente, in caso di dubbio, il complesso delle disposizioni in rapporto alla mentalita’, alla natura e all’ambiente di vita del testatore, preferendo una soluzione che consentisse di attribuire all’atto effetti concreti. Il tenore letterale, pur costituendo un punto di partenza imprescindibile (anche per la riconduzione dello scritto nell’ambito delle disposizioni di ultima volonta’), non poteva essere letto isolatamente, cosi’ come propone la ricorrente, poiche’ il significato delle dichiarazioni negoziali puo’ ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo, nel quale considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra-testuali, previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg., anche quando le espressioni appaiano di per se’ non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara puo’ non apparire piu’ tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.
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Il testamento olografo, pubblico e segreto.
Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 25 marzo 2019, n. 8285
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17718/2014 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS) e
dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
– intimate –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 49/2014, depositata in data 9.1.2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15.11.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persone del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata in data 11.5.2004, (OMISSIS) ha evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi, unitamente all’attrice, di (OMISSIS), deceduta in data (OMISSIS), deducendo che quest’ultima aveva disposto dei suoi beni con testamento del 25.6.1997, lasciandole la meta’ dell’immobile sito in (OMISSIS) e riservando la restante porzione, in quote uguali, alle figlie (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Ha chiesto di sciogliere la comunione e di disporre l’assegnazione dell’immobile ed il rimborso delle spese anticipate nell’interesse della comunione.
Le convenute hanno proposto domanda riconvenzionale di accertamento della nullita’ del testamento per indeterminabilita’ dell’oggetto, instando – inoltre – per la condanna dell’attrice al pagamento di un’indennita’ per l’occupazione dell’immobile.
(OMISSIS), successivamente chiamata in causa, ha chiesto di essere estromessa dal giudizio (avendo ceduto la propria quota ereditaria), e di condannare le convenute al risarcimento del danno. All’esito il Tribunale, con sentenza n. 2163/2008, ha respinto le riconvenzionali, regolando le spese.
La decisione, impugnata in via principale da (OMISSIS) ed in via incidentale da (OMISSIS), e’ stata integralmente confermata in appello.
La Corte territoriale ha ritenuto che l’atto del 25.6.1997 non contenesse mere disposizioni a titolo particolare, ma costituisse un vero e proprio testamento con cui era stato chiaramente individuato l’oggetto dei singoli lasciti, rilevando che (OMISSIS) aveva inteso attribuire a (OMISSIS) (con cui aveva convissuto e da cui aveva ricevuto cura ed assistenza), la porzione posta al piano terreno dell’immobile rientrante nell’asse da dividere, e riservare alle altro tre figlie “quanto spettante per successione”.
Ha ritenuto inammissibili, per genericita’, i motivi di appello con cui (OMISSIS) aveva chiesto anche la divisione dei beni mobili e delle somme derivanti dalla pensione percepita, in vita, da (OMISSIS), ed ha respinto la domanda di risarcimento riproposta in appello da (OMISSIS), ritenendola sfornita di prova.
Per la cassazione di questa sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria.
Le intimate non hanno svolto attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione degli articoli 587, 1362 c.c. e articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che la Corte di merito, violando le regole di interpretazione degli atti negoziali, abbia erroneamente attribuito alle disposizioni del 25.6.1997 il valore di un vero e proprio testamento, non considerando che la de cuius non aveva espresso alcuna volonta’ dispositiva ma un mero desiderio o progetto di successione, come era evidenziato dall’uso della formula “desidero lasciare”.
Il secondo motivo censura l’omesso esame e l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza trascurato che il testamento conteneva l’espressione “desidero lasciare”, che non era idonea ad integrare una valida manifestazione di ultima volonta’, ma un semplice desiderio o progetto di successione, privo di effetti giuridici. Il terzo motivo censura la violazione degli articoli 99, 100, 101, 102 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la sentenza sia stata pronunciata senza che (OMISSIS) fosse citata in appello, non considerando che quest’ultima aveva ceduto la sua quota in corso di causa ma non era stata estromessa dal giudizio ed era, quindi, parte necessaria del processo.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che la Corte distrettuale non abbia prudentemente apprezzato le risultanze di causa, avendo ritenuto che la ricorrente non avesse dato prova della sussistenza di mobili facenti parte dell’asse ereditario e non ne avesse indicato il valore, nonostante la produzione di taluni rilievi fotografici che consentivano di indentificare gli arredi, e per aver escluso la sussistenza di somme residue derivanti dalla pensione di reversibilita’ di (OMISSIS) e dalla successione del fratello (OMISSIS), circostanza su cui la ricorrente aveva articolato una dettagliata prova testimoniale e richiesto l’interrogatorio di (OMISSIS).
In particolare, riguardo alle liquidita’ depositate sui conti personali della resistente, su cui erano affluite anche disponibilita’ di (OMISSIS), doveva ritenersi inverosimile che (OMISSIS) avesse acconsentito a “mescolare i propri risparmi a quello dello zio, consapevole della presunzione di appartenenza ad entrambi delle somme”.
Inoltre, avendo l’erede asserito di aver sostenuto spese per ristrutturare l’immobile, per un ammontare di circa Lire 82.000.000, non era plausibile che avesse accumulato il rilevante importo depositato sul conto al momento della morte dello zio, nel breve lasso di tempo di soli due anni.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 1421 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, deducendo la nullita’ del testamento per mancanza di una effettiva volonta’ dispositiva dei beni da parte della de cuius, non avendo quest’ultima inteso regolare la propria successione ma elaborare un mero progetto di divisione del patrimonio.
2. Deve darsi preliminarmente atto che (OMISSIS) ha proposto domanda di revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4, della sentenza di appello ma che la Corte distrettuale non ha sospeso il giudizio di cassazione ed ha respinto la domanda con sentenza passata in giudicato, come ha dichiarato la stessa ricorrente con la memoria ex articolo 378 c.p.c..
3. Per ragioni di ordine logico giuridico va esaminato preliminarmente il terzo motivo di ricorso.
La censura non puo’ essere accolta.
L’appello e’ stato proposto da (OMISSIS) in proprio e quale acquirente della quota di (OMISSIS), ma l’impugnazione non e’ stata notificata alla cedente, che, a sua volta non ha impugnato la decisione e non si e’ costituita in secondo grado.
Dall’esame degli atti non risulta che sia stata sollevata alcuna eccezione riguardo alla regolarita’ del contraddittorio.
Occorre ribadire che in caso di successione nel processo a titolo particolare, l’intervento in causa del successore non determina l’automatica estromissione del cedente, che, quale litisconsorte necessario, deve obbligatoriamente partecipare al giudizio di impugnazione.
In mancanza il giudice deve disporre d’ufficio i provvedimenti di cui all’articolo 331 c.p.c., a pena di nullita’ della sentenza.
Tuttavia il giudizio di impugnazione che si sia svolto senza integrare il contraddittorio nei confronti della parte che abbia ceduto il diritto controverso ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, deve reputarsi valido quando il dante causa, non impugnando la sentenza, non abbia mostrato alcun interesse alla lite, sempre che le controparti non abbiano formulato eccezioni riguardo alla regolare instaurazione del rapporto processuale, mostrando di accettare il contraddittorio nei confronti del successore (Cass. 2048/2018; Cass. 12035/2010; Cass. 8395/2009).
Tali circostanze integrano, difatti, i presupposti per l’estromissione dal giudizio del dante causa, estromissione che, sebbene non formalmente dichiarata, fa perdere alla parte originaria la qualita’ di litisconsorte necessario (Cass. 10955/2007; Cass. 19072/2003).
4. Il primo, il secondo ed il quinto motivo, che vertono sulle medesime questioni e che sono suscettibili di un esame congiunto, sono infondati.
Non e’ – anzitutto – censurabile l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, dedotta con il secondo motivo di ricorso, dovendo rilevarsi che la sentenza impugnata e’ stata depositata in data 9.1.2014 e pertanto ricade nella previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con L. n. 134 del 2012.
Ai sensi della citata disposizione e’ denunciabile in cassazione esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, oggetto di dibattito processuale ed avente carattere decisivo, mentre i vizi afferenti della motivazione possono censurarsi, ove sia denunciata la violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, solo nei casi di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, con esclusione del controllo sulla contraddittorieta’ ed insufficienza della argomentazioni assunte dalla pronuncia (Cass. 23940/2017; Cass. 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014).
3.1. La Corte di appello ha ravvisato nello scritto redatto da (OMISSIS) in data 25.6.1997, l’espressione della volonta’ di disporre mortis causa del suo intero patrimonio e di attribuire, in particolare, alla figlia (OMISSIS) la porzione autonoma sita al pian terreno dell’abitazione dove quest’ultima aveva convissuto con la de cuius prestandole ogni cura ed assistenza fino alla morte, e di lasciare la restante porzione, sita al primo piano, alle altre tre figlie.
Non ha omesso di rilevare una causa di nullita’ negoziale, poiche’, facendo corretto uso delle regole di interpretazione, ha rinvenuto nello scritto del 25.6.1997 l’espressione di una volonta’ dispositiva diretta a suddividere l’intero patrimonio tra le eredi (individuando le singole porzioni assegnate a ciascuna di esse: cfr. sentenza, pag. 8, 9 e 11) e del tutto idonea a regolare la futura successione (Cass. 1369/1970; Cass. 1701/1969).
Non era lecito anteporre alla ricognizione della reale volonta’ della disponente alla stregua degli articoli 1362 c.c. e segg., la verifica di eventuali patologie negoziali, poiche’ anche nell’ipotesi in cui, sulla base di una determinata interpretazione, si assuma la nullita’ di una singola disposizione o dell’intero testamento, il giudice deve anzitutto procedere alla ricostruzione della volonta’ del de cuius (Cass. 1369/1970), non potendo trarre argomento dall’esistenza di un’eventuale nullita’ per proporre un’interpretazione diversa da quella risultante dalla corretta applicazione dei criteri ermeneutici (Cass. 628/1962), dovendo in ogni caso preferire una soluzione interpretativa capace di preservare la validita’ delle disposizioni di ultima volonta’ (Cass. 1701/1969).
Non poteva conferirsi decisivo rilievo al dato testuale (e all’impiego dell’espressione “desidero lasciare”), quale sintomo della carenza di una reale volonta’ dispositiva della de cuius, avendo la sentenza correttamente – ritenuto enunciata una precisa volonta’ testamentaria sulla base dell’esame dell’intero contenuto dell’atto, dello scopo perseguito dalla disponente e delle circostanze che avevano indotto (OMISSIS) a disporre dei suoi beni nei termini espressi nella scheda testamentaria.
Nell’interpretare il testamento, il giudice, era tenuto, in applicazione dei principi di ermeneutica contrattuale enunciati dall’articolo 1362 c.c. (applicabili, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), a ricercare l’effettiva volonta’ del testatore, comunque espressa, valorizzando il significato concreto delle singole – espressioni utilizzate, con prevalenza sul dato letterale, tenendo presente, in caso di dubbio, il complesso delle disposizioni in rapporto alla mentalita’, alla natura e all’ambiente di vita del testatore, preferendo una soluzione che consentisse di attribuire all’atto effetti concreti (Cass. 1701/1969; Cass. 968/1968; Cass. 369/1969; Cass. 2665/1967; Cass. 628/1962).
Il tenore letterale, pur costituendo un punto di partenza imprescindibile (anche per la riconduzione dello scritto nell’ambito delle disposizioni di ultima volonta’), non poteva essere letto isolatamente, cosi’ come propone la ricorrente, poiche’ il significato delle dichiarazioni negoziali puo’ ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo, nel quale considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extra-testuali, previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg., anche quando le espressioni appaiano di per se’ non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara puo’ non apparire piu’ tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (Cass. 24560/2016; Cass. 24421/2015; Cass. 25840/2014; Cass. 261/2006).
L’incensurabilita’ dell’interpretazione esclude – in definitiva – patologie delle disposizioni suscettibili di rilievo di ufficio anche in sede di legittimita’.
4. Il quarto motivo e’ inammissibile.
Riguardo alle somme asseritamente prelevate da (OMISSIS) prima della morte della madre, la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile il relativo motivo di impugnazione, rilevando che non era stato individuato il conto da cui sarebbero stati effettuati i prelievi e che, in base ai capitoli di prova articolati in primo grado, non sarebbe stato possibile accertare la sussistenza di giacenze al momento dell’apertura della successione, suscettibili di rientrare nell’asse ereditario.
Analogamente, riguardo agli arredi presenti nell’immobile, la sentenza ha precisato che l’appellante non li aveva individuati in modo specifico e non ne aveva indicato il valore, giungendo alla conclusione che la censura proposta in appello fosse del tutto “indeterminata”.
Non e’ quindi invocabile la violazione dell’articolo 116 c.p.c., poiche’ il giudice di merito si e’ limitato ad una statuizione in rito (sulle prove e sui motivi di gravame), senza procedere ad alcuna valutazione delle acquisizioni processuali e l’impossibilita’ di ritenere correttamente censurata la statuizione di inammissibilita’ dei motivi di appello impedisce di valutare nel merito ogni altra questione.
Il ricorso e’ quindi respinto.
Nulla sulle spese, non avendo le intimate svolto attivita’ difensiva. Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente e’ tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Si da’ atto che la ricorrente e’ tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.