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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 5 maggio 2017, n. 10916
L’imprevedibilita’ del pericolo non e’ infatti il presupposto della responsabilita’ del proprietario della strada. Essa puo’ costituire unicamente la circostanza dalla quale desumere la sussistenza d’un maggiore o minore concorso di colpa della vittima (c.d. fortuito accidentale), nel senso che quanto piu’ il pericolo era prevedibile, tanto meno.
La tematica trattata nella pronuncia in oggetto, può essere approfondita con la lettura del seguente articcolo:
La responsabilità della p.a. quale propietaria delle strade.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 5 maggio 2017, n. 10916
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI AMATO Sergio – Presidente
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22996-2014 proposto da:
(OMISSIS) SNC (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SNC DI (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) procura speciale a margine del ricorso principale;
– controricorrente –
e contro
PROVINCIA AUTONOMA TRENTO;
– intimato –
Nonche’ da:
PROVINCIA AUTONOMA TRENTO – PAT in persona del Presidente in carica pro tempore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) SNC DI (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 46/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 12/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.
FATTI DI CAUSA
1. Il (OMISSIS) il veicolo Mitsubishi L200, targato (OMISSIS), di proprieta’ della societa’ (OMISSIS) s.n.c. (d’ora innanzi, per brevita’, “la (OMISSIS)”), mentre percorreva la Strada Provinciale SP (OMISSIS) sbando’, invase l’opposta corsia di marcia e, non trattenuto dalla barriera laterale, precipito’ nella scarpata sottostante.
2. Nel 2009 la (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Trento la Provincia Autonoma di Trento (d’ora innanzi, per brevita’, “la Provincia”), chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito in conseguenza del suddetto sinistro. A fondamento della domande invoco’ la responsabilita’ della Provincia sia ai sensi dell’articolo 2051 c.c., quale custode della strada; sia ai sensi dell’articolo 2043 c.c., per non avere dotato la strada di un’adeguata ed efficiente barriera laterale.
3. Con sentenza 14 settembre 2012 n. 827 il Tribunale accolse la domanda integralmente.
La Corte d’appello di Trento tuttavia, adita dalla Provincia, ritenne che il sinistro fu concausato condotta di guida imprudente del conducente del mezzo, cui attribui’ il 50% della responsabilita’.
4. La sentenza s’appello e’ stata impugnata in via principale dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su due motivi; ed in via incidentale dalla Provincia, con ricorso fondato su cinque motivi.
La (OMISSIS) ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 342 c.p.c..
Deduce, al riguardo, che erroneamente la Corte d’appello ritenne ammissibile un appello che, invece, si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile ai sensi dell’articolo 342 c.p.c..
Secondo la ricorrente, invece, l’appello si sarebbe dovuto dichiarare inammissibile perche’, in violazione di quanto disposto dall’articolo 342 c.p.c. (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera (0a), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134), non indicava ne’ le “parti della sentenza” che intendeva impugnare; ne’ le “modifiche richieste alla ricostruzione dei fatti”.
Soggiunge che il novellato articolo 342 c.p.c. impone all’appellante di indicare in modo specifico e puntuale “tutti i singoli segmenti o sottocapi” che compongono la sentenza impugnata, quando assumono un rilievo autonomo di causalita’ rispetto alla decisione”.
1.2. Prima di esaminare il motivo nel merito, v’e’ da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.
La ricorrente infatti, pur lamentando formalmente il vizio di violazione di legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nella sostanza lamenta un error in procedendo, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non e’ di ostacolo all’esame del motivo in esame.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioe’ erri nell’inquadrare, in una delle cinque categorie previste dall’articolo 360 c.p.c., l’errore commesso dal giudice di merito), il ricorso non puo’ per cio’ solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile il vizio censurato, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 10-13 del ricorso principale e’ sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d’appello, della regola dettata 342 c.p.c.: e quindi il motivo e’ ammissibile, previa qualificazione d’ufficio come denuncia d’un error in procedendo.
1.3. Nel merito, il motivo e’ infondato.
L’articolo 342 c.p.c., che nel suo testo originario si limitava ad imporre che l’appello fosse sorretto da motivi specifici, nel testo modificato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 esige che l’appello indichi:
1) le parti del provvedimento che si intende appellare;
2) le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
3) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge;
4) la rilevanza di tali circostanze ai fini della decisione impugnata.
La norma costituisce – curiosamente – la trascrizione ad litteram del § 520 (Berufungsbegrundung), comma 3, nn. 1-3c.p.c. della Repubblica Federale di Germania (§ 520 Zivil Prozess Ordnung).
L’unica differenza consiste nel fatto che mentre la norma germanica esige “l’indicazione di elementi concreti che fondano il dubbio sulla correttezza o completezza degli accertamenti di fatto” contenuti nella decisione impugnata, la norma italiana si limita ad esigere l’indicazione “delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto”.
1.4. Sostiene dunque l’appellante che il novellato articolo 342 c.p.c. esigerebbe oggi dall’appellante ben piu’ rigorose indicazioni, rispetto a quelle richieste dal previgente articolo 342 c.p.c.. Imporrebbe, in particolare, la trascrizione nell’atto d’appello d’una sorta di minuziosa e certosina elencazione di ogni proposizione non condivisa, che sia contenuta nella sentenza impugnata.
L’opinione dell’appellante riecheggia con evidenza opinioni affiorate in dottrina, e condivise da talune decisioni di merito, nelle quali si arriva a sostenere che il novellato articolo 342 c.p.c. esigerebbe dall’appellante l’indicazione, nell’atto d’appello, d’una specie di “progetto alternativo di sentenza”.
Queste opinioni sono inaccettabili, per tre ragioni.
1.5. La prima ragione e’ che il nostro processo civile, come ammoniva antica e saggia dottrina, e’ caratterizzato da un “assetto teleologico delle forme”, di cui e’ traccia evidente nell’articolo 156 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullita’ d’un atto processuale non puo’ mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui e’ destinato.
Vero e’ che tale norma disciplina le ipotesi di nullita’, mentre i requisiti dell’atto d’appello elencati dall’articolo 342 c.p.c. sono richiesti a pena di inammissibilita’; tuttavia a prescindere dalla condivisibilita’ della distinzione dogmatica tra requisiti dell’atto richiesti a pena di nullita’, e requisiti c.d. di “contenuto-forma” richiesti a pena di inammissibilita’ (sulla cui validita’ teorica non e’ questa la sede per soffermarsi, non senza aver ricordato che l’inammissibilita’ non e’ la sanzione per un vizio dell’atto diverso dalla nullita’, ma la conseguenza di particolari nullita’ dell’appello: cosi’ Sez. 1 -, Sentenza n. 18932 del 27/09/2016), l’articolo 156 c.p.c., comma 3, e’ comunque espressione di un principio generale sotteso dall’ordinamento processuale, che l’interprete non puo’ ignorare.
Da questo principio e’ legittimo trarre il corollario che, anche quando si debba giudicare dell’ammissibilita’ d’una impugnazione, il giudicante debba badare non al rispetto di clausolari astratti o formule di stile, ma alla sostanza ed al contenuto effettivo dell’atto.
1.6. La seconda ragione e’ che le norme processuali, se ambigue, vanno interpretate in modo da favorire una decisione sul merito, piuttosto che esiti abortivi del processo. Le regole processuali infatti costituiscono solo lo strumento per garantire la giustizia della decisione, non il fine stesso del processo.
Lo hanno stabilito le Sezioni Unite di questa Corte, sia pure in materia diversa da quella dell’ammissibilita’ dell’atto d’appello.
In particolare, nella decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, si e’ proclamato il superamento “dell’assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito”, soggiungendo che tra piu’ ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato piu’ stabile: sicche’ tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, §§ 5.14.6 e 5.14.8 dei “Motivi della decisione”).
1.7. La terza ragione e’ che anche il diritto processuale, come quello sostanziale, non puo’ non essere interpretato alla luce delle regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario.
Tra queste vi e’ l’articolo 6, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea (c.d. “Trattato di Lisbona”, ratificato e reso esecutivo con L. 2 agosto 2008, n. 130), il quale stabilisce che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (…) fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.
Per effetto di tale norma, dunque, i principi della CEDU sono stati “comunitarizzati”, e sono divenuti “principi fondanti dell’Unione Europea”.
Tra i principi sanciti dalla CEDU vi e’ quello alla effettivita’ della tutela giurisdizionale, sancito dall’articolo 6 CEDU. Nell’interpretare tale norma, la Corte di Strasburgo (CEDU) ha ripetutamente affermato che il principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale va inteso quale esigenza che alla domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito.
Cio’ vuol dire che gli organi giudiziari degli Stati membri, nell’interpretazione della legge processuale, “devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilita’ o ricevibilita’ dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’articolo 6 della CEDU del 1950”.
In applicazione di questi principi, la sentenza pronunciata da Corte EDU, 2 sezione, 28.6.2005, Zednik c. Repubblica Ceca, in causa 74328/01, ha affermato che le cause di nullita’ o di inammissibilita’ “non possono restringere l’accesso alla giustizia al punto tale da che sia vulnerata l’essenza stessa del diritto fatto valere. Inoltre, (le cause di nullita’ od inammissibilita’) si conciliano con l’articolo 6, § 1, della Convenzione solo se perseguono un fine legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e lo scopo avuto di mira”.
Ed in questo senso si sono altresi’ pronunciate Corte EDU, 1 sez., 21.2.2008, Koskina c. Grecia, in causa 2602/06; e Corte EDU, 1 sez., 24.4.2008. Kemp c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/05.
1.8. Alla luce dei principi sin qui esposti deve concludersi che l’articolo 342 c.p.c., come novellato dal Decreto Legge 83 del 2012, articolo 54:
-) non esiga dall’appellante alcun “progetto alternativo di sentenza”;
-) non esiga dall’appellante alcun vacuo formalismo fine a se stesso;
-) non esiga dall’appellante alcuna trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata o di parti di essa.
Il novellato articolo 342 c.p.c. esige invece dall’appellante:
-) la chiara ed inequivoca indicazione delle censure che intende muovere alla sentenza appellata, tanto in punto di ricostruzione dei fatti, quanto in punto di diritto;
-) gli argomenti che intende contrapporre a quelli adottati dal giudice di primo grado a sostegno della decisione (sostanzialmente in questo senso si e’ gia’ pronunciata Sez. lav., 20.9.2016 n. 18411, secondo cui il nuovo articolo 342 c.p.c. “non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonche’ ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, si’ da esplicitare la idoneita’ di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata”; sostanzialmente nello stesso senso, Sez. 1 -, Sentenza n. 18932 del 27/09/2016).
Tali argomenti ovviamente dipenderanno dalla specificita’ dei singoli giudizi, ma in linea generale essi consisteranno:
-) nel caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate, ovvero di quelle che si assumono malamente valutate;
-) nel caso di censure riguardanti questioni di diritto, nell’indicazione della norma che si sarebbe dovuta applicare, ovvero dell’interpretazione che si sarebbe dovuta preferire;
-) nel caso di censure riguardanti errores in procedendo, nell’indicazione del fatto processuale malamente valutato dal giudice, e dalla diversa scelta processuale che avrebbe dovuto compiere.
1.9. Nel caso di specie, l’esame dell’atto d’appello notificato dalla Provincia alla (OMISSIS) non consente alcun dubbio su quale fosse la doglianza dell’appellante. La Provincia, condannata in primo grado al risarcimento integrale del danno, col proprio appello si era doluta di condanna, imputando al Tribunale di non avere attribuito alcuna responsabilita’, ne’ esclusiva, ne’ concorrente, al conducente del veicolo di proprieta’ della (OMISSIS).
Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha reputato ammissibile il gravame.
2. Il secondo motivo del ricorso principale.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 1227 c.c.; articolo 116 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Si deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha ritenuto dimostrata una condotta colposa della conducente del veicolo della (OMISSIS), trascurando di esaminare il “fatto decisivo” rappresentato dal rilievo compiuto dal consulente tecnico nominato d’ufficio, secondo cui la vittima teneva una velocita’ moderata.
2.2. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’articolo 1227 c.c. il motivo e’ infondato: stabilire, infatti, se il conducente di un veicolo a motore abbia o non abbia tenuto una condotta di guida imprudente e’ un tipico accertamento di fatto, non una valutazione in diritto.
2.3. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo il motivo e’ inammissibile.
La Corte d’appello, infatti, non ha omesso di esaminare il “fatto” rappresentato dalla velocita’ di marcia del furgone precipitato. Ha ritenuto che il solo fatto dello sbandamento dimostrasse ex se, “malgrado l’andatura moderata”, una condotta imperita, consistita nel non sapere evitare il salto di corsia.
Giusta o sbagliata che sia tale motivazione, essa costituisce un apprezzamento di merito, e come tale non e’ sindacabile in questa sede.
3. Il primo motivo del ricorso incidentale.
3.1. Col primo motivo del ricorso incidentale la Provincia lamenta sia la violazione delle regole sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo, sia il vizio di omessa pronuncia.
Sostiene che la scelta della Provincia di installare o meno barriere laterali lungo le strade, e quale tipo di barriere laterali, e’ scelta discrezionale riservata alla p.a., non sindacabile dal giudice ordinario.
3.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 1, il motivo e’ manifestamente infondato.
La Provincia, infatti, nell’illustrazione del motivo lamenta non gia’ che la causa sia stata decisa dal giudice sfornito di giurisdizione, ma che il giudice ordinario non puo’ sindacare le scelte discrezionali della p.a..
Non si tratta dunque, a ben vedere, di una questione di giurisdizione, ma di una questione sostanziale: ovvero lo stabilire se la Provincia fosse o meno in colpa, per avere mantenuto la strada provinciale (OMISSIS) nelle condizioni in cui si trovava al momento del sinistro.
Non sara’ superfluo tuttavia aggiungere che se le scelte compiute dalla pubblica amministrazione nell’esercizio dei propri poteri discrezionali non sono di per se’ sindacabili dal giudice ordinario, quest’ultimo resta pur sempre titolare del potere di stabilire se, attraverso quelle scelte, la p.a. abbia violato il precetto del neminem laedere, ledendo i diritti di terzi.
Se dunque la pubblica amministrazione, con scelte improvvide, non garantisce la sicurezza delle strade, ed a causa di tale omissione gli utenti della strada patiscano danno, non v’e’ dubbio alcuno che sussista la sua responsabilita’, e che essa sia sindacabile dal giudice ordinario.
3.3. Nella parte in cui lamenta l’error in procedendo, il motivo e’ manifestamente infondato: il rigetto del motivo d’appello con cui la Provincia invocava il difetto di giurisdizione fu infatti implicito, e si desume chiaramente dal contesto generale della sentenza impugnata.
4. Il secondo motivo del ricorso incidentale.
4.1. Col secondo motivo di ricorso incidentale la Provincia lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c..
Il motivo, formalmente unico, contiene in realta’ piu’ censure, cosi’ riassumibili:
(a) la corte d’appello ha errato nell’applicare al caso di specie l’articolo 2051 c.c., e non l’articolo 2043 c.c.;
(b) l’ente proprietario della strada risponde solo dei danni causati da pericoli imprevedibili od invisibili;
(c) l’ente proprietario non aveva la possibilita’ del controllo a causa della estensione della strada;
(d) il luogo non era pericoloso, e quindi non vi era necessita’ di installare piu’ robuste strutture di contenimento rispetto a quelle esistenti, che se installate avrebbero – conclude la Provincia provocato una “rilevante spesa” di denaro pubblico, che avrebbe potuto provocare “dubbi e sospetti da parte della Corte dei conti”.
4.2. Il motivo e’ manifestamente infondato, in tutti i suoi profili. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’articolo 2051 c.c., esso e’ inammissibile per estraneita’ alla ratio decidendi.
La Corte d’appello ha infatti affermato la colpa della Provincia non in via presuntiva, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., ma per avere accertato in concreto una condotta colposa, consistita nel non avere protetto una strada sulla quale era prevedibile la possibilita’ di sbandamento dei veicoli in transito (cosi’ la sentenza impugnata, p. 15, secondo e terzo capoverso). Dunque l’esito della decisione non sarebbe cambiato, anche se fosse stato applicato l’articolo 2043 c.c..
4.3. La censura secondo cui l’ente proprietario della strada puo’ essere chiamato a rispondere solo dei danni causati da insidie imprevedibili e’ manifestamente infondata.
L’imprevedibilita’ del pericolo non e’ infatti il presupposto della responsabilita’ del proprietario della strada. Essa puo’ costituire unicamente la circostanza dalla quale desumere la sussistenza d’un maggiore o minore concorso di colpa della vittima (c.d. fortuito accidentale), nel senso che quanto piu’ il pericolo era prevedibile, tanto meno potra’ dirsi incolpevole la condotta della vittima.
4.4. Nella parte in cui sostiene che la Provincia non poteva essere dichiarata responsabile, perche’ non aveva la possibilita’ del controllo della strada, a causa della sua estensione, il motivo e’ manifestamente inammissibile.
Stabilire, infatti, se un ente locale abbia o non abbia la possibilita’ di controllare la sicurezza di una strada e’ un apprezzamento di fatto, non una questione di diritto.
Non sara’ superfluo, in ogni caso, soggiungere che alla Provincia di Trento e’ stato ascritto a titolo di colpa non gia’ di non avere controllato e messo in sicurezza tutta la strada, ma solo quel tratto dove, per la presenza della scarpata e l’esposizione a nord, era prevedibile lo sbandamento dei mezzi in transito.
4.5. Nella parte, infine, in cui lamenta che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare che il luogo del sinistro non era di per se’ pericoloso, e non necessitava di piu’ efficienti barriere di contenimento, il motivo e’ inammissibile.
Esso, infatti, censura un tipico apprezzamento di fatto, consistito nello stabilire se in un certo punto d’una certa strada, in una certa stagione, potesse o meno prevedersi la formazione di ghiaccio e, di conseguenza, il rischio di sbandamento dei veicoli in transito.
Varra’ la pena soggiungere, a fronte delle incongrue allegazioni della ricorrente, che il pubblico amministratore puo’ causare un danno erariale sia sostenendo spese improvvide, sia omettendo di adottare banali misure di sicurezza, che avrebbero impedito all’ente pubblico di sostenere l’onere di pensati risarcimenti.
5. Il terzo motivo del ricorso incidentale.
5.1. Col terzo motivo di ricorso incidentale la Provincia lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione del Decreto Ministeriale 18 febbraio 1992 n. 223); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Sostiene, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente la colpa della p.a., per non avere installato nel luogo del sinistro una barriera laterale. Allega che tale obbligo sussiste, ai sensi del Decreto Ministeriale 18 febbraio 1992, n. 223, per le sole strade la cui velocita’ di progetto sia maggior di 70 km/h, mentre la SP(OMISSIS), dove avvenne il sinistro, aveva una velocita’ di progetto inferiore a 40 km/h. Soggiunge, infine, che avendo installato sulla strada in questione dei segnali di pericolo, tanto bastava per escludere la responsabilita’ della Provincia.
5.2. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo il motivo e’ infondato.
Il vizio di omesso esame del fatto decisivo, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, consiste nella mancata valutazione d’una circostanza concreta, non nella mancata applicazione d’una norma giuridica.
Tuttavia la Provincia, nella illustrazione del motivo, lamenta di essere stata ingiustamente ritenuta in colpa, per non avere tenuto una condotta che non aveva l’obbligo di tenere. La Provincia lamenta dunque una falsa applicazione della legge, non una carente valutazione dei fatti.
5.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge, il motivo e’ del pari infondato, per varie e concorrenti ragioni.
In primo luogo, la Provincia non precisa, in violazione del principio di specificita’ del ricorso, donde risulti quale fosse la “velocita’ di progetto” della strada nel punto del sinistro, e come e quando tale prova sia entrata nel processo.
In secondo luogo, non e’ esatto che le regole dettate dal Decreto Ministeriale si applichino solo alle strade con velocita’ di progetto superiore a 70 km/h. Per tali strade il Decreto Ministeriale n. 223 del 1992, articolo 2 impone l’allegazione, al progetto esecutivo, di un allegato progettuale riguardante i tipi delle barriere di sicurezza da adottare; ma quando e in che modo le strade debbano essere protette da barriere laterali non e’ stabilito dal suddetto articolo 2, sibbene dalle “Istruzioni tecniche” allegate al decreto di cui si discorre, e piu’ volte aggiornate (da ultimo, col Decreto Ministeriale 21 giugno 2004).
All’epoca dei fatti (2003), l’articolo 2 delle istruzioni allegate al suddetto Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 stabiliva – senza distinzioni tra tipologie di strade – che le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositivi di ritenuta fossero posti in opera “essenzialmente al fine di realizzare per gli utenti della strada (…) accettabili condizioni di sicurezza”. Il successivo articolo 3, comma 1, primo alinea, soggiungeva che le barriere laterali dovessero proteggere “almeno i margini (…) di ponti, viadotti, ponticelli, sovrappassi e muri di sostegno della carreggiata, indipendentemente dalla loro estensione longitudinale e dall’altezza dal piano di campagna”.
In terzo luogo, la colpa della pubblica amministrazione puo’ consistere sia nella violazione di norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica). Il formale rispetto delle prime non vale, dunque, ad escludere di per se’ la possibilita’ della sussistenza d’una colpa generica della p.a..
Pertanto la circostanza che per una determinata strada il Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 non imponga in astratto l’adozione di misure di sicurezza, non esime la p.a. dal valutare in concreto sempre e comunque, ai sensi dell’articolo 14 C.d.S., se quella strada possa costituire un rischio per la sicurezza degli utenti. Si consideri, ad esempio, che il citato Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 si applica unicamente alle strade di nuova costruzione, ma sarebbe assurdo trarre da cio’ la conseguenza che per le strade preesistenti la p.a. possa tranquillamente disinteressarsi della sicurezza degli utenti.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto la p.a. in colpa non per avere violato le prescrizioni del Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 sulle barriere laterali, ma perche’ la pericolosita’ della strada “avrebbe dovuto consigliare” l’adozione di misure di contenimento: ha dunque accertato una colpa generica, non una colpa specifica, e nulla rileva se il Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 imponesse o meno l’installazione di barriere nel luogo del sinistro.
6. Il quarto motivo del ricorso incidentale.
6.1. Col quarto motivo di ricorso incidentale la Provincia che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 1227 c.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’attribuire alla conducente del veicolo precipitato solo una colpa concorrente, in quanto le avrebbe dovuto attribuire la colpa esclusiva.
6.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile, in quanto censura un accertamento di fatto.
7. Il quinto motivo del ricorso incidentale.
7.1. Col quinto motivo del ricorso incidentale la Provincia sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 91 c.p.c..
Lamenta di essere stata condannata alle spese, sebbene il suo appello fosse stato parzialmente accolto.
7.2. Il motivo e’ manifestamente infondato. La soccombenza va infatti valutata in base all’esito complessivo della lite, e questo e’ stato sfavorevole per la Provincia.
8. Le spese.
8.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integramente tra le parti, in considerazione della soccombenza reciproca.
8.2. Il rigetto delle contrapposte impugnazioni costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico di ciascuna delle parti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso principale;
(-) rigetta il ricorso incidentale;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione;