in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell’articolo 873 c.c., una nozione unica di costruzione (consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidita’ ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata) e i regolamenti comunali, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiche’ il rinvio contenuto nella seconda parte dell’articolo 873 c.c. ai regolamenti locali e’ circoscritto alla sola facolta’ di stabilire una distanza maggiore.
Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|2 agosto 2019| n. 20877
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9709-2015 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 535/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Rilevato:
che la societa’ (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza delle Tribunale di Monza, la ha condannata a:
a) demolire ed arretrare sino alla distanza di mt. 5,00 dal confine con il limitrofo fondo in proprieta’ di (OMISSIS) il manufatto in cemento armato dalla stessa realizzato lungo il lato est dell’edificio in sua proprieta’ in (OMISSIS); manufatto costituito da un muro di recinzione in cemento armato addossato al preesistente muretto di recinzione del fondo (OMISSIS) e collegato alla base, tramite la soletta di copertura di un box interrato, ad un’opera in cemento armato realizzata in aderenza alla parete est del suddetto edificio, avente funzione di marciapiede in fregio dell’edificio ad una quota di cm. 70 superiore rispetto al piano di campagna del fondo (OMISSIS); con riempimento, mediante terra di riporto, della “vasca” delimitata, al fondo, dalla soletta di copertura del box, da un lato, dall’opera con funzione di marciapiede e, dall’altro lato, dal muro di recinzione, con realizzazione, in definitiva, di un terrapieno artificiale dell’altezza di cm. 70, tenuto a manto erboso, tra il piano terra dell’edificio della societa’ (OMISSIS), a quota maggiore del fondo (OMISSIS), e quest’ultimo fondo;
b) demolire ed arretrare la parete est dell’edificio della societa’ (OMISSIS), compresi i balconi sulla medesima aggettanti, sino a garantire il rispetto della distanza di mt. 10,00 dal frontistante fabbricato di proprieta’ del sig. (OMISSIS);
che con i primi tre motivi si censura la statuizione sub a), concernente il manufatto in cemento armato realizzato dalla societa’ (OMISSIS) tra l’edificio ed il confine con il fondo (OMISSIS);
che, in particolare, con il primo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la societa’ ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 44 del regolamento edilizio del (OMISSIS), sottolineando come tale articolo, nel prevedere per gli “edifici” il rispetto della distanza minima di mt. 5,00 dai confinasi riferisca espressamente ed esclusivamente agli edifici, appunto, e non gia’ a qualsiasi costruzione. Nel mezzo di impugnazione, sottolineata la differenza tra la nozione di costruzione e quella di edificio, si argomenta che un terrapieno artificiale sarebbe eventualmente qualificabile come costruzione, ma non mai come edificio e, su tale premessa, si contesta l’applicabilita’ del menzionato articolo 44 del R.E. nella fattispecie in esame;
che con il secondo motivo, anch’esso relativo all’articolo 360 c.p.c., n. 3, sempre con riferimento all’articolo 44 del regolamento edilizio del (OMISSIS), la societa’ ricorrente censura l’impugnata sentenza perche’ la corte di appello ha disposto la demolizione di tutto il manufatto sopra descritto, ivi compreso il marciapiede realizzato a ridosso del piano terra della parte est dell’edificio, in tal modo violando il disposto dell’articolo 44 R.E. nella parte in cui prescrive che “le parti calpestabili sporgenti della muratura perimetrale che comunque configurano una veduta sul lotto confinante non devono essere piu’ prossime al confine di mt. 3,50”;
che con il terzo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza in relazione all’articolo 132 c.p.c. e articolo 156 c.p.c. e ss., lamentando che la stessa, sia nella motivazione, sia al punto n. 1 del dispositivo, sarebbe generica ed equivoca la’ dove ordina “la demolizione del manufatto in C.A. e relativo terrapieno artificiale”, senza precisare se l’ordine si riferisca al muro edificato a confine, alla soletta del box o all’opera con funzione di marciapiede addossata all’edificio;
che con il quarto ed il quinto motivo viene censurata la statuizione sub b), concernente l’arretramento della parete est dell’edificio della societa’ (OMISSIS), per la sua intera estensione, fino a 10 mt. dal frontistante edificio in proprieta’ (OMISSIS); in premessa a detti motivi la ricorrente sostiene che il suo edificio fronteggerebbe quello del sig. (OMISSIS) solo per un parte e, precisamente, per il tratto di quest’ultimo costituito da una parete non perimetrale ma meramente accessoria, in quanto funzionale a chiudere un lato di una scala esterna di accesso al primo piano; mentre la restante parete dei suo edificio fronteggerebbe solo il giardino dell’edificio (OMISSIS);
che, in particolare, con il quarto motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la societa’ ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9 dell’articolo 44, deducendo che tale disposizione si applicherebbe solo alle distanze tra pareti che creino un volume e, quindi, contestandone l’applicabilita’ alla parte del proprio edificio che, secondo le risultanze peritali, fronteggerebbe la parete di chiusura della scala esterna (aperta dagli altri lati) del fabbricato (OMISSIS);
che con il quinto motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la societa’ ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, deducendo ai fini di detta disposizione le distanze andrebbero misurate in modo lineare e non radiale, nonche’ il vizio di omesso esame di fatto decisivo in cui la corte territoriale sarebbe incorsa disponendo l’abbattimento e l’arretramento della parte del proprio edificio che, secondo le risultanze peritali, fronteggerebbe dei giardini e non il fabbricato (OMISSIS), dal quale disterebbe meno di mt. 10 solo con una misurazione radiale delle distanze;
che (OMISSIS) ha depositato controricorso;
che la causa e’ stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 30 novembre 2018, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa, e quindi decisa, a seguito di riconvocazione del Collegio, nella camera di consiglio del 25.6.19;
Ritenuto:
che il primo motivo va disatteso, in quanto l’impugnata decisione si fonda sul rilievo che la posizione del manufatto realizzato dalla societa’ (OMISSIS) rispetto al confine viola, oltre all’articolo 44 del regolamento edilizio, anche gli “articoli 13.1 e 22.4 delle NTA del P.R.G.” (pag. 5, quartultimo capoverso, della sentenza) e la societa’ ricorrente non ha specificamente censurato l’argomentazione concernete la violazione delle Norme Tecniche di Attuazione, le quali, nell’articolo 13.1, definiscono la “distanza minima dai confini” come “la distanza minima tra la costruzione e i confini del lotto”, utilizzando la nozione generica di “costruzione” e non quella specifica di “edificio” -;
che, peraltro, va aggiunto che la censura relativa alla pretesa violazione dell’articolo 44 del regolamento edilizio del (OMISSIS) non coglie nel segno, giacche’ l’espressione “edificio”, ivi utilizzata (“la distanza minima degli edifici dai confini con altre aree”), va intesa in senso estensivo, quale sinonimo di costruzione; se, infatti, e’ vero che la nozione di costruzione e quella di edificio non si identificano (cfr., tra le tante, Cass. 10608/90, Cass.15972/11, Cass. 23856/18), va tuttavia considerato che, quando l’espressione “edificio” viene utilizzata nel contesto della disciplina delle distanze dettata dai regolamenti locali in funzione integrativa della disciplina del codice civile, la stessa va intesa come formulata in via esemplificativa e, quindi, riferita ad ogni tipo di costruzione riconducibile al paradigma di cui all’articolo 873 c.c.;
che, infatti, in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell’articolo 873 c.c., una nozione unica di costruzione (consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidita’ ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata) e i regolamenti comunali, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiche’ il rinvio contenuto nella seconda parte dell’articolo 873 c.c. ai regolamenti locali e’ circoscritto alla sola facolta’ di stabilire una distanza maggiore (Cass. 144/16, Cass. 23483/18);
che il secondo motivo va pur esso rigettato, in quanto, per un verso, non censura, al pari del primo motivo, l’argomentazione della sentenza gravata concernente la violazione delle Norme Tecniche di Attuazione e, per altro verso, si fonda su un palese errore di sussunzione;
che, infatti, dalla descrizione del manufatto de quo svolta nel brano della CTU trascritto a pag. 4 della sentenza – posta dalla corte territoriale a fondamento della propria decisione e non contestata dalla ricorrente – emerge che il suddetto manufatto non costituisce una parte (calpestabile e sporgente) della muratura perimetrale dell’edificio della societa’ ricorrente, bensi’ un (autonomo) manufatto addossato in aderenza a detta muratura, avente funzione di marciapiede e non di veduta (“In aderenza alla parete Est del fabbricato della convenuta, ed esattamente sottostante il filo dei balconi soprastanti al P1 P2, e’ stato realizzato un manufatto in C.A. avente funzione di marciapiede”, pag. 4, ultimo capoverso, della sentenza); cosicche’ tale manufatto non risulta sussumibile nella nozione di “parti calpestabili sporgenti della muratura perimetrale che comunque configurano una veduta” contemplata dall’articolo 44, comma 3 regolamento edilizio;
che il terzo motivo va rigettato perche’ non ricorre, nella specie, l’ipotesi (in cui la giurisprudenza di questa Corte ravvisa la nullita’ della sentenza, cfr. Cass. 16448/09) della assoluta incertezza sul contenuto e sulla portata della decisione e, quindi, sul concreto comando giudiziale; l’oggetto del comando giudiziale e’ sufficientemente specificato (“arretrare il manufatto in C.A, con relativo terrapieno artificiale realizzati lungo il lato est dell’edificio”) e, d’altra parte, eventuali dubbi sull’esatta portata del titolo debbono essere risolti dal giudice dell’esecuzione (tra le tante, Cass.32196/18);
che il quarto motivo e’ inammissibile perche’, pur formulato come denuncia di violazione di legge, in sostanza attinge il giudizio di fatto con cui la corte di appello, basandosi sulle risultanze della CTU, ha ritento che il muro di chiusura della scala esterna dell’immobile in proprieta’ (OMISSIS) costituisca “porzione integrata nella parete ovest del fabbricato – siccome ribadito dal CTU – e dunque ricompresa nella sagoma dello stesso, pur se aperta da un lato” (pag. 7, penultimo cpv., della sentenza), consistendo in una “struttura accessoria al fabbricato, dotata di funzione non meramente decorativa e stabilmente incorporata nell’immobile” (pag. 7, ultimo cpv., della sentenza);
che il quinto motivo va rigettato perche’ si fonda su un assunto – che la corte territoriale avrebbe preso in considerazione la distanza tra i fabbricati per cui e’ causa misurata in senso radiale e non in senso lineare – che non emerge dalla motivazione della sentenza gravata; il motivo si risolve, anch’esso, in una doglianza di merito che attinge l’accertamento di fatto della corte milanese e presuppone, esso stesso, accertamenti di fatto preclusi nel giudizio di legittimita’.
che in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola;
che le spese seguono la soccombenza.
che deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, del raddoppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, ex articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la societa’ ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.