La disciplina prevista dall’art. 72 quater legge fall., che, seppur dettata in relazione alle ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing deriva da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia unitaria del leasing finanziario di cui alla legge 124/2017 art. 1 commi 136-140, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 cod. civ. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatesi prima della dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72 quater legge fall., che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti.
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Tribunale|Ascoli Piceno|Sezione 1|Civile|Sentenza|6 febbraio 2020| n. 112
Data udienza 6 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Stefania Iannetti ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 324/2015 promossa da:
SO. S.r.l. (partita iva (…)), con sede in Ascoli Piceno alla Via (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell’Avv. Sa.Pa..
Attrice
contro
ME. S.p.A. (c.f. (…)) in amministrazione straordinaria, con sede in Ancona alla Via (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell’Avv. St.Fr..
Convenuta
Oggetto: Accertamento negativo.
Conclusioni: come da verbale dell’odierna udienza.
CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
La motivazione viene redatta, ai sensi dell’art. 16 bis comma 9 octies D.L. n. 179/12, in conformità al criterio di sinteticità che deve caratterizzare i provvedimenti del Giudice depositati telematicamente.
Con atto di citazione ritualmente notificato, la società So. S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale di Ascoli Piceno, la società Me. S.p.A. (ora Me. S.p.A. in amministrazione controllata) per ivi sentire contrariis reiectis “in via principale, accertare l’estinzione delle fideiussioni a norma dell’art. 1955 c.c., o in ogni caso dichiarare, con ogni più opportuna statuizione e consequenziale pronuncia, che la So. nulla deve alla Me. per esse, loro estensioni e modifiche, stanti l’inesistenza o la sopravvenuta estinzione dei debiti garantiti, provocate dai fatti giuridici esposti nel presente atto e da quelli riservati; b) in via subordinata e salvo gravame, dichiarare che il credito verso l’attrice fideiubente è inesigibile e condizionato all’avveramento di un legittimo differenziale negativo eventualmente sopportato dalla convenuta all’esito della riallocazione del complesso immobiliare; c) vinte le spese”.
A sostegno della domanda l’attrice, salvo altro, asseriva quanto segue.
– di aver prestato garanzia, quale co-fideiussore non solidale per il 26% delle obbligazioni della società Az. Srl, in forza di tre contratti di leasing da questa stipulati con la convenuta quale concedente, per cui la società Az. S.r.l. pagava, in qualità di utilizzatrice, la somma di Euro 7.356.943,94;
– con missiva datata 10.04.2014, la società Me. S.p.A. si avvaleva delle clausole contrattuali risolutive provocando la risoluzione del sinallagma sul presupposto della morosità dell’utilizzatrice, Az. S.r.l. la quale veniva dichiarata fallita seguendone, da parte della convenuta, le domande di restituzione del plesso immobiliare (domanda accolta ed eseguita) e di ammissione al passivo per Euro 813.375,37 a titolo di canoni scaduti e non pagati ed interessi moratori, e per ulteriori Euro 6.454.484.59 a titolo di capitale netto non riscosso;
– la domanda di ammissione al passivo veniva disattesa dal giudice delegato per inapplicabilità nella specie della disciplina di cui all’art. 72 quater legge fallimentare, in favore dell’applicabilità del paradigma normativo dell’art. 1526 c.c. per essersi i contratti pacificamente risolti in epoca antecedente la dichiarazione del fallimento;
– con missiva datata 12.12.2014, la convenuta aveva chiesto alla So. S.r.l. e agli altri fideiussori il pagamento pro-quota delle somme per cui aveva chiesto l’ammissione al passivo ossia di Euro 6.454.484.59 e di Euro 813.375,37 e per le relative causali.
Si costituiva in giudizio la convenuta, Me. S.p.A. chiedendo, contrariis reiectis, “in via preliminare, in virtù dell’eccezione sollevata al paragrafo 1 della presente comparsa, accertare e dichiarare la propria incompetenza per territorio rimettendo gli atti innanzi al Giudice del Tribunale di Ancona; – nel merito, rigettare le domande proposte da So. s.r.l. nei confronti di Me. S.p.A. perché infondate sia in fatto sia in diritto per i motivi innanzi esposti. In ogni caso, con vittoria di spese e onorario”.
A sostegno della propria difesa, la convenuta Me. Spa, salvo altro asseriva quanto segue.
– l’incompetenza territoriale dell’adito Tribunale di Ascoli Piceno per essere competente il Tribunale di Ancona, in virtù dell’art. 22 del contratto di locazione finanziaria il quale recita: “per ogni eventuale controversia comunque dipendente dal presente contratto o collegantesi con il medesimo (…) sarà competente esclusivamente il foro di Ancona”, analoga clausola contenuta nell’art. 15 del contratto di fideiussione;
– l’inapplicabilità nella specie dell’art. 1955 c.c. per quanto in comparsa;
Venivano concessi alle parti i termini di cui all’art. 183 Vl° comma c.p.c.
Con ordinanza riservata del 15.01.2016, il giudice rigettava l’eccezione d’incompetenza territoriale e rigettava le istanze istruttorie delle parti ivi compresa la richiesta di Ctu contabile.
Con ordinanza del 21.02.2019, il giudice rigettava la richiesta di interruzione del giudizio per assenza dei presupposti di legge.
La causa veniva trattenuta a sentenza all’odierna udienza, fissata per la discussione orale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. spirato il termine concesso alle parti per il deposito di note conclusive.
Preliminarmente va richiamata l’ordinanza giudiziale riservata del 15.01.2016, contenente il rigetto dell’eccezione d’incompetenza territoriale, ordinanza che deve intendersi ivi trascritta sul punto, ribadendo che “la designazione convenzionale di un foro territoriale, anche se coincidente con uno di quelli previsti dalla legge, non attribuisce a tale foro carattere di esclusività in difetto di pattuizione espressa in tal senso, pattuizione che, pur non dovendo rivestire formule sacramentali, non può essere desunta in via di argomentazione logica da elementi presuntivi, dovendo per converso scaturire da una non equivoca e concorde manifestazione di volontà delle parti volta ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge.
Ne discende che una clausola, con la quale sia “stabilita” la competenza di un certo foro “per qualsiasi controversia” è inidonea ad individuare un foro esclusivo, poiché a siffatte espressioni – in mancanza di una specificazione della volontà delle parti di considerare quest’ultimo come l’unico applicabile (come avrebbe potuto rivelare l’uso dell’aggettivo “esclusivo” o dell’avverbio “esclusivamente” o di altre espressioni consimili) – deve attribuirsi soltanto il significato di individuare l’ambito oggettivo di applicabilità di quel foro. Nella fattispecie, la clausola che individua il Tribunale di Ancona come foro competente per qualsiasi controversia derivante dai contratti di fideiussione, non esclude, ma anzi concorre con gli altri fori previsti dalla legge, tra i quali quello delle persone giuridiche di cui all’art. 19 c.p.c. e quello di cui all’art. 20 c.p.c. previsto per le cause relative a diritti di obbligazione, sotto il duplice profilo del forum contractus e del forum destinatae solutionis. Ld è proprio il forum contractus che si identifica con il Tribunale di Ascoli Piceno, poiché quivi risultano sottoscritte le fideiussioni” (cfr. ordinanza riservata datata 15.01.2016).
la domanda è infondata e pertanto non merita accoglimento.
La vicenda di causa si incentra nell’azione promossa dall’attrice So. Srl, nella sua qualità di garante relativamente a tre contratti di leasing stipulati negli anni 2003-2006, tra l’utilizzatrice Az. S.r.l. (successivamente dichiarata fallita dal Tribunale di Ascoli Piceno in data 11.04.2014) e la convenuta concedente Me. S.p.A. (già Ba.Ma. Spa), in quanto, dal marzo 2013, la suddetta società fallita si rendeva inadempiente al pagamento dei canoni di leasing tanto che la Me. Spa, in data 10.04.2014, risolveva i tre contratti, promuovendo domanda di insinuazione al passivo del Fallimento “Az. Srl” ed intimando, con missiva datata 12.12.2014, ai fideiussori, tra cui So. Srl, il pagamento pro quota di Euro 813.375,37 a titoli di canoni scaduti ed Euro 6.454.848,59 a titolo di capitale residuo.
L’attrice, in qualità di fideiussore, ha proposto domanda, in via principale, volta ad ottenere l’accertamento dell’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1955 c.c. asserendo di essere stato compromesso il suo diritto di surroga, per avere la Me. S.p.A. erroneamente configurato la domanda di insinuazione al passivo fallimentare, ai sensi dell’art. 72 quater l. f. per complessivi Euro 813.375,37 a titolo di canoni scaduti e non pagati ed Euro 6.454.848,59 quale residuo capitale, piuttosto (che – correttamente – ai sensi dell’art. 1526 c.c. contemplante la previsione di un diritto all’equo indennizzo, errore che aveva determinato il rigetto della domanda di insinuazione sia da parte del giudice delegato che del Collegio, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, compromettendo così la sua surrogazione in qualità di fideiussore.
Quanto all’onere probatorio, va ricordato che esso è gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato e che non subisce deroga neanche quando – come nella specie – abbia ad oggetto fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 9201/15).
L’art. 1955 c.c. prevede che: “La fideiussione si estingue quando, per il fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti del pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore”.
Orbene, con il presente giudizio, la società attrice, nella sua qualità di fideiussore della utilizzatrice fallita “Az. Srl”, ha fatto valere, in via di azione, la richiesta dell’estinzione fideiussoria.
La suddetta previsione normativa contempla il caso di estinzione del rapporto obbligatorio, tipico della fideiussione, caso che si verifica qualora il creditore, per fatto a lui imputabile, ha posto il fideiussore nella impossibilità di surrogarsi ai suoi diritti.
Ragione della norma è il peculiare carattere della fideiussione, in quanto con detto contratto ci si assume la responsabilità di pagare un debito altrui, pertanto, la legge offre al fideiussore cautela sia mediante azioni dirette che in surroga.
Detta forma di garanzia costituisce infatti un atto di liberalità che determina, in capo al creditore, il dovere di conservare integri i diritti e le ragioni che possono servire al fideiussore a reintegrare il proprio patrimonio.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 1955 c.c. è tuttavia richiesto che il fatto del creditore integri il comportamento colposo o comunque illecito.
A tale proposito, la giurisprudenza ha ritenuto che la semplice inerzia del creditore non costituisca di per sé fatto idoneo, salvo che il creditore abbia per legge o per contratto l’obbligo di una determinata condotta (azioni/omissioni), invece violata.
Il fatto del creditore deve dunque consistere quanto meno in un fatto colposo o illecito che abbia sottratto al fideiussore concrete possibilità esistenti nella sfera del creditore al tempo della garanzia, mentre il pregiudizio arrecato deve essere giuridico e non solo economico, dovendosi concretizzare nella perdita di un diritto e non nella maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacita satistattive del patrimonio del debitore (Cass. Civ. Sez. 1 sentenza n. 3161 del 11.04.1997).
Nel caso che ci occupa non può ritenersi verificata la previsione dell’art. 1955 c.c. e dunque la liberazione del fideiussore, So. Srl, per fatto del creditore poiché la Me. S.p.A. non e stata inerte avendo essa – sebbene non tenuta per lege né ex contractu e verosimilmente allo scopo di rendere giuridicamente possibile la surrogazione – comunque proposto domanda di ammissione a I passivo della fallita utilizzatrice “Az. Srl” e, all’esito del relativo rigetto da parte del giudice delegato, anche opposizione allo stato passivo pure rigettata.
E’ dunque incontestato che la Me. S.p.A. si è attivata, al fine di evitare pregiudizi al fideiussore, dovendosi escludere il nesso di causalità tra il fatto del creditore e la lamentata impossibilità di surrogazione della So. Srl.
La creditrice non è incorsa in alcuna condotta negligente.
Non può infatti imputarsi a negligenza della Me. S.p.A. il negativo esito della domanda di insinuazione al fallimento della “Az. Srl” ne il pure relativo rigetto dell’opposizione allo stato passivo, poiché la scelta dell’orientamento giurisprudenziale da seguire nelle decisioni e rimessa esclusivamente al giudice.
Sul punto, va solo ricordato che, dopo anni di contrasti e decisioni di segno opposto, in cui l’art. 1526 c.c. veniva applicato ai contratti di leasing c.d. traslativo con una presunta funzione di equilibrio e riassetto degli interessi contrapposti delle parti, la Corte di Cassazione, solo recentemente con sentenza n. 8980 del 29 marzo 2019, ha modificato l’ orientamento più tradizionale seguito dal giudice delegato e dal Collegio dell’intestato Tribunale.
L’analisi storico-giuridica delineata dalla sentenza in commento riconosce che il leasing, nella sua evoluzione giuridica, si è man mano tipizzato assumendo forme del tutto peculiari e tipiche, sino all’introduzione della legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, che “ha dettato una compiuta disciplina relativa a presupposti, effetti e conseguenze della risoluzione per inadempimento oltre a norme di coordinamento con altre disposizioni che richiamano tale fattispecie contrattuale.
La Corte, sul punto, evidenzia che il leasing, a seguito di tale intervento normativo, ha assunto i caratteri di una “fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà e questo poiché “il legislatore ha optato per la ricostruzione unitaria del contratto di leasing ed ha dunque disatteso il tradizionale indirizzo giurisprudenziale…escludendo la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo”. Secondo la Corte, in breve, la nuova disciplina (legale) della locazione finanziaria, accantonate le classificazioni tradizionali, ha superato il ricorso analogico all’art. 1526 c.c., che non potrà più trovare applicazione ai contratti di leasing anche se stipulati prima della sua entrata in vigore.
La motivazione, pur in assenza di disposizioni transitorie, si ritrova nella necessità, avente carattere generale, di “fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti…non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità”.
E proprio sulla scorta dell’attualità della disciplina tipica del leasing, la Suprema Corte ha affermato che l’ordinamento ha deciso di creare a tutti gli effetti un nuovo “tipo negoziale”, in controtendenza all’indirizzo tradizionale, ormai “destinato a cedere il passo davanti ad una precisa presa di posizione del legislatore, che, in quanto introduce una disciplina che integra una obiettiva (ed evidentemente consapevole) soluzione di continuità rispetto ad esso, non può non riverberarsi sulla valutazione ed interpretazione delle situazioni pregresse non ancora definite”.
Alla luce della recentissima sentenza della Suprema Corte, può oggi ritenersi innegabile che l’art. 1526 c.c. non è applicabile ai contratti di leasing anche se stipulati prima dell’entrate in vigore della legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017, in quanto disciplina ad esso estranea.
“La disciplina prevista dall’art. 72 quater legge fall., che, seppur dettata in relazione alle ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing deriva da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia unitaria del leasing finanziario di cui alla legge 124/2017 art. 1 commi 136-140, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 cod. civ. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatesi prima della dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72 quater legge fall., che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti” (Cass. Civ. Sez. I n. 12552/2019).
Va inoltre evidenziato che la documentazione in atti offre sufficienti riscontri in ordine alla esistenza del rapporto di garanzia che non appare riconducibile alla figura della fideiussione ma piuttosto a quella del contratto autonomo di garanzia atipico.
In particolare i contratti di garanzia stipulati tra le parti prevedono tra le altre clausole quella del pagamento a prima richiesta ed espressamente, all’art. 6, “I diritti derivanti alla Concedente dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato” e all’art. 7, “Il fideiussore, nei limiti della propria quota è tenuto a pagare immediatamente alla Concedente, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio”.
Alla luce delle suddette clausole, i contratti che ci occupano devono qualificarsi quali contratti autonomi di garanzia atipica, distinto da quello di fideiussione stante la mancanza di accessorietà tra il rapporto principale con l’utilizzatrice, la fallita “Az. Srl” e quello di garanzia.
Invero, secondo l’orientamento della Corte Suprema a Sezioni Unite “il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 cod. civ., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (qual è l’obbligazione dell’appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra la prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, (‘obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”.
La Corte ha poi statuito che “L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag). in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione” (Cass. SS.UU. n. 3947/2010).
Poiché, i contratti in parola contengono tale clausola che obbliga il garante a soddisfare le richieste da parte della creditrice, odierna convenuta Me. Spa, a semplice richiesta scritta essi devono, qualificarsi come contratti autonomi di garanzia.
Del resto, la clausola “senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore” e la clausola “è tenuto a pagare immediatamente alla Concedente, a semplice richiesta scritta” in cui è consentito di esigere dal garante il pagamento immediato del credito, configura una espressione di autonomia negoziale tale da conferire alla fideiussione il carattere di atipicità, in deroga al principio dell’accessorietà, senza tuttavia far venire meno la connessione tra il rapporto accessorio e quello principale.
Vertendo, nella specie, nell’ambito di contratti autonomi di garanzia piuttosto che in quello dei contratti di fideiussione, viene conseguentemente meno anche l’applicabilità dell’art. 1955 c.c., poiché la suddetta previsione normativa contempla il caso di estinzione del rapporto obbligatorio, tipico della fideiussione.
Ed infine va aggiunto che, all’atto del ricevimento della missiva con cui la Me. S.p.A. ha chiesto il pagamento ai fideiussori tra cui la So. Srl, quest’ultima ben avrebbe potuto integralmente pagare il creditore per quanto dalla stessa garantito, insinuandosi nello stato passivo del fallimento poiché il diritto di credito, pur nascendo dopo il fallimento, ha natura concorsuale in quanto l’origine dello stesso è un atto giuridico (garanzia rilasciata) anteriore all’apertura della procedura fallimentare: “il fatto genetico della situazione giuridica da cui deriva l’obbligazione si è verificato in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento” (Cass. 17/01/2008 n. 903, in il fall. 8/2008).
Una volta stabilito che il rapporto obbligatorio tra fallito e garante è preesistente alla data del fallimento, la regola che vuole la cristallizzazione della massa passiva non viene derogata; non si assiste ad alcuna novazione. Il principio di immutabilità dello stato passivo non si riferisce ai soggetti, ma al quantum senza che le modifiche nella soggettività dei creditori abbiano rilevanza (Anche M.Fa. sostiene che a conforto della tesi espressa da cassazione 903/2008 “viene addotto che una deroga al principio della cristallizzazione lo si trova nell’art. 70 della legge fallimentare a tenore del quale il credito di chi ha subito l’azione revocatoria può essere ammesso al passivo perché il fatto genetico è anteriore al fallimento, ancorché il credito da restituzione sorga solo dopo la sentenza di revoca”. In Giur. Civ. 2008).
Si ritiene opportuno, ai fini esaustivi, segnalare anche il caso, per lo più di scuola, del creditore garantito il quale non risulta insinuato nel passivo del fallimento.
In quest’ultima ipotesi il credito di regresso del solvens per pagamenti parziali effettuati nel corso della procedura sarà collocabile incondizionatamente sul ricavato (l’art. 61 L. F. infatti, con l’espressione esercizio del regresso intende la collocabilità, sul ricavato dalla liquidazione fallimentare, della pretesa
del coobbligato solvente; non essendoci l’insinuazione del creditore la fase successiva di collocazione/riparto interesserà solo l’insinuato fideiussore).
Se il creditore non si insinua il coobbligato potrebbe far valere le ragioni dell’adempimento parziale sia mediante l’esercizio del regresso in senso stretto sia mediante la surroga.
La domanda proposta dall’attrice, in via subordinata, volta ad ottenere la dichiarazione di inesigibilità del credito della Me. S.p.A. non è stata idoneamente coltivata e va dunque respinta.
La peculiarità della vicenda costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, Sezione Civile, nella persona del giudice unico, Dott. Stefania lannetti, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 324/2015 R.G., ogni altra domanda ed eccezione disattesa, così provvede:
– rigetta l’eccezione d’incompetenza territoriale, per quanto in parte motiva;
– rigetta integralmente la domanda attorea per quanto in parte motiva
– compensa le spese di lite.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in aula ed allegazione al verbale.
Così deciso in Ascoli Piceno il 6 febbraio 2020.
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2020.