in materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire – con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato – se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.
Tribunale|Milano|Sezione 7|Civile|Sentenza|11 marzo 2020| n. 2095
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE SETTIMA CIVILE
In funzione di giudice unico nella persona del dott. Federico SALMERI ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da:
QU.GR., CF/PI: (…), con gli avv.ti Ca.Lu. e As.Ja.
– attrice –
CONTRO
CI. S.p.A., CF/PI: (…), con gli avv.ti Ro.Mi. e Bo.Ma.
– convenuta –
CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Sui fatti di causa.
L’immobile per cui è causa, sito all’interno del complesso residenziale “(…)”, in Milano, via (…), è stato realizzato da Ci. S.p.A. nell’ambito di un radicale intervento edilizio sull’area dell’ex Fiera Campionaria di Milano.
In particolare, il 14 dicembre 2010, i coniugi Qu.Gr. e Co.Fr. hanno stipulato con Ci. S.p.A. un contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto l’acquisto del predetto immobile, all’epoca ancora in costruzione (cfr. doc. n. 2, fascicolo Qu.).
Il 2 ottobre 2013, la Qu., subentrata – a seguito di cessione contrattuale – nella quota del marito Co., ha sottoscritto con Ci. S.p.A. il contratto definitivo di compravendita, con il quale il predetto immobile è stata venduto alla Qu. per un importo complessivo di Euro 1.505.000,00, oltre ad i.v.a. pari ad Euro 60.200.00 (cfr. doc. n. 3, pag. 6, fascicolo Qu.).
Come stabilito dall’art. IV, comma 5, del contratto di compravendita, prima della sottoscrizione dello stesso, la Qu. è stata convocata da Ci. S.p.A. per eseguire una verifica dello stato di finitura dell’immobile. Nel verbale di preconsegna del 10 settembre 2013, firmato dalla stessa Qu., si è dato atto che Ci. S.p.A. aveva risolto tutte le problematiche attinenti l’esecuzione dei lavori precedentemente rilevate, nonché che l’immobile (inclusivo di opere, finiture ed impianti) era stato realizzato e completato in conformità a quanto previsto dal contratto preliminare (cfr. doc. n. 10, fascicolo Ci. S.p.A.).
L’odierno giudizio è stato introdotto dalla Qu., la quale ha lamentato la presenza di gravi difformità in capo all’immobile acquistato, costituite a suo dire da vizi sanabili attraverso gravose opere di manutenzione e da vizi non sanabili.
Più precisamente, parte attrice ha rilevato la presenza dei seguenti vizi sanabili: (I) scorretto isolamento dell’unità climatica interna e dei cassonetti degli avvolgibili; (II) mancata installazione del regolatore di portata nell’impianto di ventilazione; (III) assenza di regolatore taglio termico e di tenuta all’aria nella porta di ingresso.
L’attrice lamenta inoltre l’esistenza di vizio non sanabile, rappresentato dalla difformità tra la classe energetica attestata nella certificazione allegata all’atto notarile (classe A) e la reale prestazione energetica dell’immobile (classe C).
Sicché, la Qu., qualificando detti vizi ai sensi dell’art. 1669 c.c., ha agito nei confronti di Ci. S.p.A., per ottenere la condanna della stessa al risarcimento del danno pari alla spesa per le opere di rimessione in pristino. Parte attrice ha inoltre chiesto l’accertamento del deprezzamento del valore dell’immobile dovuto alla presenza di vizi non sanabili e la conseguente condanna della convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali dalla stessa subiti, insistendo in via istruttoria per la determinazione dei costi necessari per l’eliminazione dei vizi e dei difetti riscontrati e per la riconduzione dell’appartamento in oggetto alla classificazione in classe energetica “A”, nonché per la quantificazione del deprezzamento del valore di vendita dell’immobile (cfr. pag. 19 della memoria ex art. 183 comma 6, par. 2, c.p.c.).
Si è costituita in giudizio Ci. S.p.A., contestando puntualmente le deduzioni avversarie e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa degli appaltatori Ci. S.c.a.r.l. in liquidazione, La. S.p.A. e Ri. S.p.A., nonché del certificatore energetico Te. S.r.l.. Parte convenuta ha altresì eccepito l’intervenuta decadenza e prescrizione ex art. 1495 c.c..
Con decreto dell’8 gennaio 2019, confermato all’udienza del 14 febbraio 2019, il Tribunale non ha autorizzato la chiamata in causa dei terzi, in quanto, non trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario e sussistendo quindi in capo al giudice piena discrezionalità nell’autorizzare il convenuto a chiamare in causa il terzo (cfr. Cass. S.U. n. 4309/2010), la partecipazione dei predetti terzi chiamati è apparsa superflua e, dunque, in contrasto con le esigenze di economia processuale.
Di talché, esaminate le deduzione delle parti, ritenuta la causa di natura documentale e matura per la decisione, il Tribunale ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni, nel corso della quale il Tribunale ha concesso i termini ex art. 190 c.p.c. Depositate le memorie di cui alla suddetta norma.
La causa viene decisa sulla scorta delle seguenti motivazioni.
2. Sulla inapplicabilità dell’art. 1669 c.c..
La Qu. sostiene che “le significative difformità manifestatesi, in relazione all’immobile oggetto della compravendita immobiliare, debbano pacificamente essere annoverate nella nozione di gravi vizi e difetti ai sensi dell’art. 1669 c.c.” (cfr. pag. 17 citazione).
Ed invero, secondo l’attrice, la presenza di molteplici vizi sanabili in capo all’immobile dalla stessa acquistato renderebbe necessario l’esborso da parte della stessa dell’ingente somma di Euro 220.000,00 per lo svolgimento delle necessarie opere di ripristino. Inoltre, la difformità tra la classe energetica dell’immobile attestata nel certificato allegato al rogito notarile (classe A) e la reale prestazione energetica dello stesso (classe C) comporterebbe il deprezzamento del 30% del valore di mercato dell’immobile, ossia di circa Euro 469.560,00.
A dire della Qu., dunque, tali vizi “limitino in misura rilevante il godimento e l’utilità dell’immobile in parola, cagionando, conseguentemente, per l’effetto, oltre al resto, una riduzione di valore dell’immobile stesso”” (cfr. pag. 5 citazione).
L’assunto è infondato.
Le generiche allegazioni di parte attrice non sono supportate da alcuna puntuale deduzione di fatti e circostanze in merito alla significativa riduzione del godimento del bene; né l’attrice ha formulato adeguati capitoli di prova orale diretti alla dimostrazione dell’asserita menomazione del godimento e della funzionalità dell’appartamento.
A tal proposito, giova infatti rammentare che per “gravi difetti” rilevanti ai sensi dell’art. 1669 c.c. si intendono quelle alterazioni che riducono apprezzabilmente il godimento del bene nella sua globalità pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura.
Ed invero, la Corte di Cassazione ha recentemente precisato che “in materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire – con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato – se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile” (cfr. Cass. ordinanza n. 22093/2019).
La qualificazione di un vizio è quindi strettamente connessa ad un accertamento in fatto da parte del giudice di merito sulla scorta di acquisizioni processuali adeguate e puntuali, tali da consentire di valutare le caratteristiche dei difetti, si da formulare compiutamente il giudizio finale sulla eventuale gravità dei vizi, che è tale solo laddove incidano negativamente sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile, con pregiudizio considerevole.
Per consentire al giudice tale valutazione in fatto è dunque necessaria una allegazione di parte puntuale e precisa, sia sullo stato dei luoghi, sia sulle serie limitazioni al godimento del bene che quel vizio comporta.
Ebbene, la Qu. non ha puntualmente dedotto alcunché in merito a come la presenza dei lamentati vizi sanabili comprometterebbe in modo considerevole la fruibilità ed il godimento del suo appartamento. Si è infatti limitata ad individuare, in modo del tutto generico, quali conseguenze delle difformità riscontrate, il patimento da parte della stessa di “diversi concreti disagi e pregiudizi in punto di fruibilità ed abitabilità dell’unita immobiliare nel corso dell’ordinaria vita quotidiana” (atto citazione pag. 5), nonché una generica situazione di mancanza di comfort.
Anche la perizia di parte non ha fornito indicazioni maggiormente precise, riferendosi in modo generico (I) ad una “percepibile disomogeneità di temperatura fra diverse zone dell’appartamento” sia nella stagione fredda sia nella stagione calda, (II) alla presenza di spifferi e (III) ai problemi del sistema di deumidificazione e di ventilazione, senza ulteriormente specificare le conseguenze sulla fruibilità quotidiana del bene immobile.
La Qu. quindi non ha dedotto alcuna puntuale circostanza – quali, ad esempio, l’individuazione degli ambienti maggiormente colpiti dallo scarto di temperatura, la quantificazione dei periodi/giorni di disagio, il concreto impatto sulle ordinarie attività della vita, ecc. – da cui potersi desumere che gli asseriti difetti, afferenti ad elementi secondari ed accessori dell’immobile, siano tali da incidere negativamente sulla funzionalità e sul godimento dello stesso.
Pertanto, il Tribunale ritiene che, ammessa pure l’esistenza dei difetti lamentati dalla attrice, tuttavia né gli atti di causa né la relazione tecnica di parte forniscono elementi fattuali da cui poter ragionevolmente dedurre che le prospettate difformità relative
(I) allo scorretto isolamento dell’unità climatica interna e dei cassonetti degli avvolgibili,
(II) alla difettosa installazione dell’impianto di deumidificazione e
(III) all’assenza di regolatore taglio termico e di tenuta all’aria nella porta di ingresso integrino nel caso di specie un grave difetto rilevante ai fini dell’invocata responsabilità della convenuta, in quanto rivelatisi inidonei in concreto a far risultare considerevolmente compromesso il godimento e la normale fruibilità dei singoli appartamenti.
Parimenti, il Tribunale ritiene che la difformità tra la classe energetica certificata nell’attestato allegato all’atto notarile (classe A) e la reale prestazione energetica dell’immobile (classe C) non è qualificabile ex se come “grave difetto” ai sensi dell’art. 1669 c.c., non avendo l’attrice fornito alcun elemento idoneo a dimostrare che da tale difformità derivi una considerevole compromissione del godimento dell’immobile.
Ed invero, la Qu. ha dedotto che da tale difformità di classe energetica deriva un duplice ordine di conseguenze: da un lato, la riduzione del valore di mercato dell’immobile, ossia un deprezzamento del 30% dello stesso, nonché una maggiore spesa su base annua derivante da un più elevato consumo energetico; dall’altro, la compromissione in maniera determinante del pieno godimento dell’abitazione, senza tuttavia fornire alcuna ulteriore e puntuale specificazioni in merito al concreto impatto di tale difformità sulle attività della vita quotidiana e la normale fruibilità dell’appartamento.
Ebbene, una difformità siffatta – per la quale la stessa attrice assume che le conseguenze sono di natura meramente patrimoniale – non può certamente essere qualificata come “difetto grave” ai sensi dell’art. 1669 c.c., stante la mancata deduzione di fatti o circostanze volte a dimostrare concretamente la compromissione del godimento dell’immobile, non essendo sufficiente l’allegazione delle conseguenze meramente economiche.
Pertanto, parte convenuta non può essere ritenuta responsabile ex art. 1669 c.c. per la vendita dell’immobile con una classe energetica non corrispondente a quella dichiarata ovvero con i difetti accertati dal perito di parte, trattandosi piuttosto di responsabilità per la vendita di un bene privo delle qualità promesse ovvero essenziali ai sensi art. 1497 c.c., per la quale tuttavia è intervenuta la decadenza, stante la mancata denuncia delle predette difformità nel termini di otto giorni dalla scoperta (cfr. doc. n. 4, 7, 8 e 9 citazione).
In conclusione, va affermato che alla odierna fattispecie non trova applicazione la tutela ex art. 1669 c.c., ciò assorbendo ogni altra questione oggetto della controversia, con particolare riferimento, tra le altre, alla qualificazione della convenuta come venditrice-costruttrice.
Invero, anche laddove Ci. avesse ricoperto il ruolo di venditrice-costruttrice, ad ogni modo, non trovando applicazione l’art. 1669 c.c., l’unica domanda che la Qu. avrebbe potuto proporre sarebbe stata ex artt. 1495 e 1497 c.c..
Tale azione è tuttavia irrimediabilmente prescritta, atteso che “In tema di compravendita, l’azione del compratore contro il venditore per far valere la garanzia ex art. 1495 c.c. si prescrive, in ogni caso, nel termine di un anno dalla consegna del bene compravenduto, e ciò indipendentemente dalla scoperta del vizio” (cfr. Cass. sentenza n. 11037/2017).
Ebbene, la preconsegna è avvenuta il 10 settembre 2013 e la prima denuncia risale al 26 gennaio 2018, mediante domanda di mediazione.
3. Conclusioni.
La domanda di parte attrice merita l’integrale rigetto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla scorta del D.M. 55/14 e tenuto conto del valore della controversia, che va individuato in Euro 936.229,13, come riportato in cale alla citazione.
La natura documentale della controversia – in forza della quale la fase istruttoria si è limitata alla sola redazione delle memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c. e la fase decisionale è consistita nella mera ripetizione di quanto già in precedenza dedotto – comporta l’applicazione dei valori minimi della fase istruttoria e decisionale.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide:
1) rigetta le domande di Qu.Gr.;
2) condanna Qu.Gr. alla rifusione delle spese di lite in favore di Ci. S.p.A., che si liquidano Euro 20.122,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge.
Così deciso in Milano il 10 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria l’11 marzo 2020.