Secondo la L.Fall., articolo 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e non si estende anche ai singoli rapporti correnti tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale.
La prescrizione degli interessi sui crediti chirografari ai sensi della L.Fall., articolo 55, comma 1, matura anche nel corso della procedura concorsuale.
La prescrizione dei crediti da interessi maturati sui crediti chirografari, ai sensi della L.Fall., articolo 55, comma 1, viene interrotta, nella procedura fallimentare, dalla domanda di insinuazione al passivo con effetto permanente per tutto il corso della procedura. Nella diversa ipotesi di amministrazione straordinaria, sottoposta alla disciplina originaria di cui alla L. n. 95 del 1979, come avviene anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, l’esecutivita’ dello stato passivo depositato dal commissario ai sensi della L.Fall., articolo 209, comporta interruzione della prescrizione con effetto permanente, per tutto il corso della relativa procedura concorsuale, anche per i creditori ammessi a diretto seguito della comunicazione inviata dal commissario ai sensi della L.Fall., articolo 207, comma 1.
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Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Sentenza|19 giugno 2020| n. 11983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 17972-2018 r.g. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l. (cod. fisc. P.Iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a. in liquidazione (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona dei liquidatori legali rappresentanti pro tempore Dott. (OMISSIS), Dott. (OMISSIS) e Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria (cod. fisc. P.Iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona dei liquidatori legali rappresentanti pro tempore Dott. (OMISSIS) e (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria, (cod. fisc. P.Iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona dei liquidatori legali rappresentanti pro tempore Dott. (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentate e difese, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con il quale elettivamente domiciliano in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, depositata in data 6.3.2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/1/2020 dal Consigliere Dott. AMATORE Roberto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha chiesto: il rigetto del primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale, ma accoglimento del quarto motivo; il rigetto del primo motivo ricorso incidentale (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione e dichiarazione di inammissibilita’ del secondo e terzo motivo del medesimo ricorso; il rigetto del terzo motivo del ricorso (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria e dichiarazione di inammissibilita’ del primo e secondo motivo del medesimo ricorso;
udita, per la ricorrente (OMISSIS) s.r.l., l’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per le controricorrenti (OMISSIS) s.p.a. in amministrazione straordinaria (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione, l’Avv. (OMISSIS) (per delega), che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale;
udito, per la controricorrente (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione, l’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso ed accogliersi il ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia – decidendo sull’appello proposto da (OMISSIS) s.r.l. nei confronti di (OMISSIS) SPA in liquidazione nonche’ nei confronti di (OMISSIS) SPA in a.s. e (OMISSIS) spa in a.s. (terzi intervenienti) – ha rigettato l’appello principale e quelli incidentali avanzati nei confronti della sentenza n. 738/2017 del Tribunale di Padova, con la quale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo gia’ emesso in favore della (OMISSIS) s.r.l., era stata respinta la domanda di condanna della (OMISSIS) SPA in liquidazione, tornata in bonis successivamente alla chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, al pagamento in favore della detta societa’ (OMISSIS) della somma pari ad Euro 1.326.371,42, richiesta a titolo di interessi maturati nel corso della procedura, con riferimento ad un credito riconosciuto dalla stessa procedura quale credito chirografario da ammettersi al passivo, con cio’ determinando la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la restituzione delle somme gia’ incassate in virtu’ del provvedimento monitorio munito di provvisoria esecutivita’.
Il Tribunale di Padova aveva, in realta’, dichiarato, in via preliminare, ammissibile l’intervento di (OMISSIS) SPA in a.s. e (OMISSIS) spa in a.s. e, nel merito, aveva ritenuto insussistente il diritto di credito opposto perche’ gli interessi, sul credito ammesso in via chirografaria, non erano maturati nel corso della procedura concorsuale e non potevano, dunque, essere richiesti alla chiusura di quest’ultima.
La corte del merito ha ritenuto che: a) fossero ammissibili gli atti di intervento dispiegati da (OMISSIS) SPA in a.s. e (OMISSIS) spa in a.s., posto che quest’ultime, quale socie della (OMISSIS), avrebbero subito un pregiudizio, ai sensi degli articoli 2280, 2282 e 2491 c.c., in caso di condanna della (OMISSIS) al pagamento degli interessi maturati nel corso della procedura e dunque sarebbe evidente l’interesse ad intervenire ad adiuvandum in favore della societa’ partecipata; b) non era invece fondato l’appello incidentale avanzato dalle appellate in relazione all’eccepito difetto di legittimazione attiva di (OMISSIS), in relazione alla dedotta nullita’ ed inefficacia delle cessione dei crediti di cui si chiedeva ora il pagamento, in quanto oggetto di cessione era stata la posizione debitoria di (OMISSIS) nei confronti della cedente, posizione che comprendeva capitale ed interessi, depurata dai pagamenti nel frattempo ricevuti, con la conseguenza che le cessioni dovevano intendersi determinate nell’oggetto e nella causa ed anche facilmente quantificabili negli importi, trattandosi di interessi corrispettivi regolati dall’articolo 1382 c.c.; c) nonostante l’approvazione dei piani di riparto non era opponibile alla (OMISSIS) e la documentazione prodotta in appello risultava tardiva, comunque la detta approvazione doveva essere apprezzata come indizio di per se’ sufficiente a dimostrare l’esistenza e l’entita’ del credito, in mancanza di specifiche contestazione sollevate dagli appellanti; d) in base alla L.Fall., articolo 55, (cui rinvia, per la liquidazione coatta amministrativa, la L.Fall., articolo 201, al quale rinvia, a sua volta, anche la L. n. 95 del 1979, articolo 1, per le amministrazioni straordinarie), occorreva considerare che la disposizione normativa si limitava a stabilire la “sospensione” degli interessi “agli effetti del concorso” e che, pertanto, gli interessi stessi continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra singolo creditore e debitore sottoposto a procedura, cosi’ come, del resto, avviene nei rapporti tra creditore e fideiussore, secondo legge (articoli 1282 e 1224 c.c.) e convenzioni; e) non rilevava in senso contrario l’argomento speso dal tribunale secondo cui lo spossessamento subito dal soggetto sottoposto a procedura concorsuale non consentirebbe la possibilita’ di liberarsi dall’obbligazione principale, posto che tale impedimento riguarderebbe al piu’ la maturazione degli interessi di mora ex articolo 1224 c.c. e non rilevava, nel caso di specie, ove veniva in questione l’applicazione degli interessi corrispettivi ex articolo 1282 c.c., per i quali unica condizione da rispettare, per il maturarsi degli stessi, e’ che il credito sia liquido ed esigibile, situazione ricorrente nella fattispecie in esame; f) la diversa opinione accolta nel pronunciamento impugnato non superava l’obiezione secondo cui si raggiungerebbe l’inspiegabile risultato di liberare il debitore sottoposto a procedura concorsuale della obbligazione di interessi, con un ingiustificato depauperamento del creditore e con la necessita’ che di tale obbligazione ne risponda invece il fideiussore; g) tuttavia doveva ritenersi maturata la prescrizione ex articolo 2948 c.c., n. 4, perche’ gli accessori del credito avrebbero dovuto essere richiesti al debitore anche durante la procedura, per il caso in cui il debitore fosse tornato in bonis.
2. La sentenza, pubblicata il 6.3.2018, e’ stata impugnata da (OMISSIS) srl con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui hanno resistito (OMISSIS) SPA in liquidazione, nonche’ (OMISSIS) SPA in a.s. e (OMISSIS) spa in a.s. con controricorsi, con i quali hanno anche avanzato ricorsi incidentali.
La (OMISSIS) s.r.l. ha depositato controricorso in replica ai ricorsi incidentali.
Tutte le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.. La Procura Generale ha depositato altresi’ requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la societa’ ricorrente principale (OMISSIS) s.r.l. – lamentando, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c. e articolo 105 c.p.c., comma 2, – si duole della dichiarata ammissibilita’ dell’intervento adesivo dipendente delle due societa’ sopra indicate, e cioe’ della (OMISSIS) SPA in a.s. e della (OMISSIS) spa in a.s.. Si osserva che l’utile ovvero l’attivo spettante alle due societa’, quali socie della (OMISSIS), in caso di rigetto della domanda di pagamento degli interessi post-fallimentari, sarebbe meramente eventuale ed incerto, e dunque come tale integrante un mero interesse di fatto del tutto inidoneo a supportare l’intervento in causa delle due socie della (OMISSIS), tornata in bonis.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., articoli 208 e 94, nonche’ dell’articolo 2935 c.c., articolo 2943 c.c., nn. 1 e 2, articolo 2945 c.c., n. 2, e articolo 2948 c.c., n. 4), in punto di interruzione della prescrizione degli interessi nel corso della procedura. Evidenzia la societa’ ricorrente che, anche sulla base degli insegnamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimita’, la domanda di insinuazione al passivo determina l’interruzione della prescrizione del credito insinuato, e dunque, nel caso di specie, anche degli interessi richiesti successivamente alla chiusura della procedura concorsuale.
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2935 e 2943 c.c., articolo 2945 c.c. e articolo 2948 c.c., n. 4), nonche’ della L.Fall., articoli 51 e 55. Si evidenzia che la corte territoriale era incorsa in un ulteriore violazione di legge in ordine alla ritenuta decorrenza della prescrizione degli interessi in corso di procedura, in relazione principalmente al disposto normativo di cui all’articolo 2935 c.c., secondo il quale “la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo’ essere fatto valere”. Si osserva che, nel caso di specie, durante la pendenza della procedura concorsuale, il diritto alla percezione degli interessi endocorsuali non puo’ essere legalmente fatto valere dal suo titolare ne’ nei confronti della massa (trattandosi di un diritto sospeso L.Fall., ex articolo 55) ne’ direttamente nei confronti del fallito, stante il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive o cautelari individuali nei confronti del fallito medesimo, avendo il fallito perduto la disponibilita’ del suo patrimonio e la capacita’ processuale, con la conseguenza che ogni atto compiuto da costui e’ totalmente privo di efficacia. Evidenzia ancora la ricorrente che, non essendo esigibile nei confronti del fallito, il pagamento degli interessi endoconcorsuali, allora non decorrerebbe neanche la prescrizione del diritto che non puo’ essere fatto valere che dopo la chiusura della procedura.
4. Con il quarto motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2948 c.c., n. 4, e articolo 2944, c.c., in punto di quantificazione degli interessi.
5. Con il quinto motivo la societa’ ricorrente articola, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, in relazione alla dichiarata inammissibilita’ della produzione documentale in appello.
6. Con ricorso incidentale (OMISSIS) SPA in liquidazione propone tre motivi di censura alla sentenza ex adverso impugnata.
6.1 Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, da un lato, violazione di legge in relazione alla pronuncia della corte di merito riguardante la dichiarata maturazione di interessi endococorsuali in pendenza della procedura di amministrazione straordinaria, e cio’ con particolare riferimento alla L.Fall., articoli 42, 43, 44, 51 e 55, L.Fall., articolo 120, comma 3, e L.Fall., 216, nonche’ in relazione agli articoli 1224 e 1284 c.c. e, dall’altro, omesso esame di fatti ed argomentazioni decisivi in relazione alla decisione della controversia. Si evidenziano i seguenti profili di censura: a) errata applicazione da parte della corte di merito della L.Fall., articolo 120, alle procedure di amministrazione straordinarie di cui al Decreto Legge n. 26 del 1979, in assenza di una norma che espressamente richiami la disciplina della procedura fallimentare; b) la mancata valutazione del profilo che la dichiarazione di fallimento preclude al fallito, ai sensi della L.Fall., articolo 42, qualsivoglia possibilita’ o facolta’ di operare pagamenti, per capitale ed interessi, nel corso della procedura; c) la regola della sospensione del decorso degli interessi di cui alla L.Fall., articolo 55 e’ espressione del principio della cristallizzazione delle pretese dei creditori e della par condicio creditorum, con l’ulteriore conseguenza che il disposto normativo da ultimo citato deve essere letto in combinato disposto della L.Fall., articolo 120, comma 3; d) tale ultima norma, allorquando richiama la parte non soddisfatta dei “crediti per capitale ed interessi”, si riferisce ai crediti ammessi al passivo e dunque non puo’ essere utilizzata come argomento a sostegno della tesi perorata nel provvedimento impugnato, e cio’ anche in ragione di quanto espressamente disposto dalla L.Fall., articolo 120, comma 4, che richiama, per la prova del credito, il decreto ovvero la sentenza relativi all’ammissione al passivo del creditore non integralmente soddisfatto in sede di riparto; e) la mancata valutazione dell’annullamento dell’effetto esdebitatorio del fallimento nei riguardi del fallito che continuerebbe a rispondere dei debito residui con i suoi beni; f) gli effetti negativi della maturazione degli interessi collegati al protrarsi della procedura ricadrebbero sulla sfera patrimoniale del fallito, senza che quest’ultimo possa incidere sui tempi della procedura e senza che il ritardo nel pagamento possa essere imputabile al fallito, al quale e’ negata la possibilita’ di effettuare pagamenti, ai sensi della L.Fall., articolo 44 e L.Fall., articolo 216, comma 3, medesima legge; g) il ritenuto maturarsi del credito collegato al mancato pagamento degli interessi corrispettivi violerebbe il disposto di cui all’articolo 1282 c.c., non potendosi ritenere il credito sottostante esigibile; h) l’avversa tesi violerebbe l’articolo 6 e l’articolo 1 del primo protocollo addizionale Cedu, nonche’ gli articoli 2, 3 e 42 Cost.; i) il riferimento al fideiussore del fallito era improprio perche’ quest’ultimo, a differenza del fallito, continua a mantenere la disponibilita’ del proprio patrimonio e ha, dunque, la possibilita’ di pagare gli interessi in via di maturazione nel corso della procedura.
6.2 Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, da un lato, violazione di legge in relazione al profilo della dichiarata validita’ ed efficacia delle cessioni dei crediti con la conseguente legittimazione attiva della (OMISSIS) s.r.l. a richiedere la riscossione dei crediti per interessi endoconcorsuali, e cio’ con riferimento all’articolo 1418 c.c., comma 2, articolo 1325 c.c., nn. 2 e 3, e articolo 1346 c.c., in combinato disposto della L.Fall., articoli 55 e 120 e articoli 1260 e segg. c.c., nonche’ dell’articolo 24 Cost. e articolo 81 c.p.c., e, dall’altro, omesso esame di fatti ed argomentazioni decisive in relazione alla decisione della controversia.
6.3 Con il terzo motivo sempre articolato nel ricorso incidentale della (OMISSIS), si denuncia l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui ha ritenuto dimostrata la pretesa creditoria per capitale sulla cui base e’ stato azionato il credito per interessi, e cio’ per violazione degli articoli 115, 2710 e 2697 c.c. e articolo 2729 c.c., commi 1 e 2.
6.4 Propongono ricorso incidentale anche (OMISSIS) SPA in a.s. e (OMISSIS) spa in a.s., con il quale reiterano i tre motivi di censura gia’ sollevati dalla (OMISSIS) SPA in liquidazione.
7. Occorre esaminare, subito, il primo motivo del ricorso principale.
7.1 Esso e’ in realta’ infondato.
Come gia’ sopra ricordato, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente di (OMISSIS) S.p.A. in a.s. e della (OMISSIS) S.p.A. in a.s. quali socie della (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione, evocata in giudizio per essere condannata a pagare gli interessi cd. post-fallimentari, maturati successivamente alla sua ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria: secondo la tesi della ricorrente l’interesse dei soci, a vedere arricchita la loro sfera patrimoniale, e’ di mero fatto essendo il diritto alla liquidazione della quota e il diritto alla distribuzione degli utili meramente potenziale.
7.1.1 Sul punto, e’ utile ricordare che la giurisprudenza espressa da questa Corte ha precisato che “Con riguardo agli atti compiuti da una societa’ di capitali, il socio riceve una tutela diretta del proprio interesse a preservare il patrimonio sociale limitatamente ai propri rapporti interni con l’ente, e solo in alcuni casi (articoli 2377, 2379 e 2408 c.c.), mentre, nei rapporti esterni, detta tutela e’ solo indiretta e mediata, non essendo egli portatore di un interesse autonomo rispetto a quello della societa’, ma assorbito in questo, e non potendo, quindi, esercitare un’azione individuale, ma solo aderire alle azioni proposte dalla societa’, a sostegno delle ragioni di questa. L’intervento in causa del socio, pertanto, non puo’ essere qualificato, in tali ipotesi, come principale, ma solo come adesivo, e le domande da lui proposte possono essere accolte esclusivamente nei limiti in cui esse coincidono con quelle della societa’” (Cass. 82/2000).
7.1.2 Va ulteriormente precisato che, sempre secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (articolo 105 c.p.c., comma 2, c.p.c.), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1111 del 24/01/2003). Detto altrimenti, l’intervento adesivo dipendente del terzo e’ consentito ove l’interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessita’ che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25145 del 26/11/2014).
Deve tuttavia ritenersi che il socio di una societa’ di capitali e’ titolare, gia’ prima che divenga esigibile il suo diritto alla quota di liquidazione, di una situazione giuridica direttamente tutelata (Cass. 11959/2010), il che manifesta l’esistenza in capo ai soci di un interesse giuridicamente protetto ad un esito favorevole alla parte adiuvata.
7.1.3 Cio’ posto, la motivazione impugnata risulta in parte qua corretta, atteso che tra le societa’ intervenienti e la (OMISSIS) sussiste un rapporto giuridico sostanziale (le prime sono socie della seconda), per il quale la condanna al pagamento dei richiesti interessi comporterebbe la definitiva perdita patrimoniale della partecipata, con inevitabili conseguenze sulle sfere patrimoniali delle socie.
8. A questo punto ragioni di pregiudizialita’ logica consigliano di esaminare, per primi, i ricorsi incidentali.
8.1 Occorre tuttavia una breve premessa in ordine alla disciplina applicabile ratione temporis.
8.1.1 Va evidenziato che la (OMISSIS) in liquidazione e’ stata sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria il 23.12.1983 e, dunque, la disciplina applicabile e’ quella dettata dalla legge sulla amministrazione straordinaria del 1979, prima del Decreto Legislativo n. 270 del 1999 (cd. Prodi bis), nonche’ quella di cui alla legge fallimentare, nella versione del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, precedente alle modifiche del Decreto Legislativo n. 5 del 2006.
Orbene, L. n. 95 del 1979, articolo 1, comma 3, dispone, invero, che la procedura per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e’ disciplinata dagli articoli 195 e ss. e dalla L.Fall., articolo 237.
Ne consegue che, alle imprese in amministrazione straordinaria si applica, inoltre, sempre in virtu’ del richiamo contenuto nella L. n. 95 del 1979, articolo 1, comma 3, L.Fall., articolo 201 e, dunque, la L.Fall., articolo 55, compreso nella sezione II del capo III del titolo II (appositamente richiamata nell’articolo 201 cit.)(cosi’, anche Cass. 8160/2000).
8.1.2 Oggetto di dibattito e’, invece, l’applicazione della L.Fall., articolo 120, all’amministrazione straordinaria.
Anche in questo caso, tuttavia, la soluzione preferibile e’ quella positiva.
8.1.2.1 L.Fall., articolo 120, comma 2 (attuale comma 3), (nella vecchia formulazione, qui applicabile ratione temporis) dispone, verbatim, che “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi”.
Va ricordato che, nella disciplina della liquidazione coatta amministrativa, cui faceva riferimento l’amministrazione straordinaria disciplinata dalla Legge Prodi, manca un espresso richiamo all’intero Capo VIII del Titolo II della legge fallimentare (ovverosia agli articoli 118 e 123).
Sul punto, va precisato che la L. n. 95 del 1979, articolo 6, comma 5, – la cui disciplina normativa prevedeva che la chiusura fosse disposta, anche ai sensi della L.Fall., articolo 118, nn. 2 e 4, – e’ stato, invero, introdotto dal Decreto Legge 9 dicembre 1986, n. 835, articolo 4, (conv. nella L. 6 febbraio 1987, n. 19) e risulta, pertanto, applicabile alle procedure successive alla data della sua entrata in vigore.
Cio’ non toglie che ragioni di ordine sistematico impongano l’applicazione all’amministrazione straordinaria dell’intero statuto della chiusura del fallimento e, dunque, anche della L.Fall., articolo 120.
Tale conclusione e’, peraltro, avvalorata da opinione espressa sul punto da autorevole dottrina.
8.1.2.2 Non e’ dunque apprezzabile la tesi sostenuta dai controricorrenti (e ricorrenti in via incidentale) secondo cui il mancato richiamo formale alla L.Fall., articolo 120, significa che, con la chiusura della procedura di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria, i debiti non pagati si estinguano e che, pertanto, i creditori non riacquistino il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi.
8.1.2.3 Sul punto, va osservato, in primis, che se si accettasse l’ipotesi secondo cui il debitore – sottoposto, nella specie, ad amministrazione straordinaria – possa, a chiusura della procedura (per di piu’ di carattere amministrativo), essere liberato, senza espressa previsione di legge, dai propri preesistenti debiti, si correrebbe il rischio di scardinare il sistema improntato sul principio generale della responsabilita’ patrimoniale del debitore ex articolo 2740 c.c..
8.1.2.4 Come correttamente osservato anche dalla Procura generale nella requisitoria scritta (che qui si richiama verbatim) “Nella sostanza, il mancato richiamo della L.Fall., articolo 120, e’ bilanciato dalla mancanza di un’espressa previsione della liberazione dai debiti con la chiusura della procedura. Il che vale a dire che la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, di per se’ sola, non produce – in difetto di espressa previsione di legge – l’effetto dell’esdebitazione del soggetto gia’ sottoposto alla procedura”.
Deve, dunque, ritenersi che la L.Fall., articolo 120, altro non sia che la codificazione del piu’ generale principio in base al quale, per effetto delle riacquistate capacita’ del fallito di amministrare e disporre del suo patrimonio dopo la chiusura della procedura, i creditori debbono poter far valere le loro azioni individuali su tutti i beni, che, in qualsiasi modo, dovessero pervenire al fallito.
8.1.2.5 Ne consegue, ancora, come ulteriore corollario, che la chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, qualora non operi, in quanto espressamente prevista l’esdebitazione (in questo senso, si legga l’attuale richiamo, contenuto nella L.Fall., articolo 120, comma 3, alla L.Fall., articolo 142), comporta la reviviscenza del diritto ad agire verso il debitore per la parte non soddisfatta dei crediti, sia per capitale, sia per interessi.
Deve dunque ritenersi che, tra gli effetti della chiusura dell’amministrazione straordinaria, non vi e’ compresa la liberazione dalle obbligazioni non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare, di talche’ i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore anche per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi, cio’ comportando la possibilita’ per il creditore di far valere il suo credito nei confronti del debitore ritornato “in bonis”.
8.2 Cio’ premesso, i ricorsi incidentali, sopra descritti, vanno rigettati.
8.2 In ordine al primo e centrale profilo di doglianza che riguarda l’affermazione del decorso degli interessi nel corso della procedura fallimentare, la Corte ritiene che le censure dei ricorrenti incidentali siano infondate.
8.2.1 Sul punto, va ricordato che la L.Fall., articolo 55, comma 1, enuncia la regola di carattere generale della sospensione degli interessi, siano essi legali o convenzionali, corrispettivi o compensativi, sui crediti chirografari.
Secondo la dottrina maggioritaria, la sospensione opererebbe ai soli effetti del concorso e fino alla chiusura del fallimento, con la conseguenza che gli interessi stessi continuerebbero a decorrere senza alcuna sospensione nei rapporti tra debitore e singoli creditori, e cioe’ fuori del concorso fallimentare, potendo essere pretesi dai creditori stessi in caso di revoca del fallimento ovvero dopo la chiusura del medesimo, ai sensi della L.Fall., articolo 120, comma 3.
Orbene, la dottrina e’ solita giustificare la sospensione degli interessi come effetto della cd. cristallizzazione della massa passiva alla data della dichiarazione di fallimento.
In favore della tesi qui accolta, militano diversi e decisivi argomenti.
8.2.1 In primo luogo, la lettera della norma sopra ricordata, e cioe’ della L.Fall., articolo 55, non lascia dubbi sulla volonta’ del legislatore a far ritenere che la disposta sospensione del decorso degli interessi valga solo all’interno del concorso e non si estenda anche ai rapporti singolari tra ciascun creditore ed il fallito. Ed invero, la L.Fall., articolo 55, (applicabile anche all’amministrazione straordinaria oggi in esame, in virtu’ dei richiami di cui alla L. n. 95 del 1979, articolo 1 e L.Fall., n. 201, in tema di liquidazione coatta amministrativa, come sopra osservato: cfr. § 8.1.2) dispone, verbatim, “la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento”.
La disposizione normativa in esame e’ chiara nello stabile la “sospensione” del decorso degli interessi solo “agli effetti del concorso”, interessi che, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale, e cio’ secondo le consuete regole di cui all’articolo 1282 c.c., ovvero le convenzioni stabilite tra le parti.
Sul punto e’ condivisibile l’argomentazione spesa dalla corte lagunare laddove evidenzia che, qualora il legislatore avesse voluto escludere la maturazione degli interessi in senso assoluto durante il concorso, allora lo avrebbe detto esplicitamente, non utilizzando, dunque, la limitata espressione “sospensione” degli interessi, ed anzi statuendo espressamente che il credito avrebbe cessato di produrre interessi definitivamente in conseguenza dell’apertura del concorso.
8.2.2 Del resto, tale soluzione e’ stata gia’ “incidentalmente” accolta dalla giurisprudenza di questa Corte in altro precedente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2608 del 05/02/2014, ove e’ stato affermato: “…Tale affermazione non tiene conto di un principio tanto risalente quanto pacifico sia nella dottrina unanime che nella giurisprudenza:
quello secondo cui il Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 55, la’ dove stabilisce che il corso degli interessi e’ sospeso nel periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura dello stesso, rileva solo nei confronti della curatela ed ai soli effetti del concorso.
Nei confronti del fallito, invece, gli interessi continuano a decorrere anche durante la procedura, e gli interessi potranno essere domandati dopo la chiusura del fallimento se e quando dovesse tornare in bonis (Sez. 2, Sentenza n. 12262 del 03/12/1997, in motivazione): prova ne sia che, anche durante la pendenza del fallimento, gli interessi maturati dopo l’apertura di esso restano dovuti dagli eventuali fideiussori del fallito (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 11228 del 28/08/2000; Sez. 3, Sentenza n. 7603 del 14/08/1997). Il che non potrebbe spiegarsi, data l’accessorieta’ dell’obbligazione del fideiussore, se non presupponendo che gli interessi dovuti dal debitore principale continuano a maturare dopo l’apertura del fallimento, sebbene non siano dovuti da quest’ultimo”).
8.2.3 Sul punto occorre, anche, richiamare un’autorevole opinione dottrinaria secondo la quale la sospensione degli interessi di cui alla L.Fall., articolo 55, equivale “ad una sorta di inesigibilita’ temporalmente limitata al concorso”, tanto cio’ e’ vero che il credito ben potra’ essere azionato nei confronti del fallito, non appena tornato in bonis e sempre che il credito stesso non sia oggetto di esdebitazione, e cio’ anche per la parte maturata in corso di procedura. Ne rappresenta un’ulteriore dimostrazione la circostanza che, in caso di riapertura del fallimento, i crediti dei creditori gia’ insinuati possono essere maggiorati della richiesta degli interessi, che sono maturati dalla prima sentenza di fallimento sino alla riapertura.
8.2.4 Del resto, e’ fermo in dottrina (ed anche in giurisprudenza) il principio secondo cui la sospensione degli interessi riguarda esclusivamente il soggetto fallito ovvero che si trovi in stato di insolvenza e non puo’ avvantaggiare gli eventuali suoi fideiussori ovvero coobbligati che siano in bonis, e cio’ proprio in ragione della circostanza che il “blocco” degli interessi, nella sede concorsuale, non riguarda la loro maturazione, ma esclusivamente la loro esigibilita’ nei confronti del fallito (Cass. 12 novembre 1981, n. 5985; Cass. 2608/2014, cit. supra).
8.2.4.1 Ma se e’ indiscutibile che gli interessi maturino nei confronti del fideiussore ovvero del coobbligato nel corso della procedura concorsuale del debitore principale (cfr. anche in tal senso Cass. 7603/1997 e Cass. 11228/2000) e che, in ogni caso, continui a persistere l’accessorieta’ dell’obbligazione del fideiussore rispetto a quella del debitore principale, secondo il disposto normativo di cui all’articolo 1941 c.c., allora la diversa tesi perorata dai controricorrenti non riesce a spiegare l’effetto distorsivo di ritenere, da un lato, liberato il debitore principale sottoposto a procedura concorsuale dell’obbligazione di interessi maturati in corso di procedura e, dall’altro, di affermare la contemporanea persistenza della corrispondente obbligazione del fideiussore per il medesimo credito. Detto altrimenti, si libererebbe il debitore sottoposto a procedura concorsuale della obbligazione di interessi che non e’ a carico della procedura, ma nello stesso tempo il fideiussore dovrebbe rispondere della medesima obbligazione, con la conseguenza inevitabile di un ingiustificato trattamento di favore del solo debitore sottoposto alla procedura concorsuale, non previsto dalla legge ed anzi confliggente con il principio generale della responsabilita’ patrimoniale decretato dall’articolo 2740 c.c..
8.2.4.2 Ma cio’ che non puo’ essere dimenticata e’ la natura accessoria della fideiussione. Ed invero, l’articolo 1941 c.c., comma 1, cosi’ recita: “La fideiussione non puo’ eccedere cio’ che e’ dovuto dal debitore”. Norma quest’ultima che, se rettamente interpretata in relazione all’obbligo di pagamento degli interessi endoconcorsuali L.Fall., ex articolo 55, a carico del fideiussore, non puo’ non portare a far ritenere che il debitore, ancorche’ fallito, continui anch’egli ad essere obbligato al pagamento degli interessi la cui esigibilita’ e’ temporalmente sospesa; interessi, dunque, il cui pagamento – diversamente opinando – non potrebbe essere richiesto al fideiussore perche’ la richiesta sarebbe contraria proprio al disposto normativo di cui all’articolo 1941 c.c..
8.2.4.3 Ne’ convince la spiegazione fornita alla diversita’ di trattamento tra debitore principale e fideiussore in relazione al pagamento degli interessi endoconcorsuali fondata sulla disponibilita’ del patrimonio da parte di quest’ultimo e dunque sulla possibilita’ di adempiere alla prestazione di pagamento, possibilita’ invece non esistente per il fallito, che e’ assoggettato, invece, allo spossessamento di cui alla L.Fall., articolo 42.
In realta’, l’argomento non coglie nel segno, posto che il fallito potra’ adempiere al suo obbligo di pagamento solo dopo la chiusura ovvero la revoca della procedura concorsuale, e dunque proprio nel momento in cui, tornando in bonis, avra’ di nuovo la disponibilita’ dei suoi beni la cui liquidazione potra’ garantire l’adempimento del pagamento degli interessi continuati a maturare nel corso della procedura e divenuti esigibili solo nel momento della chiusura della procedura concorsuale.
8.2.5 Del resto, non vi e’ dubbio che la ratio sottesa alla regola della sospensione dell’esigibilita’ degli interessi decretata dalla L.Fall., articolo 55, vada rintracciata nell’esigenza di cristallizzazione del passivo, al fine di garantire, nel migliore dei modi, la par condicio creditorum, in modo tale, cioe’, da rendere accertabile l’entita’ complessiva dei debiti concorsuali, svincolati dall’insorgenza di ulteriori crediti accessori.
Cio’ non determina in alcun modo, secondo la lettera della norma dettata dalla L.Fall., articolo 55, alcun effetto estintivo dei diritti di credito accessori derivanti da interessi connessi ai crediti chirografari ammessi al passivo, ma solo un effetto di temporanea inesigibilita’ degli stessi sino alla chiusura della procedura, inesigibilita’ che, tuttavia, non comporta un effetto preclusivo alla maturazione degli interessi nel corso della procedura stessa.
8.2.5.1 Puo’ dunque affermarsi, in conclusione, che il principio della cristallizzazione ha chiaramente una “portata interna” alla procedura concorsuale, come si ricava dal tenore della norma in questione la cui lettera dispone la sospensione degli interessi agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, “cosi’ escludendo che debba allo stesso modo operarsi decidendo sui rapporti creditore-debitore al di fuori della procedura” (Cass. 12262/1997, in motivazione; cfr. anche Cass. 6953/2008, Cass. 6672/2005).
8.2.5.2 Ne consegue, ancora, che l’affermazione secondo cui la sospensione del corso degli interessi, agli effetti del concorso, equivalga ad una sorta di “inesigibilita’ temporalmente limitata al concorso” non significa, in realta’, ammettere che i crediti pecuniari idonei a produrre interessi cessino, con l’apertura della procedura, di generare interessi, e cio’ in ragione del fatto che il sopravvenire della procedura non rende infruttiferi i crediti pecuniari, bensi’ rende solo la pretesa agli interessi post-fallimentari inopponibile al patrimonio liquidato ed agli organi della procedura concorsuale.
Cosi’, il debito degli interessi matura nel corso della procedura in capo al debitore fallito, il quale con la chiusura del fallimento riacquista, insieme al libero esercizio dei propri diritti, anche l’eventuale patrimonio residuo, con la conseguenza che, come gia’ sopra affermato, i creditori potranno, pertanto, una volta chiuso il fallimento, azionare le loro pretese creditorie sul patrimonio del debitore fallito tornato in bonis.
8.2.6 Una conferma sistematica all’opzione interpretativa qui accolta si rintraccia – a differenza di quanto osservato dai controricorrenti – proprio nel disposto normativo di cui alla L.Fall., articolo 120, (oggi) comma 3.
Orbene, la norma da ultimo citata statuisce che – in tema di “effetti della chiusura” – “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”.
Sul punto, va precisato la L.Fall., articolo 120, comma 2 (attuale comma 3), (nella vecchia formulazione, qui applicabile ratione temporis) disponeva (in modo sostanzialmente invariato) che “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta per capitale e interessi”.
8.2.6.1 Secondo quanto sopra affermato e seguendo l’opinione invalsa nella dottrina maggioritaria, i creditori hanno, dunque, diritto di ottenere dal debitore tornato in bonis anche il pagamento di tutti gli interessi maturati durante la procedura, proprio perche’ la disposizione normativa di cui alla L.Fall., articolo 55, comma 1, ha effetto solo endofallimentare e riguarda i rapporti tra fallito e singoli creditori all’interno del concorso.
Deve, dunque, ritenersi che la norma sopra ricordata di cui alla L.Fall., articolo 120, rappresenti un corollario applicativo, in sede fallimentare, del piu’ generale principio della responsabilita’ patrimoniale di cui all’articolo 2740 c.c., principio applicabile – per quanto sopra ricordato – anche all’amministrazione straordinaria.
Sarebbe, infatti, contrario al principio di responsabilita’ patrimoniale ammettere che il debitore fallito tornato in bonis non risponda del pagamento degli interessi e che sia esentato per sempre dalla relativa obbligazione pecuniaria, a fronte, peraltro di un regime normativo in materia fallimentare che, da un lato, prevede, alla L.Fall., articolo 55, comma 1, solo l’effetto di sospendere “agli effetti del concorso” l’esigibilita’ degli interessi (ai fini della cristallizzazione della debitoria concorsuale) e, dall’altro, stabilisce espressamente, alla L.Fall., articolo 120, comma 3, la possibilita’ di richiedere al debitore tornato in bonis il pagamento di capitale ed interessi non soddisfatti.
8.2.6.2 Ne’ sarebbe accettabile la tesi secondo cui la norma dettata dal predetto L.Fall., articolo 120, comma 3, si riferisca solo “ai crediti per capitale e interessi” ammessi allo stato passivo e non soddisfatti, e non gia’ a tutti crediti per capitale e interessi e, dunque, anche a quelli – come nel caso in esame – per interessi non ammessi al passivo perche’ non esigibili nel corso della procedura.
In realta’, tale opzione interpretativa, oltre a non avere un sicuro riscontro normativo, collide con la ratio sottesa alla norma ora in esame, atteso che non si comprende per quale ragione dovrebbe verificarsi la sussistenza di un residuo credito relativo a soggetti insinuati al passivo per capitale ed interessi anteriori alla dichiarazione di fallimento e non soluti verso il fallito, che tuttavia sarebbe ancora dotato di un residuo attivo. Ed invero, la condizione da ultimo descritta impedisce, sino al pagamento dei crediti ammessi, la chiusura della procedura ovvero ne determina, a date condizioni, la riapertura quando si accerti l’esistenza di un residuo attivo.
8.2.6.3 Del resto, va aggiunto che proprio l’eccezione prevista dall’articolo 120, comma 3 (nuova formulazione), relativa alla possibilita’ di esdebitazione del fallito conferma la regola della maturazione degli interessi in corso di procedura, per i quali la medesima norma dispone expressis verbis il libero esercizio dei relativi diritti sostanziali e processuali, dopo la chiusura del fallimento.
8.2.7 Non risultano ostative all’accoglimento della tesi della maturazione degli interessi sui crediti chirografari nel corso della procedura neanche le argomentazioni legate, da un lato, alla non imputabilita’ al debitore fallito dei tempi della procedura concorsuale (tempi nel corso dei quali maturerebbero gli interessi) e, dall’altro, alla non esigibilita’ del debito principale produttivo di interessi.
8.2.7.1 Sotto il primo profilo, va osservato che la causa dell’apertura della procedura dell’insolvenza e’ pur sempre riconducibile al debitore e al suo comportamento inadempiente alle obbligazioni contratte (che determinano, tra l’altro, lo squilibrio patrimoniale e finanziario dell’impresa conducente all’accertamento dell’insolvenza), sicche’ non puo’ ritenersi che il maturarsi degli interessi, nel corso della procedura concorsuale, sia fatto non imputabile al debitore fallito.
Del resto, va aggiunto che il pericolo di ritardi nella chiusura della procedura fallimentare imputabili agli organi di quest’ultima (ed in particolare al curatore fallimentare) puo’ essere contenuto, sul piano patrimoniale, attraverso la possibilita’ di azioni di responsabilita’ esperibili nei confronti del curatore stesso.
Volendo, poi, spostare il discorso sulla tematica piu’ estesa degli istituti di carattere generale di matrice civilistica, va osservato come, in realta’, nell’ipotesi di mora credendi (articolo 1207 c.c., comma 1) si registri un caso codificato di non debenza degli interessi, fattispecie che tuttavia non si attaglia alla dichiarazione di fallimento che, per quanto si e’ ora chiarito, e’ invece riconducibile a condizioni e situazioni comunque imputabili alla sfera volitiva del debitore.
8.2.7.2 Sotto un secondo profilo di riflessione, va precisato che e’ proprio la L.Fall., articolo 55, comma 2, a statuire che i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, “agli effetti del concorso”, alla data di dichiarazione di fallimento, sicche’ i relativi crediti devono considerarsi esigibili all’interno del concorso e secondo le peculiari regole previste dalla legge fallimentare.
Quanto appena precisato toglie respiro anche all’altra obiezione sollevata dai controricorrenti, e cioe’ che, ai sensi dell’articolo 1282 c.c., comma 1, solo i “crediti liquidi ed esigibili” di somme di denaro producono interessi corrispettivi di pieno diritto, posto che, per un verso, i crediti nei confronti del fallito devono ritenersi esigibili, all’interno del concorso, gia’ al momento della dichiarazione di fallimento e che, per altro verso, i medesimi crediti producono, pertanto, interessi durante la procedura, con la sola peculiarita’ – per quanto sopra spiegato – che quest’ultimi potranno essere richiesti al termine della procedura concorsuale al fallito tornato in bonis, secondo quanto disposto dalla L.Fall., articolo 55, comma 1.
Occorre infatti distinguere il piano dell’esigibilita’ del credito, sul cui capitale maturano interessi secondo la regola dettata dalla norma da ultimo citata (esigibilita’ che, all’interno del concorso, e’ determinata proprio dalla dichiarazione di fallimento), dal piano della “sospensione temporanea” della esigibilita’ degli interessi che maturano nel corso della procedura sui crediti nei confronti del fallito che, come detto, con la dichiarazione di fallimento, diventano tutti esigibili, sempre secondo, pero’, le regole del concorso.
8.2.7.3 Ne’ risulta di ostacolo a questa ricostruzione l’obiezione secondo cui la mancata disponibilita’ del patrimonio da parte del fallito (che ne e’ stato spossessato, ai sensi della L.Fall., articolo 42) renderebbe inesigibili i crediti, generatori di interessi, nei confronti del fallito.
Sul punto, va precisato che, se e’ vero, per quanto sopra detto che, ai fini dell’apertura del concorso, la dichiarazione di fallimento determina ex se’ la esigibilita’ di tutti i crediti nei confronti del fallito, e’ altrettanto indiscutibile che la sopra descritta “temporanea sospensione” dell’esigibilita’ degli interessi maturati in corso di procedura viene meno proprio allorquando il fallito, tornando in bonis, riacquista la disponibilita’ del suo patrimonio residuo, e cio’ dopo che, fisiologicamente, tale disponibilita’ era stata trasferita in favore del curatore per consentire la liquidazione concorsuale dei beni.
8.2.8 Deve dunque affermarsi che, secondo la L.Fall., articolo 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e non si estenda anche ai rapporti singolari tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale, e cio’ secondo le consuete regole di cui all’articolo 1282 c.c. ovvero le convenzioni stabilite tra le parti.
8.3 Ma anche il secondo motivo (corrispondente al primo motivo proposto da (OMISSIS) S.p.A. in a.) e’ infondato. Infatti, il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) S.p.A. in a.s e il secondo proposto (OMISSIS) in liquidazione censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la legittimazione attiva di (OMISSIS) s.r.l. sulla scorta delle cessioni di credito.
8.3.1 In primo luogo, l’argomento fondante la tesi dell’invalidita’ dell’atto di cessione dei crediti per indeterminatezza dell’oggetto risulta, in parte sconfessato, da quanto gia’ sopra affermato in relazione al primo motivo, e cioe’ che, durante il corso della procedura concorsuale, gli interessi continuano a maturare nei rapporti tra fallito e singoli creditori, di talche’ anche l’oggetto della cessione, riguardante gli interessi cd. postfallimentari, deve ritenersi determinato e comunque determinabile.
8.3.2 In secundis, l’interpretazione dei predetti contratti di cessione e’ stata correttamente eseguita dalla corte distrettuale con valutazione in fatto che non e’ censurabile in cassazione, secondo la dedotta e sopra ricordata violazione di legge.
Sul punto, non e’ inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non puo’ limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche’ quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cosi’, ex plurimus, Cass. 28319/2017).
8.4 Il secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) S.p.A. in a.s ed il terzo proposto (OMISSIS) in liquidazione censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provati in causa i crediti azionati.
Essi sono invece inammissibili.
8.4.1 Sotto un primo profilo di riflessione, le censure non colgono la ratio decidendi della motivazione impugnata che – pur ritenendo tardiva la produzione documentale in appello e non opponibile a (OMISSIS) la documentazione riguardante i piani di riparto della procedura di amministrazione straordinaria – evidenzia come il fatto costitutivo del credito gia’ monitoriamente azionato fosse costituito dall’ammissione al passivo di due crediti chirografari, come tali idonei a far maturare gli interessi qui reclamati.
Orbene, tale circostanza e’ stata ritenuta non contestata (ovvero non adeguatamente) contestata dalla corte di appello, cosi’ come del resto non era stata specificatamente contestata l’entita’ complessiva degli interessi reclamati.
8.4.2 Sotto altro profilo, va evidenziato come la parte ricorrente non lamenti tanto la violazione delle regole in punto di presunzioni semplici, quanto piuttosto l’apprezzamento in fatto da parte della corte di merito della documentazione attestante il credito azionato in sede giudiziale.
Sul punto, non puo’ neanche essere dimenticato che in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasivita’ del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed e’, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
9. Va ora esaminato il ricorso principale.
9.1 Esso va accolto nei limiti qui di seguito precisati.
Il secondo e terzo motivo del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente.
Per quanto gia’ sopra ricordato, la Corte lagunare aveva ritenuto prescritto il diritto agli interessi corrispettivi post-fallimentari, in ragione del decorso del termine quinquennale ex articolo 2948 c.c., n. 4.
La corte ha fondato tale decisione, da un lato, sulla circostanza che l’invio della lettera raccomandata L.Fall., ex articolo 208, ovvero la formazione dello stato passivo da parte del commissario non aveva prodotto alcun effetto interruttivo del termine prescrizionale del credito per interessi post-fallimentari (posto che gli accessori non esigibili nei confronti della procedura avrebbero dovuto essere richiesti direttamente al debitore); e, dall’altro, perche’, stante il carattere relativo della perdita della capacita’ processuale del fallito nel periodo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura della procedura, ne sarebbe discesa la conseguenza che il creditore avrebbe potuto convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura fallimentare, da far valere subordinatamente al ritorno in bonis del convenuto.
La questione di fondo e prioritaria riguarda, in realta’, il profilo della sospensione nell’esigibilita’ dei crediti da interessi post-fallimentari L.Fall., ex articolo 55, comma 1 e la decorrenza della prescrizione, secondo quanto disposto dall’articolo 2935 c.c..
Il ricorrente principale sostiene, cioe’, che – in considerazione del fatto che, per un verso, il corso di tutti gli interessi sui crediti chirografari rimane sospeso durante la procedura fallimentare e, per altro verso, la domanda di ammissione allo stato passivo L.Fall., ex articolo 94, produce l’interruzione della prescrizione con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura la decorrenza del termine di prescrizione del diritto agli interessi cd. Post – fallimentari non potrebbe che farsi coincidere con la chiusura della procedura, sussistendo fino a tale momento un ostacolo legale all’esercizio del diritto – espressamente sancito dalla L.Fall., articolo 120 – che impedisce il corso della prescrizione.
9.1.1 Deve essere chiarito, in premessa, che la disciplina del codice civile sulla sospensione della prescrizione, prevista agli articoli 2941 ss. c.c. (che, peraltro, riveste carattere tassativo), non contiene principi dai quali e’ possibile dedurre la sospensione della prescrizione del credito degli interessi post-fallimentari per la durata della procedura di fallimento.
9.1.2 Occorre, inoltre, precisare che non e’ possibile affermare la predetta sospensione secondo il disposto di cui alla L.Fall., articolo 55, prevedendo tale disposizione solo l’esclusione della produzione e maturazione degli interessi agli effetti del concorso, mentre nessun principio puo’ essere dedotto in relazione alla prescrizione del credito degli interessi.
9.1.3 Sul punto, la ricorrente invoca il disposto normativo di cui alla L.Fall., articolo 120, per dedurne che, fino alla chiusura della procedura, sussiste un impedimento legale all’esercizio del diritto che non consetirebbe il decorso del termine prescrizionale: secondo questa prospettazione, il termine di prescrizione non potrebbe mai iniziare a maturare per il fatto che il diritto non puo’ essere esercitato (come prevede l’articolo 2935 c.c.).
9.1.3.1 Tale assunto non e’ condivisibile proprio perche’ non e’ esatto che il credito per interessi sia totalmente inesigibile durante il fallimento.
Sul punto deve essere chiarito che se e’ pur vero che il detto credito, per il disposto di cui alla L.Fall., articolo 55, e’ “fuori del concorso” e, dunque, non puo’ essere ammesso al passivo (e cosi’ realizzato sull’attivo fallimentare), e’ altrettanto vero che, fuori dal fallimento, esso e’ esistente ed esigibile, secondo la naturale maturazione degli interessi, tanto cio’ e’ vero che il creditore ben potra’, in costanza di fallimento, agire in giudizio nei confronti del fallito per l’accertamento di tale credito e la condanna al pagamento di esso: tale pronuncia sara’ destinata ad avere efficacia esecutiva in riferimento al momento in cui il fallito sara’ tornato in bonis, posto che il divieto di azioni esecutive e cautelari L.Fall., ex articolo 51 riguarda soltanto i beni compresi nel fallimento (Cass. 31843/2019; Cass. 2608/2014). 9.1.3.2 Cosi’, va detto che – prima della chiusura della procedura – non e’ da escludersi che la condanna pronunciata a carico del fallito possa costituire titolo per un’azione esecutiva su beni non acquisiti all’attivo fallimentare.
A cio’ va aggiunto che tra i beni non compresi nel fallimento, aggredibili con azioni esecutive e cautelari, in costanza di fallimento, vi possono essere, oltre ai beni di cui alla L.Fall., articoli 46 e 47, anche i beni pervenuti al fallito durante il fallimento e non acquisiti dal curatore L.Fall., ex articolo 42, comma 3, e i beni (gia’ esistenti nel patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento) non acquisiti all’attivo o rimessi nella disponibilita’ del debitore, per effetto di rinuncia alla liquidazione da parte del curatore L.Fall., ex articolo 104 ter, comma 7, sui quali, peraltro, quest’ultima disposizione (introdotta con il Decreto Legislativo n. 5 del 2006) espressamente consente che i creditori “in deroga a quanto previsto nell’articolo 51, possono iniziare azioni esecutive o cautelari”.
9.1.3.3 Ne consegue che non residuano dubbi sulla possibilita’ che i creditori, durante la procedura fallimentare, possano agire in executivis nei confronti del fallito, purche’ su beni non compresi nel fallimento, e, per far cio’, possano, dunque, procurarsi titoli esecutivi giudiziali, esercitando azioni condannatorie a carico del fallito.
9.1.3.4 Per quanto concerne, piu’ specificatamente, la costituzione in mora dell’impresa in amministrazione straordinaria, pur richiamando la Legge Prodi la L.Fall., articoli 195 ss. e, dunque, L.F. articolo 44, (a sua volta richiamato nella L.Fall., articolo 200), deve tuttavia osservarsi che, pacificamente, il creditore puo’ convenire in giudizio il fallito personalmente, per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito estraneo alla procedura, da far valere subordinatamente al ritorno in bonis del convenuto (cfr., tra le altre, Cass. 2608/2014, cit. supra).
9.1.3.5 Del resto, la perdita di legittimazione processuale in capo al fallito, per effetto della dichiarazione di fallimento, non e’ assoluta ma relativa, e non comprende, dal punto di vista oggettivo, i diritti e le azioni esclusi dal fallimento; e dal punto di vista soggettivo, i diritti e le azioni proposti da creditori che, in luogo di partecipare al concorso, abbiano scelto di soddisfarsi sull’eventuale patrimonio che residuera’ alla distribuzione dell’attivo (c.d. tutela post-fallimentare).
Cosi’, e’ stato ammesso che il creditore del fallito possa convenirlo in giudizio in proprio, chiedendo espressamente una condanna da intendersi eseguibile solo nell’ipotesi in cui questi dovesse ritornare in bonis (Cass. 5727/2004). Del pari, e’ stato affermato che il fallito possa essere convenuto in giudizio con una domanda fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si siano disinteressati, e diretta ad ottenere una condanna da far valere dopo la chiusura del fallimento (Cass. 3245/2003).
9.1.3.6 Ne consegue che – come correttamente osservato anche dalla Procura generale nella requisitoria scritta – “… se il creditore puo’ convenire in giudizio personalmente il fallito per chiedere nei suoi confronti la condanna al pagamento di un credito “estraneo” puo’, a piu’ forte ragione, costituirlo in mora per un debito “estraneo” alla procedura” (cosi’, quanto affermato da Cass. 11966/2018 deve, dunque, interpretarsi nel senso che non e’ possibile la costituzione in mora solo per un debito “interno” alla procedura).
Quanto si e’ fin qui detto vale, naturalmente, anche per l’impresa in amministrazione straordinaria, come sostenuto peraltro dalla dottrina.
9.1.3.7 Ma se cosi’ e’, allora non puo’ certo dubitarsi che – non sussistendo ipotesi tipizzate di sospensione della prescrizione degli interessi cd. postfallimentari e non potendosi neanche affermare l’assenza di un diritto di azione da parte dei creditori per un credito estraneo alla procedura (e tali sono gli interessi postfallimentari L.Fall., ex articolo 55) – decorra la prescrizione anche per tali crediti da interessi, prescrivendo, invero la L.Fall., articolo 55, comma 1, solo una “temporanea” e (per quanto sopra osservato) “limitata” loro non esigibilita’ nei confronti del fallito.
9.2 Cio’ posto e chiarito, occorre verificare la sussistenza o meno di efficaci atti interruttivi del decorso della prescrizione.
Va, dunque, esaminata la questione dell’applicabilita’ all’amministrazione straordinaria dell’effetto interruttivo permanente previsto dalla L.Fall., articolo 94.
9.2.1 Sul punto, va ricordato come la corte di merito avesse ritenuto necessario un atto di interruzione della prescrizione azionato direttamente nei confronti della societa’ debitrice in a.s. da parte dei creditori (e cio’ per lo meno “in sede extragiudiziale”), non riconoscendo, dunque, efficacia interruttiva alla domanda di ammissione al passivo.
Ebbene, occorre qui richiamare, in termini generali, la giurisprudenza pacifica espressa da questa Corte secondo cui la dichiarazione di fallimento non sospende ne’ interrompe il termine della prescrizione per l’esercizio delle azioni creditorie e che soltanto la presentazione delle istanze per la insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile all’atto con cui si inizia un giudizio, determina l’interruzione della prescrizione con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall’articolo 2945 c.c., comma 2 (cfr., anche, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11269 del 22/11/1990).
9.2.1 Sul punto, va tuttavia precisato, come premessa, che la domanda di ammissione al passivo presentata per il credito da capitale deve ritenersi avere efficacia interruttiva anche in relazione agli interessi che ne costituiscono un accessorio e, dunque, anche per gli interessi postfallimentari, maturati fuori concorso, posto che quest’ultimi non possono ritenersi avulsi dal credito cui ineriscono e che e’ oggetto di ammissione al passivo, continuando tali interessi a maturare, nel corso della procedura, e risultando la loro esigibilita’ solo temporalmente “sospesa”.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che l’interruzione della prescrizione per pendenza di lite sull’esistenza del credito si comunichi agli interessi relativi allo stesso, non potendosi agire per il conseguimento di essi fino a quando il credito cui si riferiscono non sia accertato mediante definizione del giudizio che lo contesta, con la conseguenza che il termine di prescrizione stabilito dall’articolo 2948 n. 4 c.c. e’ interrotto, fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, anche riguardo agli interessi (Sez. 3, Sentenza n. 61 del 07/01/1982; conf. 20/72; cfr. anche Cass. 14 giugno 1993 n. 11071).
9.2.2 Cio’ chiarito in termini generali, occorre, tuttavia, calare i principi sopra riaffermati alla fattispecie oggi in esame, che riguarda un’amministrazione straordinaria.
9.2.2.1 Ebbene, la L.Fall., articolo 94, non e’ richiamato dalla disciplina della liquidazione coatta e, dunque, dell’amministrazione straordinaria.
Va anche ricordato che l’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, come di amministrazione straordinaria, non determina alcun effetto sospensivo o interruttivo del decorso della prescrizione, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4209/2004) ed anche dalla dottrina.
Ebbene, la fattispecie concretamente sottoposta all’esame di questa Corte riguarda, dunque, l’ipotesi di debitore assoggettato ad amministrazione straordinaria: con riferimento alla versione disciplinare originaria dettata per questa procedura (Decreto Legge n. 30 del 1979, convertito in L. n. 95 del 1979; cfr. sopra, n. 1; com’e’ noto, il Decreto Legislativo n. 270 del 1999, articolo 53, comma 1, ha poi stabilito che “l’accertamento del passivo prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dalla L.Fall., articoli 93 ss.”).
Ora, l’articolo 1, comma 4, della citata legge prevede, per quanto non diversamente stabilito, l’applicazione degli articoli della legge fallimentare dedicati alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (articoli 195 e ss.).
Nel concreto, il riferimento, qui in interesse, va agli snodi determinati dalle norme degli articoli 207 e ss., secondo la versione all’epoca vigente (nelle sue linee di base, peraltro, non dissimile da quella che risulta nell’oggi vigente): comunicazione del commissario liquidatore ai singoli creditori delle “somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa” (articolo 207, comma 1); richiesta di “riconoscimento di propri crediti” da parte dei creditori che non hanno ricevuto la detta comunicazione, nonche’ eventuali “osservazioni (e) istanze” da parte dei creditori che la comunicazione hanno invece ricevuto (articolo 208; articolo 207, comma 3); formazione dello stato passivo da parte del commissario, con conseguente deposito in cancelleria e connessa esecutivita’ del medesimo (articolo 209, comma 1); eventuale proposizione delle opposizioni e impugnazioni, ai sensi della L.Fall., articoli 98 e 100, (versione vigente al tempo), “con ricorso al presidente del tribunale” (articolo 209, comma 2).
9.2.2.2 Ritiene il Collegio che la diversa (rispetto a quella propria dell’esecuzione fallimentare) conformazione della procedura di verifica del passivo delineata dalla L.Fall., articoli 207 e ss., non sia sostanzialmente di ostacolo a ravvisare l’applicazione, pure nell’ambito di quest’ultima, di quanto desumibile dalla norma della L.Fall., articolo 94. Non sia di ostacolo, piu’ precisamente, a ricollegare alla partecipazione del creditore alla relativa procedura l’effetto di “interruzione permanente” della prescrizione che risulta per l’appunto stabilito da questa disposizione.
Secondo i termini che si vengono ora a tratteggiare.
9.2.2.3 Ostativa al riguardo non e’ – va messo opportunamente in luce – la circostanza che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, la fase di verifica dei crediti di cui alla L.Fall., articoli 207 e 208 e L.Fall., articolo 209, comma 1, ha, diversamente da quanto avviene nel fallimento, natura amministrativa e non giurisdizionale (quest’ultima sussistendo solo nella fase eventuale delle opposizioni e impugnazioni).
In effetti, le pronunce di questa Corte, che si sono soffermate su questo profilo, non hanno mai toccato, ne’ sfiorato, lo specifico tema, qui in rilievo, dell’interruzione della prescrizione (Cass., SS.UU., 1 ottobre 2008, n. 25174 concerne la conformazione del termine di impugnazione; Cass., 13 settembre 2017, n. 21216 attiene alla procura conferita al difensore; Cass., 26 marzo 2015, n. 6060 riguarda il tema delle domande tardive; Cass., 15 febbraio 2016, n. 2917 si occupa del rapporto tra la domanda presentata in sede di insinuazione e quella in sede di opposizione).
Non mancano, d’altra parte (e, volendo, soprattutto), pronunce che hanno esplicitamente affermato l’applicazione della L.Fall., articolo 94, al contesto della procedura di verifica delineata nella L.Fall., articolo 207 e 208 e L.Fall., 209, comma 1.
Il riferimento in particolare va, con diretto riguardo alla procedura di amministrazione straordinaria, alle sentenze di Cass. n. 8515/1996 e di Cass. n. 9766/1997 (entrambe relative a fattispecie di creditori non fatti oggetto di comunicazione da parte del commissario e presentatori di istanze di insinuazione tardiva L.Fall., ex articolo 101, versione dell’epoca). Va, altresi’, con relazione immediata alla procedura di liquidazione coatta, alle sentenze di Cass. n. 17955/2003 e di Cass. n. 4209/2004 (anch’esse concernenti casi di creditori presentatori di istanze di insinuazione tardiva).
9.2.2.4 A supporto della soluzione adottata dalle pronunce or ora richiamate va rilevato che la proposizione di un’istanza, che possieda natura giudiziale (articolo 2945 c.c., comma 2), non puo’ essere considerata condizione esclusiva, indispensabile, per la produzione del c.d. effetto permanente della prescrizione.
Prevede, invero, la norma dell’articolo 2945 c.c., comma 4, “nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contenente la domanda di arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non e’ piu’ impugnabile”.
E’ importante notare, a questo proposito, che – come puntualmente osservato in dottrina – la detta efficacia permanente prescinde propriamente dall’eventuale passaggio in giudicato del lodo; e quindi prescinde in toto dal decreto del tribunale che eventualmente venga a “concedere”, su richiesta della parte interessata, l’esecutorieta’ del lodo medesimo (cfr. l’articolo 825 c.p.c.). Non puo’ essere pero’ dimenticato che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (Cass. Sez. Un., ord. n. 24153 del 25.10.2013), l’attivita’ degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994 n. 25 e dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario.
Tuttavia, non meno importante e’ osservare che la pronuncia di Cass., 5 dicembre 2001, n. 15410 ha ritenuto applicabile la disposizione dell’efficacia permanente di cui all’articolo 2945 c.c., comma 4, anche alle fattispecie di arbitrato irrituale (nel caso di specie, al procedimento di perizia contrattuale instaurato dall’assicurato con lettera raccomandata contenente la designazione del proprio tecnico, come accettata dall’assicuratore mediante indicazione del proprio perito).
9.2.2.5 Per altro verso va ancora notato che l’esperimento del “procedimento di mediazione”, previsto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, come condizione di attivazione di tutta una serie di processi civili, viene “dal momento della comunicazione alle altre parti” automaticamente a produrre “sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”.
In relazione a questa ipotesi – e ad altre, correnti specialmente in materia previdenziale e in materia di diritto del lavoro -, e’ stato significativamente osservato che il sistema vigente presenta piu’ casi in cui l’azione giudiziaria possa essere instaurata solo dopo l’effettuazione di un “procedimento extragiudiziario, non necessariamente contenzioso” e che, in tali evenienze, la tendenza e’ quella ad equiparare, in tema di efficacia permanente della prescrizione, alla domanda giudiziale l’istanza rivolta al soggetto competente a definire la fase extragiudiziaria.
Alla base di questa tendenza sta – come ha provveduto a chiarire la pronuncia di Cass., SS.UU., 16 novembre 1999, n. 783 (con immediato riferimento alla fattispecie disciplinata dalla norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 112) – il “principio secondo cui la necessita’ di esperire una procedura giudiziaria per realizzare il diritto non deve danneggiare il titolare”: tale esigenza e’ “viva” – si e’ proseguito – “anche quando la realizzazione del diritto soggettivo presupponga l’esperimento necessario di una procedura amministrativa, come avviene di frequente nelle obbligazioni pubbliche e viene soddisfatta o in funzione pretoria oppure… attraverso la legge”.
In applicazione sostanziale di questi principi, la recente pronuncia di questa Corte, 5 marzo 2019, n. 6343 ha stabilito che “in tema di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, la domanda di annullamento dell’atto proposta avanti al giudice amministrativo… esprime la volonta’ del danneggiato di reagire all’azione autoritativa illegittima e, quindi, interrompe per tutta la durata del processo amministrativo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, successivamente esercitata dinnanzi al giudice ordinario”.
9.2.2.6 A positivo conforto della soluzione adottata dalle sopra citate pronunce di questa Corte (ultimo capoverso, § 9.2.2.3) – e che qui viene condivisa – milita, d’altro canto, pure un evidente rilievo di ordine sistematico. In effetti, nel sistema vigente la regolamentazione propria della procedura fallimentare si pone, tra le altre cose, (pure) come fulcro informatore della disciplina delle altre procedure di origine e tratto (piu’ o meno marcatamente) amministrativo.
Milita altresi’, e piu’ in particolare, la constatazione che la norma della L.Fall., articolo 209, comma 2, richiama – per le opposizioni e impugnazioni dei crediti non ammessi nello stato passivo dell’amministrazione straordinaria – la normativa della L.Fall., articoli 98 e seg., che e’ scritta per la procedura fallimentare (secondo quanto gia’ accennato sopra, nel § 9.2.2.1). Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, invero, il giudizio di opposizione, pur non potendosi identificare nella struttura dell’appello, possiede comunque una natura propriamente impugnatoria (cfr., per tutte, Cass., n. 31 luglio 2017, 19003).
Ora, quest’uniformita’ dei procedimenti di impugnazione pare, tra l’altro, dare per presupposto una parificazione, almeno sostanziale, degli esiti delle rispettive fasi di accertamento dei crediti e degli effetti dalle stesse prodotti. Ne’ si vede, anche in via correlata, la ragione che – sotto il profilo della partecipazione al concorso – possa giustificare un trattamento differenziato tra creditori comunque ammessi allo stato passivo e creditori che, in quanto esclusi, hanno dovuto proporre opposizione.
9.2.2.7 Ferma questa somma di rilievi, si tratta adesso di individuare l’estensione in cui risulta predicabile, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria (secondo la sua versione originaria, tuttora sostanzialmente in essere per la procedura di liquidazione coatta), l’effetto di interruzione permanente della prescrizione di cui alla disposizione della L.Fall., articolo 94.
La questione si pone, naturalmente, per i creditori la cui partecipazione al concorso segua in via immediata alla comunicazione del commissario L.Fall., ex articolo 207, comma 1, non essendo invero dubitabile – sulla base delle considerazioni sopra effettuate – che la disciplina di cui alla L.Fall., articolo 94, si applichi senz’altro alle posizioni comunque legate all’espressa manifestazione di una richiesta da parte del singolo creditore (e riconducibili, dunque, alle situazioni considerate nelle norme della L.Fall., articolo 209, comma 2, L.Fall., articolo 208 e L.Fall., articolo 207, comma 3).
9.2.2.8 Il Collegio ritiene che la regola dell’interruzione permanente della prescrizione, di cui alla L.Fall., articolo 94, venga a trovare applicazione anche nei confronti delle posizioni creditorie appena emarginate.
E’ da osservare, in proposito, che la mancata formalizzazione di una domanda da parte delle posizioni creditorie in esame viene nella sostanza a dipendere dalla peculiare struttura organizzativa che connota la relativa procedura. Al principio dell’impulso della domanda, che governa l’esecuzione fallimentare (cfr. le norme della L.Fall., articolo 93 e L.Fall., articolo 118, comma 1, n. 1), si sostituisce la regola dell’impulso d’ufficio” che tipicamente connota la procedura di liquidazione coatta, quale calco base della versione originaria di quella di amministrazione straordinaria (cfr. Cass. S.U., 26 marzo 2015, n. 6060).
In un simile contesto di riferimento specifico, la formale presentazione di una domanda da parte del creditore si manifesta – prima ancora che non necessaria – non utile e, a ben guardare, neppure opportuna. Nella valutazione del legislatore, invero, risulta normale (nel senso dell’id quod plerumque accidit) che le risultanze documentali dell’impresa in liquidazione – sulla base delle quali il commissario forma le comunicazioni da inviare ai vari interessati (cfr. l’ultima parte del primo periodo dell’articolo 207, comma 1) – corrispondano ai termini oggettivi delle pretese creditorie (non a caso la citata pronuncia delle Sezioni Unite considera semplici “temperamenti” dell’officiosita’ della procedura di verifica le “facolta’” di “intervento” del creditore previste dalla L.Fall., articolo 207, comma 3, e L.Fall., articolo 208).
9.2.2.9 E’ da aggiungere che la soluzione qui adottata risulta altresi’ imposta dal principio di ragionevolezza ovvero (e altrimenti detto) da quello della parita’ di trattamento.
Non e’ infatti oggettivamente pensabile che il creditore – che non ha nulla da obiettare alle risultanze documentali espresse dall’impresa in liquidazione sia posto in una posizione deteriore (ovvero sia discriminato) rispetto a quella del creditore che tale non viene considerato (anche solo per misura o grado) dalla medesima documentazione. Neppure e’ pensabile che i creditori ammessi de plano siano posti in posizione diversa e peggiore rispetto a quella di coloro che, per far valere il loro titolo, abbiano dovuto svolgere delle specifiche contestazioni (su quest’ordine di rilievi v. gia’ sopra, l’ultimo periodo del § 9.2.2.6).
9.2.2.10 Resta ancora da puntualizzare che – per i creditori di cui si sta discorrendo – l’effetto interruttivo della prescrizione viene a prodursi (solo) al tempo in cui diventa esecutivo l’elenco dei creditori ammessi ai sensi della L.Fall., articolo 209, comma 1.
Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, e’ soltanto con il deposito in cancelleria che il detto elenco “non puo’ piu’ essere variato, ne’ revocato” (cfr., in specie, Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380). Occorre pertanto una rilettura da parte della Corte di appello della vicenda processuale alla luce dei principi qui affermati, in relazione al secondo e terzo motivo del ricorso principale, che vanno accolti nei limiti di cui in motivazione.
10. Il quarto motivo e’ assorbito.
11. Il quinto motivo e’ invece inammissibile in quanto la societa’ ricorrente non ha interesse ad impugnare la statuizione della corte lagunare in relazione alla dichiarata tardivita’ della produzione documentale in appello, posto che, sotto un primo preliminare profilo, tale statuizione non costituisce un capo autonomo della sentenza e, sotto altro profilo di osservazione, occorre ricordare che, sul punto, la odierna parte ricorrente e’ risultata vincitrice in ordine al proposto appello incidentale con la conseguenza che la medesima parte non e’ legittimata ad impugnare la detta statuizione.
A cio’ va aggiunto che il motivo difetta di autosufficienza, requisito per il quale il deducente ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisivita’, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (cosi’, Cass. 13625/2019).
Cio’ non e’ avvenuto da parte dell’odierno ricorrente.
Occorre pertanto affermare i seguenti principi di diritto:
“Secondo la L.Fall., articolo 55, comma 1, la sospensione del decorso degli interessi vale solo all’interno del concorso e non si estende anche ai singoli rapporti correnti tra ciascun creditore ed il fallito. Gli interessi, pertanto, continuano a maturare al di fuori del concorso e dunque nei rapporti tra il singolo creditore e debitore sottoposto a procedura concorsuale”.
“La prescrizione degli interessi sui crediti chirografari ai sensi della L.Fall., articolo 55, comma 1, matura anche nel corso della procedura concorsuale”.
“La prescrizione dei crediti da interessi maturati sui crediti chirografari, ai sensi della L.Fall., articolo 55, comma 1, viene interrotta, nella procedura fallimentare, dalla domanda di insinuazione al passivo con effetto permanente per tutto il corso della procedura. Nella diversa ipotesi di amministrazione straordinaria, sottoposta alla disciplina originaria di cui alla L. n. 95 del 1979, come avviene anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, l’esecutivita’ dello stato passivo depositato dal commissario ai sensi della L.Fall., articolo 209, comporta interruzione della prescrizione con effetto permanente, per tutto il corso della relativa procedura concorsuale, anche per i creditori ammessi a diretto seguito della comunicazione inviata dal commissario ai sensi della L.Fall., articolo 207, comma 1”.
In conclusione, va accolto, nei limiti e nei termini che sono stati indicati, il ricorso principale. Vanno respinti i ricorsi incidentali.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, decidera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, nei termini di cui in motivazione.
Respinge i ricorsi incidentali. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvedera’ anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimita’.
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a noma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.