il diritto di sciopero, che l’art. 40 Cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e den’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico-generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità o della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati
Corte d’Appello|Milano|Sezione L|Civile|Sentenza|23 marzo 2020| n. 96
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’ Appello di Milano, sezione lavoro, composta da:
Dott. Monica Vitali – presidente relatore
Dott. Benedetta Pattumelli – consigliere
Dott. Laura Bertoli – consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 158/19 est. Crispino discussa all’udienza collegiale del 23 gennaio 2020 e promossa
DA
EL.S.p.A., in persona del procuratore speciale dr. Ru., rappresentata e difesa dagli avv. Gi. e Ma., elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Milano, via (…)
APPELLANTE
CONTRO
BA.DE. ed altri
tutti rappresentati e difesi dagli avv. Al. e Fl., elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda, in Milano, viale (…)
APPELLATI
Fatto e diritto
Con ricorso depositato in data 19 settembre 2019 El. S.p.A. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 158/19 che l’ha condannata alla revoca della sanzione disciplinare dell’ammonizione scritta irrogata agli odierni appellati, suoi dipendenti presso lo stabilimento di Solaro.
Premesso che i lavoratori erano stati assenti nella giornata dell’8 marzo 2017, senza che, nell’ambito dello stabilimento di Solaro, né la R.S.U. né il sindacato esterno o le segreterie territoriali o nazionali delle organizzazioni sindacali presenti in azienda avessero dichiarato di aderire allo sciopero, essendo stata inviata alla sola Assolombarda una comunicazione generica di adesione allo sciopero generale da parte del sindacato USB; che, in precedenti occasioni, lo sciopero programmato era stato comunicato con affissione nelle bacheche aziendali o telefonicamente o con un volantino all’ufficio del personale ovvero ancora a mezzo comunicazione di posta elettronica, mentre in caso di sciopero improvviso un componente della R.S.U. aveva sempre contattato l’ufficio del personale o un responsabile aziendale; che nell’occasione dello sciopero dell’8 marzo 2017 alcuna delle situazioni elencate si era
verificata; che i ventotto lavoratori che si erano assentati non avevano manifestato alla società, prima deh’inizio del turno, la loro assenza e le ragioni della stessa; che a tutti era stata applicata la sanzione dell’ammonizione scritta, sia a coloro che erano stati ascoltati con l’assistenza della (…) sia a coloro che si erano avvalsi dell’assistenza della (…), della (…) e dell'(…) come pure a coloro che si erano difesi in sede disciplinare senza l’assistenza di alcun sindacato; che per gli appellati (…) il provvedimento sanzionatorio era stato inviato oltre il termine previsto dalla contrattazione collettiva; con il primo articolato motivo di gravame la società lamenta la contraddittorietà ed erroneità della decisione del tribunale nella parte in cui ha ritenuto illegittime le sanzioni applicate per l’asserita insussistenza del fatto, sul presupposto che le assenze dei dipendenti sarebbero state giustificate a posteriori con l’asserita adesione allo sciopero, mai proclamato presso lo stabilimento di Solaro.
In proposito, secondo l’ottica dell’impugnazione, il tribunale in modo contraddittorio avrebbe, prima, dato atto che non vi era stata alcuna preventiva comunicazione al datore di lavoro dello sciopero, e, poi, sostenuto che alcuna sanzione avrebbe dovuto essere applicata: al contrario, secondo la tesi esposta nel gravame, era stata allegata sin dal giudizio di primo grado la sussistenza di una specifica prassi conosciuta dai lavoratori, nell’ambito dei doveri di buona fede e correttezza, che sarebbe dovuta valere, a maggior ragione, nel caso di specie, in cui non vi era stata alcuna proclamazione sindacale dello sciopero, risultando il generico comunicato inviato dal (…) ad una serie di associazioni, federazioni e confederazioni del tutto irrilevante a tali fini.
Sotto altro e diverso profilo, la società sostiene che, in ogni caso, l’asserita adesione ad uno sciopero, addotta in sede di giustificazioni nel procedimento disciplinare conseguente ad una assenza ingiustificata, non potrebbe assumere valore esimente, dal momento che finirebbe per difettare la prova dell’effettiva adesione e partecipazione allo sciopero, in quanto non proclamato da parte dei lavoratori.
Sul punto, nel gravame si sottolinea come, negli altri stabilimenti dell’azienda, diversamente da quello di Solaro, la comunicazione di adesione allo sciopero era stata effettuata e nessun lavoratore sanzionato.
In secondo luogo, l’appellante ripropone tutte le ulteriori questioni, eccezioni e difese svolte nel giudizio di primo grado – ed assorbite dalla decisione impugnata-richiamando l’assenza di discriminatorietà per ragioni sindacali dei provvedimenti disciplinari adottati e contestando, quanto alla posizione della lavoratrice Ba., il superamento del termine finale per la irrogazione della sanzione fissato dalla contrattazione collettiva di settore – vizio esposto nel ricorso di primo grado ma considerato assorbito dal giudice.
I lavoratori appellati hanno resistito, eccependo l’inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 434 c.p.c. e concludendo, nel merito, per il rigetto dello stesso, con condanna della società al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.
All’udienza del 23 gennaio 2020, la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo di cui è stata data lettura.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per genericità, che, alla luce del testo novellato dell’art. 434 c.p.c., è palesemente infondata.
Come è noto, la disposizione in esame richiede – nell’interpretazione fornitane sin dall’inizio dalla giurisprudenza di legittimità (cfr.: Cass. 5 febbraio 2015 n.2143) – che nel gravame siano agevoli da individuale, “sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum (…) con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono” così da formulare argomentazioni che propongano uno sviluppo logico giuridico alternativo a quello accolto dal primo giudice tale da determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte, contrapponendo ad essi i propri (cfr. esattamente sul punto: Cass. 5 febbraio 2015 nr. 2143 cit.), pur senza necessità di forme particolari.
Tale opzione interpretativa è stata poi confermata (cfr.: Cass. S.U. 16 novembre 2017 n.27199), laddove è stato statuito che la riforma del 2012 non ha trasformato l’appello in un mezzo di impugnazione a critica vincolata così che, pur dovendo contenere l’impugnazione una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e delle relative doglianze ” affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”, resta tuttavia escluso che “l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.
Il ricorso, pur se ammissibile, è, comunque, infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur formatosi su fattispecie leggermente diverse da quella in questione (cfr.: Cass. 17 dicembre 2004 n. 23552; Cass. 8 agosto 1987 n. 6831; Cass. 20 luglio 1984 n. 4260, le ultime due già richiamate dal primo giudice) “il diritto di sciopero, che l’art. 40 Cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e den’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi – anche di natura non salariale ed anche di carattere politico-generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro – e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell’incolumità o della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l’apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell’importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d’interventi dei sindacati”.
Tale orientamento è stato già fatto proprio da questa corte (cfr.: Corte Appello Milano 30 marzo 2016 n. 447/16), sia pure, anche questa volta, in una fattispecie in parte diversa, con una motivazione che questo collegio condivide ed a cui intende dare continuità: “non sussiste, nemmeno sulla base dei principi di correttezza e buona fede, un obbligo dei lavoratori di giustificare le assenze dal lavoro determinate dalla partecipazione ad uno sciopero; un obbligo di comunicazione, invero, sussiste solo quando l’assenza è determinata da altre ragioni, quali la malattia”.
Applicando tali principi, correttamente il tribunale ha accolto la domanda degli odierni appellati: è infatti pacifico che, per la giornata dell’8 marzo 2017, fosse stato proclamato uno sciopero generale ultranazionale, la cui adesione da parte dei lavoratori, quanto agli stabilimenti di Forlì e Susegana dell’appellante, fu anche comunicata alla società dalle relative rappresentanze sindacali unitarie.
Ciò, alla stregua dei principi appena richiamati, fa sì che il comportamento di astensione dal lavoro dei lavoratori il giorno di cui si discute fosse legittimo e, perciò, non potesse essere sanzionato disciplinarmente. Per quanto detto, non era infatti obbligatoria l’ adesione espressa alla sciopero anche per lo stabilimento di Solaro, né potevano avere valore le regole di buona fede e correttezza ovvero una pretesa prassi tale da incidere sul diritto all’ astensione, imponendo la giustificazione dell’ assenza per ragione di partecipazione a sciopero di ben 28 lavoratori.
Una comunicazione, invece, sarebbe stata necessaria solo se i lavoratori, magari singolarmente, intendessero imputare l’assenza a diversa ragione.
Ogni altra questione è assorbita.
Le spese del grado seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo nella misura di Euro 8.580, oltre spese generali e oneri accessori di legge, in relazione al valore della controversia ed al numero delle parti, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari, mentre non sussistono i presupposti per la richiesta applicazione dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, infine, i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi della L. 228/12.
P.Q.M.
Respinge l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 158/19;
condanna l’appellante alla rifusione delle spese del grado liquidate in ? 8.580, oltre spese generali e oneri accessori di legge, da distrarre in favore dei difensori antistatari.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi della L. 228/12 a carico dell’appellante soccombente.
Così deciso in Milano, il 23 gennaio 2020.
Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2020.