In tema di contratto di appalto le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed adempimento, non sono tra loro incompatibili e possono essere quindi proposte subordinatamente in un unico giudizio.
Tribunale|Taranto|Sezione 2|Civile|Sentenza|3 aprile 2020| n. 731
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO
SEZIONE SECONDA CIVILE
Il Tribunale di Taranto, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Presidente Dott.ssa Stefania D’Errico, ha emesso la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile di primo grado iscritto al n. 6598/2016 R.G. Affari Civili Contenziosi, avente ad oggetto: “Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l’azione ex art. 1669 c.c.)”, riservato per la decisione all’udienza del 05.12.2019;
TRA
(…), in qualità di titolare della ditta individuale “(…)”, rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Pi.Co. e Da.Co., come da mandato conferito a margine dell’atto di citazione notificato in data 12.09.2016 ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi, ubicato in Gioia del Colle (BA) alla Via (…);
– ATTRICE –
E
(…), difeso e rappresentato dall’avv. Ca.Ca., come da mandato conferito in calce alla comparsa di costituzione e risposta del 21.12.2016, e elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa sito in Palagiano (TA) alla via (…);
– CONVENUTO –
Nonché
(…), in qualità di titolare della omonima impresa edile, con sede in P. (T.), alla Via (…);
– CONVENUTO CONTUMACE –
MOTIVI DELLA DECISIONE – FATTO E DIRITTO
LO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E LE RAGIONI DELLE PARTI.
Con atto di citazione notificato il 12.09.2016 la Sig.ra (…), deducendo, in qualità di locatrice dell’immobile di proprietà della sig.ra (…), sito in agro di P. alla c.da L. D’E., riportato in catasto al fg. (…), p.lla (…), sub (…)-(…)-(…)-(…)-(…)-(…) (ora sub (…)), adibito all’attività di “Bed & Breakfast” denominata “(…)”, in virtù dei contratti di locazione stipulati in data 20.10.2011 e 01.07.2013, nonché di committente, l’esecuzione non a regola d’arte, addebitabile solidarmente all’appaltatore sig. (…) e al progettista e direttore dei lavori arch. (…), dei lavori di impermeabilizzazione del lastrico solare eseguiti dalla impresa Q. nel 2013, che avevano reso l’immobile, a causa delle infiltrazioni successivamente verificatesi, del tutto inadatto alla sua destinazione, con limitazione del godimento dello stesso, ha chiesto all’adito Tribunale di Taranto di accogliere le seguenti domande:
“1) accertare e dichiarare, per le ragioni che precedono la responsabilità concorrente dei convenuti ai sensi dell’art. 1669 c.c., nonché ai sensi degli artt. 1667 e 1668 c.c., in relazione alle infiltrazioni verificatesi nell’immobile e per l’effetto dichiarare risolto per inadempimento il contratto di appalto ed il mandato conferito all’Arch. (…) e condannare i convenuti in solido a restituire infavore dell’attrice il corrispettivo di Euro 16.280,00 già corrisposto a (…) ed il corrispettivo pari ad Euro 5.033,60 già corrisposto all’Arch. (…);
2) condannare in ogni caso, per le ragioni che precedono, i convenuti in solido tra loro al risarcimento dei danni subiti dall’attrice consistenti nelle opere necessarie a ripristinare il solaio di copertura e nelle somme spettanti per il mancato godimento dell’immobile nella misura in cui risulterà provato in corso di causa o valutato in via equitativa dal Giudice,
3) condannare i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle spese e competenze legali”.
Con comparsa di costituzione e risposta del 21.12.2016 si è costituito in giudizio l’Arch. P.C., il quale ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva della attrice, nonché in subordine la decadenza e prescrizione dell’azione ai sensi dell’art. 1667 c.c., per essersi i lavori conclusi il 10.06.2013, mentre le denunciate problematiche infiltrative si sarebbero manifestate nel gennaio del 2014.
Nel merito, in relazione alla domanda di risoluzione del contratto, il convenuto rileva che i presunti vizi lamentati dalla sig.ra I., risalenti al periodo precedente i lavori, non erano tali da rendere l’immobile inadatto alla sua destinazione, trattandosi di macchie di condensa, come accertato dal CTU nel procedimento di accertamento tecnico preventivo.
In ogni caso, l’attrice non aveva fornito prova della colpa del direttore lavori e dell’appaltatore.
Quanto all’azione ex art. 1669 c.c., l’Arch. (…) ha eccepito l’inapplicabilità della norma e la prescrizione della azione, in quanto la CTU espletata nel procedimento di ATP aveva riscontrato macchie di umidità presenti sul solaio dovute a condensa, preesistenti ai lavori eseguiti nella primavera del 2013; non trattandosi di vizi relativi a strutture portanti dell’edificio, le macchie di condensa non potrebbero, inoltre, considerarsi gravi difetti ai sensi della citata norma, in subordine eccepisce la prescrizione dell’azione.
In punto di responsabilità dell’Arch. (…), nonché in relazione ai presunti danni e alle eventuali cause, chiede il rigetto della domanda, in quanto infondata in fatto e in diritto.
Il convenuto sig. (…), benché ritualmente citato, non ha inteso costituirsi nel presente giudizio, rimanendo contumace.
Nel corso del presente giudizio è stata disposta, su ricorso per accertamento tecnico preventivo proposto dalla attrice in data 17.01.2017, ulteriore CTU, il cui esito costituisce oggetto della relazione di consulenza a firma del Geom. Antonio DI (…) del 29.05.2017.
A seguito di ordinanza emessa dal precedente istruttore in data 09.05.2018, la causa è stata rimessa all’udienza del 29.11.2018 per la precisazione delle conclusioni limitatamente alle questioni ed eccezioni preliminari sollevate dalle parti.
Con sentenza non definitiva n. 1031/2019 del 16/04/2019, il Tribunale ha rigettato le eccezioni preliminari proposte dal convenuto (…) e, con separata ordinanza in pari data, ha disposto la rimessione della causa sul ruolo per il prosieguo, con riserva di provvedere unitamente al definitivo in merito al regolamento delle spese.
Successivamente, con ordinanza del 10.06.2019, sono state ammesse le prove orali e calendarizzate le ulteriori attività processuali.
La causa è stata, infine, trattenuta per la decisione all’udienza del 05.12.2019, con concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di note conclusionali e eventuali repliche.
I FATTI DI CAUSA-LA PRONUNCIA PARZIALE
Nel vagliare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo alla odierna attrice, rigettata con la richiamata pronuncia parziale, cui si fa integrale rinvio, si è già avuto modo di osservare che la sig.ra I. agisce nel presente giudizio in qualità di parte committente del contratto di appalto intercorso con la ditta Q. (concluso in forma orale, sulla scorta dell’approvazione del preventivo informale della predetta impresa in data 16.04.2013, prodotto all’allegato 3 del fascicolo di parte attrice) e del correlativo conferimento dell’incarico di progettista e direttore dei lavori in favore dell’arch. (…).
Il conferimento del duplice incarico al professionista convenuto non è, invero, in alcun modo contestato e risulta, inoltre, comprovato dalla segnalazione certificata di inizio attività edilizia, con allegata relazione tecnica descrittiva e dichiarazione di accettazione anche dell’incarico di direzione dei lavori a firma del progettista Arch. (…), prodotta dall’attrice (v. allegato n. 4 del fascicolo di parte), documentazione in alcun modo disconosciuta da parte convenuta.
In punto di qualificazione della domanda, l’attrice chiede
in via principale che sia accertata la responsabilità concorrente dei convenuti ai sensi dell’art. 1669 c.c., nonché degli artt. 1667 e 1668 c.c., e per l’effetto dichiarata la risoluzione del contratto di appalto nonché del connesso contratto d’opera professionale per la progettazione e la direzione dei lavori affidato all’arch. (…), con restituzione del corrispettivo versato a tale titolo,
nonché in subordine: “Condannare, in ogni caso, per le ragioni che precedono, i convenuti in solido tra loro al pagamento di Euro 13.900,00 oltre IVA quale corrispettivo delle opere necessarie ad eliminare i vizi e ripristinare il solaio di copertura ed al risarcimento dei danni nella misura di Euro 8.200,00 oltre IVA per i danni causati all’immobile oltre alle somme spettanti per il mancato godimento dell’immobile nella misura in cui risulterà provato in corso di causa o valutato in via equitativa dal Giudice” (in tal senso le conclusioni ritualmente precisate dall’attrice al n. 2 della memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. depositata in data 15.09.2017, all’esito del deposito della consulenza tecnica preventiva a firma del geom. DI (…)).
Sul punto nella sentenza non definitiva n. 1031/19 si è osservato:
“La norma in oggetto (art. 1668 c.c.) detta invero una disciplina speciale in materia di risoluzione del contratto di appalto, prevedendo che “Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore. Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”, senza tuttavia escludere, a mente del più recente orientamento giurisprudenziale, l’applicabilità delle norme generali in materia di risoluzione del contratto (cfr. Cass. 31.10.2018, n. 27994).
Sull’ammissibilità della proposizione congiunta delle due azioni (adempimento contrattuale e risoluzione per inadempimento), è stato peraltro autorevolmente rilevato come, diversamente da quanto disposto dall’art. 1492 c.c. in materia di compravendita, per il contratto di appalto in caso di difformità o vizi, il primo comma del citato art. 1668 c.c. prevede la possibilità di ottenere la eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo e, solo nel caso di difformità o vizi tali da rendere l’opera “del tutto inadatta alla sua destinazione”, legittima, al secondo comma. l’azione di risoluzione.
La risoluzione del contratto di appalto implica, pertanto, un inadempimento più grave rispetto a quello fissato dalla normativa generale di cui all’art. 1455 c.c., ove per risolvere il contratto è sufficiente che l’inadempimento sia di non scarsa importanza, così pure dalla normativa speciale dettata dall’art. 1492 c.c. per la compravendita, ove per risolvere il contratto basta la presenza di vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore.
Il secondo elemento differenziale rispetto alla disciplina dei vizi nel contratto di compravendita è da individuarsi dall’assenza, in tema di appalto, di un espresso divieto, quale quello imposto dall’art. 1492, comma 2, c.c. relativamente alla vendita, di irrevocabilità della domanda giudiziale.
Alla luce di tali peculiarità, dottrina e giurisprudenza hanno condivisibilmente affermato la non reciproca incompatibilità tra le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed adempimento, in tema di contratto di appalto e la conseguente possibilità di proporle subordinatamente in un unico giudizio (cfr. Cass., Sez. II, sentenza 9 febbraio 1995, n. 1457; Cass. 12.07.200, n. 9239; Cass. 27.04.1993, n. 4921).
Data la qualificazione della domanda in termini di azione di risoluzione contrattuale ovvero di adempimento in forma specifica del contratto di appalto, il richiamo attoreo all’art. 1669 c.c. è da ritenersi -invece- inappropriato, sia per ragioni processuali, in quanto le domande non sono cumulabili attesa la natura extracontrattuale pacificamente riconosciuta a tale ultima azione (in merito si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza del 3 febbraio 2014, n. 2284) sia per ragioni di natura sostanziale, atteso che i vizi lamentati (danni da infiltrazioni) non si ritengono integrare, anche sulla scorta dell’accertamento tecnico espletato in corso di causa, difetti di costruzione dell’immobile”.
Sulla scorta della qualificazione della domanda quale azione di adempimento contrattuale ex art. 1668, primo comma, c.c., che si intende in questa sede senz’altro confermare, le eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione sono state rigettate con la pronuncia parziale, per i motivi ivi compiutamente esplicitati, cui si fa integrale rinvio e per quanto nel prosieguo si andrà a ulteriormente argomentare.
IL MERITO DELLA CONTROVERSIA- L’ESITO DELLA CTU: LA PROVA DELLA RICORRENZA DEL DANNO E DELLA SUA RICONDUCIBILITÀ AL DIFETTO DELL’OPERA.
Venendo quindi ad esaminare il merito della controversia, va preliminarmente osservato che la domanda trasversale di manleva proposta dal convenuto (…) è inammissibile, in quanto tardiva.
Secondo la giurisprudenza prevalente, invero, “la domanda formulata da un convenuto nei confronti di un altro va qualificata come domanda riconvenzionale” (in tal senso v. Cass., 22 marzo 2013, n. 7258), sicché si applicano le forme previste per questa (cfr. Cass., 26 ottobre 2017, n. 25415) conseguendone che avrebbe dovuto essere proposta con la comparsa di costituzione e risposta ex artt. 166-167 c.p.c., ciò che pacificamente non è avvenuto nel caso in questione, in quanto la domanda risulta essere stata formulata soltanto all’atto del deposito della prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c.
Quanto all’oggetto principale del decidere, non si ritiene che ricorrano i presupposti per l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto ex art. 1668, secondo comma, c.c.
La norma limita, invero, il grave inadempimento all’ipotesi in cui l’opera sia completamente inidonea all’uso a cui era destinata, in quanto solo in tal caso è possibile pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento, mentre in tutte le altre ipotesi l’inadempimento è emendabile facendo eliminare i vizi all’appaltatore oppure chiedendo la riduzione del corrispettivo.
Il committente può pertanto chiedere la risoluzione del contratto soltanto qualora le difformità o i vizi siano tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione e dunque non utilizzabile (si vedano, ex multis: Cass. Civ. Sez. VI, sent. n. 16611/17 Cass. Civ. Sez. II, sent. N. 19868/2009, Cass. Civ,. Sez. II, sent. n. 3752/07, Cass. n. 5250/2004).
Fatto rinvio a quanto osservato nella motivazione della pronuncia parziale in merito alla natura di tale azione e al rapporto con l’azione generale di inadempimento contrattuale, deve qui aggiungersi che la differenza tra tale azione e i principi generali previsti in tema di inadempimento del contratto consiste proprio nella caratteristica residuale che essa assume nel contratto de quo, dal momento che nel caso in cui i difetti siano sanabili il committente deve in ogni caso fare ricorso alle azioni alternative di eliminazione dei vizi e riduzione del prezzo, in un’ottica di conservazione del contratto.
Nella individuazione dei presupposti dell’azione di risoluzione del contratto di appalto per l’ipotesi di vizi o difformità dell’opera, l’interpretazione giurisprudenziale appare invero alquanto restrittiva.
Si è così affermato che la gravità dell’inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell’altra parte all’esatta e tempestiva prestazione, fermo restando che l’onere di allegare le circostanze che giustificano la totale inutilizzabilità dell’opera spetta a chi chiede la risoluzione del contratto senza che quest’ultimo soggetto possa limitarsi ad evidenziare genericamente gli asseriti vizi, ritenuti non coerenti alle pattuizioni contrattuali; che non si deve trattare di inadempimento di scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte, ma che va verificato sulla scorta di un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale
(cfr. Cass., 20.4.2006, n. 9295: “Secondo i principi costantemente affermati da questa S.C., ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668, 2 co., c.c., la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione l’art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del creditore.
Pertanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidano in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima, sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre, se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal 1 co. dell’art. 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore”);
ancora, che l’inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto stipulato anteriormente deve avere una certa importanza qualitativa, pur se risulta difficoltoso fornire un parametro valido in assoluto ai fini dell’individuazione in concreto dei casi di grave e rilevante inadempimento, in quanto il riferimento alla destinazione del bene non implicherebbe sempre e soltanto una sua valutazione oggettiva, ma potrebbe fare riferimento anche ad una valutazione soggettiva relativa a particolari caratteristiche dell’opera volute dalle parti contraenti con l’effetto che l’unico criterio valido sarebbe, in definitiva, quello della valutazione concreta del singolo caso
(vedi Cass., sez II, 15.3.2004, n. 5250, con quale la S.C. aveva già ribadito i seguenti principi di diritto:
“La garanzia dell’appaltatore per le difformità e i vizi dell’opera si configura non come garanzia in senso tecnico, ma come esplicazione particolare della comune responsabilità per inadempimento, attuabile – a scelta del committente – con la riduzione proporzionale del prezzo o con l’eliminazione delle carenze a spese dell’appaltatore.
Le due azioni non sono surrogabili l’una con l’altra, per cui se il committente non ha chiesto l’eliminazione dei vizi e delle difformità, può essere disposta soltanto la riduzione del prezzo pattuito.
L’appaltatore, quindi, non può chiedere di eseguire spontaneamente le opere necessarie per l’eliminazione dei vizi se la relativa domanda non è stata proposta dal committente, mentre può procedere alla detta eliminazione, prima della sentenza, se il committente ha chiesto la condanna dell’appaltatore al pagamento della somma occorrente…
Ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668, 3 co., c.c., la risoluzione può essere dichiarata solo se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l’art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del creditore.
Pertanto la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole – sulla struttura e funzionalità della medesima – sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo chiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal 1 co. dell’art. 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.
A tal fine, la valutazione delle difformità o dei vizi deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia considerando la destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone, mentre deve essere compiuta con criteri subiettivi quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano dedotti in contratto.
E incombe al committente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi dedotti a fondamento della domanda di risoluzione del contratto di appalto, mentre compete all’appaltatore addurre l’esistenza di eventuali cause che impediscano al committente di far valere il suo diritto”).
Si registra, pertanto, un risalente e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità nel senso che il principio generale è che l’appaltatore debba procedere alla eliminazione a proprie spese del vizio o della difformità riscontrati, a meno che il committente non ritenga di chiedere una proporzionale riduzione del prezzo, e solo ove i difetti dell’opera siano per un verso talmente gravi da rendere del tutto inadatta la cosa all’uso normale cui è destinata ovvero all’uso eventualmente dedotto in contratto e per altro verso non possano essere eliminati, il committente può legittimamente rifiutare l’opera e domandare la risoluzione del contratto, con la conseguente restituzione del prezzo che sia stato eventualmente pagato e fermo restando in entrambi casi il diritto del committente di essere risarcito dei danni se l’appaltatore versava in colpa.
Nel caso di specie, appare evidente che nella necessaria graduazione degli speciali rimedi per l’inadempimento dell’appaltatore che abbia determinato difformità e/o vizi dell’opera, i vizi riscontrati nelle opere commissionate, consistenti nell’intervento di impermeabilizzazione e pavimentazione del lastrico solare di un immobile adibito a piccolo turismo della superficie di 180 mq circa, sono agevolmente eliminabili e non idonei, anche per la loro circoscritta rilevanza economica, a giustificare la risoluzione del contratto, sulla scorta dei principi appena richiamati.
Così qualificata la pretesa, nel merito incombe sull’appaltatore e sul direttore dei lavori (per quanto nel prosieguo si andrà a specificare quanto alla posizione di quest’ultimo) l’obbligo di eliminare a proprie spese i vizi riscontrati a mezzo dell’accertamento tecnico esperito.
Nel corso del giudizio è stato promosso ed espletato accertamento tecnico preventivo, il cui esito ha consentito di accertare la riconducibilità del difetto denunziato alla cattiva esecuzione dei lavori appaltati.
Il CTU Geom. Antonio DI (…) nella relazione di consulenza del 10.07.2017, all’esito dell’esecuzione degli opportuni accertamenti, sulla sui correttezza metodologica alcun rilievo è stato sollevato dalle parti (in merito ai rilievi dei CTP si fa rinvio a quanto controdedotto dal CTU), ha invero riscontrato la presenza di infiltrazioni che interessano diversi vani del primo piano dell’immobile sito in P. alla c.da L. D’E. e ne ha correttamente individuato le cause nelle accertate carenze di tenuta del manto impermeabilizzante del lastrico solare (v. pp. 9-10 dell’elaborato di consulenza: “Da tutta l’attività svolta si rileva che l’intradosso dell’alloggio al primo piano con risvolto lungo le murature d’ambito è sede di infiltrazioni tuttora in atto; vi sono altresì manifestazioni di infiltrazioni non più in essere e fenomeni di condensa. Le cause che hanno condotto alla situazione attuale sono da imputarsi a carenze di tenuta del manto impermeabilizzante. Infatti, si è riscontrato che esso non è adeguatamente ancorato al supporto e che gli incollaggi a fiamma fra teli risultano poco efficaci o inesistenti. Inoltre i risvolti lungo le pareti verticali e anche in corrispondenza della scala (foto n. 70) hanno altezze insufficienti e i collegamenti fra membrana e imbocco dei pluviali, realizzati senza la posa in opera di bocchettoni, non offrono alcuna garanzia di tenuta e quindi non impediscono il percolamento delle acque meteoriche. Da quanto precede si trae che l’intervento di impermeabilizzazione non è stato eseguito a regola d’arte” e tanto ha confermato in sede di conclusioni (p. 15 – “Dopo una breve descrizione dei luoghi effettuata nel paragrafo A, nel successivo paragrafo C si sono indicati, anche con l’ausilio degli allegati rilievi grafici e fotografici, gli inconvenienti riscontrati e, segnatamente le manifestazioni di infiltrazioni all’intradosso dei solai e nei risvolti lungo le murature. Le cause che hanno condotto alla situazione attuale sono da individuarsi nella scarsa tenuta del manto impermeabilizzante posto in opera sul lastrico solare”).
In relazione ai compiti del direttore dei lavori, il CTU ha poi osservato che
“Al Direttore dei lavori compete l’alta sorveglianza delle opere a lui affidate. Tale compito di esplica in visite periodiche al cantiere con controlli tra quanto è stato progettato e quanto viene eseguito e verifiche della qualità dell’intervento anche con esecuzione di saggi. Resta comunque a carico dell’impresa affidataria la responsabilità dell’esecuzione dell’opera. Nel caso in esame il Direttore dei lavori avrebbe dovuto pretendere dall’Impresa il rispetto della prescrizioni riportate nella relazione tecnica e, segnatamente, impiego di membrana da 4 millimetri e risvolti altri 25 cm”,
concludendo pertanto nel senso che
“I lavori appaltati alla ditta (…) sono consistiti nella demolizione del piano mansardato e del masso a pendio esistenti e nel successivo rifacimento di quest’ultimo completo di isolamento termico, di membrana impermeabilizzante e di pavimentazione da saggi eseguiti si è potuto constatare che l’intervento non è stato eseguito rispettando le regole dell’arte ossia tutte quelle indicazioni che, sia pure non codificate da norma cogenti, assicurano la buona riuscita dell’opera. Per quanto concerne l’operato della Direzione lavori si rimanda al paragrafo F ad esso dedicato”; ha inoltre precisato quanto al quesito n. 5 (pp. 16-17) che sussiste difformità tra quanto indicato in relazione tecnica dall’Arch. (…) e quanto realizzato dalla impresa esecutrice dei lavori, individuate come segue: “… membrana impermeabilizzante dello spessore di 3 mm a fronte dei 4 mm previsti; – risvolti della membrana lungo le pareti verticali dell’altezza di 5 cm a fronte dei previsti 15 cm. Occorre anche osservare che lo strato di polistirolo, previsto dello spessore di 3 mm, è stato posto in opera con spessore di 4 e 5 mm”.
L’eliminazione dei vizi riscontrati richiede, a parere del consulente nominato dal tribunale, la stesura di un nuovo manto impermeabilizzante compresi i pezzi speciali all’imbocco dei pluviali, le cui possibili modalità di realizzazione consistono nell’applicazione di un nuovo strato impermeabilizzante sovrapposto al piano di calpestio ovvero nella applicazione di un nuovo strato impermeabilizzante previa sostituzione dell’esistente.
Tale ultima soluzione, per quanto notevolmente più onerosa (la somma occorrente è stata stimata dal CTU in Euro 13.900,00 oltre IVA a fronte di Euro 5.800,00, v. pp. 11-12 dell’elaborato di consulenza), appare preferibile se non obbligata, in quanto la diversa opzione proposta dal consulente dell’ufficio comporterebbe l’esecuzione di un’opera sostanzialmente diversa da quella commissionata, consistente nella “realizzazione di pavimento solare in lastre di pietra tipo Cursi o di Cavallino dello spessore di cm 4” come da relazione tecnica allegata SCIA e preventivo del 16.04.2013, con innegabile pregiudizio del risultato funzionale e estetico dell’opera, tanto più rilevante nell’economia generale degli interessi delle parti e segnatamente dalla committente in ragione della destinazione del bene ad attività turistico-ricettiva.
In relazione alle opere interne, il CTU ha concluso nel senso che l’attuale stato dei luoghi appare sostanzialmente conforme a quello raffigurato nei rilievi fotografici prodotti dall’Arch. (…) e riferibili ad epoca antecedente all’esecuzione delle opere sul lastrico solare, benchè sensibilmente aggravato.
I costi di ripristino sono stati valutati in Euro 8.200,00 oltre IVA.
Tale importo va integralmente riconosciuto in favore dell’attrice, che nel corso del giudizio ha dato prova di aver fatto eseguire opere di pitturazione in epoca successiva all’esecuzione dell’intervento di rifacimento del lastrico solare dalla impresa Q., mediante la produzione delle fatture n (…) e (…) della ditta F.M. (documenti allegati alla memoria istruttoria di parte attrice depositata in data 18.10.2017), che attestano il pagamento di lavori di pitturazione interni ed esterni, come peraltro confermato dai testi escussi all’udienza del 3.10.2019 sigg.ri (…) e (…).
In relazione alla domanda di risarcimento del danno pur ritualmente proposta al n. 2 delle conclusioni di cui all’atto di citazione (pp. 10-11) in relazione al mancato godimento dell’immobile ex art. 1668, primo comma c.c., la parziale inutilizzabilità dell’immobile risulta in effetti dalla documentazione amministrativa prodotta dall’attrice
In data 26-05-2016, l’ufficio tecnico del Comune di Palagiano ha redatto relazione (prodotta al n. 12 del fascicolo di parte) dalla quale si evince che i Vigili del Fuoco sono intervenuti in data 18-04-2016 sull’immobile de quo per compiere una verifica statica ed in detta occasione hanno accertato:
“oltre a evidenti segni di umidità datati, la presenza di distacchi d’intonaci e alcune parti delle pignatte dall’intradosso del solaio dell’appartamento causati, da un esame a vista, da infiltrazioni d’acqua derivanti dal terrazzo sovrastante per scarsa impermeabilizzazione dei materiali calpestabili…Opera vigilfuoco consisteva nella rimozione di parti pericolanti d’intonaco nella sala da pranzo e nella camera da letto. La presente è inviata per conoscenza all’Ufficio Tecnico comunale di Palagiano affinché effettui urgenti verifiche…”;
l’Ufficio Tecnico del Comune di Palagiano, con la predetta relazione prot. (…), ha evidenziato che “in una stanza in fondo al corridoio è evidente sul soffitto una porzione dove l’intonaco si è distaccato al punto da mostrare il travetto sottostante ed i ferri arrugginiti”.
L’Ufficio Tecnico giungeva alle seguenti conclusioni: “- considerato che sono presenti evidenti fenomeni di umidità che possono causare problemi di insalubrità all’interno dell’alloggio posto al primo piano dell’immobile; – considerato che nella zona di accesso di detto alloggio, così come in una delle stanze principali, si sono già verificati distacchi di intonaco; – tenuto del fatto che la situazione descritta potrebbe peggiorare provocando danni a cose e persone imprevedibili; con la presente di propone di emanare ordinanza di messa in sicurezza dello stato dei luoghi al fine di garantire la salvaguardia della pubblica e provata incolumità. Si suggerisce, pertanto, come primo intervento, di delimitare con urgenza le zone già interessate dal distacco degli intonaci ad evitare il passaggio zone di solaio maggiormente ammalorate”.
In data 26-08-2016, il Comune di Palagiano ha emesso “Ordinanza di Rimozione Pericolo a Tutela della Pubblica Incolumità n. 94” con la quale, preso atto dei fenomeni di infiltrazione, si ordinava di eseguire opere di messa in sicurezza ed opere atte a eliminare i fenomeni di umidità (allegato 13); con nota prot. n. (…) del 17.01.2017 (prodotta all’udienza del 18.01.2017), il Comune di Palagiano proponeva provvedimento di interdizione all’utilizzo. In particolar modo, con l’ordinanza del “Ordinanza di Rimozione Pericolo a Tutela della Pubblica Incolumità n. 94” nel considerare che “…sono presenti evidenti fenomeni di umidità che possono causare problemi di insalubrità all’interno dell’alloggio posto al primo piano dell’immobile…che nella zona di accesso di detto alloggio, così come in una delle stanze principali… si sono già verificati distacchi di intonaco… che la situazione descritta potrebbe peggiorare provocando danni a cose e persone imprevedibili…. ordina la messa in sicurezza …delimitare con urgenza le zone già interessate dal distacco degli intonaci ed evitare il passaggio sotto le zone di solaio maggiormente ammalorate…porre in essere interventi atti ad eliminare gli evidenti fenomeni di umidità presenti che possono causare problemi di insalubrità all’interno dell’alloggio…”.
Alcuna prova è stata, tuttavia, fornita dall’attrice in merito ai danni in concreto subiti per effetto dei richiamati provvedimenti amministrativi, anche sotto il profilo dell’eventuale mancato guadagno, per cui la domanda risarcitoria non può trovare accoglimento.
Da ultimo, occorre esaminare la questione della corresponsabilità del progettista-direttore dei lavori arch. (…).
Il CTU DI (…) ha correttamente evidenziato l’obbligo che deriva dal contratto di prestazione d’opera professionale in capo al direttore dei lavori di sovrintendere all’alta sorveglianza delle opere a lui affidate, che si esplica, nel caso di opere edili, in visite periodiche al cantiere finalizzate alla verifica della corrispondenza tra il progetto la esecuzione dei lavori nonché della qualità dell’intervento anche mediante l’esecuzione di saggi, pur restando a carico dell’impresa affidataria la responsabilità dell’esecuzione dell’opera
(v. in merito Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 4366 del 27 febbraio 2006: “In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, l’attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.”; nella specie, relativa a infiltrazioni d’acqua risalenti per capillarità dal sottosuolo, la S.C. confermava la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità del professionista, essendo risultato che il fenomeno derivava da cattiva qualità dei materiali e omessa posa in opera di prodotti impermeabilizzanti, nonostante le previsioni contrattuali).
In relazione alla fattispecie in esame, il CTU ha rilevato che il Progettista -Direttore dei lavori Arch. (…) avrebbe dovuto adeguatamente controllare l’esecuzione delle opere e la loro conformità rispetto al progetto (da lui stesso redatto) ed in particolare esigere dall’Impresa il rispetto della prescrizioni riportate nella relazione tecnica ovvero l’impiego di membrana da 4 millimetri e risvolti alti 25 cm, opere che, in quanto non eseguite a regola d’arte, hanno determinato i vizi accertati.
In ordine alla responsabilità del direttore dei lavori, va invero ulteriormente rilevato che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si ritiene che tale figura professionale sia chiamata ed esercitare, avvalendosi delle proprie specifiche competenze tecniche, i poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che il committente non è in grado di svolgere direttamente, ciò comportando che incombe sul professionista, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, l’obbligo di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, attività da cui discende la sua corresponsabilità con l’appaltatore per gli eventuali difetti dell’opera anche derivanti da vizi progettuali, laddove sia stato incaricato dal committente di svolgere anche tale attività, aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione
(Cfr. Cass. civ. n. 18285/2016: “Il direttore dei lavori per conto del committente esercita i medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona, sicché ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l’appaltatore per i difetti dell’opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attività, aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione, di verificare la fattibilità e l’esattezza tecnica del progetto”).
Non vi è dubbio, poi, che si tratti di una responsabilità solidale dei due soggetti (progettista-direttore dei lavori e appaltatore) sulla scorta del pacifico principio giurisprudenziale per cui “in tema di responsabilità risarcitoria, contrattuale ed extracontrattuale, se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la solidarietà di tutte nell’obbligo al risarcimento, che le azioni e le omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse” (v. Cass. ord. n.16323 del 21 giugno 2018);
in caso di danno risentito dal committente di un opera, per concorrenti inadempimenti del progettista-direttore dei lavori e dell’appaltatore, sussistono, pertanto, le condizioni di detta solidarietà (v. Cass., sentenza del 21/09/2016, n. 18521, ove si è ribadito come in tema di contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse).
Nel caso di specie, il progettista-direttore dei lavori ha omesso di esercitare il dovuto controllo sulla corretta esecuzione dei lavori e sulla corrispondenza delle opere eseguire al progetto, comportamento omissivo colposo dal quale è causalmente derivato il riscontrato vizio, del quale deve pertanto essere chiamato a rispondere in via solidale con l’appaltatore.
Sulla scorta di quanto sin qui osservato, i convenuti devono essere condannati, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 1668, comma primo, c.c., al pagamento in favore della attrice committente della somma necessaria all’eliminazione dei vizi dell’opera oggetto del contratto di appalto, che si quantifica nell’importo di Euro 22.100,00 (13.900+8.200), oltre IVA secondo la normativa vigente, nonché interessi legali dal dì della domanda sino all’effettivo pagamento.
Ogni altra domanda risulta inevitabilmente assorbita.
IL REGOLAMENTO DELLE SPESE
Alla soccombenza segue, infine, la condanna dei convenuti al pagamento, in solido tra loro, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, in ragione dell’attività svolta; devono inoltre essere posti a carico dei convenuti soccombenti anche le spese di CTU relative agli accertamenti tecnici preventivi ante causam e in corso di causa.
P.T.M.
Il Tribunale di Taranto, seconda sezione penale, in composizione monocratica nella persona del Presidente dott.ssa S. D’ERRICO, decidendo definitivamente sulla domanda proposta da (…) avverso (…) e (…), così statuisce:
1) ACCOGLIE la domanda per quanto di ragione e, per l’effetto:
2) CONDANNA i convenuti sigg.ri (…) e (…), in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attrice sig.ra (…) della somma di Euro 22.100,00, oltre IVA e interessi come da motivazione;
3) RIGETTA ogni altra domanda;
4) CONDANNA i predetti convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attrice delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, da aumentarsi nella misura di legge per rimborso spese generali, IVA e CPA; pone definitivamente a carico dei convenuti, in solido tra loro, le spese di CTU.
Così deciso in Taranto il 25 marzo 2020.
Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2020.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: aspetti generali del contratto di appalto