l’efficacia tra i soci e nei confronti della società del recesso da una società di persone, quale atto unilaterale recettizio non soggetto a forme particolari, non è sospensivamente condizionata dalla liquidazione della quota, né dalla iscrizione nel registro delle imprese, ma dipende esclusivamente dalla sua comunicazione alla società, la quale determina ex lege lo scioglimento del rapporto sociale e la perdita dello status socii. Tanto più allorché si tratti di recesso per giusta causa. Ma, ove anche si escludesse la giusta causa, dovrebbe considerarsi che anche l’accettazione del recesso è atto a forma libera e può essere desunta anche da facta concludentia univoci (quali, nella specie, le trattative per la liquidazione della quota).

Corte d’Appello|L’Aquila|Civile|Sentenza|22 aprile 2020| n. 603

Data udienza 10 aprile 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA

composta dai seguenti magistrati:

dr. Silvia R. Fabrizio Presidente

dr. Francesco S. Filocamo Consigliere relatore

dr. Alberto Iachini Bellisarii Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in II grado iscritta al n. 140 del Ruolo generale dell’anno 2014, promossa da: (…), elettivamente domiciliato in L’Aquila presso lo studio dell’avv. (…), rappresentato e difeso dall’avv. (…) per mandato a margine dell’atto di citazione in appello;

– appellante –

CONTRO

(…), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in L’Aquila presso lo studio dell’avv. (…), rappresentata e difesa dall’avv. (…) per mandato a margine della comparsa di costituzione in primo grado;

– appellata –

OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 968/13 del Tribunale di Pescara, pubblicata il 18/6/2013.

CONCLUSIONI

Per l’appellante: “in riforma della sentenza impugnata: accertare l’illegittimità della delibera assembleare della (…) assunta in data 22.03.2010 registrata presso la Camera di Commercio di Pescara in data 09.04.2010 ed avente ad oggetto l’esclusione del socio di minoranza (…); per l’effetto dichiararla invalida e/o inefficace e/o nulla e/o annullabile.

Con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio”.

Per l’appellata: “integrale reiezione del gravame, con ogni conseguenza di legge, anche ai sensi dell’art. 91 c.p.c.”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 2287 c.c., dall’odierno appellante contro la delibera assunta il 9/4/2010 dall’assemblea della snc (…) – della quale egli era socio minoritario – con cui era stata decisa la sua esclusione dalla società ai sensi dell’art. 2286 comma 1 c.c. in ragione del mancato svolgimento, a decorrere dal 9/8/2009, della propria attività a favore della società, con conseguente violazione dell’art. 7 dell’atto costitutivo, che impegnava i soci a tale prestazione, e grave danno per la società.

Premesso che era incontroversa la cessazione, da parte dell’attore, sin dal 9/8/2009, “dell’attività lavorativa” fino allora svolta presso l’unità negoziale di viale (…) in Pescara, la sentenza ha preso in esame “la tesi difensiva” volta a giustificare tale cessazione e ad escluderne la rilevanza ai fini dell’adozione del provvedimento espulsivo, ritenendo che:

a) non era stato puntualmente provato un accordo tra tutti i soci in ordine alla sospensione dell’attività del (…) a seguito di diverbio verificatosi con il socio amministratore (…) (cui il primo avrebbe contestato lo svolgimento di attività di concorrenza sleale), sfociato in una aggressione fisica, non essendo a ciò sufficienti le dichiarazioni testimoniali di (…), la quale aveva riferito di avere partecipato alle trattative “tra le parti” – non andate a buon fine – aventi ad oggetto la liquidazione della quota del fratello, senza però specificare se, e per quale periodo, tutti i soci avessero convenuto la totale sospensione dell’attività lavorativa del (…);

b) in difetto di prova di una concordata sostituzione del socio nell’attività di impresa, la unilaterale astensione dalle prestazioni precedentemente rese a favore della società, protrattasi per diversi mesi, non poteva ritenersi legittima e costituiva inadempimento grave alle obbligazioni assunte con il contratto sociale, in quanto rendeva meno agevole il perseguimento dello scopo sociale e incideva negativamente sulla complessiva situazione economica della società;

c) simile astensione non poteva giustificarsi quale “compensazione” dell’attività lavorativa precedentemente prestata rispetto a quella fornita dagli altri soci, attività che, peraltro, il compendio istruttorio non consentiva di quantificare esattamente in termini di “ore lavorative”;

d) l’inadempimento del (…) – afferente al rapporto tra tale socio e la società – non poteva trovare giustificazione nell’inadempimento da questi ascritto al socio (…) (che avrebbe legittimato unicamente l’attivazione degli specifici rimedi previsti in materia societaria), non essendo utilizzabili nell’ambito dei contratti societari i rimedi generali previsti in tema di inadempimento contrattuale, sia per la mancanza di interessi contrapposti tra socio ed ente sociale, sia per la finalità dell’esclusione del socio, la quale “comporta soltanto lo scioglimento del vincolo sociale limitatamente al socio inadempiente, con il diritto di quest’ultimo esclusivamente ad una somma di danaro che rappresenti il valore della sua quota, ma non anche, di per sé, lo scioglimento della società”.

2. La sentenza è stata impugnata da (…), che ne ha chiesto la riforma nei termini di cui alle conclusioni sopra trascritte, censurandola:

a) nella parte in cui ha escluso il raggiungimento della prova dell’accordo “tra i soci, ovvero intercorso tra il (…) e l’amministratore (…), in ordine alla sospensione dell’apporto lavorativo del primo, quale conseguenza della controversia insorta tra loro”: tale prova, secondo l’appellante, sarebbe desumibile dalla testimonianza di (…), dalla quale si evincerebbe simile accordo, conseguente “al preannunciato recesso del (…) dalla società e, quindi, alla sospensione della sua attività lavorativa con conseguente trattativa per la determinazione della liquidazione della quota”, trattativa “interrotta unilateralmente ed illegittimamente” con la delibera di esclusione, finalizzata ad “impedire al socio di minoranza di protestare i suoi diritti e denunciare le gravi irregolarità dell’amministratore e socio di maggioranza, il quale ha assorbito il totale ed esclusivo controllo della società senza neppure liquidare la quota del (…)” e, perciò, “frutto di un abuso ad opera dei soci di maggioranza e di una mera strumentalizzazione dell’astensione dal lavoro del (…), evidentemente concordata e coerente con lo stato dei rapporti e delle trattative”;

b) nella parte in cui ha escluso ogni rilevanza del proprio “apporto costante e continuativo” all’attività sociale dal 2001 al 2009 “in misura superiore a quella dovuta in ragione della sua partecipazione” ed a quello degli altri soci (emergente chiaramente dalle dichiarazioni testimoniali) ai fini della valutazione della gravità di una astensione dal lavoro “per poco più di un semestre”, valutazione da compiere in relazione alla genericità dell’art. 7 dell’atto costitutivo e alla buona fede del socio inadempiente ed alla luce dei principi applicabili nella specie, che non solo consentivano al socio escluso di provare la non imputabilità dell’inadempimento ascrittogli (prova nella specie fornita, essendo stato dimostrato che la astensione del lavoro, concordata nell’interesse della società, era imputabile alla mala gestio del socio amministratore), ma addossavano alla società l’onere di provare l’inadempimento e la sua gravità (prova nella specie mancata, essendo stati ritenuti in re ipsa l’incidenza dell’astensione sul perseguimento dell’oggetto sociale e il danno eventualmente da essa provocato alla società, in realtà insussistenti, poiché questa disponeva di una rete di collaboratori a tempo determinato capaci di sostituire i soci lavoratori senza costi aggiuntivi);

c) nella parte in cui aveva (nell’escludere correttamente l’applicabilità dell’eccezione di inadempimento) omesso di valutare come il comportamento tenuto dal socio amministratore, che aveva originato il contrasto sfociato nell’esclusione, fosse tale da determinare, per il socio di minoranza tenuto all’oscuro delle scelte amministrative, “la materiale impossibilità di continuare a prestare la propria attività” e rendesse quindi non imputabile la temporanea astensione da tale prestazione, oltre che sproporzionata la sanzione espulsiva, tenuto anche conto della centralità dell’intuitu personae nelle società di persone, nelle quali è ancora maggiore “il reciproco affidamento dei soci”: ciò avrebbe imposto una “valutazione comparativa della condotta del (…) rispetto all’oggetto sociale statutario, agli scopi realmente perseguiti dalla società e dal suo amministratore, nonché alla flessibilità della prescrizione statutaria asseritamente violata, e, quindi, alle ragioni del contrasto insorto tra le parti”, che avrebbe condotto ad “un indubbio giudizio di illegittimità della delibera di esclusione”.

3. La società appellata, costituendosi nel presente giudizio, dopo avere ipotizzato la inammissibilità dell’appello per contrarietà agli artt. 342 e 434 c.p.c., ha sostenuto la infondatezza del gravame, sottolineando come il “completo disinteresse per il raggiungimento degli scopi sociali e l’omesso espletamento delle attività collaborative” da parte del (…) costituisse in re ipsa inadempienza grave e non potesse essere giustificata dall’asserito diverbio con il socio amministratore, peraltro non del tutto convincentemente ricostruibile in base alle testimonianze assunte.

4. Ritiene questa Corte che l’appello non meriti, nel suo complesso, accoglimento, in quanto – ed a prescindere dalla sua ammissibilità o meno – infondato ed in gran parte riproduttivo – nonostante l’abile correzione di prospettiva – di argomentazioni già correttamente disattese dalla sentenza impugnata.

4.1. Quest’ultima è, intanto, rimasta esente da censure nella parte in cui ha accertato, siccome pacifica, la circostanza che (…), il quale sino allora aveva – in conformità alla previsione contenuta dalla clausola n. 7 dell’atto costitutivo (“i soci si impegnano di dare la loro attività a vantaggio della società”) – prestato la propria opera per la conduzione della pizzeria ubicata in viale (…) (mentre il socio (…) gestiva l’analogo esercizio di corso (…) e si occupava della amministrazione della società), dal 6/8/2009 sino alla data della adozione della delibera di esclusione dalla società (22/3/2010) omise di occuparsi ulteriormente della gestione della pizzeria di viale (…) e cessò totalmente lo svolgimento di qualsiasi attività a vantaggio della società.

5. L’appellante sostiene, come ha sostenuto in primo grado, che simile condotta fu inizialmente determinata dalle lesioni infertegli dal socio (…) in occasione di un diverbio insorto allorché egli contestò al socio-amministratore l’esercizio di un’attività concorrenziale mediante altra società in nome collettivo costituita unitamente ad (…) (altra socia della snc (…) e coniuge dello (…)) e fu successivamente concordata (non è chiaro se con tutti gli ulteriori soci o solo con (…)) al fine di consentire “libera operatività ai soci di maggioranza” e lo svolgimento di trattative per la determinazione della liquidazione della sua quota di partecipazione, come si evincerebbe dalle dichiarazioni rese in sede testimoniale da (…) (sorella dell’attore-appellante).

5.1. Premesso che le lesioni (“contusione reg. labiale e cervicalgia da contraccolpo”) sono state documentate dall’appellante mediante referto del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pescara contenente prognosi di cinque giorni, dalle dichiarazioni testimoniali suindicate non si evince in alcun modo che i soci concordarono che il (…), una volta esaurito il periodo di malattia, si sarebbe astenuto dalla prestazione della propria attività in favore della società, ma soltanto che la sorella dell’appellante telefonò a (…) dopo la dimissione del fratello dal Pronto Soccorso per comunicargli, contestandogli “quanto accaduto”, che quest’ultimo “non sarebbe andato a lavorare sia per la malattia sia per la imminente fruizione delle ferie anche per evitare l’inasprimento dei rapporti” e che ella successivamente prese parte a “trattative” – cui parteciparono anche lo (…), il commercialista della società, dott. (…), e l’avv. (…) (su incarico, a quanto si desume dalla corrispondenza prodotta dalle parti, di (…)) -“aventi ad oggetto la liquidazione della quota” di quest’ultimo.

5.2. Dunque, da un lato, la teste ha riferito di una unilaterale (e non certo concordata) decisione del (…) di astenersi dalla prestazione di attività a favore della società nel periodo di malattia (5 giorni) e in un successivo periodo di “ferie” (non meglio determinato né quanto a durata, né quanto a significato: ferie del socio o chiusura in periodo estivo della pizzeria di viale (…)?); dall’altro lato, ha fatto riferimento non ad un accordo in ordine alla protrazione di tale astensione (che di fatto, come si è visto, si protrasse ben oltre il periodo estivo), ma a trattative finalizzate al raggiungimento di un accordo – pacificamente non raggiunto – in ordine alla liquidazione della quota sociale del fratello.

5.3. Poiché la liquidazione della quota del singolo socio presuppone (non foss’altro che perché essa deve essere “fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”: art. 2289 comma 2 c.c.) un già avvenuto scioglimento del rapporto sociale, il riferimento fatto dalla teste a trattative aventi ad oggetto tale liquidazione, lungi dal consentire di desumere che venne concordata, in pendenza delle trattative, l’astensione dall’attività del socio titolare della quota da liquidare, sembrerebbe, al contrario, ricondurre la protrazione dell’astensione medesima ben oltre il periodo di malattia e di ferie (o meglio: la mancata ripresa della collaborazione alla attività sociale imposta dall’atto costitutivo) ad una già manifestata volontà di recesso del “socio uscente” (come lui stesso si definisce nell’atto di appello), in assenza della quale quelle trattative non avrebbero avuto alcun oggetto e senso definito, ignorandosi se e quando il presupposto della liquidazione della quota si sarebbe verificato.

Si consideri, in proposito, che l’efficacia tra i soci e nei confronti della società del recesso da una società di persone, quale atto unilaterale recettizio non soggetto a forme particolari, non è sospensivamente condizionata dalla liquidazione della quota (Cass. 21036/2017; 5836/2013), né dalla iscrizione nel registro delle imprese (Cass. 11045/1999), ma dipende esclusivamente dalla sua comunicazione alla società, la quale determina ex lege lo scioglimento del rapporto sociale e la perdita dello status socii.

Tanto più allorché si tratti – come nella specie dovrebbe ritenersi, stando alle asserzioni dell’attore-appellante e alle dichiarazioni della teste in esame – di recesso per giusta causa. Ma, ove anche si escludesse la giusta causa, dovrebbe considerarsi che anche l’accettazione del recesso è atto a forma libera e può essere desunta anche da facta concludentia univoci (quali, nella specie, le trattative per la liquidazione della quota).

5.4. Se è così, nessun interesse giuridicamente rilevante sembrerebbe avere l’odierno appellante alla caducazione della successiva delibera di esclusione, giacché il recesso, determinando lo scioglimento del rapporto sociale al momento stesso del suo perfezionamento, prevarrebbe rispetto all’esclusione successivamente deliberata dagli altri soci, in quanto il principio secondo cui, nel concorso di più cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, deve ritenersi operante quella che si verifichi per prima, trova applicazione anche nel caso di concorso fra recesso ed esclusione (Cass. 2438/2009).

5.5. Ma anche se dalle dichiarazioni della teste (…) (e dalle allegazioni dello stesso attore-appellante) non si dovesse trarre il convincimento di un recesso perfezionatosi prima che fosse deliberata la esclusione, dovrebbe comunque constatarsi che esse, mentre non dimostrano alcun accordo di temporanea sospensione del rapporto sociale, attestano come l’astensione da ogni prestazione in favore della società sia stata attuata dal (…) in vista di un già ritenuto inevitabile scioglimento del proprio rapporto sociale e, quindi, come manifestazione, tutt’altro che temporanea, del venir meno in capo al medesimo dell’affectio societatis.

Ciò che caratterizzerebbe, in modo difficilmente controvertibile, quella astensione in termini di radicale, più che grave (e, più che colposo, intenzionale) inadempimento del contratto sociale (che, peraltro, era tutt’altro che generico e “flessibile” nell’impegnare i soci a prestare la propria attività a favore della società), tale da rendere meno agevole il perseguimento dello scopo sociale (sino allora perseguito attraverso la collaborazione del (…) nella conduzione della pizzeria di viale (…)) e da giustificare ampiamente la deliberata esclusione, quale unica (e perciò del tutto proporzionata) misura idonea a ricomporre il dissidio interno tra i soci, uno dei quali ormai manifestamente disinteressato alla prosecuzione del rapporto sociale.

5.6. L’alternativa ricostruttiva sin qui delineata (sulla scorta delle allegazioni del medesimo attore-appellante e delle dichiarazioni testimoniali invocate a riscontro delle allegazioni medesime) tra recesso per giusta causa già perfezionatosi prima della delibera espulsiva e legittima esclusione per gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale, peraltro, corrisponde agli alternativi strumenti di superamento dei conflitti interni alle società di persone (quale quello instauratosi tra (…), secondo quanto in questa sede asserito dal primo) che la giurisprudenza ha da tempo indicato quali rimedi impeditivi dello scioglimento della società per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale (Cass. 18243/2004; 6410/1996).

Si vuol dire che nella specie, instauratosi il dissidio cui ha fatto riferimento l’appellante e venuti meno la partecipazione di quest’ultimo alla attività sociale e l’apporto cui egli si era impegnato – e che aveva sin allora prestato – per il conseguimento dello scopo sociale (tanto da indurre i soci a verificare la possibilità di pervenire ad una concordata quantificazione del valore della partecipazione cui ragguagliare la liquidazione della quota) o si riconduce la condotta del “socio uscente” all’effetto di un recesso per giusta causa (per la violazione dell’obbligo di non concorrenza ascritto al socio di maggioranza, secondo quanto implicitamente desumibile dall’intero atto di appello, teso ad imputare al socio (…), pur estraneo al giudizio, l’astensione da ogni attività sociale del (…)) ovvero si qualifica quella condotta come grave inadempienza all’obbligazione di collaborazione nell’attività sociale tale da giustificare l’esclusione deliberata dagli altri soci. Nell’una come nell’altra ipotesi, la opposizione rigettata dalla sentenza impugnata non può trovare accoglimento (e la sentenza non può essere riformata) o per carenza di interesse (e di legittimazione attiva) in capo al socio già receduto o per infondatezza della opposizione.

6. Il compendio istruttorio ed i principi giuridici applicabili nella specie, in ogni caso, non consentono non solo – come si è detto – di accertare un accordo intercorso tra i soci per la temporanea sospensione dell’attività collaborativa del (…), ma neanche di condividere le ulteriori argomentazioni svolte dall’appellante per sostenere la non imputabilità o la non gravità dell’inadempimento posto a base della delibera di esclusione.

6.1. Intanto, va rilevato che quest’ultima non ha determinato alcun pregiudizio del diritto del socio escluso (ove non già receduto) alla liquidazione della propria quota, in ordine alla quale egli ha conservato (ha anzi acquisito, ove non avesse già manifestato la volontà di recedere) la facoltà di agire in via giudiziale, né gli ha impedito di fare ricorso – nei mesi trascorsi dall’animata discussione con (…) – ai rimedi concessigli dall’ordinamento per reagire alla asserita mala gestio dell’amministratore o all’asserito inadempimento del socio di maggioranza, sicché non è consentito qui ipotizzare un esercizio strumentale ed abusivo del diritto della maggioranza di soci di deliberare l’esclusione del socio ormai estraniatosi da ogni – pur doverosa a termini di atto costitutivo – collaborazione nell’attività sociale.

6.2. Quanto alla considerazione dell’attività in passato svolta dal (…) a vantaggio della società, esclusa ogni valutazione comparativa con quella espletata (o meno) dagli altri soci, che qui non rileva, essa, lungi dal potere giustificare, anche a titolo “compensativo”, l’astensione – come si è visto non meramente temporanea – da analoga attività dall’agosto 2009, evidenzia invece come tale astensione abbia avuto necessariamente una rilevante incidenza sotto il profilo organizzativo ed operativo sulla attività sociale, sino allora condotta anche grazie alla collaborazione (non retribuita, ma comunque accompagnata da anticipazioni sugli utili nella misura mensile riferita dal teste (…)) del (…). Né l’avere in passato adempiuto all’impegno assunto con l’atto costitutivo può indurre ad apprezzare una non meglio comprensibile “buona fede” nella volontaria e repentina interruzione di ogni collaborazione per il perseguimento dello scopo sociale.

6.3. Quanto alla condotta inadempiente che l’appellante ascrive al socio (…) (e che quest’ultimo avrebbe tenuto nel proprio personale interesse, contrario a quello della società qui appellata e, quindi, in alcun modo addebitabile a quest’ultima) essa, sebbene potesse giustificare un recesso per giusta causa (o anche una pretesa risarcitoria o una richiesta di revoca dell’amministrazione in ipotesi di mala gestio, evocata ma tutt’altro che chiaramente delineata dall’attore-appellante), non può giustificare invece, né rendere non imputabile o meno grave, l’inadempimento del (…) ravvisabile – se si esclude il recesso – nella condotta di sostanziale unilaterale estraniazione dalla attività sociale e di manifesta elisione dell’affectio societatis, per le ragioni già ampiamente esposte nella sentenza impugnata sulla scorta di consolidati principi giurisprudenziali, secondo i quali nel caso di gravi inadempimenti del socio di società di persone agli obblighi ad esso derivanti dal rapporto sociale non trova applicazione la disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti con prestazioni corrispettive (art. 1453 e segg. c.c.), bensì esclusivamente la speciale disciplina contenuta negli artt. 2286 e 2287 c.c., posto che la esclusione prevista da tali ultime norme comporta non già la risoluzione del contratto di società, bensì lo scioglimento del vincolo sociale limitatamente al socio inadempiente, con il diritto di quest’ultimo alla liquidazione in danaro del valore della quota ex art. 2289 c.c..

7. In conclusione, l’appello deve essere rigettato, con condanna dell’appellante a rimborsare all’appellata le spese del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminato della causa e delle attività processuali compiute, secondo i parametri medi (con riduzione del compenso per la fase di trattazione che non ha visto svolgimento di attività istruttoria) di cui al d.m. 55/2014.

7.1. A norma dell’art. 13, comma 1-quater, d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. l, comma 17, legge 228/2012 ed applicabile ai procedimenti di impugnazione iniziati dal 31/1/2013 (Cass. S.U. 3774/2014; Cass. 26566/2013), deve, infine, darsi atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello interamente rigettato.

P.Q.M.

La Corte di Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando, così decide:

1) rigetta l’appello;

2) condanna l’appellante (…) a rimborsare all’appellata snc (…) le spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 8.645,00, oltre rimborso forfettario del 15% ed IVA e CAP come per legge;

3) ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.p.r. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle appellanti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio del 10 aprile 2020 tenuta mediante videoconferenza ai sensi dell’art. 83 d.l. 18/2020.

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.