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la legittimazione ad impugnare una deliberazione assembleare compete individualmente e separatamente agli assenti e ai dissenzienti (nonche’ ai presenti e consenzienti, senza limiti di tempo, quando si verte in tema di nullita’) e ognuno puo’ esercitare l’azione verso il condominio rappresentato dall’amministratore, senza necessita’ di chiamare in causa gli altri.
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Corte di Cassazione, Sezione 6 civile Ordinanza 16 gennaio 2015, n. 704
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14493/2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS) in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura alle liti in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3914/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO del 9.10.2012, depositata il 30/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CESARE ANTONIO PROTO;
udito per i ricorrenti l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso o la sua trattazione in pubblica udienza;
udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la relazione ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., nella quale ha esposto le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso e ha concluso per il suo rigetto.
Il ricorso e’ stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite; i ricorrenti hanno depositato memorie.
Nella relazione il relatore ha rilevato quanto segue.
Osserva in fatto:
Con delibera del 10/6/2004 l’assemblea del Condominio (OMISSIS) autorizzava i condomini (OMISSIS) e (OMISSIS) a svolgere, nei loro appartamenti, l’attivita’ di bed and brekfast; la deliberazione condominiale era impugnata, insieme ad altre, dal condominio (OMISSIS) che chiedeva la declaratoria di nullita’ o l’annullamento.
Con sentenza del 24/1/2009 il Tribunale di Varese rigettava l’impugnazione.
Con sentenza del 30/11/20012 la Corte di Appello di Milano, in accoglimento dell’appello di (OMISSIS), dichiarava nulla la delibera del 10/6/2004, assunta a maggioranza, limitatamente all’autorizzazione a svolgere l’attivita’ di bed and breakfast all’interno dei locali di proprieta’ esclusiva dei condomini ritenendo che tale delibera, assunta a maggioranza, si ponesse in contrasto con l’uso abitativo contrattualmente prestabilito nel regolamento condominiale e, in particolare, con i patti speciali allegati agli atti di divisione dell’immobile, costituenti regolamento condominale contrattuale e nei quali era previsto che “i proprietari del fabbricato si impegnano sin d’ora a destinare esclusivamente ad abitazione singoli piani loro assegnati, impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione”.
La Corte territoriale riteneva che la clausola, in quanto vietava in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo, non consentisse di includervi l’attivita’ di bed and brekfast e che inoltre la delibera violasse l’articolo 1102 c.c. incidendo sui diritti individuali del condomino che subirebbe un deprezzamento del valore della sua proprieta’ che verrebbe snaturata anche quanto al suo utilizzo tenuto conto che l’immobile e’ una pregiata villa di campagna con ingresso, viale di accesso e giardino comune.
Il Condominio (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso affidato a tre motivi e preliminarmente hanno eccepito la nullita’ dell’intero procedimento perche’ non si sarebbe svolto nei confronti dei proprietari interessati, a loro dire litisconsorti necessari.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Osserva in diritto:
Il rilievo preliminare di nullita’ dell’intero procedimento per difetto di integrazione del contraddittorio e’ manifestamente infondato in quanto in tema di condominio la legittimazione ad impugnare una deliberazione assembleare compete individualmente e separatamente agli assenti e ai dissenzienti (nonche’ ai presenti e consenzienti, senza limiti di tempo, quando si verte in tema di nullita’) e ognuno puo’ esercitare l’azione verso il condominio rappresentato dall’amministratore, senza necessita’ di chiamare in causa gli altri (Cass. 27/8/2002 n. 12564; Cass. 11/1/2012 n. 177 Ord.).
Il precedente richiamato in ricorso (Cass. 8/3/2006 n. 4920) non e’ pertinente al caso specifico, relativo all’impugnazione di delibera condominiale, in quanto concerneva un caso di asserita violazione del divieto contenuto nel regolamento condominiale di destinare i singoli locali di proprieta’ esclusiva a determinati usi e non l’impugnazione di una delibera; la domanda proposta era la domanda del condominio di cessazione della destinazione abusiva rivolta nei confronti del conduttore; si e’ affermato che in questo specifico caso il proprietario e’ tenuto a partecipare, quale litisconsorte necessario, nel relativo giudizio.
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme di legge con riferimento alla Legge Regionale Lombardia n. 15 del 2007, articolo 45, (Testo Unico in materia di turismo della regione Lombardia) e con riferimento all’articolo 115 c.p.c..
I ricorrenti osservano che la citata legge della Regione Lombardia all’articolo 45 espressamente prevede che l’esercizio dell’attivita’ di bed and breakfast non determina il cambio di destinazione d’uso dell’immobile e che pertanto la motivazione della Corte di Appello, fondata sul presupposto che la delibera abbia comportato una modifica della destinazione di uso del bene (da abitativa ad alberghiera) e’ totalmente errata.
1.1 Il motivo e’ infondato in quanto muove dall’erroneo presupposto che l’intervento legislativo con il quale leggi regionali (nella specie la legge della Regione Lombardia) stabiliscono che l’attivita’ di bed and breakfast non comporti il mutamento di destinazione di uso possa in qualche modo interferire con la volonta’ contrattuale dei comproprietari con la quale si e’ voluto escludere categoricamente ogni modifica della destinazione ad uso abitativo dei singoli piani.
A seguito della Legge 17 maggio 1983, n. 217, “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”, alcune Regioni hanno aggiornato le proprie normative turistiche inserendo specifici riferimenti all’attivita’ di bed and breakfast stabilendo che l’esercizio di tale attivita’ non comporta il cambiamento di destinazione dell’uso dell’immobile ai fini urbanistici.
Tuttavia la legislazione in materia urbanistica o, piu’ in generale, in materia amministrativa, disciplinando il rapporto tra cittadino e norme di carattere pubblicistico non puo’ comportare un automatico recepimento nell’ambito della disciplina dei rapporti tra privati dei criteri per i quali si stabilisce se una certa attivita’ comporti o meno mutamento di destinazione ai fini della regolamentazione dell’assetto urbanistico – edilizio del territorio.
Al contrario, nei rapporti di diritto privato, la giurisprudenza di questa Corte, quanto all’attivita’, sostanzialmente analoga, dell’affittacamere, ha avuto modo di precisare che l’attivita’ di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno; in difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non puo’ essere ricondotta nell’ambito dell’attivita’ di affittacamere, ne’ quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo (Cass. 8/11/2010 n. 22665) e che tale attivita’, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, non diversamente dall’esercizio di un albergo, un’attivita’ imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico (Cass. 3/12/2002 n. 17167).
Pertanto il problema che si e’ giustamente posto il giudice di appello per decidere la controversia era e rimane un problema sostanzialmente interpretativo della volonta’ espressa dai proprietari e non si pone un problema di applicazione o violazione delle norme di legge richiamate nel motivo.
La Corte di Appello, nel ritenere che l’autorizzazione all’attivita’ di bed and breakfast costituisse violazione dei patti ha ricostruito la volonta’ contrattuale delle parti facendo al contenuto letterale della clausola (v. pag. 6, punto 21 e 22 della sentenza) e all’errore interpretativo del primo giudice (punto 24 della sentenza) individuando il tipo di utilizzo che prescrivevano i patti e, correlativamente, l’utilizzo vietato anche avuto riguardo anche alle caratteristiche dell’immobile (pregiata villa di campagna con viale di accesso e giardino comune); i ricorrenti non formulano una specifica censura di errata applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale.
2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione di legge con riferimento alla Legge n. 15 del 2007, articolo 45, e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 369 del 2008.
I ricorrenti sostengono che la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimita’ costituzionale di un comma della Legge Regionale Lombardia n. 15 del 2007, articolo 45, nella parte in cui condiziona all’approvazione dell’assemblea condominiale l’esercizio dell’attivita’ di bed and breakfast in appartamenti situati in edifici condominiali sul rilievo che, prevedendo un obbligo di autorizzazione condominiale per attivita’ non comportante il mutamento della destinazione di uso, si ingerisce nella materia dei rapporti condominiali tra privati; a dire dei ricorrenti, la Corte Costituzionale avrebbe confermato che sarebbe illegittimo il sindacato del condominio sull’utilizzo delle singole abitazione quando non vi sia cambio di destinazione di uso; aggiungono che anche secondo un precedente della giurisprudenza di merito (C.A. Roma 19/12/2012) si e’ affermato il principio che non puo’ essere consentita limitazione del diritto di proprieta’ se non in forza di espressa previsione e analitica specificazione dei limiti; aggiungono considerazioni sul carattere saltuario dell’attivita’, come disciplinata dalla legge regionale e sulla esclusione dall’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese.
2.1 Il motivo e’ manifestamente infondato proprio perche’ la legge regionale sopra richiamata non disciplina e non puo’ disciplinare i rapporti tra privati.
La Corte Costituzionale nella menzionata sentenza, in coerenza con tale principio, ha osservato proprio che al legislatore regionale non e’ consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio e che la disposizione censurata disciplinava la materia condominiale in modo difforme e piu’ severo rispetto a quanto disposto dal codice civile e, in particolare, dagli articoli 1135 e 1138 c.c., che sanciscono che l’assemblea dei condomini non ha altri poteri rispetto a quelli fissati tassativamente dal codice e che non puo’ porre limitazioni alla sfera di proprieta’ dei singoli condomini, a meno che le predette limitazioni non siano specificatamente accettate o nei singoli atti d’acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio.
Nella specie, invece, si e’ verificato esattamente il contrario, ossia che con una delibera condominiale approvata a maggioranza si e’ inteso derogare a pattuizioni liberamente assunte da tutti i proprietari con le quali, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Appello alla volonta’ contrattuale (non censurata sotto il profilo della violazione di canoni di ermeneutica contrattuale) tutti i proprietari si impegnavano a destinare esclusivamente ad abitazione i singoli piani loro assegnati e a non modificare tale destinazione (aggiungendosi l’avverbio categoricamente).
Solo per completezza di argomentazione ulteriormente si osserva che neppure risulta che nel tempo, sino alla contestata deliberazione, questo impegno sia stato interpretato dai condomini, in senso attenuato, ad esempio consentendosi l’uso a ufficio o studio professionale.
In presenza di questa esplicita manifestazione di volonta’, l’unico elemento opposto e’ tratto da una normativa pubblicistica che, come detto e’ del tutto inidonea a disciplinare i rapporti tra privati.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., con riferimento ad alcune affermazioni del giudice di Appello, secondo le quali sarebbe modificata la destinazione economica del bene privato, sussisterebbe un pregiudizio per il condomino proprietario che si vedrebbe ridurre il valore della sua proprieta’, verrebbe snaturato l’utilizzo delle parti comuni delle unita’ immobiliari, in contrasto con l’articolo 1102 c.c..
3.1 Il motivo resta assorbito dalle considerazioni che precedono: posto che secondo la motivazione della Corte di Appello, dai patti speciali dei comproprietari, risultava l’impegno specifico e inderogabile di destinare la proprieta’ ad un uso esclusivamente abitativo e a non modificare tale destinazione e siccome, nell’interpretazione degli accordi, il carattere esclusivo della destinazione abitativa e l’impegno categorico di non modificarla escludeva la possibilita’ dell’esercizio della (pur collaterale) attivita’ di bed and breakfast (che comunque avrebbe costituito una modifica rispetto all’obbligo di destinazione esclusiva), restano irrilevanti le ulteriori considerazioni circa la violazione o meno dell’articolo 1102 c.c. (peraltro riferibili solo agli usi delle parti condominiali) perche’ viene qui in rilievo il patto e non la norma.
4. In conclusione il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17″.
Il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore.
In particolare, le ulteriori difese sviluppate dai ricorrenti nella memoria ex articolo 378 c.p.c., non assumono rilievo alcuno rispetto agli argomenti sviluppati nella relazione in quanto:
– circa la necessita’ di integrazione del contraddittorio, la Corte di appello ha rilevato che non poteva essere messa in discussione la piena vigenza dei patti speciali trattandosi di eccezione inammissibile in quanto svolta per la prima volta in appello, in contrasto con l’articolo 345 c.p.c., e perche’ i patti speciali, stipulati nel 1962, sono opponibili ai condomini in quanto allegati agli atti di divisione immobiliare, costituendo a tutti gli effetti un regolamento condominiale di natura contrattuale valevole tra le parti aventi causa (pag. 6 della sentenza di appello); siccome tale statuizione di inammissibilita’ della contestazione del regolamento impositivo del divieto di destinare le rispettive unita’ immobiliari a bed and breakfast non ha formato oggetto di uno specifico motivo di ricorso, la vigenza dei patti non e’ oggetto di causa, essendo in contestazione solo la legittimita’ della delibera che autorizza cio’ che i patti vietano; e il thema decidendum e’ limitato all’interpretazione del regolamento approvato onde stabilire se quell’uso sia o meno vietato; cio’ esclude la necessita’ dell’integrazione del contraddittorio;
– circa la rilevanza della legge regionale che esclude che il bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d’uso, occorre ribadire che la legge regionale ha finalita’ diverse, relative alla classificazione delle attivita’ (alberghiera o non alberghiera) e non puo’ incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi e reciprocamente si assumono in condomini, in questo caso con un regolamento contrattuale;
– circa l’erronea applicazione del notorio, occorre rilevare che nella specie non si pone un problema di applicazione o meno del fatto notorio, ma un problema di interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, che la Corte di appello ha interpretato nel senso che quel regolamento, violato dalla delibera per cio’ annullata, per la sua formulazione letterale, che vietava in modo in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo non potesse consentire di destinare l’unita’ abitativa a bed and breakfast.
Infatti a pagina 6 della sentenza la Corte di appello ha ritenuto dirimente il richiamo all’articolo 3 dei Patti Speciali che prevede “i proprietari del fabbricato si impegnano sin d’ora a destinare a destinare esclusivamente ad abitazione i singoli piani loro assegnati impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione”.
In nessuno dei tre motivi di ricorso e’ dedotto un specifico vizio inerente all’interpretazione della volonta’ contrattuale espressa con il regolamento contrattuale e alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o un vizio di motivazione, salvo il generico riferimento ad una motivazione apodittica, che compare nel terzo motivo di ricorso, ma con riferimento, nuovamente, ad una violazione di legge, ossia la violazione dell’articolo 1102 c.c..
La norma e’ stata superfluamente richiamata dalla Corte di Appello (posto che la norma si riferisce solo alle parti condominiali e non all’uso della proprieta’ individuale), ma, come esplicitato nella relazione, viene qui in rilievo solo il patto che vincola i condomini a non usare della cosa propria per usi diversi da quello abitativo e la sua interpretazione che non e’ censurata con specificita’.
Con il primo e il secondo motivo di ricorso sono invece dedotte violazioni di leggi regionali che, per le ragioni gia’ illustrate nella relazione, non vengono in rilievo con riferimento ai rapporti privatistici e contrattuali.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dei parametri di cui al Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, seguono la soccombenza dei ricorrenti.
Il presente ricorso e’ stato proposto dopo l’entrata in vigore della Legge n. 228 del 2012, e pertanto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, deve essere dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a pagare al controricorrente (OMISSIS) le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in euro 4.100 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’articolo 1 bis, dello stesso articolo 13.