In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta a seconda che queste ultime siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore o a quella del committente poiché, nel primo caso, l’art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam”, mentre, nel secondo, l’art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all’appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: aspetti generali del contratto di appalto

Tribunale|Firenze|Sezione 3|Civile|Sentenza|9 agosto 2021| n. 2089

Data udienza 7 luglio 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI FIRENZE

SEZIONE TERZA CIVILE

Il Giudice, dott. Dott. Massimo Maione Mannamo, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento n. 18357/2015 R.G. Affari Contenziosi civili dell’anno 2015, avente ad oggetto: “Appalto:”,

VERTENTE

TRA

(…) (C.F. (…)), nato a (…) (P.) il (…), titolare dell’omonima impresa individuale con sede in C. (F.), rappresentato e difeso dall’Avv. Ro.Ca., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Fucecchio (FI), via (…), in forza di procura in calce all’Atto di Citazione;

– Attore –

(…) (C.F. (…)), nato a M. (C.) il (…), residente in E. (F.), via A. n. 6, rappresentato e difeso dall’Avv. Mi.Bi., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Empoli (FI), via (…), giusto mandato in calce alla Comparsa di Costituzione e Risposta;

– Convenuto –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 22.12.2015, (…) ha convenuto in giudizio (…) chiedendone la condanna al pagamento dei corrispettivi dovuti e non corrisposti per lavorazioni edili da egli eseguite su di un immobile di proprietà del committente convenuto, come da contratto intercorso fra le parti.

A sostegno della propria pretesa, la difesa attorea ha allegato:

– che l’accordo originario prevedeva una serie di opere da realizzare a cura dell’impresa edile dell’attore per il corrispettivo di Euro 75.000;

– che era stato raggiunto accordo per ulteriori opere per ulteriori Euro 8.050;

– che in corso d’opera furono forniti all’attore indicazioni di dettaglio nonché l’indicazione di realizzazione di nuove opere ovvero di nuove modalità di esecuzione o diversi materiali;

– che, pertanto, sono state in concreto eseguite lavorazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle pattuite, le quali sono state dettagliate e quantificate dalla relazione di un tecnico di parte, allegata all’atto introduttivo;

– che i lavori sono stati conclusi in data 27.04.2015 e vi fu accettazione senza riserve da parte della committenza;

– che, a fronte del totale da avere per Euro 131.345,73, la committenza ha corrisposto solo Euro 81.000,00;

– che residua pertanto un ulteriore corrispettivo per Euro 50.345,73 di cui chiede la condanna al pagamento, oltre accessori di legge e spese di lite;

In diritto, la difesa attorea ha allegato la natura di contratto d’opera dell’accordo intercorso fra le parti, in quanto l’impresa individuale si sarebbe avvalsa delle prestazioni dell’omonimo titolare, odierno attore, nonché del di lui figlio e del di lui fratello, nonché di un unico dipendente; ha dedotto, infine, quale conseguenza di suddetta qualificazione giuridica, che, in difetto di una previsione analoga a quella di cui all’art. 1659 c.c. per l’appalto, è dovuto integralmente il compenso al prestatore di lavoro per ogni opera ulteriore realizzata.

Si è costituito (…) il quale ha chiesto, nel merito, il rigetto integrale della domanda attorea; in via riconvenzionale, accertato l’inadempimento della parte attrice, ha richiesto la condanna dell’attore al risarcimento dei danni patiti, quantificati in Euro 18.950,00 oltre accessori di legge; con vittoria di spese.

Ha allegato che era stato concluso fra le parti un contratto di appalto chiavi in mano, con indicazione dei prezzi a corpo, per complessivi Euro 75.000,00 oltre Iva, e con l’indicazione del termine del 28.02.2015 per l’immissione in possesso nell’immobile da ristrutturare, vista la scadenza della locazione dell’immobile presso cui abitava all’epoca il convenuto; ha precisato altresì che, attesa la sopravvenuta necessità di ampliare il solaio, fu effettivamente pattuito il 10.12.2014 un ulteriore compenso per Euro 8.050,00 oltre Iva; ha precisato, altresì, di aver integralmente corrisposto quanto pattuito, per complessivi Euro 89.100,00.

Ha quindi eccepito un ingiustificato aumento del quantum della richiesta stragiudiziale dell’attore, lamentando altresì che le lavorazioni non erano state eseguite a regola d’arte, circostanza emersa formalmente fin dal giugno 2015.

In punto di diritto ha dedotto che la corretta qualificazione del contratto intercorso fra le parti sarebbe quella di contratto di appalto a corpo, come indicato sia nel testo del contratto originario, che nell’integrazione del dicembre 2014; ha invocato, pertanto, quanto disposto dall’art. 1659 c.c., il quale esclude il diritto dell’appaltatore alla percezione di ulteriori compensi per variazioni o opere aggiuntive, laddove il prezzo sia stato pattiziamente determinato per l’intera opera a corpo, in difetto di accordo fra le parti, sul punto peraltro neppure allegato.

In merito alla domanda riconvenzionale, ha sostenuto di aver tempestivamente denunciato i vizi occulti riscontrati subito dopo la loro scoperta, aggiungendo che lo stesso attore sarebbe stato al corrente della circostanza, attesa l’attestazione in tal senso da parte del Direttore dei Lavori già all’inizio del giugno 2015; di tali vizi e difformità viene richiesta l’eliminazione a spese dell’appaltatore, ovvero il risarcimento di tutti i danni subiti, anche per i canoni locatizi corrisposti per la soluzione abitativa necessitata dal ritardo nella consegna delle lavorazioni dell’attore, che quantifica in complessivi Euro 18.950,00; con vittoria di spese di lite.

In merito alla spiegata domanda riconvenzionale, la difesa attorea con la prima memoria ha contestato che il contratto fu stipulato “chiavi in mano”, che il termine indicato fosse essenziale, che il compenso fosse immutabile, che i lavori eseguiti presentassero vizi di alcun tipo, eccependo la decadenza dal termine per la relativa denuncia.

La causa, istruita con produzione di documenti, prova per testi ed espletamento di CTU, sulle conclusioni delle parti così come rassegnate a verbale, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 26.1.2021, assegnati i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Il merito della controversia

Preliminarmente, occorre dichiarare la natura di contratto di appalto del contratto intercorso fra le parti.

E invero, sebbene in tema di interpretazione del contratto il codice civile stabilisce che “si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”, il medesimo art. 1362 c.c. al secondo comma prevede che “Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.

Ebbene, dall’analisi del contratto dedotto in giudizio, nonché della sua successiva integrazione, (cfr. doc. 1 e doc. 2 allegati alla Comparsa) emerge chiaramente la natura di contratto di appalto. In primis, è indubbio il dato letterale: il contratto è denominato “accordo preliminare per appalto di ristrutturazione”, divenuto poi l’unico contratto sulla base del quale è stato regolato il rapporto fra le parti, senza addivenire ad un definitivo; parimenti, l’accordo del dicembre 2014 per lavorazioni ulteriori, è denominato “integrazione al contratto di appalto”.

Quanto poi al comportamento complessivo delle parti, nonché agli ulteriori elementi da valutarsi, si evidenzia come la fattispecie concreta in esame presenti tutti i caratteri di un appalto e non già di un contratto di prestazione d’opera: la materia per il compimento dell’opera commissionata è stata fornita dall’appaltatore, salvo diversa espressa pattuizione scritta nei contratti sopra indicati, in ossequio al disposto dell’art. 1658 c.c.; l’impresa attrice si è assunta l’organizzazione dei mezzi e la gestione dei rischi; inoltre, è dato pacifico in causa che nel caso di specie sia stata presente la figura del Direttore dei Lavori per la committenza; si aggiunga poi, quanto al corrispettivo, che lo stesso era stato espressamente e testualmente pattuito “a corpo”, nonché la modalità di pagamento era sostanzialmente a ‘stati di avanzamento lavori’, tipica della suddetta tipologia contrattuale.

Ab abundantiam, si evidenzia come la qualificazione giuridica di tale accordo come contratto di appalto sia stata effettuata anche dallo stesso legale di parte attrice nella missiva di invito alla stipula di un accordo di negoziazione assistita, allegato in atti, ove espressamente è indicato che la controversia è relativa ad un credito dovuto “quale corrispettivo dell’appalto descritto nelle fatture” – cfr. doc. 5 allegato alla Comparsa.

Ne consegue l’applicazione della normativa codicistica del contratto di appalto, soprattutto con riferimento alle lavorazioni ulteriori ed alle modifiche di cui è richiesta in questa sede il pagamento integrativo – cfr. artt. 1659-1660-1661c.c. su variazioni concordate, necessitate, ordinate.

Le variazioni oggetto del presente contenzioso non rientrano tra quelle in cui è l’appaltatore ad assumere l’iniziativa a procedere alla variante del progetto con la conseguenza che necessita l’autorizzazione scritta del committente ex art. 1659 c.c., bensì trattasi di variazioni ordinate dalla committenza a norma dell’art. 1661 c.c.

L’art. 1661 c.c. prevede che: “Il committente può apportare variazioni al progetto, purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto. L’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente”.

Sul punto è chiara l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità: “In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta a seconda che queste ultime siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore o a quella del committente poiché, nel primo caso, l’art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam”, mentre, nel secondo, l’art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all’appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente. (Nella specie, sul presupposto che la disciplina contrattuale ricalcava quella del codice civile agli artt. 1659 e 1661 c.c., la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia nella corte d’appello che si era limitata a prendere atto della mancanza di autorizzazione scritta, mentre avrebbe dovuto verificare se le variazioni fossero state o meno autorizzate dalla committente e assumere al riguardo le prove ritualmente dedotte dall’appellante)” – cfr. Cass. civ., Sez. 2, Sentenza n. 32989 del 13/12/2019, Rv. 656315 – 01; ma già anche Cass. civ., Sez. 2, Sentenza n. 19099 del 19/09/2011, Rv. 619188 – 01.

Ebbene, nella fattispecie l’onere della prova gravante su parte attrice è stato assolto per il tramite delle deposizioni testimoniali.

E infatti, a verbale dell’udienza del 23.05.2019, il teste (…), il quale ha sì uno stretto legame di parentela con l’odierno attore ma lo stesso ha riferito su fatti oggettivi da lui direttamente percepiti e pertanto si ritiene attendibile sul punto, ha dichiarato: “Sì, è vero, so della circostanza in quanto lavoravo come muratore/manovale per mio padre; gli interventi di cui alla documentazione che mi viene esibita “li ricordo a memoria”.

Il teste ha aggiunto “L’incarico venne conferito dal M.; posso dirlo per essere stato sempre presente in cantiere dall’inizio dei lavori e sino alla fine”.

D’altra parte, quanto ad eventuali profili di inattendibilità del teste in quanto parente di parte attrice, si rammenta che è stato affermato che “in materia di prova testimoniale, non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell’attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 cod. proc. civ. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato dai uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell’esistenza dei detti vincoli con le parti”(Cass. n. 4202/2011; Cass. n. 12365/2006; Cass. n. 1109/2006).

Si aggiunga che la testimonianza del teste è stata riscontrata dalle risultanze cui è prevenuto il CTU in corso di causa in ordine a lavori “aggiuntivi” a quelli elencati nei due contratti scritti stipulati dalle parti(cui ci si soffermerà infra), sì che può ritenersi provato non solo che tali lavori siano stati realizzati, ma che lo siano stati- anche in considerazione dell’elemento presuntivo della loro consistenza – sull’accordo delle parti.

Ne consegue il diritto al compenso dell’appaltatore, per le lavorazioni ulteriori eseguite – L’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente art. 1661 c.c..

Alla luce delle risultanze della CTU disposta in corso di causa, emerge come le opere commissionate in variazione siano superiori al limite del sesto, legislativamente previsto.

Si ritiene tuttavia che tale circostanza non sia dirimente, in quanto le variazioni sono state accettate e effettivamente realizzate dall’appaltatore.

Infatti, ove le variazioni richiesti superino il sesto del contratto stipulato, come nel caso di specie, all’appaltatore è riconosciuta la facoltà di opporsi a tale ordine; cosa che non è avvenuta nel caso in questione.

E infatti, applicando il principio generale espresso anche, in altro ambito, dall’art. 1327 c.c., l’appaltatore ha dato pronta esecuzione a quanto richiesto, realizzando le relative opere commissionate anche oltre il limite del sesto, conseguentemente accettando la circostanza e dando implicita esecuzione all’accordo mediante diretta esecuzione.

È così accertato il diritto dell’appaltatore, odierno attore, al corrispettivo per le variazioni eseguite, ordinate dalla committenza.

Sul punto della quantificazione, occorre fare riferimento alla relazione del Consulente tecnico incaricato dall’Ufficio, le cui conclusioni vengono fatte proprie da questo giudicante perché chiare, dettagliante, congruamente e logicamente argomentate, nonché puntuali, anche nella risposta alle eccezioni sollevate dai CTP.

È pertanto dovuto all’impresa (…) il corrispettivo, ulteriore, di Euro 21.063,90 oltre IVA come per legge.

Su tale cifra sono dovuti interessi al tasso legale a decorrere dal 27.04.2015, data ufficiale di fine lavori.

2) La domanda riconvenzionale per vizi

La domanda non può essere accolta.

Preliminarmente occorre precisare come non colga nel segno l’eccezione attorea di decadenza dall’invocata garanzia per vizi.

Alla luce dell’eccezione di tardività della denuncia, operata in sede di prima memoria dall’attore in risposta alla formulata domanda riconvenzionale, si osserva quanto segue.

Effettivamente, il doc. 6 di parte convenuta del 04.06.2015 non è idoneo a provare la tempestività della denuncia, in quanto, pur volendo sorvolare sul difetto di prova dell’effettivo inoltro di tale missiva, la stessa non è formulata da soggetto dotato della rappresentanza del committente e quindi dei relativi poteri, essendo la stessa formulata dal Direttore dei Lavori. E infatti il direttore dei lavori non è un rappresentante del committente, se non nei limiti della materia strettamente tecnica: qualora, dunque, impartisca all’appaltatore ordini che esulano dai suoi poteri rappresentativi, si verte nella tipica ipotesi del falsus procurator (art. 1398 c.c.), con la conseguenza che le dichiarazioni rese dal rappresentante senza poteri non vincolano in alcun modo il soggetto falsamente rappresentato.

Al contempo, però, il doc. 7 di parte convenuta contiene idonea prova di tempestiva denuncia dei vizi lamentati; infatti, trattasi di missiva spedita dal rappresentante tecnico del committente, il difensore legale, al rispettivo avvocato dell’appaltatore odierno attore, ove vengono denunciati taluni vizi delle opere oggetto del presente giudizio; vi è, inoltre, prova del regolare invio via fax in data 8 giugno 2015 ore 11:53.

La denuncia dei vizi è dunque tempestiva.

Occorre però vagliare la fondatezza dell’eccezione formulata dalla difesa attorea in prima memoria, laddove si allega che i vizi, lungi dal potersi qualificare come occulti, erano già palesi alla data di fine lavori del 27 aprile 2015.

Se così fosse, l’accettazione espressa dell’opera da parte del committente, ovvero il mancato esercizio del diritto di verifica dell’opera compiuta, importa ex art. 1665 c.c. il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo, senza che il committente possa opporgli eventuali vizi o difformità dell’opera, appunto, da lui accettata – cfr. art. 1667 c.c..

Analizzando la missiva di cui al doc. 7 emerge come i vizi ivi denunciati siano ictu oculi non occulti.

Trattasi, infatti, di: mancata sostituzione delle docce in rame; tonalità di uno scalino in travertino; difetto di intonacazione di parte di gronda del tetto; nonché di controversia circa il soggetto tenuto al pagamento della ringhiera del terrazzo.

I vizi che si invocano sono chiaramente rilevabili, non solo da parte di un soggetto tecnico, bensì anche dal quisque de populo, inerenti ad allegate difformità emergenti dalla semplice osservazione dell’opera; peraltro, tutti afferiscono ad elementi esterni all’immobile, neppure richiedendo quindi di fare ingresso nello stesso per poter essere individuati e percepiti alla vista.

Di conseguenza, poiché il committente non ha sollevato eccezioni al momento della fine dei lavori, così accettando implicitamente l’opera, non vi può essere luogo ad alcuna garanzia per vizi, nella fattispecie.

Quanto poi agli ulteriori vizi lamentati di cui alla relazione tecnica di parte del 21 marzo 2016, non vi è prova di alcuna tempestiva denuncia in tal senso, anche laddove i vizi potessero essere effettivamente qualificati come occulti; è infatti pacifico che la relazione tecnica sia addirittura dell’anno successivo rispetto alla fine dei lavori, e quindi sarebbe maturata ogni decadenza sul punto.

Quanto poi agli ulteriori vizi di cui alla ulteriore perizia integrativa predisposta dal medesimo tecnico di parte ed allegata sub doc. (…), allegata alla seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., è palese l’inammissibilità della relativa deduzione ed allegazione, in quanto tardiva; infatti, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, le precisazioni ed integrazioni delle domande svolte dalle parti possono essere formulate, laddove non si risolvano in una modifica della domanda, fino alla prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. – cfr. Cass. civ., SS.UU., Sentenza n. 12310 del 15/06/2015, Rv. 635536 – 01.

Per le medesime ragioni, le deduzioni svolte dalla convenuta in seconda memoria inerenti le macerie abbandonate sul fondo di proprietà e i relativi accertamenti dell’Autorità, sono irrimediabilmente tardive e, in quanto tali, inammissibili.

Quanto al richiesto risarcimento, in via riconvenzionale, per il ritardo nella conclusione dei lavori, lo stesso non può essere concesso.

Invero, in disparte ogni questione circa l’essenzialità o meno del termine pattuito, ovvero della successiva tacita accettazione o meno dello stesso da parte del committente, la ragione più liquida impone di rigettare la domanda in difetto di qualsivoglia prova circa il danno effettivamente subito dall’odierno convenuto.

Il convenuto, pur allegando la circostanza di aver dovuto sostenere l’esborso di canoni di locazione per due mensilità per far fronte alla propria necessità abitativa nel periodo intercorrente fra la data contrattualmente pattuita e l’effettiva dichiarazione di fine lavori, nulla deduce né prova circa l’effettiva stipula di contratto di locazione ad uso abitativo né circa l’effettivo ammontare di quanto asseritamente pagato.

La domanda riconvenzionale, pertanto, dovrà essere irrimediabilmente rigettata.

3) Sulle spese di lite

Le spese di lite seguono il principio della soccombenza.

Attesa la reciproca parziale soccombenza (parte convenuta è soccombente circa la formulata domanda riconvenzionale e riguardo a parte della domanda attorea; parte attrice è soccombente in quanto la domanda viene accolta in misure inferiore alla metà), si giustifica una parziale compensazione delle spese di lite, nella misura del 50% (1/2), ex art. 92 comma 2 c.p.c..

Il residuo 50% deve essere posto a carico di parte convenuta in ragione del sostanziale accoglimento delle ragioni attoree, seppure in misura quantitativamente differente.

Le spese di lite sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, così come parzialmente modificato dal D.M. n. 37 del 2018, avuto riguardo al valore della causa (scaglione da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00, in valori superiori ai medi in ragione del valore della causa prossimo ai massimi di scaglione – importo liquidato pari ad Euro 21.063,90 oltre Iva ed accessori di legge)- nonché all’attività defensionale espletata.

Quanto alle spese di CTU, queste graveranno per intero sul convenuto, essendosi il mezzo istruttorio resosi necessario in ragione del comportamento processuale ostruzionistico tenuto dalla parte.

P.Q.M.

Il Tribunale di Firenze, III Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra e contraria istanza disattesa, così provvede:

1) Condanna (…) al pagamento, in favore di (…), Impresa Individuale, della somma di Euro 21.063,90 oltre Iva ed interessi legali a decorrere dal 27.04.2015 al saldo, a titolo di corrispettivo per le ulteriori opere di appalto commissionate;

2) Rigetta la domanda riconvenzionale;

3) Compensa nella misura del 50% le spese processuali tra le parti;

4) Condanna (…) al pagamento, in favore di (…), del residuo 50% (1/2) delle spese di lite, che si liquidano per l’intero (100%; 2/2) in complessivi Euro 550 per esborsi, Euro 8.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA, come per legge;

5) Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU liquidate come da separato decreto.

Così deciso in Firenze il 7 luglio 2021.

Depositata in Cancelleria il 9 agosto 2021.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: aspetti generali del contratto di appalto

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.