In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale e’ doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinche’ siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo.
Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|27 luglio 2022| n. 23471
Data udienza 21 aprile 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUBINO Lina – Presidente
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere
Dott. SAJIA Salvatore – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27315/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), difeso da se’ stesso ex articolo 86 c.p.c. e domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende come da procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4440/2019, depositata il 2.7.2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21.4.2022 dal Consigliere Dott. Salvatore Saija.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) propose opposizione all’esecuzione, ex articolo 615 c.p.c., comma 1, in relazione al precetto notificatogli dall’avv. (OMISSIS), per il pagamento di un credito da questi vantato nei confronti di (OMISSIS), padre di esso opponente, frattanto deceduto; il credito era portato da decreto ingiuntivo richiesto ed emesso direttamente nei confronti dell’erede, che pure l’aveva opposto ex articolo 645 c.p.c. in separato giudizio. Il Tribunale di Roma rigetto’ l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, proposta dall’intimato; istruita conseguentemente la causa, con sentenza n. 2056/2019, il Tribunale prese atto della revoca del decreto ingiuntivo frattanto disposta nel giudizio ex articolo 645 c.p.c. (revoca confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 8125/21, come segnalato da (OMISSIS) nella memoria ex articolo 380-bis1 c.p.c.), e dichiaro’ conseguentemente cessata la materia del contendere, compensando le spese di lite. L’avv. (OMISSIS) propose appello avverso detta sentenza, contestando la statuizione sulla compensazione delle spese di lite, nonostante il primo giudice avesse comunque accertato la soccombenza virtuale dell’opponente. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4440/19 del 2.7.2019, rigetto’ il gravame perche’ infondato, rilevando che il (OMISSIS) non poteva dirsi soccombente, neppure virtualmente, in quanto la sopravvenuta caducazione del titolo aveva determinato l’invalidita’ successiva del precetto opposto (benche’ per altri motivi), con la conseguenza che l’opposizione avrebbe dovuto essere in realta’ accolta; tuttavia – ha proseguito il giudice d’appello – poiche’ sulla declaratoria di cessazione della materia del contendere s’era formato il giudicato, la statuizione sulla compensazione era comunque da confermare, per essersi il precetto rivelato illegittimo.
Avverso detta sentenza ricorre ora per cassazione (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso (OMISSIS), che ha pure depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo, si lamenta violazione degli articoli 99, 100, 101, 112, 275 e 615 c.p.c., in relazione agli articoli 645 e 649 c.p.c., per non avere il giudice di merito ritenuto la soccombenza virtuale dell’opponente, stante l’identita’ dei motivi di opposizione al precetto e all’ingiunzione, per non aver tenuto conto di cio’ ai fini del governo delle spese, ed ancora per aver il primo giudice dichiarato d’ufficio la cessazione della materia del contendere senza provocare, sul punto, il contraddittorio tra le parti.
1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli articoli 99, 100, 112, 163 e 615 c.p.c., nonche’ dell’articolo 111 Cost., giacche’ il giudice del merito, attribuendo una inammissibile rilevanza alla sopravvenuta caducazione del titolo, ha sostanzialmente consentito all’opponente di immutare i motivi di opposizione all’esecuzione, e cio’ inammissibilmente. Osserva il ricorrente che la Corte d’appello, nel dar rilievo all’intervenuta caducazione del titolo, lo ha fatto traendo l’implicazione di una soccombenza sostanziale dell’opposto, anziche’ limitarsi a verificare se i motivi di opposizione, per come proposti e riguardo all’epoca della proposizione, fossero fondati o meno, ai fini della valutazione della soccombenza virtuale.
1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli articoli 92, 100 e 112 c.p.c., per non aver la Corte romana esaminato il motivo d’appello con cui si era censurata la prima decisione, che – pur riconoscendo che l’opponente non doveva introdurre, oltre all’opposizione all’ingiunzione, anche l’opposizione a precetto – sanzionava le conclusioni di esso ricorrente, che aveva sollecitato la pronuncia di inammissibilita’ dell’opposizione, compensando senza motivo le spese del giudizio.
1.4 – Con il quarto motivo, infine, si denuncia violazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4 e s.m.i., nonche’ del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 60, comma 4, ed ancora dell’articolo 132 c.p.c., per aver la Corte d’appello condannato esso ricorrente alle spese di lite del giudizio di secondo grado in misura pari ad Euro 3.777,00, anziche’ ad Euro 1.020,00 (avuto riguardo alle sole attivita’ espletate dal difensore del (OMISSIS), ossia lo studio della controversia e la redazione della comparsa di risposta), come da valori medi per la fascia compresa tra Euro 1.000,00 e 5.000,00, senza minimamente motivare sullo scostamento in aumento.
2.1 – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per pretesa mancanza di firma digitale da parte dell’avv. (OMISSIS), che si difende da se’. Infatti, ad onta della equivoca dichiarazione del ricorrente nell’ambito dell’attestazione di conformita’, posta in calce al ricorso, dall’esame dell’originale dell’atto – inserito nel fascicolo di parte e, quindi, nel fascicolo d’ufficio di questo giudizio di legittimita’ – risulta che il ricorso stesso non e’ nativo digitale, ma analogico, tanto da essere stato firmato di pugno dal (OMISSIS), sicche’ e’ logico ritenere che questi abbia notificato telematicamente al (OMISSIS) una copia in pdf del ricorso stesso; l’adempimento che dunque si rende necessario, in tal caso, e’ l’asseverazione ai sensi dell’articolo 16-bis, comma 9-bis, nonche’ del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-undecies, comma 1, conv. in L. n. 221 del 2012, che risulta regolarmente effettuata (cumulativamente alla relazione di notificazione ex lege n. 53 del 1994), come appunto risulta dall’esame del ricorso in originale.
2.2 – Stessa sorte segue anche l’eccezione concernente la pretesa nullita’ della notificazione, per non essere conforme a quanto disposto dalla L. n. 53 del 1994, articolo 3 bis e dal Decreto Ministeriale 28 dicembre 2015.
In proposito, e’ sufficiente evidenziare che ogni profilo di eventuale nullita’ risulta comunque superato dalla notifica del controricorso da parte di (OMISSIS), sicche’ la pretesa invalidita’ resta sanata per il principio di raggiungimento dello scopo, ex articolo 156 c.p.c., comma 3.
3.1 – Cio’ posto, i primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente, stante l’intima connessione.
3.2 – Al riguardo, va in primo luogo disattesa l’ulteriore eccezione di inammissibilita’, sollevata dal (OMISSIS), che cio’ postula al lume del giudicato interno formatosi sulla declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Invero, cio’ di cui il ricorrente essenzialmente si lamenta, con i mezzi in esame, e’ che la Corte d’appello, pur vincolata dal giudicato stesso, non abbia ritenuto di dover applicare il criterio della soccombenza virtuale, ai fini del regolamento delle spese, ma abbia invece valorizzato un criterio di soccombenza sostanziale o effettiva, stante la sopravvenuta illegittimita’ del precetto opposto, seppur per altre ragioni. E’ quindi evidente che la definitivita’ della statuizione finisce col costituire il presupposto del nucleo centrale delle doglianze del (OMISSIS), sicche’ l’eccezione non coglie nel segno.
3.3 – E’ invece inammissibile la censura inerente alla dedotta violazione dell’articolo 101 c.p.c., per aver il Tribunale rilevato d’ufficio la cessazione della materia del contendere, anziche’ provocare, sul punto, il contraddittorio. A prescindere da ogni altra considerazione, dalla lettura del ricorso non risulta, infatti, che la questione stessa fosse stata proposta dal (OMISSIS) al giudice d’appello, donde l’inammissibilita’ per novita’.
3.4 – Venendo finalmente all’esame, nel merito, dei primi tre motivi (ut supra sfrondati), essi non possono trovare accoglimento, benche’ si renda necessaria la correzione della motivazione della sentenza impugnata, ex articolo 384 c.p.c., u.c.
Infatti, la Corte d’appello ha sostanzialmente affermato che – pur sussistendo il giudicato di cessazione della materia del contendere – la relativa statuizione di primo grado era erronea, giacche’ la revoca del decreto ingiuntivo azionato in executivis avrebbe dovuto comportare, in realta’, l’accoglimento dell’opposizione a precetto. Piu’ in dettaglio, la Corte romana ha sostenuto che “il (OMISSIS) non puo’ dirsi soccombente, neppure virtuale”, sicche’, stante l’illegittimita’ del precetto (e, puo’ aggiungersi, stante anche la mancata impugnazione della sentenza di primo grado da parte del (OMISSIS) stesso, sul punto), la relativa statuizione sulla compensazione delle spese meritava di essere confermata.
Ora, e’ noto che, assai di recente, la querelle sulla questione degli effetti della caducazione del titolo esecutivo sull’opposizione all’esecuzione pendente e’ stata affrontata risolutivamente da Cass., Sez. Un., n. 25478/2021, che – a composizione di un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’, di cui v’e’ eco anche nel corpo della sentenza impugnata – ha affermato il seguente principio di diritto: “In caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione (nella specie: ordinanza di convalida di sfratto successivamente annullata in grado di appello) importa che il giudizio di opposizione all’esecuzione per altri motivi proposto vada definito con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, e non gia’ di accoglimento dell’opposizione, e le spese processuali regolate, per conseguenza, secondo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare unicamente in relazione agli originari motivi di opposizione” (conf., Cass. n. 9899/2022).
E’ quindi evidente che la Corte d’appello ha errato nel rendere l’affermazione sopra riportata, perche’ – fermo il giudicato di cessazione della materia del contendere, peraltro del tutto corretto (contrariamente a quanto opinato non solo dalla Corte, ma dallo stesso ricorrente, seppur sotto diverse angolazioni) – essa avrebbe dovuto verificare se i motivi di opposizione all’esecuzione, come originariamente proposti dal (OMISSIS), fossero ammissibili e fondati, oppure no, ai fini della valutazione della soccombenza virtuale.
3.5 – Tanto, pero’, non consente l’accoglimento del ricorso, sufficiente essendo, come gia’ anticipato, la mera correzione della motivazione, nel senso sopra esposto, ed anche per quanto infra.
La Corte d’appello, infatti, ha finito col confermare la statuizione sulla compensazione delle spese come operata dal Tribunale, che da un lato aveva tenuto conto della soccombenza virtuale del (OMISSIS) (affermando esplicitamente che l’opposizione proposta, ove decisa nel merito, sarebbe stata dichiarata inammissibile), e dall’altro aveva valorizzato il contegno processuale del (OMISSIS) che – pur a fronte dell’intervenuta revoca del decreto ingiuntivo azionato – aveva insistito perche’ fosse comunque pronunciato il rigetto dell’opposizione.
Il dispositivo, dunque, e’ conforme a legge.
Infatti, cio’ di cui si duole l’odierno ricorrente, nella sostanza, e’ il preteso malgoverno, da parte dei giudici di merito, del disposto dell’articolo 92 c.p.c., che – nel testo modificato dal Decreto Legge n. 132 del 2014, articolo 13, comma 1, del conv. in L. n. 162 del 2014 – e’ stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. n. 77/2018, “nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre gravi ed eccezionali ragioni”; malgoverno che, pero’, non puo’ nel complesso dirsi sussistente.
Sostiene al riguardo il (OMISSIS) che, anche a seguito del citato intervento del giudice delle leggi, l’articolo 92 c.p.c. consente l’integrale compensazione delle spese solo nel caso di soccombenza reciproca, di assoluta novita’ della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza sulle questioni dirimenti, ovvero in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate dal giudice, cio’ che difetterebbe nel caso di specie. Da qui, specialmente col terzo mezzo, il ricorrente deduce la (sola) violazione di legge, espressamente dichiarando (p. 16) di non voler denunciare, in questa sede, i pur sussistenti profili di illogicita’ della motivazione adottata dal primo giudice, solo incidentalmente trattati dalla Corte d’appello.
Al riguardo, premesso che l’interpretazione dell’articolo 92 c.p.c., come propugnata dal ricorrente, trova riscontro nella giurisprudenza di legittimita’ (si vedano, Cass. n. 3977/2020, nonche’ Cass. n. 1950/2022), ritiene la Corte che la conferma della disposta compensazione, come operata dal giudice d’appello, sia in definitiva corretta, perche’ effettivamente il Tribunale aveva indicato le specifiche ragioni per cui, pur a fronte della soccombenza virtuale del (OMISSIS), le spese andavano regolate nel senso prima riportato. L’improprio riferimento operato dalla Corte romana alla illegittimita’ del precetto, dunque, dev’essere anch’esso opportunamente emendato, ex articolo 384 c.p.c., u.c., considerando che il Tribunale aveva effettivamente motivato sulla ripetuta questione, contrariamente all’assunto del (OMISSIS).
E’ quindi evidente che, nella specie, non e’ prospettabile alcuna violazione dell’articolo 92 c.p.c., avendo nella sostanza il giudice del merito motivato sulla sussistenza di “gravi ed eccezionali ragioni” (diverse da quelle riportate dalla citata disposizione, nel testo antecedente alla descritta declaratoria di illegittimita’ costituzionale), e non essendosi censurata, in questa sede, la tenuta della relativa motivazione, nei termini in cui il vizio motivazionale e’ ancora prospettabile (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014).
4.1 – Infine, anche il quarto motivo e’ infondato.
E’ ampiamente ricevuto l’insegnamento di questa Corte secondo cui “In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale e’ doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinche’ siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo” (Cass. n. 89/2021; conf., Cass. n. 19989/2021).
Pertanto, poiche’ l’importo complessivamente liquidato dalla Corte d’appello per compensi in favore del (OMISSIS) (Euro 3.777,00) rientra ampiamente nell’ambito del parametro massimo dello scaglione di riferimento, ossia da Euro 1.101,00 a 5.200,00, nonche’ considerando che il ricorrente non ha adeguatamente censurato la decisione (gia’ sotto il profilo dell’allegazione e dell’autosufficienza del ricorso, anche per quanto disposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6) circa il mancato espletamento di tutte le fasi processuali valorizzate dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 e succ. modd., la doglianza non puo’ trovare accoglimento.
5.1 – In definitiva, il ricorso e’ rigettato, previa correzione della motivazione, ut supra. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
E’ infine rigettata la domanda di condanna ex articolo 96 c.p.c. avanzata dal controricorrente, giacche’ il ricorso non reca i caratteri della temerarieta’, tanto da essersi resa necessaria la correzione della motivazione della sentenza impugnata.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), puo’ darsi atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Rigetta la domanda proposta da (OMISSIS) ex articolo 96 c.p.c.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.