il compratore ha azione contrattuale solo ed esclusivamente nei confronti del proprio dante causa diretto, cioè del proprio venditore, e non può agire, a livello contrattuale, nei confronti degli altri anelli della catena di vendita (produttore e/o importatore) Ai sensi del successivo art. 131, tale responsabilità è in toto in capo al venditore finale, al quale, nelle ipotesi di responsabilità nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, è attribuito diritto di regresso, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva. Del resto ciò trova indiretta conferma nella previsione di cui all’art. 131 D.Lgs. 206/05 (TU Consumo) in materia di regresso del venditore finale nei confronti del produttore o di altro soggetto intermedio della filiera. Ne discende che il compratore può far valere la responsabilità da prodotto difettoso nei confronti del venditore, il quale è tenuto a risponderne, salvo possibilità di agire in regresso per il recupero di quanto condannato a pagare. La Cassazione in proposito ha precisato che l’azione di manleva può essere promossa dal venditore anche con chiamata del terzo nel processo intentato contro di lui dal consumatore e anche prima che abbia adempiuto nei confronti di quest’ultimo. La norma de qua, inoltre, contempla espressamente la possibilità che il terzo indicato come produttore o precedente fornitore possa essere chiamato nel processo ex art. 106 cpc e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata compare e non contesta l’indicazione.
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Tribunale|Pisa|Civile|Sentenza|6 giugno 2022| n. 752
Data udienza 6 giugno 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Pisa
Il Tribunale di Pisa – sezione unica civile, in composizione monocratica e nella persona del Giudice dott.ssa Iolanda Golia, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 1894 del Ruolo Generale dell’anno 2014 avente ad
oggetto: risarcimento danni
vertente
TRA
XXXXX XXXXX rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dagli avv.ti (…) come da procura a margine dell’atto di citazione
ATTORE
E
XXXXX, corrente in XXXXX (XXXXX) XXX , XXXXX, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, geom. XXXXXX, rappresentata e difesa dall’Avv. (…) come da procura in atti
CONVENUTA
NONCHÉ’
XXXXXX Codice Fiscale e Partita IVA n. XXXXX rappresentata e difesa dagli Avv.ti (…) come da procura in atti
TERZA CHIAMATA
E
XXXXXX rappresentata e difesa dall’avv. (…) come da procura in atti
TERZA CHIAMATA CONCLUSIONI DELLE PARTI
Le parti concludevano come da note scritte depositate per l’udienza del 10.02.2022 tenuta in forma cartolare
SENTENZA
Con atto di citazione che reca in calce la data del 17 marzo 2014, XXXXX XXXXX, titolare dell’omonima ditta, conveniva avanti il Tribunale di Pisa la ditta XXXXX per l’accertamento della responsabilità per il sinistro occorso all’attore in ragione dello scoppio della caldaia a marca XXXXXX, matricola G7VH2050693 in occasione della sua prima accensione, in quanto ritenuta viziata e non conforme, fornita dallo stesso convenuto all’attore, e per la condanna al risarcimento dei danni subiti patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in Euro 141.068,70, nei limiti del c.d. danno differenziale trattandosi di infortunio sul lavoro, oltre interessi e rivalutazione dal giorno del sinistro al saldo.
La XXXXX si costituiva in giudizio contestando la domanda attorea ed eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione passiva, essendo essa il soggetto che si era limitato a porre in vendita il prodotto in questione, e chiedendo perciò l’immediato rigetto della domanda attorea spiegata nei suoi confronti, con vittoria di spese, compensi ed accessori di legge.
La convenuta chiedeva altresì, in difetto di immediata estromissione dal giudizio, di essere autorizzata alla chiamata del terzo ovvero di XXXXX, in persona del suo legale rapp.te, quale produttore del bene in questione, affinché quest’ultima in denegata ipotesi di accoglimento totale o parziale della domanda attorea fosse tenuta a rispondere degli eventuali danni e delle spese riconosciuti all’esito del giudizio.
Nel merito la convenuta contestava integralmente la domanda dell’attore, ritenendola comunque infondata in fatto ed in diritto, sia in punto di an sia di quantum, ed insisteva per il suo rigetto.
Autorizzata la chiamata in causa della XXXXX, questi si costituiva e chiedeva in via preliminare di rigettare la domanda di estromissione dal giudizio avanzata dalla convenuta, in quanto inammissibile e, assumendo l’incompatibilità tra la domanda principale e la subordinata proposta dalla convenuta XXXXX srl nei confronti di XXXXX, di dichiarare inammissibile e quindi rigettare la domanda avanzata in via subordinata da XXXX nei confronti di XXXXX. Chiedeva, altresì, di essere autorizzata ad evocare in giudizio la compagnia di Assicurazioni XXXX SpA, per essere manlevata dalle richieste risarcitone avanzate nei suoi confronti.
In via principale e nel merito chiedeva comunque il rigetto delle richieste risarcitone perché infondate in fatto ed in diritto.
Autorizzata la chiamata in causa della compagnia assicurativa, si costituiva XXXX Spa chiedendo il rigetto della domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto.
Concessi i termini di cui all’art. 183 co. VI cpc la causa veniva istruita mediante ctu tecnica finalizzata ad accertare le caratteristiche della caldaia, le cause dello scoppio e la presenza o meno di eventuali difetti di fabbricazione e ctu medica.
Esaurita l’istruttoria, le parti precisavano le conclusioni all’udienza del 10.02.2022 tenuta in forma cartolare e il Giudice tratteneva la causa in decisione con i termini di cui all’art. 190 cpc.
Così brevemente ricostruiti i fatti e lo svolgimento del giudizio appare opportuno in via preliminare ricordare che il compratore ha azione contrattuale solo ed esclusivamente nei confronti del proprio dante causa diretto, cioè del proprio venditore, e non può agire, a livello contrattuale, nei confronti degli altri anelli della catena di vendita (produttore e/o importatore): sul punto la giurisprudenza è consolidata (tra le tante, cfr. Cass. 11612/05: “Cass., II sez., 5 febbraio 2015, n. 2115, Cass. 26514/09. Ai sensi del successivo art. 131, tale responsabilità è in toto in capo al venditore finale, al quale, nelle ipotesi di responsabilità nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, è attribuito diritto di regresso, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva.).
Del resto ciò trova indiretta conferma nella previsione di cui all’art. 131 D.Lgs. 206/05 (TU Consumo) in materia di regresso del venditore finale nei confronti del produttore o di altro soggetto intermedio della filiera. Ne discende che il compratore può far valere la responsabilità da prodotto difettoso nei confronti del venditore, il quale è tenuto a risponderne, salvo possibilità di agire in regresso per il recupero di quanto condannato a pagare. La Cassazione in proposito ha precisato che l’azione di manleva può essere promossa dal venditore anche con chiamata del terzo nel processo intentato contro di lui dal consumatore e anche prima che abbia adempiuto nei confronti di quest’ultimo.
La norma de qua, inoltre, contempla espressamente la possibilità che il terzo indicato come produttore o precedente fornitore possa essere chiamato nel processo ex art. 106 cpc e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata compare e non contesta l’indicazione.
È, dunque, proprio il dettato normativo a contemplare la possibilità, da un lato, che il rivenditore chieda l’estromissione dal processo in cui intervenga su sua chiamata il produttore e, dall’altro, a qualificare siffatta chiamata come in garanzia mediante l’esplicito richiamo all’art. 106 cpc.
Ebbene, spettando al giudice la qualificazione delle domande, non c’è dubbio che il convenuto abbia inteso chiamare in garanzia il terzo XXXX, garanzia che deve evidentemente qualificarsi come impropria.
Le pronunce di legittimità, che hanno costantemente richiamato la distinzione tra garanzia propria (personali quali la fideiussione e reali quali la garanzia per evizione) e garanzia impropri(che comportano un semplice collegamento a causa di ragioni di fatto economiche), l’hanno fondata sulla circostanza per cui in queste ultime non vi è l’unicità del titolo (come proprio nella vendita a catena, in cui l’acquirente agisce contro il venditore ed il venditore contro il fornitore o il produttore).
Nel caso in esame non sembra palesarsi nessuna incompatibilità tra domande spiegate dall’attore e quella del convenuto, il quale evidentemente ha inteso chiedere di rimanere indenne dalla domanda proposta in citazione in virtù di detto rapporto di garanzia e non a richiedere un’estensione della domanda attorea nei confronti del terzo chiamato produttore.
In particolare tale domanda si evince proprio dalle conclusioni formulate dal convenuto lette in combinato disposto con l’atto di citazione. Infatti, il convenuto concludeva in via subordinata affinché “in denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea accertare e dichiarare tenuta al risarcimento degli eventuali danni e delle spese statuiti in favore del sig. XXXXXXXXXX, la terza chiamata ovvero la XXXXX, in persona del legale rappresentante”.
Tanto chiarito, la responsabilità da prodotto difettoso che trova il proprio referente normativo negli artt. 114 e ss Cod. Cons. Titolo II, Parte IV del Codice del Consumo, finalizzati ad assicurare una tutela più efficace ai consumatori, fornendo una normativa più favorevole rispetto all’intero complesso del sistema giuridico interno sotto diversi profili (onere della prova, termine prescrizionale più lungo, ampliamento del numero delle figure rientranti nella categoria di “soggetto responsabile”). La responsabilità da prodotto difettoso, infatti, ha natura presunta, prescindendo dall’accertamento della colpevolezza del produttore, e incombe sul soggetto danneggiato – ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall’8 del d.P.R. n. 224 del 1988 – la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e sul produttore la prova liberatoria.
Ebbene, l’attore ha assolto l’onere probatorio sullo stesso gravante e l’istruttoria espletata ha confermato la prospettazione attorea secondo cui la caldaia presentava anomalie tali da renderla difettosa. L’attore, infatti, ha allegato documentazione relativa alla caldaia riconosciuta come difettosa dal venditore odierno convenuto che provvedeva alla relativa sostituzione nonché mail di un tecnico della casa produttrice XXXX in cui si legge che lo stesso, a seguito di controllo, constatava come anomali “la pressione del metano a valle troppo altra di mbar 17″(doc. 18). Il difetto della caldaia, poi, è stato confermato in sede istruttoria e in specie dalla ctu tecnica espletata in corso di causa che ha riconosciuto che “lo scoppio è stato originato dalla maggiore portata di gas causata da una non corretta taratura della valvola del gas che ha alimentato il gas a 17 mbar; – benché sia prevista una taratura della valvola del gas in fabbrica, il certificato di taratura non è presente nella documentazione a corredo della caldaia e non è stato prodotto negli atti della causa e l’operazione di taratura è stata descritta solo dal CTP XXX; – deve essere considerato un difetto di fabbricazione non aver posto nessun sigillo sul cappuccio di plastica da cui si accede al dado di regolazione. Questo sigillo avrebbe garantito (nel caso di asportazione) che fossero inequivocabilmente dimostrate le eventuali manomissioni” (cfr. pag. 26 perizia).
Lo stesso ctu, poi, in sede di chiarimenti ha ulteriormente approfondito i difetti e i profili relativi all’incidenza causale degli stessi sull’avvenuto scoppio.
In detta sede, infatti, il ctu ha precisato che “Lo scoppio è avvenuto perché nella camera di combustione è stata introdotta una quantità di gas superiore a quella prevista per il funzionamento sicuro della caldaia. Questo è avvenuto perché la valvola di regolazione del gas era in condizioni operative diverse da quelle che garantivano un funzionamento sicuro per il tipo di gas usato. Il tipo di caldaia in esame è stato certificato ai sensi della Direttiva Apparecchi a Gas 2009/142/CE, come si evince dal Certificato di esame CE di tipo emesso dall’organismo notificato (…) srl allegato alla CTU e riportato nuovamente come Allegato 1 alla presente integrazione di CTU. La suddetta direttiva sostituisce la direttiva 90/396/CEE recepita nella legislazione Italiana dal DPR 15/11/1996 n.661. Le direttive su citate stabiliscono i requisiti essenziali di sicurezza che i dispositivi o apparecchi devono soddisfare per essere immessi in commercio e posti in servizio. In base alle suddette direttive e al DPR di recepimento, si presumono conformi ai requisiti essenziali di sicurezza apparecchi e dispositivi fabbricati in conformità alle norme nazionali che li riguardano e che recepiscono le norme armonizzate. La norma EN 483 (Caldaie di riscaldamento centrale alimentate a combustibili gassosi – Caldaie di tipo C di portata termica nominale non maggiore di 70 KW) è una norma armonizzata il cui rispetto garantisce il soddisfacimento dei requisiti essenziali di sicurezza. Pertanto la caldaia in esame per essere conforme ai requisiti essenziali deve rispettare la norma EN 483”
A tali conclusioni, che sono coerenti, logiche ed immuni da vizi logici, il Tribunale ritiene di aderire.
Rispetto a detto accertamento, peraltro, il terzo chiamato XXXXX non ha fornito prova rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 118 cod. cons. per andare esente da responsabilità.
La norma de qua, infatti, espressamente stabilisce che “La responsabilità è esclusa: a) se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione; b) se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione; c) se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso, nè lo ha fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività professionale; d) se il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante; e) se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso; f) nel caso del produttore o fornitore di una parte componente o di una materia prima, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata.”
L’attore, inoltre, ha adeguatamente assolto l’onere probatorio anche con riferimento al danno.
Lo stesso, infatti, sin dall’atto di citazione ha allegato offrendo adeguata documentazione a supporto che per effetto dello scoppio della caldaia veniva trasportato con urgenza al Pronto soccorso dell’Ospedale di Pontedera ove gli venivano diagnosticate “ustioni di I grado al volto, annessi oculari e cuoio capelluto” e malattia meta traumatica accertata dall’inail e le visite mediche cui successivamente si sottoponeva anche in ragione dell’accertata ipoacusia. La CTU espletata in corso di causa ha poi accertato che A seguito dello scoppio della caldaia del 23/10/2012 il sig. XXXXX si è recato autonomamente al Pronto Soccorso dell’Ospedale di XXXXXXX dove sono stati rilevati “segni di ustione di I grado alla fronte ed al cuoio capelluto in regione parietosagittale dove sono presenti esiti di ustione dei capelli, delle sopracciglia edema palpebrale superiore bilaterale, due piccolissime flittene in regione parasagittale, ustioni analoghe superficiali al volto” in assenza di vertigini, ed alterazioni uditive. È stato sottoposto a lavaggio oculare con soluzione fisiologica a somministrazione di un collirio antibiotico ed a medicazione delle lesioni cutanee con soluzione fisiologica ed amuchina. Alla visita oculistica eseguita il giorno successivo si descrivono erosioni corneali e si prescrive idonea terapia locale da proseguire per 10 giorni.
A distanza di circa 20 giorni dal trauma si è recato nuovamente al Pronto Soccorso per la persistenza di cefalea e comparsa di acufeni (assenti al primo accesso al Pronto Soccorso). In tale occasione veniva sottoposto a visita oculistica, con rilievo di aumento della pressione intraoculare (non riferibile al trauma), visita ORL che non rilevava alterazioni alla otoscopia ed al timpanogramma, ma rilevava una ipoacusia sensoriale bilaterale (manca il relativo audiogramma) ed una visita neurologica con rilievo di lateropulsione verso destra durante la deambulazione per la quale eseguiva una TAC cranio (negativa per lesioni) e veniva consigliato il ricovero che però il sig. XXXXX rifiutava. Veniva consigliata anche l’esecuzione di una RMN che comunque non è in atti e non risulta eseguita. L’infortunio è stato valutato anche in ambito INAIL che ha riconosciuto un periodo di malattia fino al 30/11/2012 e un danno permanente del 40% per “assenza di postumi permanenti tegumentari da ustione: ipoacusia percettiva pantonale da trauma acustico acuto”. In atti è presente un audiogramma eseguito il 26/06/2013 da cui emerge una grave ipoacusia pantonale.
Allo stato attuale continua a lamentare cefalea, che spesso lo sveglia durante il riposo notturno, persistenza di acufeni e talora vertigini al risveglio. Lamenta anche disturbi visivi: vede come delle farfalline e talora la vista si annebbia. Dal punto di vista obiettivo non si sono rilevati esiti cicatriziali al volto sede delle ustioni descritte in Pronto Soccorso, né disturbi visivi attribuibili alle erosioni corneali anch’esse rilevate in sede di Pronto Soccorso. Stante la scarsa documentazione del disturbo uditivo e le sue caratteristiche non patognomoniche di un trauma da “scoppio” quale quello avvenuto, si è ritenuto di sottoporre il sig. XXXXX a visita ORL ed alla esecuzione di Potenziali Evocati Acustici che hanno dimostrato un quadro di ipoacusia neurosensoriale di entità non così grave come attestato dagli audiogrammi, più importante a sinistra. Con estrema verosimiglianza l’ipoacusia presente nel sig. XXXXX è di natura multifattoriale (età e patologie concomitanti quali diabete ed ipertensione). Tuttavia tutte tali condizioni determinano quadri in prevalenza simmetrici, mentre il sig. XXXXX ha una ipoacusia maggiore a carico dell’orecchio sinistro. È invece possibile che, a seconda della posizione del capo al momento dell’esplosione, il trauma acustico agisca prevalentemente da un lato (in questi termini sarebbe stato interessante conoscere il lato delle lesioni.
Ciononostante la domanda non è suscettibile di accoglimento. Sulla base dell’accertamento medico legale, le cui conclusioni solo logiche, coerenti ed immuni da vizi logici e che, pertanto, è possibile porre alla base di detta pronunciata, può essere riconosciuto all’attore, che all’epoca dei fatti aveva 61anni, un danno biologico permanente nella misura del 2-3% e un periodo di invalidità temporanea di complessivi 38 giorni di cui i primi 10 in termini di invalidità temporanea assoluta (stante l’obiettività descritta in sede di Pronto Soccorso e le terapie intraprese), ed una invalidità temporanea parziale al 50% per i restati 28 giorni.
È emerso, inoltre, che l’attore stato assente dal lavoro per 38 giorni così come certificato dall’INAIL ma gli esiti del sinistro non hanno determinato limitazioni tali da impedire lo svolgimento dell’attività di idraulico. Orbene circa la liquidazione del danno, essa deve ispirarsi ai criteri individuati nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (cfr. Cass. Civ. 12408/2011) le quali propongono la “liquidazione congiunta” dei pregiudizi in passato liquidati autonomamente a titolo di cd “danno biologico standard” e di cd. “danno morale”, prevedendo, inoltre, percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di cd “personalizzazione”, per particolari condizioni soggettive, del danno biologico.
Nel caso di specie, alla luce dell’età dell’infortunato al momento del sinistro, della entità e natura delle lesioni subite, della durata della inabilità temporanea e delle tabelle sopra menzionate può liquidarsi il danno all’attualità in Euro 5.916,00 destinato ad arrivare a Euro 7.332,00 Totale con personalizzazione massima.
Dunque, anche applicando il danno biologico nella misura massima individuata dal CTU (3%) non può riconoscersi in detta sede alcun ristoro all’attore per le lesioni riportate in ragione del sinistro per cui è causa. L’attore, infatti, ha agito per ottenere la liquidazione del c.d. danno differenziale e dunque per la liquidazione di quanto residua sottraendo dal risarcimento civilistico del danno biologico la quota di rendita riconosciuta dall’ INAIL relativa al danno biologico.
Nel caso di specie l’attore si visto riconoscere dall’INAIL un importo notevolmente superiore rispetto a quello accertato in detta sede (pari a circa 140814,05 euro) con la conseguenza che, risultando l’attore già ampiamente ristorato, non ha diritto alla liquidazione di nessun altro importo. Occorre chiarire, come del resto rilevato dalla stessa CTU, come detta discrepanza di valori discenda dal diverso tipo di accertamento. Infatti, a partire dalla pubblicazione della “Tabella delle menomazioni INAIL” il 23/02/2000 il parametro di riferimento per la valutazione del danno è lo stesso previsto in ambito di RC ovvero il danno biologico. Pertanto in linea teorica la valutazione del grado di invalidità dovrebbe essere pressoché sovrapponibile. Quello che cambia sono le tabelle di liquidazione e l’eventuale riconoscimento di particolari ripercussioni sulla vita di relazione che portano, in ambito civilistico al riconoscimento di una quota di personalizzazione. Nel caso specifico le valutazioni non sono sovrapponibili e neppure facilmente confrontabili in quanto l’INAIL ha riconosciuto il danno riferendosi soltanto alla audiometria (accertamento non completamente oggettivo) ed ha altresì riconosciuto l’intero danno come riferibile al sinistro; pertanto la valutazione INAIL è molto superiore rispetto a quella ad oggi riconoscibile in ambito RC. (…) per le sue caratteristiche non patognomoniche di un trauma da “scoppio” quale quello avvenuto, si è ritenuto di sottoporre il sig. XXXXX a visita ORL ed alla esecuzione di Potenziali Evocati Acustici che hanno dimostrato un quadro di ipoacusia neurosensoriale di entità non così grave come attestato dagli audiogrammi, più importante a sinistra.
Del resto la logicità e condivisibilità della discrepanza tra quanto riconosciuto dall’INAIL e quanto accertato nella presente sede trova conferma anche nelle osservazioni del CTP di parte attrice che, pur contestando la quantificazione resa dalla CTU, l’ha riconosciuta comunque nell’importo del 5% e, quindi, in un valore ancora molto lontano dal 40% accertato dall’INAIL (Dopo attento ed approfondito studio dell’elaborato CTU che ritengo completo ed esaustivo, una piccola obiezione mi occorre fare sul quantum: la valutazione da voi espressa mi sembra penalizzante per il signor XXXXX, Riterrei più congrua una valutazione complessiva del danno biologico nella misura del 5% (cinque per cento), considerando un 3% (tre per cento) per l’ipoacusia ed un 2% (due per cento) per gli acufeni. In considerazione dei disturbi che impattano sulla vita sociale e di relazione del Sig. XXXXX riterrei che sarebbe adeguato una personalizzazione del valore punto. Nulla da eccepire sulla temporanea.) Per tutti questi motivi, essendo stato l’attore già integralmente soddisfatto mediante quanto già riconosciuto dall’INAIL per il sinistro per cui è causa, la domanda attorea va rigettata e ogni altra domanda ed eccezione deve ritenersi assorbita.
Va, infine, rigettata la domanda di condanna per lite temeraria. Sul punto si rileva che non risultano provati i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. che presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo che dell’elemento oggettivo (Cass. 12422/1995) e non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice (Cass. 15629/2010).
La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., infatti, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile. (Cassazione civile, Sez. VI, sentenza n. 21570 del 30 novembre 2012).
Le spese di lite, ivi comprese quelle delle CCTTUU, già liquidate con separati decreti, tenuto conto degli accertamenti espletati e della circostanza per cui solo in corso di causa è emersa un’entità del danno diversa da quella prevedibile dall’attore sulla scorta degli accertamenti INAIL, vanno compensate integralmente tra tutte le parti.
PQM
IL Tribunale di Pisa, in composizione monocratica, sulla domanda in epigrafe così provvede:
RIGETTA la domanda proposta dall’attore;
COMPENSA integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa; COMPENSA tra tutte le parti in causa le spese delle CCTTTUU.
Così deciso, Pisa, il 6 giugno 2022.
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2022.
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