Le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico, eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit; al riguardo la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile “in re ipsa” derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
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Corte d’Appello|Palermo|Sezione 2|Civile|Sentenza|18 agosto 2022| n. 1408
Data udienza 10 luglio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile,
composta dai signori:
1)Dott. Giuseppe Lupo – Presidente
2)Dott. Virginia Marletta – Consigliere relatore ed estensore
2)Dott. Sebastiana Ciardo – Consigliere
riunita in Camera di Consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 427/2020, posta in decisione in data 17.12.2021 per la quale è stata disposta la trattazione scritta, ai sensi dell’art. 221, commi 2 e 4 del D.L. n. 34 del 2020, convertito con L. n. 77 del 2020; dell’art. 23 D.L. n. 137 del 2020 convertito con L. n. 176 del 2020; dell’art. 7 D.L. n. 105 del 2021 convertito con la L. n. 126 del 2021; dall’art. 16 D.L. n. 228 del 2021 convertito con L. n. 15 del 2022 – promossa in questo grado
DA
(…), nato a B. in data (…) con il patrocinio dell’Avv. (…) Indirizzo Telematico; (…) e con elezione di domicilio in via presso il medesimo difensore
APPELLANTE
CONTRO
(…)), nata a D. (V.) in data (…) e (…)), nato a D. in data (…) con il patrocinio dell’Avv. (…) e con elezione di domicilio in via VIA (…) PARTINICO presso il medesimo difensore
APPELLATI
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
(…) proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 4674/2016 del giorno 11.10.2016, emesso dal Tribunale di Palermo su ricorso di (…) e (…) per il pagamento, a suo carico della somma di Euro 13.218,00 per l’esecuzione di un intervento di implantologia con inserimento di manufatto protesico (consistente in un ponte circolare superiore in metallo ceramica, sostenuto alle strutture anatomiche da impianti endossei integrati), oltre agli interessi e alle spese della procedura.
L’opponente deduceva l’inadempimento dei sanitari opposti, sia per la mancata corretta informazione nei suoi confronti e la conseguente omessa acquisizione del suo consenso informato, sia per la cattiva esecuzione della prestazione, che aveva causato danni alla salute, patrimoniali e non patrimoniali; chiedeva quindi la revoca del decreto ingiuntivo e l’accertamento della responsabilità degli opposti, il risarcimento dei danni da inadempimento, nonché la restituzione della somma di Euro 2.000,00 anticipata per la prestazione sanitaria.
Con sentenza n. 587/2020, pronunziata in data 4.2.2020, il Tribunale di Palermo revocava il decreto ingiuntivo e condannava parte opponente al pagamento di Euro 10.000,00 oltre interessi e spese di lite.
Il primo Giudice escludeva la risarcibilità del danno da mancata acquisizione del consenso informato, sul rilievo che il (…) non aveva allegato e provato che avrebbe rifiutato il trattamento, se fosse stato correttamente informato, seppure riconosceva che il consenso acquisito dai (…) fosse largamente insufficiente per essere considerarsi valido a tale scopo.
Quanto al trattamento sanitario odontoiatrico, secondo il Tribunale da un lato risultavano gravi carenze probatorie a carico dei (…) avendo costoro omesso di eseguire o comunque di produrre, esami radiografici e soprattutto la TAC Dental Scan, tanto che il C.T.U. a causa di tale carenza non aveva potuto chiarire se l’intervento fosse stato svolto secondo le leges arti; tuttavia, lo stesso Tribunale, qualificava come dichiarazioni confessione stragiudiziale le dichiarazioni dello stesso paziente riportate nella relazione dal CTU nelle quali il (…) riferiva di non essersi recato dopo l’intervento presso i (…) e solo dopo due anni di essersi recato presso altro dentista per la rimozione dell’impianto e la suturazione di un foro residuo dovuto alla perdita di un impianto, e concludeva ascrivendo a prevalente negligenza del paziente la cattiva riuscita del trattamento stesso; per conseguenza, stabiliva la debenza in favore dei (…) del compenso richiesto, ritenuto congruo dallo stesso CTU., per Euro 10.000,00 detratti Euro 2.000,00 corrisposti dal paziente.
Averso la suddetta sentenza, proponeva appello il (…) mentre resistevano i
In data 17.12.2021 sulle note sulle note per la trattazione scritta delle parti, la causa veniva posta in decisione.
Con il primo motivo, l’appellante attacca la sentenza nella parte in cui è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno da violazione del consenso informato e del diritto di autodeterminazione terapeutica.
L’appellante, nell’argomentare questo motivo, evoca soprattutto la giurisprudenza che riconosce l’autonomia di siffatto diritto rispetto al danno biologico, cioè al danno alla salute, e la sua autonoma risarcibilità, qualora si delinei un danno effettivo, anche nel caso in cui il trattamento sanitario correlato fosse stato eseguito correttamente secondo le leges artis.
Il motivo non ha fondamento.
Va ricordato che secondo i consolidati principi giurisprudenziali in materia da ultimo Cass. 11.11.2019 n. 28985, “Le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico, eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit; al riguardo la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile “in re ipsa” derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
Ora, sul punto, da un lato va evidenziato che il CTU ha accertato l’inadeguatezza del modulo prestampato firmato dal paziente rispetto alla prestazione sanitaria posta in essere, profilo sul quale sia il C.T.U. che il primo Giudice hanno diffusamente argomentato.
Dall’altro lato, pur tuttavia, anche in tal caso l’odierno appellante non ha provato e ancor prima allegato alcun danno derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione personale (come danno autonomamente risarcibile). Né il (…) ha specificamente e ragionevolmente dedotto in ordine al “fatto positivo” dell’eventuale rifiuto che avrebbe opposto, se avesse avuto piena e completa contezza di tutti gli aspetti dell’intervento che secondo la sua prospettazione, non gli sarebbero stati adeguatamente riferiti e rappresentati, in sede di acquisizione del consenso.
Con il secondo motivo, l’appellante lamenta l’errore del Tribunale, nella parte in cui non ha tenuto conto che i sanitari opposti avrebbero errato nello scegliere il trattamento terapeutico, non avendo agito secondo le leges artis. Evidenza che non ostante l’affermazione che sarebbe stato onere dei sanitari produrre le radiografie che costoro assumono di avere eseguito prima del trattamento (ivi compresa la TAC Dental Scan) e nonostante lo stesso CTU abbia rilevato che in assenza di questa produzione non è in grado di verificare se l’esecuzione del trattamento sanitario sia stata conforme alle regole mediche, contraddittoriamente poi il Tribunale ha ascritto la causa dell’insuccesso del trattamento al (…) perché l’impianto si sarebbe deteriorato, fino alla perdita, per incuria del paziente. Censura poi il riferimento alle dichiarazioni del (…) richiamate dal CTU nella relazione, nelle quali il paziente riferisce di avere sostanzialmente omesso di compiere visite di controllo presso i (…) di avere deciso sostanzialmente di cambiare odontoiatra e indirizzo terapeutico appena si sono presentati i primi problemi, di rivolgersi ad altro professionista. Di tali dichiarazioni ora, in assenza di un verbale, a detta dell’appellate non può formalmente può tenersi conto, per l’obiettiva carenza di acquisizione in regolare contraddittorio.
Considerato che è pacifico, dalle allegazioni delle parti e dai riscontri della C.T.U., che l’impianto protesico sia stato rimosso certo prima dell’inizio della causa (quindi, che l’impianto in oggetto ha presentato comunque delle criticità), in definitiva, le eventuali considerazioni e valutazioni sul comportamento tenuto dal (…) dopo il posizionamento dell’impianto, non possono togliere nulla alla negligenza con cui avrebbero operato i (…) invero, in via principale va accertato se il sanitario ha operato correttamente e diligentemente e solo dopo va valutata la susseguente condotta del paziente e la sua incidenza sull’esito del trattamento.
Il motivo è fondato.
Va in primo osservato che, in questa causa, la domanda principale e di primo e immediato esame e decisione, è quella di revoca del decreto ingiuntivo emesso su ricorso dei sanitari per i compensi pretesi, in dipendenza dell’intervento odontoiatrico in oggetto, e pacificamente non pagati dal (…) Ciò in linea con il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo di primo grado, nel quale, secondo i consolidati e pacifici principi,, il creditore ricorrente in monitorio, nella fase di merio a contraddittorio pieno – l’opposizione al decreto ingiuntivo appunto – riprende la piena posizione di attore con il conseguente onere della prova del credito. Nel pretendere il compenso della prestazione e a fronte dell’eccepita negligenza, incombe sul creditore professionista l’onere di provare, innanzi tutto, il comportamento diligente.
Non viene all’evidenza un profilo di colpa medica in funzione del risarcimento del danno biologico, patrimoniale e non patrimoniale (avendo il (…) chiesto il risarcimento del danno da inadempimento, senza allegare alcun danno biologico), ma la sola e semplice omessa diligenza nell’esecuzione della prestazione sanitaria da parte degli appellati, prescritta dall’art. 1176 c.c. . alla base degli obblighi del professionista, allo scopo di fondare l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., sostanzialmente evocata in primo grado e richiamata espressamente in questo appello, dal (…) In altri termini, occorre verificare se ricorrono profili di negligenza nella diagnosi e nell’esecuzione della prestazione, onde convenire eventualmente con il paziente opponente e oggi appellante, che vi è un inadempimento tale da giustificare il rifiuto (l’omissione) dell’adempimento della propria prestazione dalla controparte, cioè il paziente.
Ciò detto, soccorre sul punto quanto rilevato dal C.T.U. il quale, non ostante la valutazione negativa della condotta del (…) in esito alla relazione chiarisce di non essere in grado, in assenza dell’immagine TAC Dental Scan, eseguita prima dell’intervento (e quindi, logicamente, in funzione della migliore scelta terapeutica), e in assenza di riscontri radiologici effettuati nei giorni a ridosso dell’intervento, di esprimere una valutazione della conformità dell’intervento implantoprotesico alle leges artis, sotto il profilo della pianificazione e realizzazione dell’intervento in oggetto, al fine, per esempio, di stabilire se esistevano i requisiti di densità ossea, spessore e altezza ossea tali da eseguire in sicurezza l’intervento. Peraltro, lo stesso ausiliare assume che i sanitari hanno certo proceduto a effettuare tali accertamenti diagnostici strumentali, prima di procedere, e desume ciò dalla testimonianza della segretaria dello studio (…) Ma sulla credibilità di questa teste si è espresso già il primo Giudice e questa Corte concorda, sol che si consideri che il rapporto di lavoro tra i (…) e la teste era ancora in vita al momento della testimonianza, e ciò ha reso presumibilmente non serena la posizione della teste e a tacere, altresì, della circostanza che appare poco credibile che un sanitario, che operi in conformità delle regole della diligenza dovuta a mente dell’art. 1176 c.c. comma II, per gli aspetti non solo strettamente non sono sanitari ma anche organizzativi, non conservi le immagini o, quanto meno i referti, di accertamenti strumentali.
In questo quadro, va ricordato il principio secondo il quale “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente (…) (Cass. sentenza n. 6209 del 31/03/2016.).
Il principio ben può applicarsi ai documenti sanitari d’altro tipo, quali immagini di indagini diagnostiche e relativi referti, essendo identica la ratio della decisione: la l’omessa diligenza nel conservare i documenti sanitari (da parte del singolo operatore o di una struttura) non può pregiudicare le ragioni del paziente che agisce a tutela dei suoi diritti (nella specie non pagare una prestazione sanitaria perché eseguita negligentemente).
Ora, poiché come prima osservato, il giudizio verte sul diritto alla prestazione di un professionista a fronte di una eccezione di inadempimento dello stesso, riconducibile alla mancata diligenza dallo stesso dovuta, ritiene la Corte che la mancanza di prova dell’esecuzione diligente della prestazione, che ben poteva darsi dai sanitari mediante la produzione di adeguata documentazione (gli esami strumentali preoperatori necessari, secondo lo stesso C.T.U. che pure invoca la diligenza nella conservazione delle immagini e dei referti) impedisce di ritenere che essi abbiano operato con la dovuta diligenza.
Non essendo possibile una ragionevole e argomentata valutazione di adeguatezza e diligenza dell’operato del sanitario, per i motivi evocati, non è logicamente neppure possibile effettuare valutazioni sulla diligenza o mancanza di diligenza, susseguente la prestazione sanitaria, nei riguardi del paziente. In altri termini, non sapendo se i sanitari appellati hanno operato, diligentemente nello scegliere il trattamento, non si può allo stato, valutare se possa essere ascritto al paziente la negligenza nel prosieguo del trattamento.
L’appello va, quindi, accolto e, per conseguenza, va revocato il decreto ingiuntivo e disposta la restituzione in favore dell’appellante dell’anticipo di Euro 2.000,00, incontestabilmente versato ai (…) oltre interessi dalla domanda al saldo. Nessun ulteriore risarcimento spetta al (…) in assenza di adeguate deduzioni sui danni derivanti dall’inadempimento (pacifico apparendo la mancanza di danno biologico nel caso).
Tenuto conto della particolarità del caso concreto, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite dei due gradi del giudizio, lasciando a carico di entrambe in solido le spese per la C.T.U..
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunziando, sentiti i Procuratori delle parti:
1) in accoglimento dell’appello proposto da (…) nei confronti di (…) avverso la sentenza n. 587/2020, pronunziata dal Tribunale di Palermo in data 4.2.2020, accoglie l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 4674/2016 emesso dal Tribunale di Palermo in data 11.10.2016 e, per l’effetto, revoca il predetto decreto ingiuntivo;
2) condanna gli appellati a restituite all’appellante la somma di Euro 2.000,00 oltre interessi dalla data della domanda al saldo;
3) dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei due gradi e lascia le spese per la C.T.U. a carico di entrambe le parti in quote uguali.
Così deciso in Palermo il 10 luglio 2022.
Depositata in Cancelleria il 18 agosto 2022.
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