in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo’ conoscere e valutare l’offensivita’ della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perche’ e’ compito del giudice di legittimita’ procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialita’ della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie.
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Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|20 ottobre 2022| n. 39805
Data udienza 23 settembre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. CANANZI Francesco – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandri – rel.Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/02/2021 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
Rilevato che le parti hanno formulato richiesta di discussione orale ex Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza del Decreto Legge n. 228 del 30 dicembre 2021, articolo 16;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, LUIGI BIRRITTERI, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, avvocato MACRI’ SALVATORE, che si e’ riportato ai motivi e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 22 febbraio 2021, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la decisione del Tribunale di Gela del 21 gennaio 2020, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ di (OMISSIS) per il delitto di diffamazione in danno di (OMISSIS).
Dalle sentenze di merito risulta che i fatti attengono alla pubblicazione, sul profilo Facebook ” (OMISSIS)” e sulla pagina “(OMISSIS)”, di un testo che, nell’ascrivere ad (OMISSIS) il danneggiamento di una moto dell’imputato, affermava, tra l’altro, che la stessa fosse “schizofrenica certificata”.
2. Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma dell’Avv. (OMISSIS), affidando le proprie censure a cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione della legge processuale in relazione alla celebrazione, in forma cartolare, del giudizio di appello, in quanto a seguito della tardiva richiesta di trattazione orale del difensore – la Corte non avrebbe potuto procedere ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in quanto procedimento previsto per i soli giudizi in cui non sia costituita la parte civile. Evidenzia, sul punto, il carattere eccezionale della deroga al principio dell’oralita’, che non consente l’estensione della norma fuori dei casi previsti, limitati ai giudizi nei quali non partecipa la parte civile, come reso evidente dal riferimento alle conclusioni dell’imputato e del pubblico ministero. Prospetta, in via subordinata, questione di legittimita’ costituzionale della norma, ove interpretata in senso difforme.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione in riferimento ai dati probatori sul punto dell’attribuzione al ricorrente del profilo Facebook utilizzato, avendo sul punto la Corte di merito ingiustificatamente disatteso la tesi difensiva, ribadita nell’esame del (OMISSIS), atta ad accreditare il furto d’identita’, valorizzando il mero dato onomastico connotativo e assumendo, senza prova alcuna, che il ricorrente non si fosse dissociato ex post dall’abusiva pubblicazione o che lo stesso ne fosse comunque venuto a conoscenza.
2.3. Il terzo motivo deduce violazione di legge in riferimento agli articoli 192, 503 e 530 c.p.p., per essere stata ingiustificatamente disattesa la tesi difensiva ed affermata la responsabilita’ in via apodittica, senza la rigorosa verifica della effettiva correlazione tra identita’ fisica dell’imputato e profilo web dell’autore del messaggio, con conseguente violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, in assenza della prova: dei dati relativi all’indirizzo IP utilizzato; della titolarita’ della linea telefonica della connessione; dell’accertamento del luogo fisico di collegamento del dispositivo.
2.4. Con il quarto motivo, si deduce violazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione, anche sub specie di travisamento delle prove, in riferimento all’offensivita’ dell’espressione “schizofrenica certificata”, unica indicata dalla persona offesa, mancando la necessaria valutazione di contesto e, in particolare, il significato di inattendibilita’ che, attraverso il predetto riferimento, l’anonimo scrittore avrebbe attribuito alla parte civile quanto alle accuse dalla medesima mosse al (OMISSIS). Sul punto, la sentenza impugnata evidenzia il travisamento della tesi difensiva laddove esclude che destinatari della propalazione fossero i giornalisti del quotidiano “(OMISSIS)”.
2.5. Il quinto motivo deduce omessa motivazione sulla censura, svolta nel sesto motivo d’appello, sul punto della mancata applicazione della diminuente conseguente alla celebrazione del giudizio nelle forme del rito abbreviato.
3. Il 22 settembre 2022, il difensore ha fatto pervenire memoria con allegata documentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il quinto motivo e’ fondato mentre, nel resto, il ricorso e’ inammissibile.
1.II primo motivo e’ manifestamente infondato.
1.1. Giova, al riguardo, ripercorrere l’iter della legislazione emergenziale da COVID-19, evidenziando – con specifico riferimento al giudizio d’appello – come l’articolo 23 del Decreto Legge 9 novembre 2020, n. 149 avesse previsto, al comma 1, che, dalla data di entrata in vigore e fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del d. L. 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2020, n. 35, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado, la Corte di Appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale, o che l’imputato manifesti la volonta’ di comparire.
La stessa norma disponeva, al comma 4, con richiamo anche al comma 2, come, qualora vi fosse stata richiesta di discussione orale, questa dovesse essere proposta per iscritto entro il termine perentorio di quindici giorni antecedenti alla data fissata per l’udienza, indirizzando la richiesta alla Corte d’Appello, in via telematica, ad uno dei recapiti, individuati ai sensi dell’articolo 24 del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all’articolo 7 del Regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44.
Sebbene formalmente abrogato dall’arti., comma 2, della legge di conversione del 18 dicembre 2020, n. 176, l’articolo 23 del Decreto Legge n. 149 del 2020 e’ stato, tuttavia, riproposto, inserendone il contenuto nel nuovo articolo 23-bis, aggiunto al testo precedente alle modifiche.
L’assetto normativo richiamato ha, pertanto, introdotto, in via ordinaria, la trattazione cartolare del giudizio d’appello, riservando la tradizionale forma orale di celebrazione solo all’esplicita e tempestiva richiesta di parte.
1.2. Dalla mera lettura del testo normativo emerge, all’evidenza il chiaro riferimento alle parti private; il che esclude in radice la fondatezza del rilievo del ricorrente.
Quanto alla comunicazione delle conclusioni rassegnate per iscritto dalle parti private, va qui solo osservato che la previsione dell’invio alle altre parti delle sole conclusioni del pubblico ministero, prevista dal comma 2 della disposizione richiamata, s’appalesa finalizzata alla garanzia del diritto di difesa sull’azione penale; il che rende ragione del fatto che, potendo la parte civile concludere solo in relazione alla domanda incidentale, l’omessa previsione di una discovery anticipata non si rivela idonea a compromettere le prerogative difensive, che possono esplicarsi con l’impugnazione di legittimita’.
E tanto vale ad escludere anche solo l’astratta plausibilita’ di tensioni con i principi costituzionali sotto il profilo della disparita’ di trattamento.
2. Il secondo motivo ed il terzo motivo sono aspecifici in quanto meramente reiterativi di doglianze incensurabilmente confutate.
2.1. Il ricorrente ribadisce la mancanza di prova della riconducibilita’ all’imputato dei profili Facebook ” (OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, non solo insistendo su un furto di identita’ digitale di cui – come incensurabilmente opinato dalla Corte di merito – non e’ stato allegato alcun elemento obiettivo di conforto, ma trascura del tutto il contenuto stesso delle pubblicazioni che, riportando con dovizia di dettagli episodi dei quali lo stesso (OMISSIS) era stato protagonista ed iniziative giudiziarie dal medesimo intraprese, finiscono per svolgere un’insuperabile portata individualizzante.
2.2. Nel resto, il terzo motivo contesta l’omessa assunzione di prove che per quanto gia’ rilevato – non s’appalesano nella specie decisive, indugiando nella prospettazione di un mero dissenso e ponendo la censura nell’alveo della aspecificita’ (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
3. Il quarto motivo e’ proposto fuori dei casi previsti dalla legge.
3.1. Oltre a (ri)proporre una soggettiva reinterpretazione postuma del contenuto delle pubblicazioni che – oltre all’espressione “schizofrenica certificata”, della cui obiettiva offensivita’ le conformi sentenze di merito hanno dato ampia ed incensurabile giustificazione – contengono un complessivo svilimento della persona offesa (OMISSIS), alla quale vengono attribuiti reati e non verificati rapporti personali con l’avv. Cafa’, il ricorrente evoca un travisamento della prova che, invece, ne contesta la stessa efficacia dimostrativa, atteso che il vizio di “contraddittorieta’ processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimita’ alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos Silva, Rv. 283370).
3.2. Nel resto, sebbene il motivo non evochi il vizio di cui all’articolo 606, lettera b), c.p.p., va qui ribadito come, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo’ conoscere e valutare l’offensivita’ della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perche’ e’ compito del giudice di legittimita’ procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialita’ della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145); e, sul punto, anche le valutazioni di contesto riproposte dal ricorrente non si rivelano idonee ad escludere l’attitudine dell’integrale testo alla lesione della reputazione della parte civile.
4. Il quinto motivo e’, invece, fondato.
Alla deduzione, svolta con l’appello, finalizzata all’applicazione della riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato, non concessa in primo grado, la Corte territoriale ha omesso di dare risposta, confermando le statuizioni relative al trattamento sanzionatorio.
A siffatta carenza puo’ porsi rimedio nella presente sede di legittimita’, trattandosi dell’applicazione di una riduzione della pena irrogata di Euro ottocento di multa nella misura fissa di un terzo, che non implica incursioni nel merito della determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep.2018, Matrone, Rv. 271831).
5. Alla luce di quanto rilevato, la sentenza impugnata deve esser e annullata senza rinvio limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Nel resto, il ricorso e’ inammissibile.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla mancata riduzione di pena per il rito e, per l’effetto, ridetermina la pena in Euro 584,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
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