ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, e’ segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, deve affermarsi che il calcolo supposto dal L. n. 89 del 2001 articolo 2 bis non tocca, cosi’, la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima ed all’articolo 111, comma 2, Cost.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|28 settembre 2022| n. 28172

Data udienza 20 gennaio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3376/2019 proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso la medesima Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Napoli n. 821/2018 depositato il 29 maggio 2018.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, ribadendo le conclusioni scritte depositate ai sensi del Decreto Legge n.137 del 28 ottobre 2020 articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. n. 176 del 18 dicembre 2020.

udito l’Avvocato di parte ricorrente, avvocato (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Napoli, con decreto n. 821/2018 depositato il 29 maggio 2018, respingeva l’opposizione proposta dall’avv. (OMISSIS), ai sensi del L. n. 89 del 2001 articolo 5 ter, avverso il decreto del magistrato designato che accogliendo la domanda di equa riparazione formulata dallo stesso ricorrente in relazione alla durata non ragionevole del processo civile svolto avanti al Tribunale di Napoli, stimata in 10 anni, liquidava l’indennizzo in complessivi Euro 4.000,00, pari ad Euro 400,00 per ciascun anno di ritardo, ritendo infondate le doglianze, trovando applicazione il criterio previsto dalla legge.

Avverso il decreto della Corte di appello partenopea propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), fondato su sei motivi.

Il Ministero intimato ha solo depositato “atto di costituzione” finalizzato alla partecipazione alla fase decisoria.

Il ricorso – previa relazione stilata dal nominato consigliere delegato – e’ stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla sesta – 2 sezione civile. All’esito dell’adunanza camerale fissata al 18.09.2019, con ordinanza interlocutoria n. 3622 del 2020 depositata il 13.02.2020, il procedimento e’ stato rimesso dal Collegio alla pubblica udienza dinanzi alla seconda sezione in mancanza dell’evidenza decisoria, soprattutto quanto alla rilevanza della proposta questione di legittimita’ costituzionale sul quantum debeatur, previo deposito dalla sola parte ricorrente di memoria illustrativa.

In prossimita’ della udienza pubblica e’ stata depositata dal sostituto procuratore generale, Dott. Fulvio Troncone, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 112 e 113 c.p.c. per avere il giudice dell’opposizione ritenuto che tutti e quattro i motivi di opposizione andavano respinti in quanto il ricorrente solo genericamente aveva dedotto il contrasto con la normativa interna e la Convenzione EDU, per come interpretata dalla Corte EDU, senza avere motivato la ragione per cui la medesima Convenzione andava applicata “per come interpretata” dalla Corte EDU, dal momento che doveva essere applicato, in luogo del principio dispositivo, il principio iura novit curia (o, in caso lo fosse stato, l’articolo 113 c.p.c. era stato mal interpretato).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio per avere il giudice dell’opposizione ritenuto che tutti e quattro i motivi opposizione al decreto di primo grado andavano respinti perche’ il ricorrente solo genericamente rilevava il contrasto tra la Convenzione EDU, per come interpretata dalla Corte EDU, senza avere motivato la ragione per la quale la “Convenzione EDU andava applicata per come interpretata dalla Corte EDU, quando invece il ricorrente aveva specificamente argomentato e la circostanza risulta anche dallo stesso provvedimento impugnato.

Con il terzo motivo, formulato sempre ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente deduce un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ed insuperabile illogicita’ intrinseca del provvedimento impugnato per avere il giudice dell’opposizione ritenuto che anche il terzo e quarto motivo di opposizione andavano respinti perche’ il ricorrente solo genericamente rilevava il contrasto tra la Convenzione EDU, “per come interpretata dalla Corte EDU”, quando invece i detti due motivi si fondavano sulla violazione della normativa interna e di tale circostanza si dava atto nelle premesse del ragionamento che aveva portato alla reiezione dei motivi.

Con il quarto motivo e’ asserita – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e/o la violazione degli articoli 112 e 113 c.p.c. per avere il giudice dell’opposizione ritenuto che era infondata la questione di illegittimita’ costituzionale per avere il ricorrente genericamente dedotto il contrasto tra la normativa interna e la Convenzione EDU, quando invece avrebbe dovuto essere applicato, in luogo del principio dispositivo, il principio iura novit curia (o, in caso lo fosse stato, l’articolo 113 c.p.c. era stato mal interpretato).

Prosegue il ricorrente per la violazione dell’articolo 117, comma 1 Cost., perche’ in ragione delle violazioni di cui al precedente punto si e’ violato l’articolo 6, comma 1 Convenzione EDU, norma violata altresi’ per essere stato ritenuto che la legge Pinto e le sentenze della Corte EDU erano espressione di diversi orientamenti sull’articolo 6, comma 1 della Convenzione EDU, il quale vale per come interpretato dalla Corte EDU, interpretazione della Corte che, se disattesa dalla legge Pinto, comporta la violazione della Convenzione EDU.

Con il quinto motivo e’ denunciata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 – la nullita’ del provvedimento impugnato in ragione della motivazione solo apparente, perche’ costituita da clausole di stile stereotipate, relativamente alla conferma del decreto opposto e, cosi’ del suo quantum, determinato nella misura minima dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto.

Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta ex articolo 360 c.p.c., n. 3 la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 2 e 2 bis L. n. 89 del 2001, per avere il giudice dell’opposizione ritenuto che la circostanza che erano state respinte una domanda e aveva avuto luogo la condanna di (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 200.000,00. Consentiva la conferma del decreto opposto che liquidava i minimi dell’indennizzo da dette norme previsti quando dette norme a tali circostanze non danno rilievo e, se anche glielo avessero dato, rilevavano nel senso di consentire la liquidazione del massimo e non del minimo.

A conclusione del sesto motivo il ricorrente ripropone la questione di legittimita’ costituzionale delle previsioni degli articoli 2 e 2 bis della L. n. 89 del 2001 ritenendo l’interpretazione delle norme non corretta circa la quantificazione dell’ammontare dell’indennizzo riconosciuto alla luce dei parametri della giurisprudenza CEDU e di legittimita’, di qui la incostituzionalita’ della previsione ex articolo 117, comma 1 Cost.

E’ preliminare l’esame dell’ultima censura: essa e’ infondata.

Quanto ai dubbi di costituzionalita’ avanzati dal ricorrente, occorre osservare che gli stessi sono formulati in termini del tutto generici e si fondano sostanzialmente su una valutazione di sintesi di inadeguatezza della somma liquidata dal giudice di merito a titolo di indennizzo, senza alcuna specifica argomentazione che illustri, in relazione a ciascuna delle molteplici disposizioni promiscuamente impugnate, perche’ essa si porrebbe in contrasto con la Convenzione EDU.

In ogni caso, come gia’ rilevato da questa Corte (Cass. n. 25178 del 2021), il sistema di quantificazione dell’indennizzo delineato dagli articoli 2 e 2 bis della L. n. 89 del 2001 attua i principi fissati nell’articolo 6 CEDU dettando una disciplina di dettaglio nell’ambito del margine di apprezzamento che la Convenzione lascia ai legislatori nazionali; con la conseguenza che la modalita’ di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento.

Questa Corte ha escluso, infatti, il contrasto tra le disposizioni in tema di misura dell’indennizzo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, introdotte prima dal Decreto Legge n. 83 del 2012 e poi dalla L. n. 208 del 2015, e l’articolo 117, comma 1, Cost., in relazione all’articolo 6, par. 1, della CEDU, atteso che la derogabilita’ dei criteri ordinari di liquidazione e la ragionevolezza del criterio di 500/400 Euro per anno di ritardo recepivano comunque, nella sostanza, le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. e della stessa Corte di cassazione (Cass. n. 25837 del 2019; Cass. n. 19897 del 2014; Cass. n. 22772 del 2014). Invero, l’indennizzo calcolato in Euro 400 per anno di ritardo non puo’ essere di per se’ considerato irragionevole, e quindi lesivo dell’adeguato ristoro per violazione del termine di durata ragionevole del processo.

E’ vero che si’ e’ piu’ volte affermato, nei precedenti di questa Corte, che la quantificazione del danno non patrimoniale dovesse essere, di regola, non inferiore a Euro 750 per i primi tre anni di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, e salire per il periodo successivo a Euro 1.000; si e’ pero’ anche costantemente affermato che la valutazione dell’entita’ della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco) puo’ giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, non legittimandosi unicamente il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che solo la liquidazione di un indennizzo poco piu’ che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasta con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’articolo 6, par. 1, della Convenzione (v. Cass. n. 22772 del 2014; Cass. n. 12937 del 2012; Cass. n. 17404 del 2009).

D’altra parte la stessa Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 240 del 2014, seppure sulla differente questione della diversita’ di trattamento del soccombente nel processo presupposto, ha chiarito che “il vulnus all’articolo 117, comma 1, Cost., denunciato dai rimettenti, gia’ con le ordinanze n. 204 e n. 124 del 2014, era stato dichiarato manifestamente infondato sul rilievo dell’erroneita’ del presupposto interpretativo assunto a fondamento della stessa, atteso che il L. n. 89 del 2001 articolo 2 bis comma 3, nella parte in cui prevede che la misura dell’indennizzo liquidabile a titolo di equa riparazione “non puo’ in ogni caso essere superiore (…” al valore del diritto accertato dal giudice”, deve essere inteso nel senso che si riferisce ai soli casi in cui questi accerti l’esistenza del diritto fatto valere in giudizio dall’attore, il cui valore accertato “costituisce un dato oggettivo, che non muta in ragione della posizione che la parte che chiede l’indennizzo aveva nel processo presupposto”, con la conseguenza che detta censurata disposizione, contrariamente a quanto ritenuto dai rimettenti, non comporta l’impossibilita’ di liquidare un indennizzo a titolo di equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, in favore di chi, attore o convenuto, sia risultato, nello stesso, soccombente”.

Cio’ posto, il rilievo per cui la quantificazione dell’indennizzo tra il minimo (pari ad Euro 400,00 per ciascun anno di ritardo irragionevole) ed il massimo (pari ad Euro 800,00), secondo la forbice indicata dalla L. n. 89 del 2001, costituisce un giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimita’ sotto il profilo del vizio di violazione di legge: si deve, infatti, ritenere che il sistema di quantificazione dell’indennizzo delineato dagli articoli 2 e 2-bis attui i principi fissati nell’articolo 6 della CEDU, dettando una disciplina di dettaglio nell’ambito del margine di apprezzamento che la Convenzione lascia ai legislatori nazionali.

Passando all’esame delle prime cinque censure – da trattare unitariamente per la evidente connessione, venendo in rilievo sotto profili diversi la medesima questione del compunto del “quantum” anche esse sono infondate alla luce delle argomentazioni sopra esposte, come di seguito meglio si dira’.

L’articolo 2-bis, L. n. 89 del 2001, nello stabilire la misura ed i criteri di determinazione dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, come prima illustrato, rimette, quindi, al prudente apprezzamento del giudice di merito la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico (Cass. n. 14974 del 2015; Cass. n. 3157 del 2019; Cass. n. 14521 del 2019).

E ribadito come, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, e’ segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, deve affermarsi che il calcolo supposto dal L. n. 89 del 2001 articolo 2 bis non tocca, cosi’, la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilita’ di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima ed all’articolo 111, comma 2, Cost.

Alla luce di quanto premesso, le sollecitazioni, contenute nel ricorso, che tendono a rivalutare la congruita’ dell’indennizzo accordato, non considerano la legittimita’ del riferimento da parte del giudice dell’equa riparazione, da un lato, ai valori minimi e massimi indicati dal L. n. 89 del 2001 articolo 2-bis comma 1, nel testo novellato dalla L. n. 208 del 2015, applicabile “ratione temporis” -, e dall’altro ai parametri elencati al comma 2 del medesimo articolo 2-bis.

Inoltre occorre aggiungere che rimane preclusa alla Corte di cassazione la verifica sulla concreta determinazione del “quantum” dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, ovvero sull’applicazione dell’incremento di cui allo stesso articolo 2 bis, comma 1, in quanto esplicazione di potere discrezionale il cui esercizio e’ rimesso al predetto giudice di merito. La scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ex articolo 2 bis della L. n. 89 del 2001 e’, dunque, sindacabile in sede di legittimita’ soltanto per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, o altrimenti nei casi di “mancanza assoluta di motivi”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).

Il ricorrente – sotto siffatto profilo – confonde tra la questione della congruita’ della scelta del moltiplicatore annuo operata dal giudice del merito (scelta reputata dal (OMISSIS) inidonea a garantire un serio ristoro al pregiudizio subito per effetto della violazione dell’articolo 6, par. 1, della Convenzione) e l’ambito del giudizio di cassazione. Ne’ valgono ad ampliare i margini del sindacato di legittimita’ sulla misura dell’indennizzo erogato i richiami ai pronunciamenti della Corte EDU operati in ricorso, precedenti evidentemente ispirati dalla finalita’ di tutela dell’interesse delle parti che in essi si ravvisava leso in correlazione alla peculiarita’ del caso concreto, e percio’ nell’ottica della tutela “parcellizzata” propria della medesima Corte EDU.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato Ministero non ha svolto attivita’ difensive.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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Avv. Umberto Davide

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