In ogni caso si evidenzia che della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c prescinderebbe dalla sussistente dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, in quanto, la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta – con finalità deflattive del contenzioso – alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente.

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Tribunale|Bologna|Sezione 3|Civile|Sentenza|29 settembre 2022| n. 2427

Data udienza 12 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA

TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Pietro Iovino ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 9170/2021 promossa da:

CONDOMINIO VIA (…) 114 B. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. AL.MO., elettivamente domiciliato in GALLERIA (…) 40124 BOLOGNA presso il difensore avv. AL.MO.

APPELLANTE

contro

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.EN., elettivamente domiciliato in STRADA (…) 40125 BOLOGNA presso il difensore avv. GA.EN.

e

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.EN., elettivamente domiciliato in STRADA (…) 40125 BOLOGNA presso il difensore avv. GA.EN.

APPELLATI

OGGETTO: oneri condominiali – PAGAMENTO SOMME IN GRADO DI APPELLO.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Di seguito alla citazione in appello, in cui parte appellante chiedeva la parziale riforma della sentenza del Giudice di pace di Bologna n. 1796/21 del 17.05.2021 in atti, sul rilievo che essa era erroneamente motivata in punto di compensazione delle spese di lite del primo grado ed alla costituzione della parte appellata, che eccepiva preliminarmente l’inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 342 c.p.c., proponendo altresì il rigetto nel merito per infondatezza, la causa era posta in decisione previa concessione dei termini massimi a mente dell’art. 190 c.p.c..

1.1 In estrema sintesi può ricordarsi che la sentenza di primo grado è intervenuta nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 1988/19 del 30/05/19, emesso per il mancato pagamento degli oneri condominiali, scaduti al 15.03.2019, ed ha revocato il decreto a seguito di vari versamenti avvenuti in corso di causa, ed è così pervenuta alla integrale compensazione delle spese di lite, omettendo ogni decisione in ordine alla domanda di responsabilità degli opponenti ex art. 96 c.p.c..

2. Va immediatamente posto in rilievo che la norma di cui all’art. 342 c.p.c. è stata modificata dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012 e la nuova disposizione prevede che l’appello sia “motivato” e che la motivazione contenga a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui derivi la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

2.1 L’onere della specificazione dei motivi di appello previsto dall’art. 342 c.p.c. assolve alla duplice funzione sia di delimitare l’ambito dell’esame concesso al giudice di secondo grado, in conformità del principio tantum devolutum quantum appellatum, sia di consentire la puntuale e ragionata valutazione delle critiche mosse alla decisione impugnata. Pertanto, tale onere può ritenersi soddisfatto solo quando l’atto di appello esprima articolate ragioni di doglianza su punti specificamente indicati della sentenza di primo grado, non essendo, perciò sufficiente il rinvio alle difese e alle argomentazioni svolte in primo grado ovvero la loro tralatizia riproposizione, acritica del decisum.

2.2 Invero, la modifica sembra confermare i recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali ai fini della integrazione del requisito della specialità dei motivi di appello, ex art. 342 c.p.c. ante riforma, non è sufficiente il generico assunto che la decisione del giudice di primo grado sia erronea, poiché è necessario, a pena di inammissibilità del gravame, la indicazione delle ragioni concrete per cui si chiede il riesame, con un supporto motivazionale ed argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della pronuncia giudiziale sottoposta ad impugnazione, contrapponendo alle argomentazioni svolte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (Cass. S.U.23299/11).

2.3 Posto ciò, si rileva che l’inosservanza dell’onere della specificazione dei motivi di appello determina la sostanziale nullità dell’atto di appello, quando nessun capo della sentenza del primo giudice sia censurato con la specificazione imposta dall’art. 342 c.p.c..

3. Parte appellata ha in via preliminare eccepito l’inammissibilità del gravame per violazione dell’art. 342 c.p.c., sostenendo in buona sintesi che non era individuato il capo di sentenza oggetto di impugnazione, né era proposta una ricostruzione alternativa dei fatti o delle ragioni, rispetto alla ricostruzione fatta dalla sentenza impugnata.

3.1 L’appello principale, contrariamente a quanto eccepito dalla controparte, certamente soddisfa questi requisiti, essendovi tassativi richiami delle parti della sentenza, che si intende impugnare e delle quali si richiede la modifica, in base a principi di diritto (artt. 91 e 92 c.p.c. peraltro supportati anche con richiami giurisprudenziali), che si indicano come erroneamente applicati dal giudice, che avrebbe fatto malgoverno di essi. E’ altresì soddisfatto il requisito della specificità delle richieste di riforma, come è dato leggere a pag. 1 e 2 (compensazione delle spese di lite) e 6 (omessa pronuncia sulla richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c.) dell’atto di citazione in appello, fornendo in esso una argomentazione in fatto e soprattutto in diritto e, quindi, giuridica, volta a dimostrare come in realtà il Condominio non potesse che ritenersi parte completamente vittoriosa con conseguente favore delle spese sia della fase monitoria sia oppositiva. Peraltro la controparte non ha avuto alcuna esitazione o difficoltà di comprensione o problema nel difendersi, anche se contrapponendo argomenti in parte eccentrici, rispetto alla centralità della questione, ed in parte completamente inidonei a contrastare il fatto storico, che aveva già peraltro anche prima non contestato e, poi, anche ammesso, di non aver corrisposto gli oneri condominiali.

3.2 Del resto in fattispecie analoga la Suprema Corte, richiamandosi ad un indirizzo consolidato, ha sostenuto che “….3.1- Con il primo motivo il ricorrente principale e i controricorrenti suoi aventi causa, lamentano violazione dell’art. 345 c.p.c.. Già in appello avevano denunciato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dagli eredi di I.G., quindi dai creditori, sostenendo che non era individuato il capo di sentenza oggetto di impugnazione, nè era proposta una ricostruzione alternativa dei fatti, o delle ragioni, rispetto alla ricostruzione fatta dalla sentenza impugnata.

La corte di appello ha rigettato questa eccezione richiamando la giurisprudenza di questa corte secondo cui il requisito della specificità è soddisfatto senza necessità che si adottino particolari formalità, solo che sia possibile individuare il capo di sentenza impugnato e gli argomenti su cui l’appello si regge.

Questa regola va confermata.

In particolare, va ribadito che l’art. 342 c.p.c., comma 1, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), non esige lo svolgimento di un “progetto alternativo di sentenza”, né una determinata forma, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma impone all’appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il “quantum appellatum”, formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell’indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell’interpretazione preferibile, nonchè, in relazione a denunciati “errores in procedendo”, nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere (Cass. 10961/2017; Cass. sez. U n. 27199 del 2017).

Ciò, senza tacere del fatto che il motivo di ricorso è lui, si, aspecifico, nel senso che non riporta i punti della impugnazione avversaria che conterrebbero la carenza denunciata.” (cfr in motivazione Cass. civ. Sez. III, Sent., ud. 14/11/2019, 13-02-2020, n. 3558).

4. L’appello, fondato su di un unico articolato motivo, nel merito è fondato.

Effettivamente la sentenza è priva di una corretta motivazione, perchè l’affermazione, testuale e testualmente richiamata dall’appellante, che “Nel merito delle debenze – stante i pagamenti effettuati e non contestati dal condominio pare non sussistere più debito. Le spese vanno compensate anche perché va stigmatizzato il comportamento del condominio che ha rifiutato la proposta conciliativa che era congrua… Non costituisce giustificato motivo il rifiuto di una proposta conciliativa per il solo fatto che il pagamento non viene fatto prima dell’accordo stesso … Le assemblee condominiali possono essere convocate con brevi preavvisi … Per cui la scusa della mancata accettazione della proposta è puerile.”, obiettivamente costituisce una petizione di principio, ossia una vera e propria motivazione tautologica ed autoreferenziale, senza considerare l’utilizzo di un linguaggio talvolta anch’esso a dir poco discutibile. Ciò lo si afferma in quanto una siffatta motivazione è senza alcuna -pur minima- spiegazione o il -pur minimo- riferimento alla situazione di fatto relativa al contenuto della proposta ed al modo e al tempo dell’intervenuto pagamento, che tale compensazione dovrebbe giustificare, situazioni di fatto che invero anche ad una sola lettura della intera sentenza non si apprezzano.

4.1. Viceversa è obiettivo che la domanda monitoria era ampiamente fondata, come dimostrano in via evidente, da un lato, proprio l’opposizione al decreto ingiuntivo, laddove la si fondava unicamente sull’esistenza di un controcredito di natura risarcitoria incerto nell’an e nel quantum, anche perché in allora, come ancora ad oggi, sub iudice e, quindi, su di una ragione incompatibile con l’indebito o il pagamento, degli oneri condominiali, nonché, dall’altro, l’andamento del giudizio di opposizione, soltanto nelle more del quale interveniva l’integrale pagamento di essi.

Infatti, come espressamente allegato in atto di citazione in appello e mai neppure genericamente contestato, con ogni rilievo probatorio ex art. 115 c.p.c., e comunque documentato o evincibile dagli atti, il pagamento integrale del debito è avvenuto con sette versamenti parziali dal 9/12/20 al 27/04/21; all’udienza del 15/03/21, dopo la prima udienza tenutasi il 27.01.2020 ed il mancato ingiustificato interpello degli opponenti, il GdP rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza cartolare del 03/05/21, con autorizzazione allo scambio di brevi memorie entro il 27/04/21; il 19/04/21, il legale della parte convenuta ed odierna appellata, riconoscendo il debito dei propri assistiti sia per oneri condominiali residui sia per spese legali, proponeva a quello del Condominio di prestare l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca, iscritta in data 13/11/19 in forza del decreto opposto, a fronte del pagamento al Condominio dell’importo di Euro 1.000,00 in acconto sull’ancora maggior dovuto, che restava tuttavia da concordarsi; il 27/04/21, la B. (opponente) senza alcuna preventiva comunicazione versava al Condominio l’importo di Euro 2.000,00 con la seguente causale: “Saldo capitale e spese legali portate dal D.I. GdP n.1988/19 rgn. 2573/19 + acconto gestioni 2020 2021” e contestualmente l’opponente depositava la memoria conclusionale; il 17/05/21 il Giudice di Pace emetteva l’impugnata sentenza.

E’, pertanto, del tutto evidente, che sulla base di questi fatti il decreto ingiuntivo doveva essere revocato e che la parte opponente, avendo interamente saldato il proprio debito, così come portato dal decreto ingiuntivo, non poteva essere condannata al pagamento dell’importo portato dal medesimo. E’ però altrettanto evidente che l’opposizione era del tutto infondata, con la conseguenza che le spese della fase monitoria e della successiva d’opposizione dovevano esserle addebitate in virtù della soccombenza virtuale, mentre alcun fondamento, come si andrà ad esplicare, può trovare la decisione di compensazione di esse.

In primo luogo, si evidenzia, solo per ragioni di completezza, l’eccentricità di ogni questione relativa al contenuto del precetto, posto che nessuna opposizione ex art. 615 c.p.c. è mai intervenuta.

In secondo luogo, si evidenzia pure come la motivazione, fondante la decisione di prime cure di compensazione delle spese, basata sull’ingiustificato rifiuto dell’avanzata proposta conciliativa del 19.04.2020, sia errata e non possa essere condivisa.

Infatti, la proposta conciliativa era stata espressa soltanto nella fase finale del giudizio (pendente il termine per le note conclusive la cui scadenza era prevista il 27.04.2020) in termini del tutto indeterminati, incerti ed aperti ed inoltre si agganciava all’assenso alla cancellazione dell’iscritta ipoteca giudiziale nonostante il debito non venisse interamente estinto; in particolare essa conteneva solo la disponibilità dell’opponente (…): “… di saldare la Sua posizione debitoria complessiva ( sia per oneri condominiali residui che per spese legali) mediante versamenti mensili da concordare. Inoltre in cambio dell’assenso alla cancellazione dell’ipoteca sull’immobile, la Collega si rende disponibile a versare nelle mani dell’Amministratore, al momento dell’atto notarile … la somma di Euro 1.000,00= in acconto sul maggior dovuto” (Cfr doc. 4 Appellante).

Inoltre, si osserva in chiusura, il saldo del debito è avvenuto (27.04.2021) solo alla fine del giudizio, quando oramai non restava che la decisione con sentenza.

Ne consegue che legittimamente il Condominio non ha accettato una siffatta proposta né è stato posto in grado di risparmiare attività processuale, posto che l’estinzione del debito e la conseguente cessazione della materia del contendere si è avuta solo a giudizio concluso, quando ormai non restava che l’ultimo atto del processo, quello della decisione.

4.2 Consegue a ciò che gli opponenti, odierni appellati devono ritenersi ingiustificatamente inadempienti al pagamento degli oneri condominiali richiesti con il ricorso monitorio, ossia con la domanda posta in primo grado dall’odierna parte appellante, ed in applicazione dell’art. 91 c.p.c. devono ritenersi integralmente soccombenti e tenuti al pagamento delle spese, che devono seguire la soccombenza virtuale.

Conseguentemente l’odierna parte appellata va condannata alle spese del giudizio sia della fase monitoria, negli importi ovviamente già liquidati nel decreto ingiuntivo, sia di primo grado così come da richiesta specifica, nei valori medi della tariffa, che si ritengono maggiormente congrui al valore della causa ed alle attività assertive ed istruttorie effettivamente espletate, non ritenendo congrui i valori massimi richiesti in notula in ragione della estrema semplicità della controversia.

Pertanto, parte appellata, già attorea in primo grado, va condannata al pagamento di:

– Euro. 76,00 per anticipazioni ed Euro. 400,00,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, per la fase monitoria;

– Euro. 00,00 per spese vive ed Euro. 1.205,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, per il giudizio di primo grado.

4.2.1 Ulteriore conseguenza di quanto già visto in ordine alla resistenza al decreto ingiuntivo ed alla inconsistenza delle ragioni contenute nell’atto di citazione in opposizione ad esso, nonché del contegno serbato durante tutto il processo di primo grado, così come esposto in precedenza, senza una seria, tempestiva e risolutiva proposta conciliativa, è la, anche invocata, responsabilità ex art. 96 c.p.c., che va però riconosciuta ai sensi del terzo comma in entità corrispondente, assenti parametri legalmente predeterminati, ai compensi di lite, così come liquidati.

Come noto, il comma 3 dell’art. 96 c.p.c. prevede uno strumento concesso al giudice per sanzionare quelle condotte della parte che, comportando un ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale e un inutile spreco di tempo e di energie da parte del suddetto sistema, concretano un abuso del processo e ledono l’interesse pubblico al buon andamento della giustizia. Tale strumento non richiede, per essere applicato, alcuna prova del danno subito dalla controparte, bensì soltanto la prova dell’elemento soggettivo della mala fede o colpa grave nella condotta della parte condannata (cfr., tra le altre, Cass. civ. n. 19285/2016, Cass. civ. n. 19298/2016, Cass. civ. n. 22298/2015 e più recentemente Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7901 del 30/03/2018 Rv. 648311 – 01).

Ebbene, nel caso di specie la colpa grave dell’odierna parte appellata già attorea – opponente, può senz’altro essere ravvisata nell’aver fondato le proprie difese su di una tesi, rivelatasi insostenibili alla luce dell’iter processuale per le ragioni sopra esposte in sentenza, sintomi, questi, quantomeno di una inescusabile mancanza di diligenza nell’affrontare il giudizio, prima, e nel proseguirlo, poi. È appena il caso di ricordare, infatti, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, una “colpa grave” sussiste quando la parte omette di osservare la minima diligenza nella preliminare verifica dei necessari presupposti per la proposizione della domanda giudiziale e/o per la resistenza delle altrui domande, diligenza che dovrebbe consentire di avvedersi dell’infondatezza della propria pretesa o della propria linea difensiva e di prevedere, con giudizio ex ante, le conseguenze dei propri atti (Cass. civ. ord. n. 3003/2014, Cass. civ. ord. n. 21570/2012).

In ogni caso si evidenzia che secondo una interpretazione meno rigorosa l’affermazione della responsabilità de qua prescinderebbe dalla sussistente dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, in quanto ” La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta – con finalità deflattive del contenzioso – alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente” (cfr. Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 27623 del 21/11/2017 Rv. 646080 – 01 e conformemente Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29812 del 18/11/2019 Rv. 656160 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 20018 del 24/09/2020 Rv. 659226 – 01).

Anche secondo questo orientamento ed a maggior ragione, la condanna per la responsabilità de qua appare pienamente legittima ed anzi doverosa.

5. In ultimo e solo per ragioni di chiarezza, si evidenzia che la domanda di parte appellante circa il riconoscimento delle spese relative all’iscrizione dell’ ipoteca giudiziale è certamente nuova e come tale non può essere esaminata nel presente grado. Tuttavia solo per evitare la proliferazione di ulteriore contenzioso si può osservare che le spese ad essa relative sono normalmente materia legata alla fase esecutiva e/o al precetto, che eventualmente la preceda, e che in via di principi generali può ricordarsi come il relativo onere non può che essere agganciato alle ragioni creditorie, con la conseguenza che di regola e salvo differenti accordi tra le parti, le spese che la riguardano devono gravare il debitore, che le ha causate con il proprio inadempimento.

6. Le spese del presente grado, liquidate ratione valoris e nei valori medi per le tre fasi, esclusa quella istruttoria/trattazione (di cui si esclude la ricorrenza, come peraltro da corretta notula di parte) seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo. Le ragioni già ravvisate per la condanna ex art. 96, 3° co., c.p.c. in relazione al giudizio di primo grado sono parimenti individuabili nella ostinata resistenza anche nel giudizio di appello, aggravata peraltro da un’eccezione d’inammissibilità del grado priva di ogni pur minimo fondamento, ed inducono per le medesime ragioni ad omologa condanna anche per esso.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente decidendo nella causa civile in grado d’appello proposta dal Condominio di Via (…) n. 114 B. (B.) contro (…) e (…):

– accoglie l’appello principale e per l’effetto in parziale riforma della sentenza del Giudice di pace di Bologna n. 1796/21 del 17.05.2021 impugnata, ferma nel resto, condanna (…) e (…) al pagamento in solido di:

– Euro 76,00 per anticipazioni ed Euro 400,00,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, per la fase monitoria;

– Euro 00,00 per spese vive ed Euro 1.205,00 per compensi, oltre rimborso forfetario 15%, oltre IVA e CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, per il giudizio di primo grado;

– Euro 1.205,00 ex art. 96, 3 co., c.p.c.;

– condanna la parte appellata al pagamento in via solidale ed in favore di quella appellante Condominio di Via (…) n. 114 B. (B.) delle spese di lite del presente grado, che liquida in Euro 147,00 + 27,00 per spese, Euro 1.620,00 per compensi, oltre rimborso forfetario ex lege, oltre IVA e CPA, se dovuti e nelle aliquote legali, oltre ad Euro. 1.620,00 ex art. 96, 3 co., c.p.c..

Dichiara la presente sentenza esecutiva ex lege.

Così deciso in Bologna il 12 settembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.