In tema di brevetti per invenzioni, ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla contraffazione per equivalente della privativa, il disposto dell’art. 125 d.lgs. n. 30 del 2005, nella versione precedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 140 del 2006, contempla espressamente, quale tecnica liquidatoria del lucro cessante, il criterio del “prezzo del consenso” o della “giusta royalty”, che comporta valutazioni di merito suscettibili di sindacato in sede di legittimità nei soli limiti in cui è ammessa la censura della motivazione.

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Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|20 ottobre 2022| n. 30943

Data udienza 22 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. FALABELLA Massima – rel. Consigliere

Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso RG 27329/2014 proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), e dall’avvocato (OMISSIS), presso il quale e’ domiciliata;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), e dall’avvocato (OMISSIS), presso il quale e’ domiciliata;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 860/2014 della Corte di appello di Venezia depositata il giorno 2 aprile 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22 settembre 2022 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Falabella.

FATTI DI CAUSA

1. – Con citazione notificata il 1 agosto 2005 (OMISSIS) s.p.a. ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia (OMISSIS) s.r.l. chiedendo che fosse accertata la contraffazione del proprio brevetto italiano n. (OMISSIS), concesso il 23 settembre 1998 e avente ad oggetto una struttura ad elementi componibili per l’arredamento tecnico-funzionale di interni – in particolare una scaffalatura -, che fosse disposta l’inibitoria del comportamento illecito e che fosse condannata la convenuta al risarcimento dei danni.

(OMISSIS) si e’ costituita in giudizio di ha eccepito il difetto di novita’ e di altezza inventiva del trovato di (OMISSIS).

Il Tribunale lagunare ha accolto le domande di accertamento della contraffazione, di inibitoria e di risarcimento del danno, liquidando quest’ultimo nella misura di Euro 77.383,10.

2. – (OMISSIS) ha impugnato la pronuncia di primo grado avanti alla Corte di appello di Venezia; ha resistito (OMISSIS), che ha spiegato gravame incidentale riguardo al quantum del risarcimento.

La Corte di merito ha confermato la sentenza di primo grado con riguardo alla ritenuta esistenza dell’illecito contraffattivo; l’ha invece riformata con riferimento alla statuizione risarcitoria, ritenendo che il danno dovesse essere liquidato nella minor somma di Euro 22.667,00.

3. – Ricorre per cassazione, facendo valere tre motivi di impugnazione, (OMISSIS). (OMISSIS) resiste con controricorso e propone, a sua volta, una impugnazione incidentale su due motivi. (OMISSIS) ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullita’ della sentenza per vizio di ultrapetizione e, quindi, la violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Viene lamentato che la pronuncia abbia ritenuto non dovute le spese relative alla consulenza tecnica di parte sostenute dalla ricorrente principale: e cio’ sul presupposto che non ne sarebbe stato provato l’effettivo esborso. Si sostiene che la Corte di appello avrebbe pronunciato ultra petita in quanto “la domanda avversaria volta ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado” doveva ritenersi “pacificamente inammissibile ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., configurando una domanda nuova”. Si deduce che controparte non aveva tempestivamente contestato l’avvenuto pagamento degli importi portati dalle fatture prodotte in giudizio e che la contestazione non poteva essere svolta in appello, in ragione delle preclusioni contemplate per detto grado di giudizio.

Il motivo e’ infondato.

La censura non investe, evidentemente, il tema della novita’ della domanda (non essendo stato nemmeno dedotto che l’odierna controricorrente ne avesse proposta alcuna), quanto quello della contestazione, da parte di (OMISSIS), del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria concernente le spese per l’assistenza tecnica affrontate da (OMISSIS): spese che la Corte di appello ha ritenuto non provate attraverso la produzione di due fatture recanti l’annotazione “rimessa diretta”.

L’istante lamenta, in sintesi, non si sia tenuto conto che controparte abbia mancato di contestare, in primo grado, l’avvenuto pagamento degli importi portati dalle fatture. Si osserva, nondimeno, che il fatto del pagamento non rientrava tra quelli cui era applicabile il principio di non contestazione: secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18074; Cass. 4 gennaio 2019, n. 87). Tale rilievo in diritto riveste portata assorbente rispetto ad altra considerazione, incentrata sulla carenza di autosufficienza della doglianza: infatti, l’onere del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sussiste anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum, in quanto non contestata (Cass. 23 luglio 2009, n. 17253).

2. – Col secondo mezzo del ricorso principale la sentenza impugnata e’ censurata per violazione o falsa applicazione dell’articolo 111 Cost.. Rileva la ricorrente che la Corte di appello, incorrendo nel vizio motivazionale consistente nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, aveva dapprima individuato il danno risarcibile in un’unica voce, pari a Euro 58.853,00 quale prezzo del consenso o royalty ragionevole, affermando, poi, che avrebbe dovuto escludersi dal pregiudizio patrimoniale sofferto la voce relativa all’assistenza tecnica il cui ammontare, pari ad Euro 36.186,00, andava detratta dal danno complessivo.

Il mezzo e’ fondato.

La Corte di appello, dopo aver rideterminato il prezzo del consenso relativo all’illecito contraffattivo in Euro 58.853,00 (pari all’introito, commisurato alla royalty del 5%, sul fatturato complessivo di cinque anni di (OMISSIS)), ha detratto da tale importo l’ammontare delle spese di assistenza tecnica. Come e’ chiaro, tale operazione di sottrazione non ha ragion d’essere, il quanto quella costituita dalle nominate spese e’ una voce di danno che non e’ parte integrante del pregiudizio dato dallo sfruttamento della privativa che e’ stato ragguagliato alla giusta royalty, ma si aggiunge piuttosto, ad esso: l’esclusione di detta voce non incide, dunque, sull’ammontare del danno quantificato sulla base dei canoni di licenza.

3. – Il terzo motivo di (OMISSIS) oppone la violazione o falsa applicazione dell’articolo 11 disp. att. c.c., in relazione al Decreto Ministeriale n. 140 del 2012. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia provveduto a una nuova liquidazione delle spese relative al giudizio di primo grado, esauritosi del 2010, secondo i parametri che erano stati introdotti, anni dopo, col richiamato decreto ministeriale. Si osserva che nessuna domanda di revisione delle spese era stata formulata da controparte la quale, infatti, aveva mancato di impugnare la liquidazione del Tribunale.

Il motivo resta assorbito, stante la cassazione della sentenza di appello; mette conto peraltro di osservare che l’operato della Corte di merito, in punto di spese, risulta essere corretto. E’ da ricordare, anzitutto, che in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata sussiste il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata (Cass. 13 luglio 2020, n. 14916; Cass. 24 gennaio 2017, n. 1775). In secondo luogo, i parametri introdotti dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorche’ la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purche’ a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto decreto ministeriale, non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’articolo 336 c.p.c., anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass. 13 luglio 2021, n. 19989; Cass. 10 dicembre 2018, n. 31884).

4. – Il primo motivo di ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 66 c.p.i. e la carenza di motivazione circa la contraffazione per equivalente. Si deduce che la validita’ del brevetto Europeo (OMISSIS) era stata accertata in sede di opposizione dall’EPO e che il giudice nazionale non aveva il potere di disapplicare tale registrazione. Si esclude, inoltre, la contraffazione per equivalente in quanto il prodotto della ricorrente incidentale era coperto da valido brevetto Europeo il cui rilascio presupponeva attivita’ inventiva: infatti l’esaminatore Europeo aveva preso specificamente in considerazione il brevetto (OMISSIS) e aveva negato che lo stesso concretasse un’anteriorita’ invalidante del brevetto di (OMISSIS). In sintesi, poiche’ il prodotto che si assumeva in contraffazione riproduceva il brevetto (OMISSIS), cio’ significava che il prodotto stesso era frutto di attivita’ inventiva: il che non consentiva di applicare la teoria della contraffazione per equivalente, la quale prende in considerazione l’assenza di originalita’ e novita’ della soluzione alternativa adottata dal contraffattore.

Il motivo e’ infondato.

La Corte di appello ha accertato la contraffazione per equivalente posta in essere col prodotto commercializzato da (OMISSIS) Gruoup: a tal fine ha preso in considerazione il detto prodotto, non il brevetto concesso alla nominata societa’, visto che tra l’uno e l’altro sono state riscontrate importanti differenze (solo una parte del prodotto (OMISSIS) essendo espressione dell’idea inventiva tutelata con la privativa Europea conseguita da tale societa’: pag. 10 della sentenza). Le considerazioni svolte quanto al rilascio della privativa (OMISSIS) risultano essere quindi non aderenti alla ratio decidendi della pronuncia impugnata, che non ha esaminato il brevetto della ricorrente incidentale. E’ peraltro il caso di aggiungere che, in linea di principio, il rigetto, da parte dell’EPO, dell’opposizione proposta avverso la registrazione del brevetto (OMISSIS) (di cui e’ parola a pag. 17 del controricorso) non poteva avere effetto vincolante per il giudice italiano: poiche’, infatti, la registrazione Europea del brevetto si risolve in un fascio di brevetti nazionali, essa non sottrae il giudice nazionale all’obbligo di fare applicazione della normativa interna al fine di vagliare la validita’ della frazione nazionale del brevetto (Cass. 14 ottobre 2009, n. 21835).

E’ da osservare poi, che la Corte distrettuale ha riconosciuto la contraffazione avendo accertato, sulla scorta dell’indagine svolta dal c.t.u., che nella produzione (OMISSIS) erano presenti “tutti gli elementi esposti nella rivendicazione (OMISSIS)”. Nella sentenza e’ spiegato, poi, che le modeste differenze accertate erano state ritenute dallo stesso ausiliario alla portata del tecnico del ramo. Tale rilievo riflette un giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede, se non per un vizio di motivazione chiaramente insussistente nella presente fattispecie. La banalita’ delle soluzioni tecniche alternative che sono state adottate si traduce, del resto, nella contraffazione per equivalente che la Corte di merito ha positivamente accertato: infatti, al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, cosi’ da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalita’, offrendo una risposta non banale, ne’ ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, potendo ritenersi in questo caso soltanto che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta (Cass. 2 novembre 2015, n. 22351; Cass. 13 gennaio 2004, n. 257; cfr. pure Cass. 7 febbraio 2020, n. 2977, circa il rilievo che assume, ai fini dell’equivalenza della soluzione inventiva, il fatto che la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti prive del carattere di originalita’, perche’ ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema).

5. – Il secondo mezzo del ricorso incidentale prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 125 c.p.i.. Deduce l’istante che la Corte di appello di Venezia avrebbe ricalcolato il danno applicando immotivatamente una royalty di valore superiore rispetto a quella presa in considerazione dal Tribunale ai fini della quantificazione del prezzo del consenso: royalty stimata nella misura del 5%, mentre il Giudice di primo grado aveva apprezzato, a tal fine, il dato del 3,5%. Assume poi l’istante che la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare alcuni fatti decisivi dedotti dalle parti (la propria deduzione circa il fatto che (OMISSIS) non aveva perso clienti, ne’ era andata incontro a una flessione del fatturato; la sproporzione dell’utile accertato, siccome calcolato sul fatturato di tutti i componenti, e non del solo elemento che assumeva rilievo ai fini della contraffazione; l’assenza di dolo e di colpa di (OMISSIS), l’immediata cessazione della produzione del prodotto in contraffazione a seguito della pronuncia dell’inibitoria da parte del Tribunale; la messa a disposizione del consulente tecnico di tutta la documentazione da questo richiesta).

Il motivo e’ nel complesso infondato.

La commisurazione del danno al 5% del fatturato e’ stata spiegata dal Giudice di appello avendo riguardo al fatto che non era condivisibile la scelta, da parte del Tribunale, di applicare una percentuale piu’ bassa rispetto a quella “minima prevista per la royalty”; ha osservato sul punto la Corte di merito come il contraffattore non potesse beneficiare di un trattamento piu’ favorevole rispetto a quello spettante al licenziatario.

Ebbene, alla presente controversia e’ applicabile il testo dell’articolo 125 c.p.i. nella versione anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 140 del 2006, articolo 17, con cui e’ stata recepita la c.d. direttiva enforcement (dir. 2004/48/CE): la norma applicabile ratione temporis stabiliva, al comma 1, che il risarcimento dovuto al danneggiato fosse liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 c.c. e che il lucro cessante venisse valutato dal giudice anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del diritto; al comma 2 l’articolo 125 disponeva che la sentenza sul risarcimento dei danni potesse farne, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivavano.

Lo stesso articolo 125 c.p.i., nel testo applicabile ratione temporis, contemplava, dunque, la tecnica liquidatoria del prezzo del compenso, o della giusta royalty.

Ora, la ricorrente fa questione, con la prima censura del motivo in discorso, piu’ che di una violazione o falsa applicazione della norma citata, di una “carenza di motivazione della sentenza di appello nel riformare la sentenza di primo grado” (ricorso, pag. 26). Si osserva, pero’, che e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, nelle diverse forme della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

La motivazione della sentenza impugnata, con cui la Corte di merito ha inteso commisurare il danno alla royalty minima onde evitare che al contraffattore fosse riservato un trattamento piu’ favorevole rispetto al licenziatario, non presenta alcuno di tali vizi. La concessione in licenza del brevetto integra infatti lo scenario controfattuale che consente di individuare il lucro cessante patito, nella circostanza, dalla titolare della privativa: il senso della pronuncia impugnata e’ che ove (OMISSIS) avesse rispettato il diritto dell’odierna controparte, rendendosi licenziataria della privativa, sarebbe stato ipotizzabile il conseguimento, da parte di (OMISSIS), di un utile pari alla royalty “ragionevole” del 5%: valore, questo, individuato nel corso del giudizio a mezzo di consulenza contabile (come rammentato nel brano della sentenza di primo grado riprodotto all’interno del ricorso incidentale). Non rileva, invece, in questa sede, il portato delle argomentazioni svolte dal Tribunale, il quale aveva ritenuto di fissare la giusta royalty in un importo percentuale inferiore. La congruita’ della motivazione della sentenza del giudice di appello deve essere infatti verificata con esclusivo riguardo alle questioni che sono state sottoposte al medesimo, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, restando ad essa del tutto estranea la decisione eventualmente diversa che sia stata adottata dal giudice di primo grado, interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice di appello il quale compie la valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell’ambito delle questioni sottopostegli dai motivi d’impugnazione, senza obbligo di puntuale confutazione dei singoli punti della sentenza di primo grado (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28487; Cass. 26 febbraio 1998, n. 2078).

Per il resto, la ricorrente per incidente dibatte dell’omesso esame di alcuni fatti, asseritamente decisivi, specificamente individuati a pagg. 27 s. del ricorso: ma l’istante, oltre a impropriamente includere, tra tali fatti, un dato – la consegna, al c.t.u., della documentazione richiesta – che non integra per certo un fatto primario o secondario, rilevante ai fini della previsione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, omette di conferire la necessaria specificita’ alla sua censura: infatti, la deduzione del vizio di cui alla richiamata previsione normativa onerava l’istante non solo di indicare il “fatto storico”, il cui esame fosse stato omesso, ma anche il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risultasse esistente, il “come” e il “quando” tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, citt.).

6. – In accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata e’ cassata. Il primo motivo del ricorso principale va disatteso, il terzo dichiarato assorbito, mentre il ricorso incidentale va respinto.

La causa e’ rinviata alla Corte di Venezia, che giudichera’ in diversa composizione, e a cui e’ demandata la decisione sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.