in tema di protezione dei dati personali, il privato che impugni il provvedimento del Garante non puo’ limitarsi a denunciare la mancata comunicazione di avvio del procedimento e la lesione della propria pretesa partecipativa, ma deve indicare o allegare gli elementi di fatto o valutativi che, se acquisiti, avrebbero potuto influire sulla decisione finale, poiche’ le garanzie procedimentali non costituiscono un mero rituale formalistico e il menzionato difetto di comunicazione e’ ininfluente ove risulti che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|6 ottobre 2022| n. 29049
Data udienza 3 febbraio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35813/2018 proposto da:
REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) dell’Avvocatura Regionale ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del Garante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
– controricorrente-
avverso la sentenza del Tribunale di L’Aquila n. 355 depositata il 30 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 febbraio 2022 dal Consigligre Milena Falaschi.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
Ritenuto che:
– l’AUTORITR’ GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, accertata la illiceita’ del trattamento dei dati personali da parte della REGIONE ABRUZZO per illegittima diffusione di dati sensibili relativi alla condizione di salute di alcuni candidati della procedura concorsualew indetta dall’ente, con provvedimento n. 313/2014 vietava alla REGIONE l’ulteriore diffusione in internet di dati sensibili con prescrizione di misure idonee a garantire il rispetto di tale divieto, riservandosi di verificare, con autonomo procedimento, la sussistenza “dei presupposti della violazione dell’articolo 162 comma 2 bis del Codice privacy che si concludeva con l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione di importo pari ad Euro 20.000,00 a titolo di sanzione amministrativa;
– sull’oppogizione proposta dalla REGIONE ABRUZZO avverso l’ordinanza ingiunzione, il Tribunale di L’Aquila, nella resistenza dell’AUTORITA’, con sentenza n. 355/2018, rigettava l’opposizione e, per l’effetto, confermava l’ingiunzione.
Nel dettaglio, il giudice di merito, affermata l’irrilevanza delle censure inerenti il procedimento amministrativo per essere il giudizio ordinario un giudizio sul rapporto e non sull’atto, rilevava comunque che la L. n. 241 del 1990 articolo 7 non prevedeva conseguenze di invalidita’ o illegittimita’ del provvedimento in caso di omessa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e che peraltro l’opponente aveva potuto sollevare le proprie controdeduzioni nel corso del procedimento, essendo anche stato ascoltato.
Il Tribunale chiariva, inoltre, il diverso ambito applicativo della L. n. 241 del 1990 e della L. n. 689 del 1981, con la conseguenza che la disciplina della sanzioni sul procedimento amministrativo non poteva avere alcuna incidenza sul sistema delle sanzioni amministrative.
Quanto all’operato della REGIONE, il giudice di prime cure rilevava che il trattamento dei dati personali poteva essere fatto in forma anonima o comunque con una modalita’ tale da evitare la diffusione di informazioni sullo stato di salute dei partecipanti alla selezione pubblica, cosi’ da contemperare le esigenze di pubblicita’ della procedura concorsuale con le esigenze di riservatezza dei candidati. Ancora, il Tribunale, nel respingere la doglianza relativa alla scusabilita’ dell’errore in cui era incorsa la REGIONE, accertava che nella specie era rintracciabile quantomeno l’elemento soggettivo della colpa in capo all’opponente, essendo quest’ultima ben consapevole della necessita’ di trattare con riservo i dati sensibili e dell’esigenza di dover operare mediante l’adozione di cautele idonee ad impedire l’evento, anche in considerazione del fatto che la REGIONE, prima dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, con provvedimento n. 313/2014, era stata informata della necessita’ di oscurare i dati sensibili.
Infine, in riferimento all’entita’ della sanzione, il giudice del merito, richiamando Decreto Legislativo n. 196 del 2003 articolo 162 comma 2 bis earticolo 164 bis comma 3, accertava la legittimita’ dell’importo oggetto della sanzione pari al doppio del minimo edittale, coinvolgendo il trattamento illecito di dati personali piu’ soggetti interessati;
– per la cassazione della sentenza del Tribunale di L’Aquila la REGIONE ABRUZZO propone ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, cui resiste con controricorso l’AUTORITA’ GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI.
Atteso che:
– con il primo motivo la REGIONE ABRUZZO lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 3, la violazione del L. n. 241 del 1990 articolo 7, per aver il Tribunale mal interpretato l’eccezione sollevata dall’amministrazione ricorrente in merito alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ritenendola diretta all’ordinanza n. 179/17 – adottata a conclusione dell’iter procedimentale – piuttosto che al provvedimento inziale n. 313/2014; nonche’ per non aver applicato ai procedimenti sanzionatori del Garante la legge sul processo amministrativo.
Nel dettaglio, la ricorrente sostiene che la stessa AUTORITA’, nel contestare le censure spiegate dall’amministrazione regionale, non avrebbe mai denegato l’applicazione ai propri procedimenti della L. n. 241 del 1990, anzi avrebbe chiarito di non condividere le obiezioni mosse sulla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, essendo giustificata da ragioni di celerita’ tali da non consentire la comunicazione preliminare all’Amministrazione.
Peraltro, secondo la ricorrente controparte non avrebbe nemmeno fornito la prova che il provvedimento sarebbe stato lo stesso anche in caso di intervento degli interessati previamente informati dell’avvio del procedimento.
Il motivo va respinto.
In linea con quanto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 9591 del 2006), va ribadita la distinzione tra la legge L. n. 241 del 1990, che concerne i procedimenti amministrativi in genere, e la L. n. 689 del 1981 che disciplina quei procedimenti finalizzati all’irrogazione di sanzioni amministrative e, data la peculiarita’ della loro funzione, richiedono una distinta disciplina rispetto a quella generalmente prevista per i procedimenti amministrativi.
Non impedisce di pervenire a questa conclusione l’universalita’ della L. n. 241 del 1990 – che per la prima volta ha regolamentato in materia uniforme i procedimenti amministrativi – in ragione del principio di specialita’ che prescinde dalla successione cronologica delle norme; sicche’ anche quelle posteriori non comportano la caducazione di norme precedenti che disciplinano diversamente la stessa materia in un campo particolare, come nella specie la L. n. 689 del 1981.
D’altro canto, le disposizioni della L. n. 689 del 1981 costituiscono un sistema organico e compiuto nel quale non occorrono inserimenti dall’esterno: necessita’ che, infatti, e’ stata costantemente esclusa con riferimento ad altre norme della legge generale sul procedimento amministrativo come quelle relative alla partecipazione dell’interessato (Cass., Sez. Un., 9591/2006 cit.).
In altri termini, il procedimento preordinato alla irrogazione di sanzioni amministrative sfugge all’ambito di applicazione della L. n. 241 del 1990, in quanto, per la sua natura sanzionatoria e contenziosa, e’ compiutamente retto dai principi sanciti dalla L. n. 689 del 1981 (da ultimo, Cass. n. 31239 del 2021; Cass. n. 28156 del 2018; Cass. n. 4363 del 2015).
Peraltro, il Tribunale ha accertato che l’opponente aveva comunque potuto sollevare le proprie controdeduzioni essendo stata anche ascoltata, con conseguente insussistenza della causa di invalidita’ del provvedimento per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo.
Del resto, in tema di protezione dei dati personali, il privato che impugni il provvedimento del Garante non puo’ limitarsi a denunciare la mancata comunicazione di avvio del procedimento e la lesione della propria pretesa partecipativa, ma deve indicare o allegare gli elementi di fatto o valutativi che, se acquisiti, avrebbero potuto influire sulla decisione finale, poiche’ le garanzie procedimentali non costituiscono un mero rituale formalistico e il menzionato difetto di comunicazione e’ ininfluente ove risulti che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cass. n. 29584 del 2020).
Infine, la doglianza della REGIONE ABRUZZO nella parte in cui ritiene applicabile le deduzioni prospettate in sede di opposizione non gia’ al provvedimento del GARANRTE n. 313/2014 ma all’ordinanza ingiunzione e’ irrilevante alla luce delle considerazioni appena svolte;
– con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360 comma 1 n. c.p.c., la violazione dell’articolo 3 della L. n. 689 del 1981, nonche’ il difetto di motivazione in punto di scusabilita’ dell’errore quale causa escludente l’elemento soggettivo della responsabilita’ dell’illecito amministrativo contestato alla REGIONE.
Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l’esimente della buona fede – applicabile all’illecito amministrativo di cui alla legge evocata – rileverebbe come causa di esclusione della responsabilita’ amministrativa in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceita’ della sua condotta, nella specie costituiti da un quadro normativo che la avrebbe indotta a ritenere che l’obbligo di trasparenza imposto dal Decreto Legislativo n. 33 del 2013 dovesse trovare piena applicazione nella procedura concorsuale in questione.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione dell’articolo 4 della L. n. 689 del 1981, nonche’ l’erronea motivazione del giudice “in punto di ritenuta insussistenza di causa di esclusione della responsabilita’”.
I motivi, da trattare congiuntamente data la loro connessione argomentativa, vanno respinti.
Osserva il Collegio che in tema di illecito amministrativo, l’error iuris, quale causa di esclusione della responsabilita’ (in analogia a quanto previsto dall’articolo 5 c.p.) viene in rilievo soltanto a fronte della inevitabilita’ dell’ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento a effettuato alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alla qualita’ professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, e sull’interpretazione che di esse e’ data., che specificamente disciplinano l’attivita’ che egli svolge (Cass. n. 18471 del 2014).
Nella specie, si tratta di un’interpretazione di norma che per il brocardo “ignorantia legis non excusat” non e’ scusabile.
Peraltro, in tema di illecito amministrativo, l’accertamento in ordine all’esistenza dell’ignoranza del precetto o l’errore scusabile sul fatto determinato dall’interpretazione di norme giuridiche la cui violazione comporti l’irrogazione di una sanzione amministrativa, cosi’ come le particolari positive circostanze di fatto idonee a rendere inevitabile detta violazione rientra nei poteri del giudice del merito, la cui valutazione puo’ essere peraltro controllata in sede di legittimita’ sotto l’aspetto del vizio logico o giuridico di motivazione (cfr. Cass. n. 20776 del 2004; Cass. n. 20866 del 2009; Cass. n. 12110 del 2018). Nella specie, il Tribunale, con apprezzamento di merito non censurabile in questa sede in quanto esente da vizi logici, accertava la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione opponente, stante la consapevolezza di quest’ultima della necessita’ di trattare con riservo i dati sensibili e delle cautele idonei ad impedire l’evento e cio’ era corroborato dal fatto che la REGIONE, prima dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, con provvedimento n. 313/2014, era stata informata di siffatta necessita’ di oscurare i dati sensibili;
– con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non aver il giudice considerato l’eccezione relativa all’esistenza e all’applicabilita’ nel caso di specie della vigente disciplina declaratoria per i dati sensibili contenuti in un curriculum rimesso alla PA in vista della possibile instaurazione di un rapporto di lavoro; nonche’ la violazione dell’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’ soprattutto perche’ involge accertamenti di merito che non risultano formulati dinanzi al Tribunale.
Inoltre, il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’articolo 360 c.p.c. (riformulato dall’articolo 54, Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, N. 134) concerne “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).
Ne segue che l’amministrazione ricorrente avrebbe dovuto indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli articoli 366, comma 1, n. 6 c.p.c. e 369, comma 2, n. 4 c.p.c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in casa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ancora Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 cit.).
– con il quinto motivo la ricorrente contesta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione degli articoli 162 comma 2 bis e 164 bis del Codice privacy per aver il Tribunale mal interpretato le norme evocate, con conseguente necessita’ di ridimensionare l’ammontare della sanzione comminata all’Amministrazione.
Il ricorrente contesta l’importo della sanzione, raddoppiato nel minimo edittale per essere coinvolti piu’ interessati, in quanto la segnalazione circa la violazione del proprio diritto alla riservatezza sarebbe intervenuta solo da uno dei tanti candidati alla procedura di selezione, con il conseguente venir meno del presupposto richiesto dalla norma di riferimento ai fini dell’applicazione del raddoppio dell’importo della sanzione, tenuto altresi’ conto del motivo del trattamento dei dati, giustificato da finalita’ sociali connesse al collocamento delle categorie protette.
Il motivo va respinto.
La circostanza per cui la violazione dell’ente sia stata contestata a seguito della denuncia presentata da un solo candidato, non esclude che il trattamento illecito di dati personali non coinvolga una pluralita’ di soggetti, come del resto accertato dal giudice di merito nella specie, e cio’ non fa venir meno la gravita’ dell’illecito, la cui valutazione e’ peraltro rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e come tale non e’ censurabile in questa sede.
Conclusivamente, il ricorso va respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 24 dicembre 2012, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 30 maggio 2002, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dall’articolo 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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