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Reato di diffamazione ex art 595 cp e risarcimento del danno.
Caratteristiche del reato di diffamazione ex art 595 cp.
Il reato di diffamazione è disciplinato dall’art 595 cp il quale testualmente dispone:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Oggetto di tutela giuridica, nel reato di diffamazione ex art 595 cp è la reputazione, intesa quale opinione e stima di cui gode un soggetto in un determinato ambiente per qualità fisiche, personali, intellettive, professionali o altro, e non come considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio.
Il reato di diffamazione ex art 595 cp va esaminato con riferimento al bene protetto che è costituito dall’onore e dalla reputazione, ponendosi in risalto come la condotta idonea a realizzare il reato di diffamazione deve sempre rapportarsi alla sussistenza ed alla lesione del bene protetto, che deve consistere nell’idoneità della lesione che, quantomeno, deve mettere in pericolo tali beni, verificando se la doglianza del soggetto passivo trovi fondamento e giustificazione nell’ambiente sociale che lo circonda.
Il reato di diffamazione ex art 595 cp può estrinsecarsi sia nell’attribuzione di fatti determinati, sia con meri giudizi di valutazioni offensive non collegati a fatti specifici e in tale ultimo caso di parla di diffamazione generica.
Infatti anche la narrazione di notizia generiche, infatti, può essere lesiva dell’onore e della reputazione della persona offesa reato di diffamazione ex art 595 cp.
Viceversa costituisce circostanza aggravante reato di diffamazione ex art 595 cp. l’attribuzione di un fatto determinato alla persona offesa, consistente nell’addebito di una condotta sufficientemente precisata, mediante l’indicazione di elementi concernenti le modalità con cui si è svolta.
Deve premettersi che, il reato di diffamazione ex art 595 cp è configurabile in presenza di un’offesa alla reputazione di una persona determinata e non può, quindi, ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti non individuati, né individuabili (Cassazione Penale n. 3809/2018).
In ordine all’esatta identificazione della persona offesa dal reato di diffamazione ex art 595 cp, si riportano i seguenti principi elaborati dalla giurisprudenza:
Per l’identificazione della persona offesa dal reato di diffamazione ex art 595 cp non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, ma la sua individuazione deve avvenire, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gii elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso (Cassazione n. 16543/2012, Cassazione n. 17180/2007, Cassazione Penale n. 15643/2005).
L’individuazione della persona offesa dal reato di diffamazione ex art 595 cp deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, desumibile anche dal contesto in cui è inserita, senza fare ricorso ad intuizioni o congetture (Cassazione n. 16543/12, Cassazione Penale n. 3756/87).
Non occorre che la persona cui l’offesa è diretta, attraverso il dal reato di diffamazione ex art 595 cp, venga nominativamente designata, “essendo sufficiente che l’individuazione sia possibile per esclusione, in via induttiva, tra una categoria di persone, senza che assuma importanza il fatto che l’identificazione venga in concreto compiuta da un ristretto numero di persone (Cassazione n. 16543/12, Cassazione Penale n. 7410/10Cassazione Penale n. 3900/93).
Diffamazione aggravata ex art 595 cp comma 3: diffamazione a mezzo stampa
La diffamazione a mezzo stampa, come anticipato, costituisce fattispecie aggravata del reato di diffamazione disciplinato dall’art 595 cp comma 3.
La forma aggravata, del reato di diffamazione di cui all’art 595cp, ovvero la diffamazione a mezzo stampa appositamente disciplinata dall’art 595 comma 3 cp trova la sua ragion d’essere nella maggiore offensività che è determinata dalla particolare efficacia e diffusività del mezzo utilizzato (la stampa) per porre in essere la diffamazione, la cui divulgazione è rivolta a un numero potenzialmente indeterminato di soggetti.
Oggetto di tutela, come anticipato spra, nel reato di diffamazione di cui all’art 595cp, ed anche nella sua forma aggravata di diffamazione a mezzo stampa, è l’onore in senso oggettivo o esterno. e cioè la reputazione del soggetto leso del reato di diffamazione, da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Ciò che viene tutelato attraverso il reato di diffamazione ex art 595 cp, o della sua forma aggravata della diffamazione a mezzo stampa, è l’opinione sociale del “valore” della persona offesa dal reato, ovvero l’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino (Cassazione Penale n. 34178/2015, Cassazione Penale n. 50659/2016).
I due elementi caratterizzanti il reato di diffamazione ex art 595 cp, o della sua forma aggravata della diffamazione a mezzo stampa, ovvero, la percezione sociale e l’assenza della parte offesa, sono altresì criteri differenzianti, fra la lesione della reputazione (tutelata dal reato di diffamazione) e quella dell’onore, bene quest’ultimo, individuato nel valore che il soggetto ha della propria dignità morale e che viene tutelato invece dal reato di ingiuria di cui all’art. 594 c.p.
Nell’ambito della diffamazione a mezzo stampa permane l’annoso conflitto fra tutela delle bene della reputazione, ricompresa tra i diritti inviolabili della persona, e l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, quali estrinsecazioni della libertà di manifestazione di pensiero riconosciuto a ciascun cittadino sulla base dell’art 21 della Costituzione.
Al fine quindi di bilanciare le contrapposte posizioni la Giurisprudenza di Legittimità sin dai tempi più remoti si è preoccupata di individuare e precisare quali sono le condizioni che rendono legittimo l’esercizio del diritto di cronaca e/o di critica e che quindi non integrano il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Stando al constante e consolidato orientamento di legittimità, che prende avvio con la c.d. Sentenza del “decalogo del giornalista” affinché l’esercizio del diritto di cronaca/critica non integri il reato di diffamazione a mezzo stampa, occorrono tre condizioni:
1) la verità della notizia pubblicata;
2) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza);
3) la correttezza formale nella esposizione (c.d. continenza).
La verità, affinché l’esercizio del diritto di cronaca/critica non integri il reato di diffamazione a mezzo stampa, è da intendersi nella sostanziale corrispondenza tra i fatti come sono accaduti e i fatti come sono narrati.
In sostanza, la verità, essendo riferita ai fatti e ai comportamenti narrati sta a designare la loro esistenza o la loro inesistenza.
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista può operare accostamenti tra notizie vere, a condizione che esse non producano un ulteriore significato che trascenda la notizia stessa, acquisendo autonoma valenza lesiva; occorre, pertanto, fare riferimento al risultato che il detto accostamento determina e, qualora esso consista in un mero corollario o dato logico, pur insinuante e suggestivo, l’effetto denigratorio è da escludere.
Viceversa, ove l’effetto consista in una notizia sostanzialmente nuova, grava sul giornalista l’onere di accertarne la rispondenza al vero pena la commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa (Cassazione Penale n. 21193/2017).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Cassazione Penale n. 25518/2017)..
La pertinenza, affinché l’esercizio del diritto di cronaca/critica non integri il reato di diffamazione a mezzo stampa, impone che notizie e fatti riportati abbiano un concreto interesse per l’opinione pubblica, non necessariamente intesa nella sua totalità.
Ben potranno talune questioni, di interesse per un numero limitato di soggetti o di specifiche categorie professionali, meritare divulgazione, qualora potenzialmente modificative di comportamenti e decisioni nel gruppo sociale di riferimento (Cassazione n. 10925/2017).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, affinché possa essere legittimamente esercitato il diritto di cronaca è necessario il rispetto del principio della pertinenza, deve, cioè, sussistere un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale.
La continenza, affinché l’esercizio del diritto di cronaca/critica non integri il reato di diffamazione a mezzo stampa, consiste nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti.
In tema di diffamazione a mezzo stampa la continenza si atteggia non solo come correttezza formale delle espressioni adoperate, ma anche come corretta manifestazione delle proprie opinioni.
Conclusivamente, in tema di diffamazione a mezzo stampa il principio della continenza in forza del quale l’esposizione deve essere corretta ed effettuata in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui reputazione.
In materia di diffamazione a mezzo stampa, l’offensività alla reputazione prodotta dall’articolo incriminato deve desumersi da tutto il contesto espositivo – comunicativo, comprendente titoli, sottotitoli, immagini che accompagnano lo scritto, per cui doveroso è l’esame relativo alla continenza, o correttezza formale, che concorre, unitamente alla verità del fatto narrato ed all’interesse alla conoscenza dello stesso, alla configurazione degli estremi dell’esimente del diritto di cronaca (Cassazione Penale n. 46311/2004, Cassazione Penale n. 11958/2000, Cassazione Penale n. 5738/2000, Cassazione Penale n. 8035/1998, Cassazione Penale n. 1596/1998).
Ciò posto è bene evidenziare che, cronaca e critica sono, quindi, due attività contigue nella realtà ma funzionalmente diverse in quanto, ancorché riguardino gli accadimenti di pubblico interesse ed i soggetti che vi sono coinvolti.
La cronaca si risolve in una esposizione dei fatti con lo scopo di informare il lettore, per cui deve essere fondata sulla più scrupolosa obiettività, mentre la critica consiste, invece, in una attività valutativa rispetto le opinioni e condotte altrui, per cui i limiti esimenti sono più pregnanti allorché intercettano l’altrui reputazione.
Nello specifico, la cronaca ma anche la critica devono riferire e devono esprimersi di e su fatti veri, nel vero senso della parola e non falsificati come quando si ometta scientemente di portare a conoscenza aspetti o argomenti idonei a stravolgerne il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, allusioni, insinuazioni, sofismi, obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore rappresentazioni della realtà obiettiva.
Il legittimo esercizio del diritto di critica, proprio perché consiste in una manifestazione di una opinione, indubbiamente riconosciuto a ciascun cittadino sulla base dell’art. 21 della Costituzione, deve pur sempre corrispondere all’interesse sociale alla comunicazione ed a quello della correttezza del linguaggio senza mai sfociare in ingiurie ed offese gratuite e senza mai trascendere in attacchi personali diretti a colpire sul piano individuale la figura del soggetto criticato.
Diffamazione aggravata ex art 595 cp comma 3: diffamazione a mezzo internet
La diffamazione a mezzo internet, costituisce, al pari della diffamazione a mezzo stampa fattispecie aggravata del reato di diffamazione disciplinata dall’art 595 cp comma 3.
Infatti l’art 595 cp comma 3 nel prevedere la forma aggravata del reato di diffamazione testualmente dispone:
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
L’utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta erga omnes, pertanto integra il reato di diffamazione aggravata e precisamente la diffamazione a mezzo internet (Cassazione Penale n. 4741/2000).
Tale orientamento è stato confermato da successive pronunce, al punto da far ritenere consolidato il seguente principio
La diffamazione tramite internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art 595 cp comma 3, in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità.
All’interno della generica diffamazione a mezzo internet, la giurisprudenza ha poi ritagliato un’ipotesi più specifica, cioè la diffamazione a mezzo Facebook che consiste nella pubblicazione dei frasi diffamatorie attraverso l’uso Facebook.
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art 595 cp comma 3, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.
Nella diffamazione a mezzo internet, nonché nella sua forma più specifica di diffamazione a mezzo Facebook, l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante (Cassazione Penale n. 50/17, Cassazione Penale n. 8328/16, Cassazione Penale n. 24431/15).
Deve precisarsi che, nella diffamazione a mezzo internet, nonché nella sua forma più specifica di diffamazione a mezzo Facebook, la circostanza per la quale l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione, non vale ad escludere la natura di altro mezzo di pubblicità richiesta dall’art 595 cp comma 3, a norma penale per l’integrazione dell’aggravante; quest’ultima invero “discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art 595 cp comma 3, nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari” (Cassazione n. 6081/2015, Cassazione Penale n. 29221/2011).
A sostegno di quanto esposto, in materia di diffamazione a mezzo social network, anche la giurisprudenza di merito si è mostrata concorde nel ritenere che il messaggio pubblicato sulla bacheca di un iscritto è ben visibile anche da numerosi altri utenti e può essere incontrollabilmente diffuso a seguito di tagging.
Gli utenti del social network sono dunque ben consapevoli che molti altri iscritti potranno prendere visione delle informazioni inserite in rete, anche a prescindere dal proprio consenso: per tale motivo, ove dette informazioni abbiano carattere lesivo della reputazione, dell’onore e del decoro altrui, si verte in tema di diffamazione a mezzo social network e l’autore dell’illecito sarà obbligato a risarcire il danno cagionato (Tribunale di Monza n. 770/2010)
In sostanza, l’utilizzo di Internet, integra l’ipotesi aggravata del reato di diffamazione, di cui all’art 595 cp comma 2, ovvero la c.d. diffamazione a mezzo internet, poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale (Cassazione Penale n. 38912/12).
Deve ricordarsi che in caso di diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network qualora vi sia immissione nella rete Internet di frasi offensive e/o di immagini denigratorie, il reato si consuma nel momento in cui il collegamento viene attivato (Cassazione Penale n. 16712/2014, Cassazione Penale n. 25875/2006).
Reato di diffamazione ex art 595 cp e tutela in ambito civilistico.
A partire, dalla Sentenza n. 5259/1984 della Corte di Cassazione, c.d. Sentenza del “decalogo dei giornalisti” è stato riconosciuto ai soggetti diffamati e lesi dal reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network) il diritto di tutelare la propria reputazione in sede civile senza necessità di attivare l’azione penale, avviando quindi la tendenza di tali soggetti a preferire l’azione civile a quella penale.
Infatti, ai fini della risarcibilità dei danni conseguenti al reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network) non è richiesto che la responsabilità dell’autore del fatto illecito sia stata accertata in un procedimento penale (Cassazione n. 729/2005).
L’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione, generata reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa (Cassazione n. 25423/2014).
In sostanza, il soggetto diffamato e leso dal reato di reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), ha piena libertà nello scegliere la forma di tutela a cui intende ricorrere, potendo quindi in definitiva decidere se azionare un procedimento di natura penale, oppure di natura civilistica.
Nel caso in cui il soggetto leso dal reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), agisca in sede civile, si dovrà accertare incidenter tantum la sussistenza della fattispecie penale del reato di diffamazione exart 595 cp, ma tale accertamento, a differenza che in sede penale, prescinde dalla sussistenza dell’elemento psicologico del dolo, il cui eventuale riscontro in sede civile avrà rilevanza solo ai fini di una graduazione del danno risarcibile.
In definitiva, in ambito civilistico, l’accertamento del reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network) avverrà incidenter tantum e nel caso in cui da tale accertamento emerge che la condotta posta in essere non perfezioni il reato di cui all’art 595 cp, può ben integrare l’illecito civilistico di cui all’art. 2043 c.c. e quindi risolversi in un attività che ha causato in un danno ingiusto.
Al riguardo deve ricordarsi che si ravvisa illecito civile ove la lesione del diritto all’identità personale avviene mediante distorsione dell’effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, mentre si ritiene sussistente il reato di diffamazione ex art 595 cp quando, invece, alla lesione si pervenga mediante offesa alla reputazione (Cassazione Penale n. 10724/2008,Cassazione Penale n. 849/1993).
Nel reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), il danno alla reputazione di cui si invoca il risarcimento non è in re ipsa, ma richiede che ne sia data prova, che può essere raggiunta anche a mezzo di presunzioni semplici (Cassazione n. 24474.2014).
L’azione civile per il risarcimento del danno conseguente al reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network) non richiede né che sia stata sporta querela penale, né che venga accertata la commissione di un reato.
La reputazione è un bene della vita tutelato dalla Costituzione nonché dal reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), la cui compromissione consente, ai sensi dell’art 2059 cc, di accordare la tutela risarcitoria.
L’esito assolutorio del giudizio penale conseguente al reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), quand’anche definitivo, non ha alcuna influenza nel giudizio civile di risarcimento del danno se quest’ultimo sia iniziato anteriormente alla pronuncia della sentenza penale di primo grado e l’azione civile non sia stata trasferita nel giudizio penale, nell’esercizio di una libera facoltà del soggetto danneggiato. (Principio enunciato con riferimento ad un giudizio civile di risarcimento per danni da diffamazione a mezzo stampa, i cui autori erano stati assolti, in sede penale, dall’imputazione elevata a loro carico, in virtù del riconoscimento dell’esimente del diritto di critica) (Cassazione n. 15112/2013)
Reato di diffamazione ex art 595 cp e liquidazione del danno
L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, ha pubblicato, i criteri orientativi per la liquidazione del danno conseguente al reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network).
In tale pubblicazione, vengono elencati i parametri principali, adoperati dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno conseguente al reato di diffamazione ex art 595 cp (diffamazione a mezzo stampa, diffamazione a mezzo internet e/o diffamazione a mezzo social network), che sono:
notorietà del diffamante, carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato;
natura della condotta diffamatoria (se colpisca la sfera personale e/o professionale, se sia violativa della verità e/o anche della continenza e pertinenza, se sia circostanziata o generica, se siano utilizzate espressioni ingiuriose, denigratorie o dequalificanti, uso del turpiloquio, possibile rilievo penale della condotta), condotte reiterale, campagne stampa,collocazione dell’articolo e dei titoli, spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dell’articolo/libro/trasmissione televisiva o radiofonica, intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione (se vi sia animus diffamandi, se il dolo sia eventuale);
mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e relativa diffusione, eventualmente anche con edizione on line del giornale (escludendo la automatica equiparazione tra minor tiratura (o diffusività) = minor danno, specie in caso di mezzo di stampa che abbia un ambito di diffusione assai limitato sul territoriale, ma di elevata diffusività proprio in quell’ambito assai ristretto, ove lo stesso costituisca “territorio’’ di vita e relazione del danneggiato);
risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie imputabile al diffamante (es. falso scoop con la consapevolezza di avvio di campagna stampa diffamatoria, ovvero notizia data ad agenzia tipo Ansa che la diffonde universalmente), natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, se siano evidenziati profili concreti di danno o meno, reputazione già compromessa (es. ampio coinvolgimento in procedimento penale), limitata riconoscibilità del diffamato (es. foto di spalle, mancata indicazione del nome), ampio lasso temporale tra fatto e domanda giudiziale, rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi, pubblicazione della sentenza.
L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha in sostanza, individuato, cinque tipologie di diffamazione a cui ha parametrato la liquidazione equitativa del danno:
1) Diffamazione di tenue gravità, con un danno liquidabile nell’importo da euro 1.000,00 ad euro 10.000,00.
La diffamazione di tenue gravità ricorre in presenza dei seguenti elementi: limitata/assente notorietà del diffamante, tenuità dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento, minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio, minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria, assente risonanza mediatica, tenue intensità elemento soggettivo, intervento riparatorio/rettifica del convenuto.
2) Diffamazione di modesta gravità, con un danno liquidabile nell’importo da euro 11.000,00 ad euro 20.000,00.
La diffamazione di modesta gravità, ricorre in presenza dei seguenti elementi:limitata/modesta notorietà del diffamante, limitata diffusione del mezzo diffamatorio (1 episodio diffamatorio a diffusione limitata), modesto spazio della notizia diffamatoria, modesta/assente risonanza mediatica, modesta intensità elemento soggettivo.
3) Diffamazione di media gravità, con un danno liquidabile nell’importo da euro 21.000,00 ad euro 30.000,00.
La diffamazione di media gravità, ricorre in presenza dei seguenti elementi:media notorietà del diffamante, significativa gravità delle offese attribuite al diffamato sul piano personale e/o professionale, uno o più episodi diffamatori, media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio (diffusione a livello nazionale/significativa diffusione nell’ambiente locale di riferimento), eventuale pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale e professionale, natura eventuale del dolo.
4) Diffamazione di elevata gravità, con un danno liquidabile nell’importo da euro 31.000,00 ad euro 50.000,00.
La diffamazione di elevata gravità, elevata notorietà del diffamante, ricorre in presenza dei seguenti elementi: uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano/trasmissione a diffusione nazionale), notevole gravità del discredito e eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato, eventuale utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose, elevato pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale, risonanza mediatica della notizia diffamatoria, elevata intensità elemento soggettivo.
5) Diffamazioni di eccezionale gravità, con un danno danno liquidabile in importo superiore ad euro 50.000,00.