il creditore vittorioso in primo grado non puo’ riassumere nei confronti del curatore il giudizio di appello dichiarato interrotto per fallimento del debitore appellante, ma, ove intenda partecipare al concorso fallimentare, deve far valere nella sede concorsuale le ragioni riconosciute a suo favore dalla sentenza appellata, rimanendo a carico del curatore l’onere di coltivare il giudizio d’impugnazione ove il giudice delegato non ritenga di ammettere il credito. La riassunzione effettuata dal creditore determina un’illegittima prosecuzione del processo, e tale illegittimita’, rilevabile d’ufficio, e’ assorbente rispetto all’eventuale improcedibilita’ dell’appello.
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Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Sentenza|13 ottobre 2022| n. 29934
Data udienza 7 giugno 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22754/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio del primo in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
Fallimento (OMISSIS), titolare della ditta individuale (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 3394/2019 depositata il 21 maggio 2019;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
Lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Troncone Fulvio, formulate ai sensi e con le modalita’ previste dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali si chiede che la Corte voglia rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 23729/2013 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS), quali locatori di immobili, condanno’ il conduttore (OMISSIS) al pagamento dei canoni rimasti insoluti e dell’indennita’ di occupazione maturata fino alla data del rilascio; rigetto’ la domanda di condanna al risarcimento dei danni derivati dallo scioglimento anticipato del vincolo contrattuale e dalla violazione del divieto di sublocazione; dichiaro’ inammissibili le ulteriori domande risarcitorie proposte dai ricorrenti con la memoria ex articolo 426 c.p.c.; pose a carico del (OMISSIS) le spese di lite.
2. I predetti locatori interposero separati appelli, poi riuniti, chiedendo l’integrale accoglimento delle conclusioni formulate in primo grado e la condanna del (OMISSIS) al pagamento delle ulteriori somme calcolate tenendo conto dell’esatto ammontare del canone, nonche’ degli interessi, degli aumenti Istat e della penale a titolo di indennita’ giornaliera per l’occupazione degli immobili.
(OMISSIS) chiese, altresi’, il riconoscimento in suo favore, quale erede, delle somme di spettanza della dante causa (OMISSIS) (nel periodo in cui la stessa aveva rivestito la qualifica di usufruttuaria dei beni per la percentuale del 12,5%).
L’appellato resistette ed in via incidentale chiese che fosse dichiarata la nullita’ dei contratti di locazione, per il mancato consenso dell’usufruttuaria (OMISSIS), e che fosse accertato che nulla era dovuto a titolo di canoni, interessi ed indennita’ di occupazione; in via subordinata, chiese la conferma della sentenza di primo grado e, in via ulteriormente subordinata, che fosse dichiarato che l’indennita’ di occupazione copriva ogni altra ragione risarcitoria avanzata e che, comunque, nel computo del quantum debeatur il canone mensile fosse calcolato nella misura di Euro 4.487,13, con decurtazione dell’importo di Euro 110.000,00 gia’ versato.
3. Con ordinanza in data 26 settembre 2018 il giudizio fu dichiarato interrotto per l’intervenuto fallimento dell’appellato.
Riassunto su istanza degli appellanti, si costitui’ il curatore del fallimento che chiese, in via preliminare, dichiararsi l’improcedibilita’ delle proposte impugnazioni, insistendo in subordine per il rigetto degli appelli e la conferma della sentenza di primo grado.
4. Con sentenza n. 3394/2019 dei 21 maggio 2019, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato improcedibile l’azione proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS), compensando le spese del grado, sulla base del seguente ragionamento:
i. secondo quanto puo’ evincersi dagli atti di causa, il Giudice Delegato, nell’ambito della procedura fallimentare n. (OMISSIS) promossa nei confronti di (OMISSIS), nella qualita’ di titolare della ditta individuale (OMISSIS), con provvedimento emesso, alla presenza del curatore, in data 14 novembre 2018, ha dichiarato esecutivo lo stato passivo e ne ha ordinato il deposito in Cancelleria (poi avvenuto il 20 novembre 2018);
ii. in detta sede il giudice delegato ha ammesso, con riserva del passaggio in giudicato della sentenza n. 23729/13 emessa dal Tribunale di Roma (oggetto del presente gravame), i crediti fatti valere da (OMISSIS) e (OMISSIS), in attesa “dell’emananda sentenza di appello” e in applicazione della previsione di cui alla L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3);
iii. con provvedimento in data 20 novembre 2018 il giudice delegato ha, poi, autorizzato il Curatore a costituirsi in giudizio nella fase di riassunzione (a seguito dell’interruzione per l’intervenuta dichiarazione di fallimento del (OMISSIS)) “al fine di sollecitare una declaratoria di improcedibilita’ delle domande avanzate dagli appellanti L.Fall., ex articoli 51 e 52”;
iv. alla luce del chiaro tenore dell’autorizzazione alla costituzione nel presente giudizio di appello, l’azione proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS) va dichiarata improcedibile in ossequio al disposto della L.Fall., articolo 51 a norma del quale “Salva diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, puo’ essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”;
v. la deroga alla citata previsione – rappresentata dalla L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3), che consente, appunto, l’ammissione con riserva dei “crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento” – non puo’ trovare applicazione nel presente giudizio;
vi. sotto il profilo cronologico, infatti, l’autorizzazione alla costituzione in giudizio e’ stata concessa successivamente alla formazione dello stato passivo, cosicche’ rappresenta l’ultimo intendimento espresso dal giudice fallimentare;
vii. l’apparente discrasia tra i due provvedimenti va, quindi, risolta, sulla scorta di un criterio temporale, dando prevalenza al secondo rispetto al primo;
viii. diversamente opinando, e accedendo all’interpretazione offerta dalla parte appellante secondo cui il presente giudizio dovrebbe comunque proseguire nel merito, la Corte assumerebbe una decisione in spregio alla volonta’ espressa dal Giudice Delegato, ossia dall’unico organo deputato a valutare la sede in cui devono trovare ingresso le istanze dei creditori.
5. Avverso tale sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste il curatore del fallimento di (OMISSIS), depositando controricorso, con il quale propone a sua volta ricorso incidentale condizionato con unico motivo.
Il P.M. ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si da’ preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con il Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, (che ne ha prorogato l’applicazione alla data del 31 dicembre 2022), non avendo alcuna delle parti ne’ il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2. Con l’unico motivo del ricorso principale (OMISSIS) e (OMISSIS) denunciano, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “falsa applicazione della L.Fall., articoli 51, 52, violazione della L.Fall., articolo 25 e articolo 96, comma 2, n. 3; violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4”.
Lamentano la violazione del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui “la sentenza di primo grado… intervenuta prima della dichiarazione di fallimento… e’ titolo per insinuarsi al passivo, e non puo’ essere dunque travolta da una dichiarazione di improcedibilita’ della domanda, pena la violazione dell’articolo 96 che invece consente di avvalersi della decisione ottenuta per insinuarsi al passivo, salva la facolta’ del curatore di proseguire nella impugnazione (che dunque e’ procedibile anche per tale ragione)” (Cass. 30/05/2019, n. 14768), rammentando che si e’ sempre anche precisato che “l’articolo 96, comma 2, n. 3, al pari del previgente articolo 95, comma 3, deve essere interpretato estensivamente, in modo da comprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte della sentenza di merito non passata in giudicato (Cass. n. 26041 del 2010, con riferimento al previgente testo della L.Fall., articolo 95, comma 3; Cass. n. 7426 del 2015, in motivazione, quanto all’attuale regime dell’articolo 96 cit.)”, da cio’ facendosi conseguire il logico corollario che “la cognizione di tali crediti rimane di spettanza del giudice dell’appello, dovendo il creditore presentare proprio per questo la sua domanda di ammissione al passivo fallimentare con riserva” (Cass. 10/05/2018, n. 11362).
Criticano come solo apparente (in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), “ma in realta’ aberrante”, la motivazione posta a sostegno dell’affermazione secondo cui “la deroga alla citata previsione (L.Fall., articolo 52, anche se la Corte di appello sembra fare riferimento all’articolo 51) rappresentata dalla L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3,…. non puo’ trovare applicazione nel presente giudizio”: motivazione risolventesi nel rilievo che “successivamente alla formazione dello stato passivo”, il giudice delegato aveva autorizzato il curatore a costituirsi in giudizio “al fine di sollecitare una declaratoria di improcedibilita’ delle domande avanzate dagli appellanti L.Fall., ex articoli 51 e 52” e della necessaria prevalenza di questo secondo provvedimento sul primo.
Rilevano che, in tal modo, la Corte di appello ha operato “una scelta solo formalmente interpretativa, ma talmente svincolata dai parametri normativi da non essere ad essi riconducibile, ovvero da non essere frutto di un processo interpretativo consapevole… ma addirittura una scelta aberrante”, in quanto si pone “oltre e contro il significante delle disposizioni richiamate” (Cass. Sez. U. n. 11747 del 2019).
Evidenziano al riguardo come la competenza a decidere non possa di certo essere ancorata “alla volonta’ espressa dal giudice delegato”, al quale non compete di “valutare la sede in cui devono trovare ingresso le istanze dei creditori”, sede che, piuttosto, si rinviene in espresse previsioni di legge e, per quanto qui occupa, nel chiarissimo tenore della L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3.
Osservano ancora criticamente che la Corte di appello non solo ha ritenuto prevalente, a fronte di un provvedimento giurisdizionale di ammissione al passivo, un’autorizzazione amministrativa interna alla procedura fallimentare, ma ha del tutto ritenuto di poter acriticamente recepire la “volonta’” del giudice delegato, senza motivare le ragioni della dichiarata improseguibilita’ dell’azione, ma limitandosi a richiamare la pretesa “successiva” volonta’ del giudice delegato che, al contrario, nessun rilievo poteva avere in causa.
Rimarcano in tal senso che, decidendo nei termini indicati, la Corte d’appello ha anche “malamente interpretato ed applicato la L. Fall., articolo 25 in maniera del tutto esorbitante dal sistema fallimentare, perche’ l’autorizzazione del giudice delegato L.Fall., ex articolo 25 esaurisce la sua efficacia sul piano della integrazione della capacita’ processuale del curatore e non tocca, ne’ puo’ toccare, la posizione della controparte (estranea alla procedura concorsuale) nel rapporto processuale che si viene ad instaurare col curatore a seguito della proposizione (o della riassunzione) dell’impugnazione della sentenza emessa all’esito del giudizio gia’ instaurato prima del fallimento fra il fallito e la stessa controparte.
“Invero, quand’anche il giudice delegato negasse al curatore l’autorizzazione a costituirsi nel giudizio di impugnazione promosso (o riassunto) dalla controparte nei confronti del curatore, tale giudizio non potrebbe non proseguire (nella contumacia del curatore), avendo la controparte il diritto di far accertare le sue pretese creditorie (non riconosciute in tutto o in parte dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata) nella sede ordinaria davanti al giudice dell’impugnazione, proprio in virtu’ del disposto della L.Fall., articolo 96, che, in simile ipotesi, deroga al generale principio posto della L.Fall., articolo 52.
“Sicche’ quale che sia il contenuto del provvedimento del giudice delegato L.Fall., ex articolo 25 (di autorizzazione o di diniego, totale o parziale), esso non puo’ mai influire sulla prosecuzione del giudizio di impugnazione ad iniziativa e/o su impulso della controparte, atteso che l’applicabilita’ dell’articolo 96 non e’ connessa ne’ dipende dal predetto provvedimento, il cui ambito di efficacia e’ circoscritto alla posizione processuale del solo curatore, nel senso che riguarda soltanto le facolta’ che costui puo’ esercitare nel processo (costituendosi o non costituendosi), ma non ne condiziona l’assunzione della qualita’ di parte processuale (soggetta alle regole generali della disciplina processuale), ne’ lo sviluppo ulteriore del giudizio di impugnazione (assicurato dalla L.Fall., articolo 96)”.
3. Con il proposto controricorso la curatela del fallimento (OMISSIS), eccepita preliminarmente l’inammissibilita’ del ricorso per asserita inosservanza degli oneri di specificita’ e autosufficienza ex articolo 366 c.p.c. e contestata, nel merito (cassatorio), la fondatezza delle censure svolte dalle controparti, chiede “in via incidentale, ulteriormente subordinata, nonche’ condizionata al mancato accoglimento delle eccezioni tutte”, la cassazione “senza rinvio” della sentenza per “violazione della L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3, e/o articolo 25, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e/o dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4” con decisione nel merito, ex articolo 384 c.p.c., comma 2, che dichiari “l’improcedibilita’ delle impugnazioni proposte dai (OMISSIS) L.Fall., ex articoli 51 e 52”: cio’ sul presupposto che l’unico errore imputabile alla sentenza impugnata sia quello di aver dichiarato l’improcedibilita’ “dell’azione” anziche’ “dell’impugnazione”.
4. Va disattesa la preliminare eccezione di inammissibilita’ del ricorso per inosservanza dell’articolo 366 c.p.c. e di regole redazionali.
Il ricorso si sottrae a tale eccezione, essendo l’impugnazione chiaramente mirata a contestare la regola di giudizio applicata dal giudice a quo per ragioni di mero diritto, il cui vaglio non richiede l’esame (e quindi, prima ancora, la specifica indicazione nei termini richiesti dalla citata norma processuale) degli atti richiamati.
Il ricorso e’ chiaro e sufficientemente sintetico, conformemente allo spirito del Protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione e il C.N.F. del 17/12/2015, la cui puntuale osservanza non e’ comunque assistita – come del resto precisato nella Nota 2 dell’atto medesimo – da alcuna sanzione processuale, fin quando almeno non si traduca anche nella violazione dei requisiti dettati dal codice di rito.
5. Nel merito (cassatorio) il ricorso e’ manifestamente fondato la’ dove denuncia la violazione della L.Fall., articoli 25 e 96, comma 2, n. 3, e, correlativamente, la falsa applicazione della L.Fall., articolo 51.
La L.Fall., articolo 96, comma 3, nella nuova formulazione, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, introdotta dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 81, comma 1 (poi divenuto comma 2 a seguito dell’abrogazione del comma che lo precedeva disposta dal Decreto Legislativo n. 12 settembre 2007, n. 169), prevede testualmente: “Oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi al passivo con riserva:… 3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore puo’ proporre o proseguire il giudizio di impugnazione”.
5.1. La norma costituisce evidente trasposizione, salve ininfluenti modifiche testuali, della norma prima contenuta nell’articolo 95, comma 3 che cosi’ prevedeva: “Se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, e’ necessaria l’impugnazione se non si vuole ammettere il credito”.
Secondo unanime opinione la ratio dell’articolo 95, comma 3, era data dall’esigenza di salvaguardare la posizione processuale del creditore derivante dalla sentenza a lui favorevole, risultato che si otteneva mantenendo fermi gli ordinari mezzi di impugnazione. Si volle in altre parole realizzare un contemperamento equitativo dell’interesse del creditore – che gia’ avesse ottenuto il riconoscimento del proprio credito con sentenza, per quanto non ancora passata in giudicato – ad avvalersene per la partecipazione al concorso, con il contrapposto (eventuale) interesse degli altri creditori a pretenderne l’accertamento secondo le norme del concorso.
Il meccanismo dell’articolo 95, comma 3, portava dunque ad uno spostamento di competenza dal giudice fallimentare al giudice ordinario.
La proposizione dell’impugnazione davanti al giudice competente non dispensava, pero’, il creditore dal presentare la domanda di ammissione al passivo, restando questo il modo principale attraverso il quale gli organi del fallimento potessero avere notizia della sentenza.
L’articolo 95, comma 3, rappresentava in tal modo una deroga al principio dell’esclusivita’ del procedimento di cui all’articolo 52, deroga che secondo la dottrina nasceva anche dall’esigenza di evitare una pluralita’ di processi sullo stesso oggetto, per cui se e’ gia’ stato pronunciato un giudicato e’ bene che l’accertamento del credito prosegua davanti all’organo competente per l’impugnazione onde evitare un possibile contrasto tra i giudici e favorire al tempo stesso la speditezza del procedimento.
La giurisprudenza della Cassazione aveva precisato, anche valorizzando il dato testuale che affidava l’onere (e la possibilita’) di impugnare (davanti al giudice ordinario) al solo curatore, che “il creditore vittorioso in primo grado non puo’ riassumere nei confronti del curatore il giudizio di appello dichiarato interrotto per fallimento del debitore appellante, ma, ove intenda partecipare al concorso fallimentare, deve far valere nella sede concorsuale le ragioni riconosciute a suo favore dalla sentenza appellata, rimanendo a carico del curatore l’onere di coltivare il giudizio d’impugnazione ove il giudice delegato non ritenga di ammettere il credito. La riassunzione effettuata dal creditore determina un’illegittima prosecuzione del processo, e tale illegittimita’, rilevabile d’ufficio, e’ assorbente rispetto all’eventuale improcedibilita’ dell’appello” (Cass. n. 1105 del 24/03/1975).
Nel diverso caso pero’ – quale quello in esame – che la sentenza non passata in giudicato avesse non gia’ accertato la pretesa del creditore ma, al contrario, rigettato od accolto solo parzialmente la domanda di accertamento del credito, si era in netta prevalenza affermato l’orientamento che ammetteva la prosecuzione o riassunzione del giudizio di appello nelle competenti sedi ordinarie e cio’ anche su istanza del creditore, nei confronti del curatore del fallimento, legittimato non solo a proporre l’impugnazione ma anche passivamente a subirla (Cass. n. 3852 del 1974; n. 2710 del 1975; n. 314 del 1979; n. 3518 del 1983; n. 7492 del 1986; n. 3217 del 1988; n. 1005 del 1988; n. 928 del 1989; n. 1937 del 1990; n. 13974 del 1991; n. 3528 del 1998; n. 11692 del 2005; n. 18088 del 2007; n. 5113 del 2008; n. 4646 del 2009; Sez. U. n. 5454 del 2009; n. 26041 del 2010; n. 19335 del 2013; n. 3338 del 2015).
5.2. Cass. n. 26041 del 2010 ha in particolare evidenziato – assai efficacemente ai fini delle questioni dibattute nella presente sede -come “ai sensi della L. Fall., articolo 52, la dichiarazione di fallimento del debitore, aprendo il concorso sul patrimonio del fallito, preclude la proposizione o la prosecuzione di azioni individuali da parte dei creditori, i cui crediti debbono essere accertati e soddisfatti nelle forme di cui agli articoli 92 e ss. medesima legge, dinanzi al giudice delegato ed al tribunale fallimentare, la cui competenza attrae tutte le controversie che trovano la loro ragione diretta o indiretta e la loro origine ontologica e funzionale nel fallimento.
“Tale vis actractiva, secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, non si estende tuttavia all’ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento sia intervenuta successivamente alla sentenza di primo grado che abbia rigettato (anche solo in parte) la domanda proposta dal creditore, trovando in tal caso applicazione la L. Fall., articolo 95, comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla sostituzione disposta dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 80), ai sensi del quale, ove il credito di cui e’ stata chiesta l’ammissione al passivo risulti da sentenza non ancora passata in giudicato, il rigetto dell’istanza di insinuazione richiede necessariamente l’impugnazione della sentenza.
“Questa disposizione, dettata per l’ipotesi di accoglimento della domanda del creditore, dev’essere infatti interpretata estensivamente, in tal senso deponendo sia la sua ratio, consistente nell’evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento diventi irretrattabile per effetto della mancata impugnazione, sia evidenti ragioni di economia processuale, le quali inducono ad escludere la necessita’ che una causa gia’ decisa nella sua sede naturale sia posta nuovamente in discussione in un giudizio di primo grado, sia infine l’illogicita’ del diverso regime di processuale cui il medesimo credito resterebbe altrimenti assoggettato, rispettivamente in caso di accoglimento o rigetto del a domanda (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 27 febbraio 2008, n. 5113; 27 agosto 2007, n. 18088; 1 giugno 2005, n. 11692).
“Tali conclusioni, cui la giurisprudenza di legittimita’ e’ pervenuta in epoca anteriore alle recenti modifiche della legge fallimentare, trovano oggi ulteriore conforto, oltre che nel canone di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, (nel testo introdotto dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), il quale impone di privilegiare soluzioni idonee ad evitare inutili duplicazioni di attivita’ processuali, anche nella nuova formulazione della L. Fall., articolo 96, che al comma 2, n. 3, prevede espressamente l’ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, imponendo nel contempo al curatore di proporre o proseguire il giudizio d’impugnazione.
“Cio’ comporta, peraltro, che, ove a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche parziale) della domanda da parte del creditore il giudizio, interrottosi per la dichiarazione di fallimento del debitore, sia proseguito dal curatore o nei confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado e’ destinata a spiegare efficacia nei confronti del fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o proseguita dal curatore in caso di accoglimento della domanda in primo grado”.
5.3. In senso conforme, con specifico riferimento alla disciplina dettata dal novellato L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3, si sono pronunciate Cass. n. 7426 del 2015; n. 1083 del 2016, n. 11362 del 2018, n. 18481 del 2018, n. 14768 del 2019, n. 11741 del 2021; n. 15848 del 2022.
Cass. n. 14768 del 2019, in particolare, in un caso in cui la sentenza di primo grado era intervenuta – come nel caso qui in esame – prima della dichiarazione di fallimento, ha affermato che “essa e’ titolo per insinuarsi al passivo e non puo’ essere dunque travolta da una dichiarazione di improcedibilita’ della domanda, pena la violazione dell’articolo 96 suddetto che invece consente di avvalersi della decisione ottenuta per insinuarsi al passivo, salva la facolta’ del curatore di proseguire nella impugnazione (che dunque e’ procedibile anche per tale ragione).
“In sostanza, l’improcedibilita’ della domanda vuol dire caducazione del titolo ottenuto e necessita’ di iniziare una nuova richiesta di risarcimento verso il fallimento, e cio’ e’ espressamente contraddetto dalla norma fallimentare che invece non impone un simile esito, consentendo, piuttosto, a chi ha ottenuto sentenza favorevole di poterla usare per insinuarsi al passivo e rimettendo al curatore la scelta se contrastare quel titolo con una impugnazione”.
6. L’indirizzo cosi’ saldamente espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ non puo’ dirsi contrastato dalle pronunce cui fa riferimento il P.G. nelle proprie conclusioni.
Il principio espresso da Cass. n. 24156 del 2018 riguarda invero il ben diverso caso, nient’affatto riconducibile alla previsione della L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3, in cui il fallimento intervenga prima dell’azione promossa dal creditore o successivamente ad essa ma ancora nel corso del giudizio di primo grado, quando ancora cioe’ non sia stata pronunciata alcuna sentenza.
Cass. n. 9461 del 2020 fa a sua volta riferimento ad ipotesi di credito risarcitorio vantato nei confronti di banca, intermediaria finanziaria, sottoposta – con provvedimento sopravvenuto nel corso dello stesso giudizio di legittimita’ – alla procedura di liquidazione coatta amministrativa; la S.C. ha dichiarato improcedibile la domanda, compensando le spese, facendo applicazione del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 83, comma 2 (Testo Unico Bancario), in quanto richiamante le disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare (fra cui il ricordato L.Fall., articolo 52), ed espressamente evidenziando in motivazione che “la L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3, seconda parte, non e’ richiamato dall’articolo 83 TUB e in ogni caso i commissari liquidatori non hanno proseguito il giudizio di impugnazione”.
7. Manifestamente errata in iure e’ infine la giustificazione che la Corte d’appello da’ del convincimento espresso circa la non applicabilita’, nel caso di specie, della L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3).
Come del tutto fondatamente evidenziato in ricorso:
a) la sede giudiziale nella quale proporre impugnazione nell’ipotesi descritta e’ stabilita dalla legge (appunto dalla L.Fall., articolo 96, comma 2, n. 3) non dal giudice;
b) tanto meno puo’ valere a fissarla un provvedimento, quale l’autorizzazione data dal giudice delegato al curatore di proporre impugnazione, che costituisce espressione di una funzione di giurisdizione volontaria, non decisoria, destinata ad esplicare i propri effetti esclusivamente all’interno dei rapporti tra organi della procedura e difensore nominato dal curatore e non certo nei confronti del terzo creditore.
8. La memoria che, come detto, e’ stata depositata dal controricorrente non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi. Essa invero ripropone in sostanza le medesime difese gia’ svolte nel controricorso, tutte confutate dalle considerazioni sopra svolte.
9. Queste naturalmente valgono anche a giustificare il rigetto del ricorso incidentale condizionato, non potendosi nella specie predicare alcuna improcedibilita’ ne’ dell’azione ne’ dell’impugnazione proposta nella sede ordinaria.
10. In accoglimento del ricorso principale la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato di provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
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I presupposti per la dichiarazione di fallimento
Revocatoria fallimentare: elementi rilevati ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis.
La sorte del contratto di affitto di azienda pendente al momento della dichiarazione di fallimento.
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