Il negozio transattivo stipulato in sede conciliativa, giudiziale o stragiudiziale, in forza dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., è assoggettato ad un regime giuridico derogatorio della regola generale dell’impugnabilità nel termine decadenziale di sei mesi, in quanto l’intervento del terzo investito di una funzione pubblica (giudice, autorità amministrativa, associazione di categoria) è ritenuto idoneo a superare la presunzione di non libertà del consenso del lavoratore. La ‘sede protetta’ ove viene redatto e sottoscritto dalle parti il verbale di accordo offre maggiori garanzia e protezione in ordine alla presenza di volontà effettiva in capo alla c.d. parte debole di aderire al testo dell’accordo, cosicché la medesima, scevra da pressioni e/o raggiri, sia in grado di vagliare liberamente i benefici eventualmente conseguenti alla stipula, e, dunque, prestare il proprio consenso. Pertanto, qualora non venga dimostrato che la volontà espressa dal lavoratore sia viziata e qualora non siano sussistenti le comuni cause di nullità dell’atto, le conciliazioni e le rinunce che intervengono nelle sedi protette conferiscono all’atto in questione un imprimatur di sostanziale definitività: sono inoppugnabili. Invero, l’art. 2113 c.c., nel prevedere l’impugnabilità delle rinunzie e transazioni sottoscritte dal lavoratore (nel termine di sei mesi dalla sottoscrizione delle stesse se intervenute a seguito della cessazione del rapporto, ovvero da quest’ultima se intervenute nel corso del rapporto), ha previsto un’eccezione, disponendo la non impugnabilità di talune rinunzie/transazioni.

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Corte d’Appello|Bari|Sezione L|Civile|Sentenza|4 gennaio 2023| n. 2119

Data udienza 15 novembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Bari – Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza – composta dai Magistrati:

1) dott. Pietro Mastrorilli Presidente

2) dott.ssa Ernesta Tarantino Consigliere relatore

3 dott. Luca Ariola Consigliere

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella controversia iscritta nel R.G. al numero sopra indicato;

TRA

(…)

rappresentato e difeso dall’avv. (…)

Appellante

E

(…), (…), (…) (eredi di (…)) e (…) SOC. COOP. a.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentati e difesi dall’avv. (…)

E

INPS in persona del legale rappresentante

rappresentato e difeso dall’avv. (…)

Appellati

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza del 28.08.2019 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari a) dichiarava inammissibile la domanda proposta da (…) con ricorso del 13.10.2016, intesa ad ottenere – previa declaratoria della nullità ed inefficacia del verbale di conciliazione in sede sindacale del 7.04.2013 e previo accertamento del rapporto di lavoro subordinato full time intercorso con (…), titolare della ditta individuale, dal 19/09/2009 al 31/03/2013 e con la ditta (…) Soc. Coop arl dal 1/04/2013 al 31/07/2013 – la condanna di (…) e di (…) Soc. Coop, in solido tra loro, alla corresponsione in suo favore dell’importo complessivo di Euro 41.138,22 a titolo di differenze retributive, oltre che alla regolarizzazione della posizione contributiva e assicurativa, o, in subordine, la condanna del (…) e della società cooperativa al pagamento in suo favore della somma, rispettivamente, di E 37.502,72 e di E 3.635,50, a titolo di differenze retributive per i distinti rapporti di lavoro; b) condannava parte ricorrente a rifondere alla parte resistente le spese di lite nella misura di Euro 3.513,00 oltre rimborso forfettario delle spese generali del 15%, Cap e Iva come per legge; c) compensava le spese di lite tra il ricorrente e l’INPS.

Con ricorso del 28.02.2020, (…) interponeva appello avverso la sentenza chiedendone la riforma e l’accoglimento della domanda originariamente azionata. (…), (…), (…), in qualità di eredi di (…) (…), e (…) Soc. Coop Arl, si costituivano, al pari dell’INPS. Acquisito il fascicolo del giudizio di primo grado nonché la documentazione depositata delle parti nei rispettivi fascicoli, ed esperito invano il tentativo di conciliazione tra le parti, all’odierna udienza la causa veniva decisa la causa, come da dispositivo letto in udienza, previo deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni ex art. 83, comma 7 lett. h), del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in l. 24 aprile 2020, n.27.

Con ricorso del 13.10.2016 (…) deduceva di aver svolto attività lavorativa subordinata alle dipendenze di (…), quale titolare della omonima ditta individuale con sede in Bitritto, alla via (…), continuativamente dal 19.09.2009 al 31.03.2013, e della soc. cooperativa (…) a r.l., con sede in Bitritto, alla via (…), continuativamente nel periodo dal 1.04.2013 al 31.07.2013, in virtù di contratti di lavoro a tempo

indeterminato part-time 50%, inquadrato nel I° livello del C.C.N.L. Agricoltura Operai T.I., con mansioni di autista del furgone aziendale addetto alle consegne dei prodotti (pollame, uova). Riferiva di essere stato licenziato, con missiva del 26.06.2013, dalla (…) Soc Coop Arl per “andamento negativo dell’attività produttiva; di aver osservato, per tutto il periodo lavorativo, il seguente orario: dal lunedì al venerdì, dalle ore 7.00 alle 12.00 e dalle ore 15.00 alle 17.00, e il sabato, dalle ore 7.00 alle 13.00; di aver percepito una retribuzione inferiore, non proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, e di aver diritto a maggiori somme a titolo di retribuzione ordinaria, tredicesima e quattordicesima mensilità, lavoro straordinario, festività ed ex festività, T.F.R, nonché a titolo di indennità sostitutiva per ferie maturate e non godute. Invocava l’applicazione dell’art. 2112 c.c., segnalando che la ditta individuale e la cooperativa avevano la medesima sede e che il (…) era legale rappresentante della cooperativa, e chiedeva condannarsi la ditta individuale e la cooperativa, in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di E 41.138,22 a titolo di differenze retributive, e, solo in via subordinata, la ditta individuale a E. 37.502,72 e la cooperativa a E 3.635,50.

Chiedeva anche di dichiarare la nullità del verbale di conciliazione sindacale siglato il 7.04.2013 con il datore di lavoro (…), asseritamente volto a dirimere transattivamente la vertenza proposta con riferimento al periodo di lavoro dal 2.05.2005 al 31.03.2013: al riguardo, sosteneva di non aver mai formalizzato alcuna richiesta di pagamento di modo che non poteva ritenersi insorta alcuna vertenza di lavoro che avesse chiesto una definizione transattiva; che alla stipula del citato accordo non era presente il sindacato di appartenenza cui egli aderiva; che, come da richiesta del datore di lavoro, era invece presente (…), appartenente alla (…); che “nessuna opera di effettiva assistenza effettiva era stata posta in essere dal sindacalista presente, (…), il quale peraltro era presente anche nella veste di conciliatore”; che egli era stato indotto dal datore di lavoro a sottoscrivere il verbale di conciliazione, peraltro presso la sede della Società (…) Coop a.r.l.; segnalava la genericità delle clausole riportate nel verbale di conciliazione, sintomatiche della carenza di un’effettiva volontà di composizione della lite.

In definitiva escludeva potersi riconoscere a quel verbale di conciliazione natura giuridica di transazione.

Si costituivano il (…), la soc cooperativa e l’Inps.

Interrotto per decesso del (…), il giudizio veniva riassunto dal (…) nei confronti degli eredi di (…), (…), (…), (…), i quali, nel costituirsi, eccepivano l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 305 c.p.c. per tardività della riassunzione, e la inammissibilità della domanda attorea.

Il Tribunale accoglieva l’eccezione di inammissibilità della domanda attorea sollevata dai convenuti, i quali, nel costituirsi, segnalavano che le rivendicazioni economiche azionate in giudizio dal (…) avevano già formato oggetto di conciliazione in sede sindacale, e, per la precisione, di tre verbali di conciliazione sindacale. In particolare:

1) Con un primo verbale di conciliazione, sottoscritto l’8.1.2013 presso la sede della USC-CISL, con l’assistenza del sindacato Usc-Cisl nella persona di (…), il (…) accettò la somma di E 200,00 offerta dalla “(…)”, ditta datrice di lavoro, a definizione di ogni pendenza economica (per differenza paga, straordinario, festività, ferie, 13A mensilità, 14A mensilità, TFR e tutto quant’altro dovutogli e non corrispostogli) relativa al rapporto di lavoro dal 19/09/2009 all’08/01/2013.

2) Con un secondo verbale di conciliazione, sottoscritto il 7.4.2013 presso la sede della società “(…) Società Cooperativa Agricola”, il (…), con l’assistenza del sindacato (nella persona di (…), Segretario della FESICA CONFALS provinciale di Bari – Conciliatore), accettò la somma di E 2.074,00 offerta da (…) (nella duplice qualità di titolare della omonima ditta individuale e di legale rappresentante p.t. della società “(…) Società Cooperativa Agricola”) a definizione di ogni pendenza economica (per differenza paga, straordinario, festività, ferie, 13A mensilità, 14A mensilità, TFR e tutto quant’altro dovutogli e non corrispostogli) relativa al rapporto di lavoro dal 02/05/2005 al 31/03/2013. All’uopo dichiarava: “ove occorra, di rinunciare sin d’ora ad impugnare il licenziamento intimato dal sig. (…) e di non aver null’altro a pretendere per quanto oggetto della presente controversia, ed in ogni caso a qualsiasi ragione, anche se non dedotta, comunque connessa al rapporto di lavoro, concordando che il predetto importo di euro duemilasettantaquattro/00 (euro 2.074,00) sarà corrisposto dalla “(…) Società Cooperativa Agricola”, nella qualità di datore di lavoro subentrante nel rapporto lavorativo di cui innanzi, all’atto della risoluzione del nuovo rapporto di lavoro oggi instauratosi, liberando il sig. (…) da ogni obbligazione…..Il sig. (…) con la sottoscrizione della presente accetta che le somme oggi concordate vengano corrisposte dalla “(…) Società Cooperativa Agricola” e libera da ogni obbligazione il sig. (…) nella sua qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, rinunciando sin d’ora a qualsiasi riserva e/o rivendicazione nei confronti del vecchio datore di lavoro”.

3) Con un terzo verbale di conciliazione, sottoscritto il 5.8.2013 presso la sede della USC-CISL, il (…), con l’assistenza del sindacato Cisl (nella persona di (…)), accettò la somma di E 500,00 offerta dalla “(…) Società Cooperativa Agricola” rappresentata da (…) (nella sua qualità di legale rappresentante p.t. della medesima società) a definizione di ogni pendenza economica (per differenza paga, straordinario, festività, ferie, 13A mensilità, 14A mensilità, TFR e tutto quant’altro dovutogli e non corrispostogli) relativa al rapporto di lavoro dal 19/09/2009 al 26/07/2013.

Il Tribunale riteneva che “in conseguenza delle predette conciliazioni, non impugnabili ai sensi dell’art. 2113, comma 4, cod. civ. e dell’art. 411 c.p.c., le avverse domande attoree sono inammissibili, in quanto sono dirette a conseguire differenze retributive fondate sul medesimo rapporto lavorativo menzionato negli stessi verbali di conciliazione innanzi richiamati”. Il giudice, nel registrare i “termini ampi delle conciliazioni sindacali”, e nel rammentare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. lav. sent. n. 24024 del 23/10/2013), secondo il quale, ai sensi dell’artt. 2113 c.c. e 410, 411 c.p.c., il lavoratore può impugnare le rinunce o transazioni solo nell’ipotesi in cui l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali non sia stata effettiva, osservava che, nel caso di specie, il (…) non aveva formulato” istanze istruttorie dirette a provare l’eventuale assenza di effettiva assistenza da parte dei rappresentati sindacali” di modo che, anche “alla luce del chiaro tenore letterale dell’accordo”, non residuano “dubbi circa la volontà e consapevolezza reali delle parti di voler dirimere ogni controversia, anche futura..”.

Inoltre, sottolineava che, nel sottoscrivere ciascuno dei citati verbali di conciliazione, il (…) aveva dichiarato “di non avere null’altro a pretendere per quanto oggetto della presente controversia”, dimostrando così di avere piena consapevolezza riguardo al contenuto delle stesse.

Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza per aver erroneamente interpretato la documentazione prodotta in giudizio – le scritture dell’8.1.2013, del 7.4.2013 e del 5.8.2013 – e per aver erroneamente assegnato alle stesse “natura giuridica di verbale di conciliazione ex art. 2113 c.c.”.

A sostegno del suo dire, l’appellante mette in risalto che a) in nessuna delle tre scritture sono riportati gli elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro (ad esempio, se il rapporto di lavoro fosse full o part time, il tipo di inquadramento contrattuale, la retribuzione) in riferimento ai quali sarebbe sorta la res litigiosa; b) nei tre documenti risulta utilizzata una identica formula di stile che non consente di stabilire la reale consapevolezza del ricorrente in ordine agli effetti abdicativi conseguenti alla sottoscrizione degli stessi; c) nelle tre scritture manca l’elemento dell'”aliquid datum, aliquid retentum”, elemento essenziale ad integrare lo schema della transazione; d) le scritture attengono a periodi di tempo che si sovrappongono e si sostanziano in mere duplicazioni; e) sono di scarso valore economico; f) non contengono una rinuncia abdicativa alle differenze retributive.

Significa così che tutti detti elementi sono chiari indici dell’assenza di un’effettiva assistenza del conciliatore, e depongono nel senso del raggiro perpetrato ai suoi danni.

Inoltre, nel sottolineare che in nessuno dei detti verbali è espressa la volontà di volersi privare di diritti afferenti le differenze retributive, leggendosi nel verbale del 7.4.2013 un’unica ed espressa rinuncia, ovverosia quella all’impugnativa del licenziamento del 31.03.2013, l’appellante stigmatizza la statuizione per non aver correttamente assegnato a detto verbale del 7.4.2013 la natura giuridica di quietanza invece spettantegli e, peraltro, comprovata dal fatto che l’importo di Euro. 2.074,00 in esso annotato come somma offerta e corrispostagli dal (…) corrisponde a quanto dovutogli a titolo di TFR.

Con un secondo motivo di appello il (…) si duole che il primo giudice avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di regolarizzazione della posizione contributiva e assicurativa formulata nel ricorso introduttivo di primo grado.

Con un ultima doglianza, l’appellante investe la statuizione nella parte in cui ha lo ha condannato al pagamento delle spese di lite, mentre, in ossequio all’art. 92 secondo comma cpc, attesa la sussistenza di ‘gravi ed eccezionali ragioni’ (la qualità del ricorrente, la natura della prestazione rivendicata, la complessità delle questioni), avrebbe dovuto disporne la integrale compensazione tra le parti.

L’appello è infondato.

Il ragionamento del primo giudice va condiviso e non è scalfito dalle doglianze con cui il (…) attinge la valenza assegnata dal giudice ai verbali di conciliazione sindacale. Correttamente il Tribunale ha ritenuto verificata l’ipotesi prevista dagli artt. 411 c.p.c. e 2113 c.c. Invero, nel caso in esame trova applicazione l’art.2113 c.c., che espressamente prevede:

“I. Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art.409 c.p.c., non sono valide.

II. L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

III. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.

IV. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile”.

Dalla norma suddetta si evince che l’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto il diritto del prestatore di lavoro derivante da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 c.p.c., trova il suo limite d’applicazione nella previsione di cui all’ultimo comma.

Secondo tale comma, infatti, sono comunque salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli art. 185, 410 e 411, 412 ter e quater c.p.c..

Mentre la rinunzia, in quanto negozio unilaterale non recettizio, sortisce l’effetto dell’estinzione dei diritti patrimoniali connessi al rapporto di lavoro e già acquisiti al patrimonio del lavoratore, anche in assenza del beneficiario, la transazione, in quanto contratto, richiede l’incontro delle volontà di tutte le parti interessate e la contestuale sottoscrizione del verbale di conciliazione (cfr. Cassazione civile, sez. lav., n. 16168/04).

Il negozio transattivo stipulato in sede conciliativa, giudiziale o stragiudiziale, in forza dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., è assoggettato ad un regime giuridico derogatorio della regola generale dell’impugnabilità nel termine decadenziale di sei mesi, in quanto l’intervento del terzo investito di una funzione pubblica (giudice, autorità amministrativa, associazione di categoria) è ritenuto idoneo a superare la presunzione di non libertà del consenso del lavoratore.

La ‘sede protetta’ ove viene redatto e sottoscritto dalle parti il verbale di accordo offre maggiori garanzia e protezione in ordine alla presenza di volontà effettiva in capo alla c.d. parte debole di aderire al testo dell’accordo, cosicché la medesima, scevra da pressioni e/o raggiri, sia in grado di vagliare liberamente i benefici eventualmente conseguenti alla stipula, e, dunque, prestare il proprio consenso.

Pertanto, qualora non venga dimostrato che la volontà espressa dal lavoratore sia viziata e qualora non siano sussistenti le comuni cause di nullità dell’atto, le conciliazioni e le rinunce che intervengono nelle sedi protette conferiscono all’atto in questione un imprimatur di sostanziale definitività: sono inoppugnabili.

Invero, l’art. 2113 c.c., nel prevedere l’impugnabilità delle rinunzie e transazioni sottoscritte dal lavoratore (nel termine di sei mesi dalla sottoscrizione delle stesse se intervenute a seguito della cessazione del rapporto, ovvero da quest’ultima se intervenute nel corso del rapporto), ha previsto un’eccezione, disponendo la non impugnabilità di talune rinunzie/transazioni.

La ratio di tale eccezione risiede nella volontà del legislatore di sottrarre al regime di impugnabilità una determinata tipologia di conciliazioni, tassativamente individuate attraverso il rinvio agli artt. 185, 410 e 411 c.p.c.

Dette conciliazioni sono tutte caratterizzate dall’intervento di un soggetto terzo: il giudice (art. 185 c.p.c.), la commissione provinciale di conciliazione presso l’ufficio del lavoro (art. 410 c.p.c.) e il sindacato del lavoratore (art. 411 c.p.c.), apprezzato dal legislatore quale soggetto idoneo a tutelare il lavoratore (parte debole del rapporto di lavoro) nella genuina formazione della sua volontà transattiva o di rinuncia. In caso di conciliazione sindacale, il dipendente è infatti assistito dal rappresentante sindacale, e tale assistenza modifica i consueti assetti informativi e contrattuali, sicché il lavoratore non rappresenta più la parte svantaggiata del rapporto.

L’accordo, eventualmente raggiunto, sarà verosimilmente concluso nell’interesse di ambedue le parti, in un comune interesse di intenti ove il dipendente non sarà in soggezione né economica né psicologica, potendosi liberamente esprimere.

Ciononostante, il contratto transattivo, di cui agli articoli 185, 410, 411 c.p.c., può essere impugnato in alcune ipotesi enucleate dalla giurisprudenza; il prestatore d’opera potrebbe impugnare l’accordo asserendo che la tutela del rappresentante sindacale non sia stata effettiva ossia che non sia stato adeguatamente assistito dal rappresentante sindacale e che, di conseguenza, la propria volontà sia stata coartata. Ebbene, rammenta la Corte che, in primo grado il (…) ha lamentato che alla stipula dell’accordo del 7.4.2013 non era presente il sindacato di appartenenza cui egli aderiva; che, come da richiesta del datore di lavoro, era invece presente (…), appartenente alla (…); che “nessuna opera di effettiva assistenza effettiva era stata posta in essere dal sindacalista presente, (…), il quale peraltro era presente anche nella veste di conciliatore”. Ma, in disparte il rilievo che l’obiezione del (…) attiene solo a uno dei tre verbali di conciliazione, non avendo fatto alcun cenno in primo grado agli altri due del 8.1.2013 e 5.8.2013 (in cui risulta che il lavoratore era personalmente assistito da sindacalista della sua sigla sindacale “assistito dal sig. (…) segretario comunale Cisl”), occorre dire che nel verbale di conciliazione sindacale del 7.4.2013 il Solfrizzi rivestiva il ruolo di “conciliatore” (d’altro canto è lo stesso (…) a riconoscerlo), sicché non vi è proprio motivo perché il (…) abbia di che dolersi.

Al riguardo, la giurisprudenza richiede unicamente che l’assistenza al dipendente sia effettiva ovvero che lo stesso sia in grado di comprendere il diritto al quale rinuncia e in che misura (cfr. Cass. Sez. L., n. 24024 del 23/10/2013).

Il Conciliatore, d’altra parte, non è un pubblico ufficiale, e infatti per impugnare l’accordo non deve proporsi querela di falso ai sensi dell’art. 221c.p.c.: “Il conciliatore sindacale non è un pubblico ufficiale ma un semplice terzo che, in sede sindacale e nel momento in cui le parti addivengono ad un determinato assetto di interessi, garantisce con la sua presenza l’assenza di uno stato di inferiorità o soggezione tra lavoratore e datore del lavoro che giustifica la previsione di cui all’art. 2113, co. 4, cod. proc. civ. e cioè l’immediata validità di tale conciliazione che non può essere impugnata nel termine di sei mesi ivi previsto, salvo il caso del mancato rispetto dei requisiti minimi di validità del contratto (si veda Cass., 18 agosto 2004, n. 16168; si vedano, sulla effettività della partecipazione del sindacato alla conciliazione, non essendo sufficiente una presenza meramente formale del rappresentante sindacale, Cass. 22 maggio 2008, n. 13217; Cass. 3 aprile 2002, n. 4730 Cass. 13 novembre 1997, n. 11248, sulla necessità che l’assistenza sia offerta dall’associazione cui il lavoratore abbia conferito mandato sindacale, Cass. 22 ottobre 1991, n. 11167; sul rispetto della procedura conciliativa stabilita nei contratti collettivi, Cass. 3 settembre 2003, n. 12858; Cass. 3 aprile 2002, n. 4730)” (cfr. Cass. Sez. L., ord. n. 9255 del 06/05/2016). Il ruolo svolto dal Conciliatore può essere riassunto, quindi, nel prestare l’assistenza effettiva al lavoratore ovvero mutare la condizione di soggezione anche solo psicologica nei confronti del datore di lavoro, al fine di evitare che accetti accordi non convenienti e per l’appunto squilibrati. Nella fattispecie in esame, la presenza del conciliatore è innegabile e confortata dalla sottoscrizione apposta dal lavoratore in calce al verbale, ove si legge che “il conciliatore dopo aver proceduto alla identificazione delle parti dichiara che le sottoscrizioni delle stesse sono autografe e sono state apposte in calce al presente verbale di conciliazione contestualmente in sua presenza.” Per di più, il lavoratore con la sottoscrizione del verbale dà atto di aver definito la controversia ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c. 2 e art. 2113 co. 4 c.c..

Inoltre, il (…), sia per il verbale di conciliazione del 7.4.2013 che per gli altri due verbali di conciliazione – che, si ribadisce, neppure erano stati specificamente impugnati in primo grado – non oppone in appello ragioni utili a sovvertire il convincimento del primo.

Infatti, stante l’essenzialità dell’assistenza effettiva dell’esponente sindacale (secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, “per il combinato disposto degli articoli 2113 c.c. e 410 e 411 c.p.c. le rinunce e transazioni aventi a oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 2113 c.c. solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinuncia e in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la res dubia oggetto della lite (in atto o potenziale) e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’articolo 1965 del codice civile” (Cass. 23 ottobre 2013, n.24024)), la condizione per l’impugnabilità nei termini previsti dal 2113 c.c. dei tre verbali di conciliazione sarebbe stata la dimostrazione dell’ineffettività di quell’assistenza prestata dai sindacalisti al (…).

Circostanza che il lavoratore, come correttamente rilevato dal Tribunale di Bari, nel ricorso di primo grado ha rappresentato senza però articolare alcuna istanza istruttoria diretta a tale specifico, e senza premurarsi neanche in appello di criticare specificamente la sentenza nella parte in cui ha rimarcato questo decisivo aspetto della vicenda, in quanto si è limitato a ribadire in appello le stesse inidonee richieste di prova.

Deve perciò ritenersi esistente un’adeguata assistenza al lavoratore in ognuna delle tre sedi conciliative.

Già per quanto sin qui detto, la statuizione di prime cure ha buona tenuta.

Vi è poi da considerare che sfumano anche le obiezioni dell’appellante relative alla mancanza nei tre verbali di conciliazione degli elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro in riferimento ai quali sarebbe sorta la res litigiosa, l’utilizzo di una identica formula di stile, la mancanza dell'”aliquid datum, aliquid retentum” essenziale ad integrare lo schema della transazione, lo scarso valore economico.

E, tanto, non solo perché obiezioni nuove, e, perciò, inammissibili, apprestate solo in appello, ma anche perché comunque sconfessate da una attenta lettura degli accordi, da cui emerge chiara la reciprocità delle concessioni, necessaria alla qualificazione come atto di transazione dell’accordo tra lavoratore e datore di lavoro.

Negli atti sottoscritti detta reciprocità è integrata dall’accettazione dal lavoratore della somma offerta e dalla rinuncia, sempre a titolo di transazione, ad ogni maggior somma, diritto o pretesa derivante da e per effetto del predetto rapporto di lavoro, anche per titoli non espressamente dedotti nel presente verbale da una parte e, dall’altra, dall’erogazione da parte del datore di lavoro delle somme indicate.

Quanto alla carenza di elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro in riferimento ai quali sarebbe sorta una res litigiosa, va ricordato che altro requisito fondamentale per la validità della conciliazione è che dall’accordo emergano gli elementi essenziali del negozio ovvero, come chiarito dalla Cassazione, “la comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista, la res dubia, vale a dire la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti (in atto o potenziali), nonché il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite” (Cass. Sez. L, n. 24024 del 23/10/2013, cit.).

Nondimeno, se dalla scrittura contenente la transazione devono risultare gli elementi essenziali del negozio, non acquista rilievo l’eventuale squilibrio tra il datum ed il retentum (v. Cass. 30 aprile 2015, n. 8808; Cass. 3 aprile 2003, n. 5139; Cass. n. 1980/2000 cit.) dovendosi, a tal fine, ricordare che l’art. 1970 c.c., esclude che la transazione possa essere rescissa per causa di lesione in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all’autonomia negoziale delle parti” (cfr. Cass. Sez. L, ord. n. 9006 del 01/04/2019).

Il nuovo regolamento di interessi, sopramenzionato, si sovrappone al concetto di “reciproci sacrifici” di cui sopra; l’accordo tra le parti, affinché possa dirsi transattivo ai sensi dell’articolo 1965 c.c., richiede come condizione essenziale uno scambio reciproco di concessioni. Anche per questo aspetto non può nutrirsi dubbio in ordine alla valenza conciliativa dei tre accordi, in quanto il lavoratore ha deciso di rinunciare a qualsiasi altra pretesa o azione ricevendo come contropartita le somme di euro 200, 2074,00 e 500,00. Peraltro, nei verbali si fa chiaramente riferimento a delle “vertenze” in corso.

Dal tenore letterale degli accordi emerge una piena consapevolezza dell’oggetto della rinuncia essendo il suo contenuto chiaro, ben individuato (non solo il TFR ma tutte le altre differenze retributive) e pienamente comprensibile alla lettura dell’atto.

Non sfugge un ulteriore decisivo dettaglio fattuale che sconfessa la tesi dell’appellante circa la mancanza di consapevolezza degli accordi transattivi siglati nelle tre sedi protette di cui si è sin qui detto.

Infatti, agli atti risulta che, prima di incardinare il giudizio dinanzi al Tribunale, il (…) aveva adito l’Ispettorato del Lavoro rivendicando gli emolumenti del presente giudizio. Da tale iniziativa era scaturito il verbale di diffida accertativa n. 45586 del 10.06.2015 (all. 4 del fascicolo di primo grado), nonché il verbale di conciliazione tenutosi, il data 8.9.2015, presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Bari, nel corpo del quale si legge che il dott. (…) in funzione di conciliatore monocratico dà atto che a) il datore di lavoro “ha dimostrato la presenza di n. 2 conciliazioni in sede sindacale depositate presso la DTL di Bari in data 13 gennaio 2013 ed in data 08 agosto 2013, ove il lavoratore, dichiara che per le stesse richieste riferite in r.i. “sono state soddisfatte”; b) il lavoratore “conferma di aver sottoscritto le predette conciliazioni e prende atto”. (all. 5 del fascicolo di primo grado).

Non può proprio negarsi che il (…) non fosse ampiamente a conoscenza sia delle intervenute conciliazioni in sede sindacale, sia del contenuto abdicativo delle stesse. Ciò posto, va quindi confermata la statuizione di inammissibilità della domanda attorea. Una volta confermata la inammissibilità della domanda attorea, il giudice non doveva esaminare il merito della domanda, e, quindi, non doveva pronunciarsi sulla domanda di regolarizzazione contributiva. Resta così assorbito anche il secondo profilo di gravame.

Va disattesa infine la doglianza del (…) afferente la statuizione di condanna al pagamento delle spese di primo grado, poiché il primo giudice le ha correttamente imputate alla parte risultata soccombente, in assenza di gravi ed eccezionali ragioni legittimanti una eventuale decisione compensatoria.

Tali, infatti, non sono quelle indicate dall’appellante, e, cioè la qualità del ricorrente, la natura della prestazione rivendicata e la complessità delle questioni.

Per giurisprudenza consolidata, la ” natura della lite” e le “ragioni della decisione”, sono spunti motivazionali nono riconducibili alle gravi ed eccezionali ragioni, avendo la Corte di Cassazione chiarito che gli elementi apprezzati dal giudice di merito a sostegno del decisum devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 11 luglio 2014, n. 16037) e devono essere soppesati “alla luce degli imposti criteri della gravità (in relazione alle ripercussioni sull’esito del processo o sul suo svolgimento) ed eccezionalità (che, diversamente, rimanda ad una situazione tutt’altro che ordinaria in quanto caratterizzata da circostanze assolutamente peculiari)” (Cass. 17 settembre 2015, n. 18276).

Non può, pertanto, ritenersi soddisfatto l’obbligo motivazionale quando il giudice abbia compensato le spese “per motivi di equità”, non altrimenti specificati (Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 20 ottobre 2010, n. 21521), né quando le argomentazioni del decidente si riferiscono genericamente alla “peculiarità” della vicenda o alla “qualità delle parti” o anche alla “natura della controversia” (cfr. anche Cass. 17 settembre 2015, n. 18276).

A fronte delle considerazioni suesposte, l’appello va rigettato e la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata.

Le spese del presente grado del giudizio vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo ed addossate in applicazione del principio della soccombenza al (…) che dovrà corrisponderle alle parti appellate.

La posizione dell’Inps nei cui confronti non è stata articolata alcuna domanda giustifica la compensazione delle spese.

Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, l. 24.12.2013, n. 228 (c.d. Legge di stabilità per l’anno 2013), della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso di gravame, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con ricorso del 28.2.2020 da (…) avverso la sentenza resa dal Tribunale di Bari il 4.7.2019, nei confronti di (…), (…) e (…), in qualità di eredi di (…), di soc. coop. A.r.l. e dell’INPS, così provvede: rigetta l’appello e per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;

condanna (…) al pagamento in favore delle parti appellate delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in E. 5.000,00, oltre rimborso forfettario delle spese, iva e cap come per legge, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario; compensa le spese di lite nel rapporto processuale tra l’appellante e l’Inps;

da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello, se dovuto.

Così deciso in Bari, il 15 novembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.