In tema di mediazione obbligatoria, l’azione promossa al fine di ottenere la declaratoria di nullità del marchio d’impresa, avendo ad oggetto un bene immateriale e non un bene materiale, non può essere ricondotta tra le controversie relative alla materia dei diritti reali, e non è pertanto soggetta al previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediaizone.
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Tribunale|Bologna|Sezione 4|Civile|Sentenza|22 dicembre 2022| n. 3184
Data udienza 6 dicembre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
IV SEZIONE CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Fabio Florini Presidente
dott. Giovanni Salina Giudice Relatore
dott. Vittorio Serra Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 12728/2020 promossa da:
(…) (PIVA (…)), con il patrocinio dell’avv. (…), elettivamente domiciliata in Via (…), Bologna, presso l’avv. (…).
ATTRICE
contro
(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in Via (…), Faenza (RA), presso il difensore.
CONVENUTO
CONCLUSIONI
Le parti hanno precisato le conclusioni come da separato foglio a far parte integrante del verbale d’udienza del 30 giugno 2022.
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, (…), quale titolare della ditta individuale (…), conveniva in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, (…), per sentire dichiarare la nullità del marchio italiano, denominativo e figurativo, “(…)”, meglio descritto in atti, e registrato, asseritamente in mala fede ex art. 19 c. II e 25 lett. b) e 118 c. III lett. b) CPI, a nome del convenuto, in data 17/02/2020 per la classe n. 30 della classificazione di Nizza.
A sostegno della domanda come sopra formulata, l’attrice esponeva : i) di essere l’esclusiva titolare della suddetta impresa attiva nel settore agricolo ed iscritta a registro imprese nell’anno 2014 sotto la ditta “(…)”; ii) di aver provveduto, in data 02/05/2016, alla registrazione del nome a dominio (…); iii) di aver fatto, per diversi anni, uso a fini commerciali del marchio denominativo e figurativo “(…)”, la cui creazione grafica era stata dalla stessa commissionata a tale (…), sorella dell’odierno convenuto; iv) che il (…), all’epoca suo coniuge, aveva prestato saltuariamente la propria attività come collaboratore della suddetta azienda agricola, anche perché proprietario (prima esclusivo e poi solo per una quota pari a dei terreni adibiti all’esercizio dell’attività di impresa; v) che, nel marzo 2019, era stato promosso, dinnanzi al Tribunale di Ravenna, il procedimento di separazione giudiziale dei coniugi; vi) che il (…), in un contesto di rapporti familiari estremamente deteriorati e connotato da molteplici iniziative giudiziali, aveva depositato, in data 26 giugno 2019, domanda di registrazione italiana n. (…) del marchio “(…)”, speculare a quello già utilizzato dall’attrice nell’esercizio dell’attività aziendale, poi, registrato, a nome del convenuto, in data 17 febbraio 2020 per la classe n. 30 della classificazione di Nizza; g) di avere scoperto la circostanza da ultimo esposta all’atto del deposito, in data 25 agosto 2020, della domanda n. (…) per la registrazione, a proprio nome, del medesimo marchio, per le classi 29, 30 e 43. Concludeva, pertanto, l’attrice chiedendo, testualmente, “dichiarare la nullità del marchio italiano figurativo: “(…) ” di cui alla domanda n. 302019000043803, depositata in data 26.6.2019 e successivamente registrata in data 17.2.2020 per la classe n. 30 della classificazione di Nizza, in titolarità di parte convenuta, poiché depositata in male fede e ciò ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 19, comma 2°, 25, lett. b) e 118, comma 3° lett. b) c.p.i. per le motivazioni, tutte, di cui in narrativa e con ogni conseguente effetto di legge; disporre la comunicazione dell’emananda sentenza all’UIBM per la relativa annotazione; con vittoria di spese e compensi di causa”.
Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 15/01/2021, si costituiva in giudizio (…), il quale, in via pregiudiziale e preliminare, eccepiva l’improcedibilità dell’azione esperita dall’attrice per omesso previo esperimento della procedura di mediazione obbligatoria prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010, e, nel merito, contestava la fondatezza della domanda avversaria, chiedendone l’integrale rigetto.
In particolare, il convenuto negava di aver registrato il suddetto marchio in mala fede, asserendo, al riguardo, di esserne stato l’ideatore e di aver, peraltro, sostenuto gli oneri finanziari relativi all’esercizio dell’impresa di cui il marchio costituisce segno distintivo.
All’udienza di comparizione, ex art. 183 c.p.c., del 4 febbraio 2021, il difensore del convenuto faceva presente che, ante causam, aveva manifestato a controparte la propria disponibilità ad una soluzione conciliativa della presente controversia mediante offerta, a titolo gratuito, del marchio di cui è causa alla ditta attrice, a condizione di non dover, in futuro, affrontare ulteriori oneri economici, senza tuttavia ricevere alcun positivo riscontro.
Successivamente, espletati gli incombenti di cui all’art. 183 c.p.c., il Giudice, con ordinanza resa a verbale di udienza “cartolare” del 21 maggio 2021, riservava unitamente a quelle sul merito, le determinazioni in ordine alla questione preliminare posta da parte convenuta e quelle concernenti l’ammissibilità/utilizzabilità delle produzioni documentali operate da parte attrice nonché delle deduzioni assertive svolte da parte convenuta con le rispettive memorie ex art. 183 c. VI n. 3 c.p.c., e, previa reiezione delle istanze istruttorie formulate nell’interesse di quest’ultima, fissava udienza di precisazione delle conclusioni.
Infine, all’udienza del 30 giugno 2022, sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, il Giudice rimetteva la causa al Collegio per la decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che, alla luce delle acquisite risultanze processuali, le domande formulate dall’attrice siano meritevoli di accoglimento.
Occorre, in primo luogo, esaminare le questioni preliminari poste dalle parti, avendo soprattutto riguardo alla natura del diritto in questa sede azionato. Come esposto in premessa, il convenuto ha eccepito l’improcedibilità dell’azione ex adverso esperita, per mancata preventiva instaurazione del procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010.
L’assunto svolto dal convenuto muove dal presupposto, erroneo, in base al quale la presente causa rientri nel novero delle controversie in materia di diritti reali, per le quali l’art. 5 della citata normativa di riferimento prevede la mediazione obbligatoria, come condizione di procedibilità della domanda.
La questione in esame è, tuttavia, infondata giacché l’azione che ha dato ingresso al presente giudizio ha ad oggetto un bene immateriale (marchio) e non un bene materiale, in relazione al quale, peraltro, l’odierna attrice non ha fatto valere alcun diritto reale, né formulato qualsivoglia rivendicazione.
Appare, comunque, opportuno rilevare che, sul tema della natura dei diritti di proprietà industriale, “tornata di attualità per effetto del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 che, nell’elencare le controversie oggetto del nuovo procedimento di mediazione obbligatoria, menziona, tra le altre, quelle aventi ad oggetto diritti reali (…), è stato tuttavia osservato, da un lato, come la consolidata attribuzione da parte della nostra giurisprudenza del carattere reale alle azioni in materia di marchio registrato e di altri diritti di proprietà industriale poggi in realtà su un equivoco generato da alcune pronunce rese anteriormente al codice civile del 1942 e che intendevano semplicemente contrapporre l’assolutezza e, dunque, l’efficacia erga omnes dell’azione a tutela del marchio registrato, rispetto alla natura relativa dell’azione di concorrenza sleale che, costituendo all’epoca un semplice illecito aquiliano, era esclusiva fonte di un’obbligazione risarcitoria nei confronti del danneggiante; dall’altro, come la c.d. proprietà industriale presenti in realtà delle peculiarità che la differenziano dalla proprietà sulle cose, considerata e disciplinata dal codice civile come diritto reale, impedendone così una piena assimilazione” (cfr. Tribunale Torino, 15/01/2010).
Quanto poi alle eccezioni sollevate con riferimento alle memorie di cui all’art. 183 comma VI c.p.c. e, in particolare, a quelle di inammissibilità della memoria n.2 depositata da parte convenuta a fronte del mancato deposito della memoria n.1 di parte attrice, occorre, anzitutto, premettere che ai sensi dell’art. 183, comma VI, c.p.c., il giudice concede, se richiesto: “1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria”.
In particolare, concessi i termini, le attività assertive delle parti devono trovare la loro sede naturale e fisiologica nella memoria ex art. 183, VI, c.p.c. “primo termine” e, pertanto, “dove la parte non depositi la memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c., primo termine, la controparte non ha diritto ad alcuna attività assertiva, non avendo alcun argomento a cui replicare o contraddire ” (cfr. Cass. Civ., sez. III, sentenza 17 maggio 2013 n. 12119).
Ne consegue che, a fronte del mancato deposito della memoria n.1 di parte attrice, il contenuto della memoria n.2 depositata da parte convenuta è ammissibile limitatamente alle istanze istruttorie, peraltro rigettate a suo tempo dal Giudice designato, dovendosi, viceversa, ritenere l’inammissibilità delle deduzioni assertive ivi contenute, giacché non integranti replica nei termini sopra precisati.
Inoltre, il tenore letterale dell’art. 183, comma VI n.3, c.p.c., secondo cui il giudice può concedere alle parti “un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria”, determina, altresì, l’inammissibilità, per tardività, delle produzioni documentali allegate alla memoria n.3 di parte attrice, in quanto non a prova contraria. Trattasi, infatti, di documentazione riferita a fatti allegati in giudizio dalla parte già in atto di citazione che, in mancanza di prova contraria, avrebbe potuto e dovuto essere depositata già in quella sede o, tutt’al più, entro il termine di cui all’art. 183, comma VI n.2, c.p.c.
Per completezza deve pure ritenersi inammissibile, in quanto tardiva, l’eccezione di decadenza del marchio de quo, in quanto sollevata dal convenuto soltanto in comparsa conclusionale.
Detto questo, nel merito, l’attrice ha addebitato al convenuto una condotta contraddistinta da mala fede in sede di registrazione del marchio “(…)” presso l’autorità competente.
Orbene, giova al riguardo osservare che, ai sensi dell’art. 19 c.p.i., “non può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi abbia fatto la domanda in mala fede”.
Dalla violazione del sopra riportato precetto, gli artt. 25 lettera b) e 118 comma III lettera b) c.p.i. fanno conseguire un’ipotesi di nullità del marchio, diversa ed autonoma rispetto alle altre cause di nullità dello stesso.
Come noto, nel nostro ordinamento la mala fede assurge ad impedimento assoluto alla registrazione del marchio che, intesa in senso soggettivo quale consapevolezza di ledere l’altrui diritto, non può presumersi, gravando il relativo onere probatorio sulla parte che afferma, per tale motivo, la nullità del marchio altrui; pertanto, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., nel caso di specie, tale onus probandi ricade sulla ditta attrice.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, l’onere probatorio in questione può ritenersi integrato “a fronte della violazione di una legittima aspettativa altrui alla registrazione di quel segno non tutelata da diverse espresse disposizioni, in particolare allorché: a) la registrazione è effettuata nella consapevolezza del fatto che altri, avendo il merito del valore del segno (ad es. per averlo concepito), fosse in procinto di registrarlo, rilevando al riguardo, sotto il profilo probatorio, i rapporti privilegiati tra il registrante (ad es. lavoratore subordinato o agente) e il danneggiato, qualora il primo abbia approfittato delle conoscenze così acquisite; b) si tratta di segno oggetto di preuso non puramente locale da parte di terzi, la cui notorietà sia in fieri; c) la registrazione è effettuata al solo scopo di impedire che un terzo entri nel mercato” (cfr. Cassazione civile sez. I, 30/04/2018, n.10390).
L’intento, dunque, reso manifesto dalle norme e dalla giurisprudenza in materia, è quello di salvaguardare la legittima aspettativa di tutela di chi, pur avendo già destinato il segno a fungere come proprio marchio, non abbia ancora provveduto alla sua registrazione e, viceversa, negarla a chi frapponga ostacoli, in mala fede, a tale programma. Nel caso di specie, la legittima aspettativa della (…), quale titolare della ditta attrice, alla registrazione del marchio “(…)” è incontrovertibilmente desumibile, innanzitutto, dal fatto che, come da visura camerale sub. doc. 1 di parte attrice, essa figura quale unica titolare dell’impresa individuale, regolarmente registrata sotto una ditta la cui locuzione riproduceva, anch’essa, il predetto segno distintivo, nonché dal preuso del marchio così come comprovato dall’attrice, per tabulas, attraverso la documentazione prodotta sub all. nn. 4 e 5, il quale (preuso) trova, a sua volta, protezione e tutela, ai sensi del citato art. 19 c.p.i., anche con riferimento a marchi la cui notorietà sia in fieri, non ponendosi, quindi, in questa sede, ai fini e per gli effetti che qui rilevano, un problema di diffusività del segno.
Sul punto, giova altresì osservare che, alla luce delle allegazioni svolte dalle parti e della documentazione versata in atti, risulta anche dimostrato il compimento, da parte della (…), di una serie di atti preparatori che, unitariamente considerati, consentono di ritenere, in via presuntiva, che l’intenzione dell’attrice fosse nel senso di provvedere, anch’essa, alla registrazione del marchio (come poi, del resto, in concreto avvenuto in data 25 agosto 2020).
In particolare, è emerso che : a) (…) aveva già domandato ed ottenuto, in data 04/05/2016, la registrazione del nome a dominio (…), circostanza, quest’ultima, che, in nome del principio di unitarietà dei segni distintivi, genera in capo al titolare una posizione prioritaria rispetto a terzi in sede di registrazione del segno come marchio, b) l’incarico volto alla creazione grafica del marchio, sulla scorta della documentazione in atti, risulta essere stato formalmente conferito allo studio “(…)” direttamente dalla ditta “(…)” di cui, come detto, (…) è unica titolare, e nei cui riguardi risultano, appunto, emesse le fatture per il pagamento del pattuito corrispettivo (v. doc. 3 parte attrice).
Da quanto sopra illustrato ed in assenza di significativi elementi di valutazione di segno contrario, si evince, in primis, che il progetto dell’attrice fosse quello di procedere alla registrazione del marchio di cui è causa, ma anche la mala fede del convenuto, quale soggetto più che verosimilmente consapevole dell’intenzione dell’attrice di assumere l’iniziativa in tal senso.
Infatti, il convenuto, per sua stessa ammissione, aveva prestato la propria attività come collaboratore familiare nell’ambito dell’azienda agricola e, anche in considerazione del vincolo di coniugio, è indubbio che fossero a lui ben noti la denominazione della ditta attraverso la quale la moglie svolgeva, all’epoca, attività di impresa ed i relativi segni distintivi (sia registrati che di fatto), nonché, per quanto riguarda specificatamente il marchio non ancora registrato, le classi merceologiche per le quali lo stesso veniva concretamente utilizzato per contrassegnare l’attività ed i relativi prodotti.
Inoltre, va evidenziato come la registrazione del marchio operata dal convenuto sia stata, in concreto, fine a se stessa, giacché, come dal medesimo testualmente riferito nei propri scritti difensivi, questi “non ha mai utilizzato il marchio dopo la registrazione, non ha mai chiesto alla moglie di corrispondergli alcunché per l’uso che lei fa tuttora di quel marchio, (…), né ha mai avuto neppure la lontana intenzione di rivenderlo a terzi, se mai ci fosse qualcuno interessato ad acquistarlo, né farne un uso personale esclusivo per qualche sua futura attività in campo agricolo, che non sarebbe neppure possibile stante il suo attuale impiego”.
Tale circostanza, da apprezzarsi unitariamente a quelle in precedenza illustrate, nonché al fatto che la registrazione del marchio da parte del convenuto si è, temporalmente, collocata all’interno di un contesto nel quale i rapporti tra i coniugi avevano raggiunto il culmine della loro conflittualità, corrobora l’assunto circa la natura meramente emulativa o, almeno, fraudolenta ed ostruzionistica, e, quindi, di mala fede, dell’atto qui contestato.
Siffatta conclusione non può ritenersi smentita nemmeno dal riferito apporto economico fornito dal (…), quale ausilio per l’esercizio dell’azienda da parte della (…), in quanto di per sé inidoneo a conferirgli la legittima titolarità della privativa di diritto industriale oggetto di causa.
Alla luce delle descritte risultanze processuali, deve, per ciò, ritenersi integrato il requisito soggettivo della mala fede connotante la registrazione del marchio “(…)” a nome del convenuto per la classe n. 30 della classificazione di Nizza e, per l’effetto, in applicazione degli artt. 19 comma II, 25 lettera b) e 118 comma III lettera b) c.p.i., ne va dichiarata la nullità, con conseguente comunicazione del presente provvedimento al competente UIBM, per la relativa annotazione. Infine, per quel che concerne le spese di lite, si ritiene che, nella fattispecie in esame, in ragione della allegata e non smentita disponibilità del convenuto di offrire, ante causam ed in via transattiva, il marchio di cui è causa alla ditta attrice, ricorrano le condizioni per disporre la loro parziale compensazione nella misura di 1/3, liquidando i restanti 2/3, come da dispositivo, a carico del convenuto, ai sensi del DM n. 55/2014 e ss., secondo parametri tra i minimi e i medi dello scaglione di riferimento, individuato secondo il criterio del disputatum.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
DICHIARA
la nullità della registrazione del marchio “(…)” presso l’UIBM, per la classe n. 30 della classificazione di Nizza, a nome del convenuto (…).
DISPONE
a cura della Cancelleria, la comunicazione del presente provvedimento all’UIBM per la relativa annotazione.
DISPONE
la compensazione delle spese di lite in misura di 1/3 e, per l’effetto,
CONDANNA
il convenuto al rimborso, in favore dell’attrice, dei residui 2/3 liquidati in Euro 755,00 per spese, e Euro 4.850,00 per compenso di avvocato, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. se e come dovuti per legge.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile – Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, il 6 dicembre 2022.
Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2022.
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