nel caso in cui un privato venda un immobile con l’obbligo del Comune acquirente di destinarlo ad un determinato servizio pubblico (nella specie, mediante realizzazione di impianti sportivi), e, successivamente, il Comune ne modifichi la destinazione per realizzarvi insediamenti residenziali, non ricorrono proprio i presupposti per dichiarare risolto per inadempimento il contratto, ravvisandovi una grave alterazione dell’equilibrio giuridico-economico del negozio in pregiudizio del venditore. Invero, tale compravendita, seppure costituisse il momento attuativo di una convenzione urbanistica (non consentendo di distinguere tra un provvedimento amministrativo, cui imputare gli effetti conformativi del territorio, ed un atto negoziale, con cui vengono regolate le obbligazioni dei privati contraenti), non priva il Comune del potere di imprimere alle aree acquistate una diversa destinazione, la quale e’ situazione dipendente dalla volonta’ dello stesso ente locale e rientrante nei poteri pubblicistici dello stesso. Una siffatta convenzione, infatti, nonostante eventuali patti contrari, non puo’ non lasciare integra la potesta’ pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica, ivi compresa la facolta’ di liberarsi dal vincolo contrattuale, alla stregua di esigenze sopravvenute o per l’adeguamento a modifiche normative (si vedano Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17698 del 14/08/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11208 del 28/08/2000; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6482 del 08/06/1995). L’impegno pattizio assunto dal Comune ad un “facere” puo’ cosi’ dirsi inadempiuto ove emergano condotte materiali del compratore di utilizzo dell’area in violazione dell’obbligo funzionale di imprimere la destinazione economica voluta dal venditore, ma non quando la sottrazione del terreno alla destinazione convenuta in contratto avvenga per effetto degli interventi normativi e attuativi del Comune, spiegati nell’ambito dei poteri ad esso riservati dalla legislazione urbanistica
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 27 febbraio 2017, n. 4946
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25932/2012 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE BUDRIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA N.2, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 428/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
uditi l’Avvocato (OMISSIS) e l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 7 ottobre 1997 (OMISSIS) conveniva il Comune di Budrio davanti al Tribunale di Bologna ed esponeva:
– che con contratto in data 16 luglio 1973 (OMISSIS), dante causa e marito di essa attrice, poi deceduto, aveva venduto al Comune di Budrio un terreno di mq. 26.562, costituente porzione del Podere (OMISSIS);
– che il Comune di Budrio si era contestualmente impegnato a destinare il terreno acquistato alla realizzazione di impianti sportivi (clausola n. 3 del contratto 16 luglio 1973: “dichiara ad ogni effetto di legge che la porzione di podere acquistata verra’ destinata all’insediamento di impianti sportivi”);
– che, invece, il Comune di Budrio, con delibera di variante del Piano Regolatore Generale adottata il 10 luglio 1996, aveva poi destinato tale area ad edificazione residenziale e servizi.
L’attrice (OMISSIS) chiedeva, pertanto, che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna del Comune di Budrio alla restituzione del terreno ed al risarcimento dei danni; in via subordinata, previo accertamento dell’inadempimento da parte del Comune degli obblighi contrattualmente assunti, chiedeva che lo stesso venisse condannato al risarcimento dei danni, pari al maggior valore del terreno.
Il Comune di Budrio resisteva alla domanda, eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. ed in via preliminare la prescrizione del diritto di credito azionato; nel merito, l’ente convenuto contestava il fondamento della domanda.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza in data 23 marzo 2000, riteneva sussistente la giurisdizione dell’A.G.O., ma rigettava la domanda per intervenuta prescrizione.
(OMISSIS) proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 28 maggio 2002. I giudici di secondo grado, esclusa la prescrizione, ritenevano non di meno che la clausola invocata dall’attrice (in base alla quale il Comune aveva dichiarato che “…la porzione di podere acquistata verra’ destinata all’insediamento d’impianti sportivi”) non conteneva un obbligo privatistico di destinazione urbanistica, quanto la mera constatazione della destinazione gia’ in essere, giacche’ per l’area venduta era stata gia’ prevista l’utilizzazione come campo sportivo con la delibera di acquisto della stessa e di finanziamento della spesa in data 30 ottobre 1972. Pertanto, a dire della Corte d’Appello di Bologna, l’espressione adoperata nel contratto del (OMISSIS) andava, “corretta e letta in quella appropriata dichiara che la porzione di podere e’ stata destinata corrispondente alla realta’ storica”.
Cio’ in quanto l’assunzione da parte del Comune di un’obbligazione di natura privatistica nel senso indicato da (OMISSIS) avrebbe richiesto l’adozione di una formula ben piu’ significativa, quale “si impegna”, “si obbliga”, senza limitarsi ad una mera dichiarazione ripetitiva dell’indiscusso vincolo urbanistico dell’area.
(OMISSIS) proponeva ricorso per cassazione, il cui primo e quinto motivo venivano accolti da questa Corte, con sentenza 27 luglio 2006, n. 17117, in ordine all’omessa, insufficiente ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonche’ alla violazione dei criteri interpretativi costituiti dalla lettera del contratto, dal comportamento delle parti, dalla valutazione sistematica delle clausole. La Corte di Cassazione affermava che la sentenza 28 maggio 2002 della Corte di Appello di Bologna aveva omesso di spiegare in modo convincente “come la lettera della clausola, inequivoca nel senso di prevedere un obbligo (“verra’ destinata”) potesse essere considerata effetto di un mero errore lessicale ed essere interpretata (diventando inutile) nel senso di dare semplicemente atto di una destinazione gia’ operante”. La sentenza rescindente di questa Corte sottolineava altresi’ come i giudici di merito avessero “omesso di considerare che una determinata destinazione di un terreno non puo’ essere ricollegabile ad una manifestazione di volonta’ in tal senso espressa nella delibera di acquisto, la quale ha un semplice valore programmatico, essendo necessaria una variante allo strumento urbanistico”. L’accoglimento di tali due censure comportava l’assorbimento del secondo, terzo e quarto motivo, con i quali (OMISSIS) denunciava l’omessa adeguata considerazione del fatto che la clausola di cui sopra era stata inserita nella nota di trascrizione della vendita, nonche’ del prezzo di vendita, e poi rilevava la contraddizione tra la declaratoria di infondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto vantato dall’attrice e la contestuale esclusione della stessa esistenza della pretesa. Cassata la sentenza 28 maggio 2002 della Corte di Appello di Bologna e riassunta la causa da (OMISSIS), la medesima Corte di Bologna, quale giudice del rinvio, con sentenza n. 428/2012 del 16 marzo 2012, rigettava nuovamente le domande di (OMISSIS) nei confronti del Comune di Budrio. La sentenza del giudice del rinvio sostiene che “nel contratto di compravendita stipulato tra le parti non e’ presente una specifica clausola contrattuale con la quale il Comune si assume l’obbligo di destinare per sempre il terreno oggetto di compravendita all’insediamento di impianti sportivi”.
(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in ventuno motivi, sviluppati da pagina 11 a pagina 67, cui resiste con controricorso il Comune di Budrio. Ricorrente e controricorrente hanno presentato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso di Natalina Bisognin deduce la violazione dell’articolo 384 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata contrasterebbe con la sentenza di cassazione n. 17117/2006, avendo negato l’esistenza inequivoca di un obbligo di destinazione assunto dal Comune.
Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione dell’articolo 384 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata non sarebbe partita da un esame letterale della clausola n. 3 del contratto (OMISSIS).
Il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 1362 c.c., per mancata applicazione del criterio letterale di interpretazione.
Il quarto motivo di ricorso censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo spiegata dalla Corte di Bologna la ragione della mancata interpretazione letterale della clausola oggetto di lite.
Il quinto motivo di ricorso censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, non essendo spiegato dalla Corte di Bologna lo scopo pratico della clausola n. 3.
Il sesto ed il settimo motivo del ricorso deducono la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ed il mancato esame delle risultanze processuali, quanto al rilievo della condotta dei contraenti, i quali avevano riconosciuto la vincolativita’ della pattuizione in esame.
L’ottavo ed il nono motivo di ricorso deducono ancora la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto al mancato esame del metodo sistematico ex articolo 1363 c.c..
Decimo ed undicesimo motivo di ricorso censurano la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, circa l’inserimento nella nota di trascrizione con la qualificazione di “patto speciale” della dichiarazione sulla destinazione del bene.
I motivi dal dodicesimo al ventunesimo sono formulati in via subordinata.
Il dodicesimo ed il tredicesimo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1371 c.c., in relazione alla L. n. 865 del 1971, articoli 15 e segg., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto alla congruita’ del prezzo di negoziazione rispetto al valore di mercato del terreno.
Il quattordicesimo motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, quanto alla necessita’ di raffrontare il prezzo di vendita con l’indennizzo che (OMISSIS) avrebbe conseguito se avesse atteso l’acquisizione dell’area mediante procedimento ablatorio.
Il quindicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione del giudicato implicito sulla questione della nullita’ del contratto e delle conseguenti preclusioni in sede di giudizio di rinvio, giacche’ nei gradi precedenti non era mai stata posta in dubbio la validita’ del contratto.
Il sedicesimo motivo di ricorso denuncia violazione dell’articolo 183 c.c., atteso che la questione dell’ipotetica nullita’ della clausola n. 3 avrebbe imposto ai giudici di provocare sul punto il contraddittorio tra le parti.
Il diciassettesimo ed il diciottesimo motivo di ricorso denunciano violazione dell’articolo 1367 c.c., anche in combinato con gli articoli 1419 e 1421 c.c.. Si assume che la sentenza impugnata abbia prescelto un’interpretazione della clausola n. 3 tale da privare la stessa di ogni effetto, e non abbia considerato che la nullita’ della stessa pattuizione avrebbe potuto comportare la nullita’ dell’intero contratto.
Il diciannovesimo ed il ventesimo motivo di ricorso denunciano la violazione del giudicato interno formatosi con la sentenza di primo grado e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla circostanza che l’obbligo di destinazione dell’area ad impianti sportivi non avrebbe privato il Comune di Budrio dei suoi poteri pubblici di gestione del territorio, ma avrebbe inciso unicamente sul piano privatistico del trasferimento, determinando la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore.
Il ventunesimo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1322, 1354 e 1379 c.c., nonche’ della L. n. 2359 del 1865, articoli 60 e segg. e L. n. 865 del 1971, articolo 12, in tema di espropriazione e cessione bonaria.
2. E’ necessario un esame congiunto dei ventuno motivi di ricorso, in quanto tra loro logicamente connessi, ed inerenti dapprima ai limiti posti al giudice di rinvio e poi alla verifica dell’operazione interpretativa dell’operazione negoziale contenuta nella sentenza impugnata.
L’assunto essenziale di (OMISSIS), esplicitato soprattutto in quest’ultima sede processuale nei motivi diciannovesimo e ventesimo di ricorso, e’ che, una volta conclamato l’obbligo negoziale del Comune di Budrio di destinare la porzione di podere acquistata col contratto (OMISSIS) all’insediamento di impianti sportivi, in forza della clausola n. 3 dello stesso, il mutamento di destinazione urbanistica impresso dopo ventitre anni con la Delib. Municipale 10 luglio 1996, in area per edilizia residenziale e servizi avrebbe inevitabilmente comportato un inadempimento da stimare quale causa di risoluzione o di risarcimento del danno.
La sentenza resa dalla Corte d’Appello di Bologna in data 16 marzo 2012 ha affermato che nel contratto di compravendita stipulato tra le parti non fosse presente “una specifica clausola contrattuale con la quale il Comune” avesse assunto “l’obbligo di destinare per sempre” la porzione del (OMISSIS) all’insediamento di impianti sportivi. Essa ha poi aggiunto che l’atto di compravendita contenesse in tal senso una semplice dichiarazione unilaterale dall’ente pubblico, da collocare all’esterno dei contrapposti obblighi delle parti uniti nel vincolo della sinallagmaticita’. Il giudice di rinvio ha tratto argomento del proprio convincimento interpretativo anche dalla circostanza che il prezzo di alienazione corrispondesse al valore di mercato del terreno. La sentenza impugnata ha ancora ritenuto che, ad intendere che il Comune di Budrio avesse altrimenti assunto “un obbligo assoluto ed indeterminato”, si sarebbe dato luogo alla “nullita’ prevista dall’articolo 1354 c.c., poiche’ in alcun caso l’ente locale avrebbe potuto limitare con uno strumento privatistico ed in modo cosi’ vincolante e permanente, senza alcun limite di tempo, i propri poteri di gestione del territorio, corrispondenti ad un interesse pubblico certamente prevalente su quello privato, interesse pubblico confermato in concreto dall’assenza di impugnazioni in sede amministrativa della variante edificatoria deliberata dal Comune e posta dall’attrice a fondamento della sua azione”. Esclusa la validita’ di un obbligo che comportasse “limiti cosi penetranti ed incisivi della disponibilita’ del bene acquisito, come quelli pretesi dall’attrice”, la Corte di Bologna ha dunque reputato che nei ventitre anni trascorsi dalla stipula del contratto di acquisto fino alla data di adozione della variante edificatoria si fosse in qualche modo verificato “l’esaurimento della portata precettiva ed obbligatoria del preteso vincolo inserito nel contratto di compravendita del terreno”.
La statuizione finale della sentenza della Corte d’Appello di rigetto della domanda proposta da (OMISSIS) e’ comunque rispettosa dei limiti posti al giudice di rinvio, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, dalla sentenza rescindente di questa Corte del 27 luglio 2006, n. 17117. La sentenza del 27 luglio 2006, n. 17117, accogliendo il ricorso sia per vizi di motivazione, sia per violazione di legge con riguardo ai criteri di interpretazione del contratto, aveva deciso che la “lettera della clausola” fosse “inequivoca nel senso di prevedere un obbligo (“verra’ destinata”)” e che non poteva “essere interpretata (diventando inutile) nel senso di dare semplicemente atto di una destinazione gia’ operante”. La stessa sentenza di cassazione aveva affermato che per imprimere una determinata destinazione al terreno non poteva bastare la “manifestazione di volonta’ in tal senso espressa nella Delib. di acquisto” (…) “essendo necessaria una variante allo strumento urbanistico”.
Quando allora, come nel caso in esame, la sentenza di cassazione abbia accolto il ricorso sia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che per vizi di motivazione, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre a tener conto, a norma dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, del principio enunciato dalla cassazione (non in via meramente astratta, ma agli effetti della concreta decisione della lite), puo’ certamente comportare altresi’ la valutazione “ex novo” dei fatti gia’ acquisiti, nonche’ estrinsecarsi nella valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione, sia pur sempre nel rispetto delle decadenze e preclusioni pregresse (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6707 del 06/04/2004; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17790 del 07/08/2014).
In tal senso, il giudice di rinvio non ha posto in discussione la questione dell’astratta sussistenza di un obbligo, assunto dal Comune di Budrio nel contratto (OMISSIS), di destinare la porzione di podere acquistata all’insediamento di impianti sportivi, ma ha, piuttosto, proceduto ad un apprezzamento complessivo del contenuto negoziale, in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata.
Convincentemente, pertanto, la Corte d’Appello di Bologna, ha affermato che il Comune di Budrio non avesse assunto “un obbligo assoluto ed indeterminato”, intendendo scongiurare un’interpretazione del programma obbligatorio che comportasse un vincolo “permanente, senza alcun limite di tempo” dei “poteri di gestione del territorio, corrispondenti ad un interesse pubblico certamente prevalente su quello privato”. Il convincimento interpretativo espresso dai giudici di rinvio e’ stato, dunque, quello di constatare, per effetto dei ventitre anni intercorsi tra il contratto di acquisto e l’adozione della variante edificatoria, il verificarsi di un “esaurimento della portata precettiva ed obbligatoria del preteso vincolo inserito nel contratto di compravendita del terreno”.
In sostanza, pur ravvisato l’obbligo di natura contrattuale assunto dal Comune di Budrio nel negozio del (OMISSIS), consistente nella destinazione della porzione del (OMISSIS) vendutogli da (OMISSIS) all’insediamento di impianti sportivi, la sentenza impugnata ha escluso che la successiva Delib. Comunale 10 luglio 1996, con cui l’amministrazione locale approvava una variante al Piano Regolatore Generale e destinava l’area ad edilizia residenziale, potesse valere come inadempimento causa di risoluzione del contratto ex articolo 1453 c.c., o come illecito fonte di risarcimento dei danni.
La decisione adottata nella sentenza impugnata e’ cosi’ conforme all’orientamento piu’ volte espresso da questa Corte, secondo il quale, nel caso in cui un privato venda un immobile con l’obbligo del Comune acquirente di destinarlo ad un determinato servizio pubblico (nella specie, mediante realizzazione di impianti sportivi), e, successivamente, il Comune ne modifichi la destinazione per realizzarvi insediamenti residenziali, non ricorrono proprio i presupposti per dichiarare risolto per inadempimento il contratto, ravvisandovi una grave alterazione dell’equilibrio giuridico-economico del negozio in pregiudizio del venditore. Invero, tale compravendita, seppure costituisse il momento attuativo di una convenzione urbanistica (non consentendo di distinguere tra un provvedimento amministrativo, cui imputare gli effetti conformativi del territorio, ed un atto negoziale, con cui vengono regolate le obbligazioni dei privati contraenti), non priva il Comune del potere di imprimere alle aree acquistate una diversa destinazione, la quale e’ situazione dipendente dalla volonta’ dello stesso ente locale e rientrante nei poteri pubblicistici dello stesso. Una siffatta convenzione, infatti, nonostante eventuali patti contrari, non puo’ non lasciare integra la potesta’ pubblicistica del Comune in materia di disciplina del territorio e di regolamentazione urbanistica, ivi compresa la facolta’ di liberarsi dal vincolo contrattuale, alla stregua di esigenze sopravvenute o per l’adeguamento a modifiche normative (si vedano Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17698 del 14/08/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11208 del 28/08/2000; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6482 del 08/06/1995). L’impegno pattizio assunto dal Comune ad un “facere” puo’ cosi’ dirsi inadempiuto ove emergano condotte materiali del compratore di utilizzo dell’area in violazione dell’obbligo funzionale di imprimere la destinazione economica voluta dal venditore, ma non quando la sottrazione del terreno alla destinazione convenuta in contratto avvenga per effetto degli interventi normativi e attuativi del Comune, spiegati nell’ambito dei poteri ad esso riservati dalla legislazione urbanistica.
Sulla base di tali considerazioni, sono prive di fondamento le denunciate violazioni dei limiti cognitivi del giudice di rinvio, come dei criteri di interpretazione del contratto, e le assunte carenze motivazionali, rappresentate in ricorso. La ricorrente prospetta la mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero l’insufficienza o contraddittorieta’ della motivazione, limitandosi, pero’ a lamentare una mera contrapposizione fra l’interpretazione da essa prescelta e quella accolta nella sentenza impugnata, ed a proporre una diversa valutazione dei dati materiali tutti, comunque, complessivamente apprezzati dalla Corte di Bologna, ovvero una diversa ricostruzione della volonta’ pattizia consacrata nella scrittura, nonche’ della sua minima unita’ effettuale, attivita’, queste, istituzionalmente riservate al giudice di merito. Ne’, del resto, nell’interpretazione di un contratto scritto, come nella generale valutazione dei documenti prodotti, e’ sindacabile in sede di legittimita’ la scelta fatta dal giudice di merito, tra le varie risultanze, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la propria motivazione, alla quale non puo’ chiedersi di discutere su ogni singolo elemento o di confutare tutte le deduzioni difensive, rimanendo implicitamente disattesi quei rilievi e quelle circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Quanto in particolare, poi, ai motivi dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo e ventunesimo, che fanno questione circa l’incongruita’ del prezzo convenuto tra le parti alla luce dei criteri normativi di determinazione delle indennita’ di esproprio, essi si rivelano innanzitutto inammissibili ove affrontano profili giuridici, implicanti anche accertamenti di fatto, che non risultano trattati in alcun modo nella sentenza impugnata ne’ nelle conclusioni sottoposte al giudice di rinvio a norma dell’articolo 394 c.c., essendo stato ivi valutato il corrispettivo dell’alienazione solo quale elemento interpretativo della reale volonta’ contrattuale. E’, comunque, insegnamento di questa Corte che la cessione volontaria del bene, pattuita tra espropriante ed espropriato, e nella quale non risultino indicati i legittimi criteri di determinazione del prezzo, costituisce espressione di autonomia negoziale, a norma dell’articolo 1322 c.c. e, pertanto, non consente al privato ne’ la successiva domanda di un non configurabile conguaglio, ne’ la richiesta di una rideterminazione del prezzo alla stregua del valore venale del bene, allorche’ il cedente abbia trasferito i suoi beni accettando in corrispettivo, senza alcuna riserva, una somma di danaro e non faccia valere vizi della volonta’ ne’ sproporzione tra le prestazioni (arg. da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10952 del 19/05/2014; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10945 del 07/11/1997).
3. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.