ai fini dell’interruzione della prescrizione, la produzione in giudizio di copia della lettera di costituzione in mora unitamente all’avviso di ricevimento “ex adverso” della relativa raccomandata implica una presunzione di corrispondenza di contenuto tra la copia prodotta e la missiva ricevuta dalla controparte, salva la prova, a carico del destinatario, di avere ricevuto una missiva di contenuto diverso o un plico privo di contenuto. Pertanto, ai fini della presunzione dell’avvenuta ricezione della raccomandata, non è necessaria la produzione in giudizio, unitamente alla copia della lettera di costituzione in mora, sia dell’avviso di ricevimento che dell’avviso di spedizione, essendo invece sufficiente l’avviso di ricevimento della relativa raccomandata o anche solo l’avviso di spedizione in quanto la lettera raccomandata o il telegramma – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente.

Corte d’Appello|Bari|Sezione 3|Civile|Sentenza|20 giugno 2023| n. 991

Data udienza 14 giugno 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Carte di Appello di Bari, Terza sezione civile, composta dai seguenti Magistrati:

1) dott. Michele Ancona Presidente

2) dott. Vittorio Gaeta Consigliere

3) dott. Emma Manzionna Consigliere rel.

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta nel ruolo generale degli affari contenziosi civili sotto il numero d’ordine 1012 dell’anno 2021,

TRA

AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore dott. (…), con sede in Foggia alla Via (…) (C.F. e P.IVA (…)), rappresentata e difesa dall’Avv. (…) ed elettivamente domiciliata in Bari alla (…), in forza di procura rilasciata in calce al presente atto, il quale difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al presente procedimento al numero di fax (…) ovvero all’indirizzo di posta elettronica certificata (…)

APPELLANTE

CONTRO

(…), nata a Cerignola il (…) (CF. (…)), (…), nato a Cerignola il (…) (CF. (…)),

(…), nata a Cerignola il (…) (CF. (…)), elettivamente domiciliati in Cerignola alla via (…), presso lo Studio dell’Avv. (…), che li rappresenta e difende giusta mandati in calce all’atto di costituzione con nuovo difensore del 22.12.2022.

APPELLATI

Conclusioni delle parti: all’udienza del 8.03.2023, svolta mediante trattazione scritta, le parti hanno precisato le conclusioni mediante le note scritte inviate con modalità telematica, che ivi devono ritenersi integralmente riportate.

Ragioni di fatto e di diritto della decisione Va premesso, in fatto, che la sig.ra (…) veniva ricoverata presso il reparto di ostetricia e ginecologia di Cerignola alle ore 6.15 per “travaglio di parto in primigravida a termine” e che, alle ore 12.50, nasceva la piccola Diana con diagnosi di “distocia di spalla, spiccata angustia vulvo-vaginale”; in data 15.12.1990, la neonata unitamente alla madre veniva dimessa con diagnosi di “paresi arto dx”, con prescrizione di terapia posizionale e visita di controllo per le sedute di FKT.

Negli anni successivi, la bambina veniva sottoposta a costanti visite specialistiche presso la divisione di ortopedia dell’ospedale di Cerignola, ove veniva confermata la diagnosi di “paresi ostetrica arto sup. dX’ e “postumi di paresi del plesso brachiale dx da sofferenza neonatale con ridotti movimenti dell’arto superiore destro” e veniva attestato il regolare svolgimento della terapia e delle sedute riabilitative.

La Commissione di Prima Istanza per gli invalidi civili, per la suddetta patologia, le riconosceva, in data 26.01.2001, l’indennità di frequenza, confermata in data 21.07.2004 mentre, in data 14.07.2009, le riconosceva la invalidità civile nella misura del 46%. Inoltre, sin dal 2004, le veniva diagnosticata anche una sindrome ansioso depressiva motivata dai postumi della paresi ostetrica.

Nonostante i plurimi cicli di trattamenti riabilitativi ai quali si era sottoposta nel corso degli anni, erano residuate menomazioni essenzialmente rappresentate da un globale deficit motorio e stenico a carico dell’intero arto superiore destro, atteggiato in adduzione con flessioni del gomito e limitato nei movimenti, specie nell’articolazione scapolo omerale e nella prono-supinazione dell’avambraccio, deficit implicante un danno stimato dal consulente medico di parte nella misura del 15%.

Tanto premesso, (…) unitamente ai genitori (…) e (…), assumendo che tali postumi fossero da ascrivere a responsabilità dei sanitari dell’Ospedale di Cerignola, i quali, nonostante “la distocia” si fosse da subito palesata, non avevano eseguito le corrette manovre per evitare la paresi del plesso brachiale, chiedevano il risarcimento dei danni determinati da tale errore sanitario sia alla vittima primaria ((…)) che ai suoi genitori, posto che le richieste risarcitorie avanzate con lettere raccomandate del 20.09.19987 e 15.06.2007 rispettivamente alla AUSL FG2 e alla ASL FG erano rimaste senza risposta.

Si costituiva la ASL della provincia di Foggia, la quale eccepiva preliminarmente l’intervenuta prescrizione del diritto risarcitorio azionato, disconoscendo la conformità all’originale delle copie delle missive del 20.9.1997 e 15.6.2007 e delle relative ricevute di ritorno, comunque non riferibili alle raccomandate depositate nel fascicolo attoreo.

Evidenziava, inoltre, che la responsabilità della struttura sanitaria dovesse qualificarsi come extracontrattuale e che, nel merito, non fosse ipotizzabile alcun errore terapeutico dei sanitari, in quanto, non erano presenti fattori di rischio e, nonostante i sanitari avessero eseguito le conseguenti manovre, le lesioni del plesso brachiale si erano verificate probabilmente a causa di una serie di meccanismi di tipo posturale e compressivo, non prevedibili né prevenibili.

Contestava, infine, la quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali richiesti. Alla prima udienza, parte attrice esibiva gli originali degli atti disconosciuti perché prodotti in copia e la convenuta contestava che la riconducibilità delle cartoline esibite alle missive prodotte, anche in ragione dell’assenza sulle stesse di timbro e di numero di protocollo ASL.

Istruita la causa mediante c.t.u., il giudice istruttore formulava una proposta conciliativa, che non era accettata dalla parte convenuta. Indi, con la sentenza gravata n.710/2021, emessa ai sensi dell’art.281 sexies c.p.c., il Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, in composizione monocratica, ha così statuito:

“Dichiara la prescrizione del credito risarcitorio azionato da (…) e (…); Dichiara compensate le spese di lite tra (…), (…) e la ASL della Provincia di Foggia; Accoglie la domanda, per quanto di ragione, e per l’effetto condanna la ASL della Provincia di Foggia a pagare a (…) l’importo di euro 80.000,00 oltre interessi legali dalla data di messa in mora del 10.9.1997 e fino all’effettivo soddisfo; Condanna altresì la parte convenuta alla refusione delle spese di lite sostenute dall’avv. (…), antistatario di (…), che liquida in Euro 786,00 per esborsi ed Euro 16.670,00 per compenso professionale, oltre Iva, CPA e rimborso forfettario al 15%; Pone definitivamente le spese di CTU a carico di parte convenuta, con diritto di parte attrice di ripetere nei suoi confronti quanto a tale titolo eventualmente anticipato”.

Avverso tale sentenza ha interposto appello, con atto di citazione notificato il 23.06.2021, la ASL della Provincia di Foggia chiedendo, per i motivi di seguito indicati, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della gravata sentenza, accogliersi le seguenti conclusioni: “…in accoglimento del presente appello e per tutte le ragioni dedotte in narrativa ed in parziale riforma della sentenza n. 710/2021, resa dal Tribunale di Foggia, in persona del Giudice dott. Depalma in data 18.03.2021, comunicata a mezzo pec in data 22.03.2021, si dichiari in via preliminare l’intervenuta prescrizione, ai sensi degli artt. 2946 e 2947 c.c., anche dell’azione svolta dalla sig.ra (…). III) Sempre nel merito, si rigetti l’avversa domanda proposta da (…) poiché infondata in fatto ed in diritto, oltre che non provata, per i titoli e le causali esposte in narrativa. IV) In via subordinata, nella denegata ipotesi di conferma del capo della sentenza relativo alla condanna dell’odierna appellante a pagare a (…) l’importo di Euro 80.000,00, si rideterminino gli interessi legali sulla predetta somma, in accoglimento del motivo di appello sub 4) della narrativa del presente atto. V) Si condannino (…), (…) e (…) al pagamento delle spese e competenze del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore quale anticipatario”. In via istruttoria, ha insistito nell’istanza di rinnovo della c.t.u. medico legale.

Con memoria depositata 29.10.2021, si sono costituiti tardivamente in giudizio gli appellati ed hanno chiesto il rigetto dell’appello ed il riconoscimento della rivalutazione e degli interessi dalla data dell’evento (e non da quella della messa in mora), con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio, nonché di quelle relative alla procedura di inibitoria, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore antistatario Con ordinanza del 8.09.2021, questa Corte ha disposto la sospensione della gravata sentenza nella parte in cui riconosce gli interessi sulla somma rivalutata dalla data della messa in mora del 10.09.1997 sino a quella della liquidazione.

Indi, all’udienza del 8.03.2021, svolta mediante trattazione scritta, la causa è stata riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., per il deposito di memorie conclusionali ed eventuali note di replica.

A fondamento della decisione, il Tribunale di Foggia ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Asl Fg. con riferimento al credito azionato jure proprio dai coniugi (…) e (…) poiché, nelle lettere di messe in mora del 10.09.1997 e del 15.06.2007, essi avevano agito “quali genitori esercenti la patria potestà sulla minore (…)”. Diversamente, con riguardo al danno patito da (…), ha ritenuto che il credito risarcitorio non fosse prescritto perché, trattandosi di responsabilità di natura contrattuale, era soggetto al termine di prescrizione decennale ex art.2946 c.c., termine che era stato interrotto dalle lettere di messe in mora del 10.09.1997 e del 15.06.2007. Infatti, a differenza di quanto opinato dalla ASL, la ricezione di tali missive risultava documentata dalla produzione delle cartoline di ritorno, indirizzate presso l’ufficio amministrativo dell’ASL Fg. di Cerignola, con sottoscrizione sia del ricevente che dell’incaricato alla distribuzione, mentre la convenuta non aveva neppure proposto querela di falso avverso la attestazione di avvenuta consegna fatta dall’incaricato alla distribuzione.

Nel merito, il giudice di prime cure ha accertato, aderendo alle conclusioni dei c.t.u., la responsabilità dei sanitari “..che pur potendo evitare i danni patiti dalla nascitura con un parto cesareo o con specifiche manovre tese a contenere o limitare i rischi, avevano proceduto con negligendo non impedendo l’evento lesivo..” ed ha quantificato il danno in Euro.80.000,00, comprensivo di personalizzazione “media”, oltre interessi legali dalla data della prima messa in mora del 20.09.1997. Ha, infine, disposto la compensazione delle spese di lite tra i coniugi (…)-(…) e la Asl Fg., mentre ha condannato quest’ultima alla rifusione delle spese in favore di (…) ed alle spese di c.t.u.

I. Con il primo motivo, l’appellante ha lamentato la erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha ritenuto che le sole cartoline di ritorno delle raccomandate di messa in mora fossero sufficienti a provare sia la ricezione delle missive che l’intervenuta interruzione della prescrizione per (…) – errato esame delle allegazioni di parte e della documentazione in atti violazione e falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c.

Ad avviso dell’appellante, il primo Giudice avrebbe omesso di considerare il fatto che la presunzione logica dell’avvenuta ricezione imporrebbe il collegamento tra la ricevuta di spedizione della raccomandata e la ricevuta di ritorno pervenuta al mittente.

Nella specie, la mancata produzione in giudizio delle ricevute di spedizione (con stampigliato il numero della raccomandata) non consentirebbe quindi di poter verificare se proprio ad esse raccomandate si riferissero i due avvisi di ricevimento prodotti dall’avversa difesa. Inoltre, le cartoline esibite non presenterebbero alcun timbro di ricevimento e protocollo della ASL destinataria; i codici riportati sugli avvisi di ricevimento a distanza di circa dieci anni l’una dall’altra differirebbero solo di alcune cifre finali; la presunta raccomandata del 15.05.2007 spedita alla sede di Cerignola, sarebbe stata inviata ad un ente ormai cessato atteso che dal gennaio 2017 era stato accorpato all’istituita ASL Fg.

Ha precisato, infine, che, a differenza di quanto osservato dal giudice di prime cure, non avrebbe proposto querela di falso poiché l’oggetto del giudizio non riguardava l’autenticità o meno della firma apposta sulle suddette cartoline bensì la riconducibilità di queste ricevute di ritorno a quella di spedizione mai prodotte in giudizio dagli attori.

I.a La censura è infondata.

In base ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato, condiviso da questa Corte, “ai fini dell’interruzione della prescrizione, la produzione in giudizio di copia della lettera di costituzione in mora unitamente all’avviso di ricevimento “ex adverso” della relativa raccomandata implica una presunzione di corrispondenza di contenuto tra la copia prodotta e la missiva ricevuta dalla controparte, salva la prova, a carico del destinatario, di avere ricevuto una missiva di contenuto diverso o un plico privo di contenuto” (cfr. Cassazione civile sez. VI, 03/10/2018, n.24149; Cassazione civile sez. I, 22/05/2015, n.10630). Pertanto, ai fini della presunzione dell’avvenuta ricezione della raccomandata, non è necessaria la produzione in giudizio, unitamente alla copia della lettera di costituzione in mora, sia dell’avviso di ricevimento che dell’avviso di spedizione, essendo invece sufficiente l’avviso di ricevimento della relativa raccomandata o anche solo l’avviso di spedizione (cfr. in tal senso, Cass. Civ. 23920/2013 e 15762/2013: “la lettera raccomandata o il telegramma – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente”).

Nel caso di specie, nel quale gli attori hanno prodotto le lettere di costituzione in mora e gli avvisi di ricevimento della raccomandata, deve quindi ritenersi operante la presunzione riconosciuta nelle pronunce sopra indicate, quanto alla coincidenza di contenuto tra l’atto prodotto dalla parte e quello ricevuto dalla controparte a mezzo raccomandata, in mancanza della prova da parte del destinatario del contenuto diverso di quanto ricevuto (in tal senso, Cassazione civile sez. I, 22/05/2015, n.10630).

Né può rilevare la circostanza che gli avvisi di ricevimento non contengano il timbro o il numero di protocollo della ASL Fg. – circostanza, quest’ultima, che ben può essere addebitata  ad un difetto organizzativo degli addetti alla ricezione della ASL come evidenziato dal giudice di prime cure-, atteso che gli avvisi di ricevimento risultano indirizzati rispettivamente alla AUSL Fg.2 ed alla ASL Fg. e recano la sottoscrizione sia del ricevente che dell’incaricato alla distribuzione (con timbro e data dell’ufficio postale), per cui incombeva sull’appellante ASL Fg. proporre querela di falso ove intendeva contestare l’avvenuta consegna eseguita dall’incaricato alla distribuzione oppure fornire la prova di avere ricevuto una missiva di contenuto diverso o un plico privo di contenuto.

D’altra parte, le questioni relative ai codici delle raccomandate ed all’erroneo invio della raccomandata del 2007 ad un ente ormai cessate, sono inammissibili in quanto proposte per la prima volta in sede di gravame. Né infine, può giovare all’appellante il richiamo alla sentenza n. 13452/2017 della Suprema Corte a Sezioni Unite, che, ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel processo tributario, non costituisce motivo dinammissibilità del ricorso o dell’appello, che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente o l’appellante, al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario”, sia perché detto principio è dettato nella diversa ipotesi della tempestività dell’appello nell’ambito del processo tributario, sia perché , nella specie, negli avvisi di ricevimento depositati dagli appellati, l’agente postale dà atto, mediante timbro e firma, di avere regolarmente consegnato il plico al destinatario.

II. Con il secondo motivo, l’appellante ha lamentato la erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure contraddittoriamente ed erroneamente motivando, ha ritenuto valida ed attendibile la c.t.u. effettuata- violazione e falsa applicazione degli artt.115,116 e 132 c.p.c..

Ad avviso dell’appellante, la consulenza tecnica a firma dei dott.ri (…) ((…)) e (…) ((…)), fatta propria dal Giudice di primo grado, sarebbe giunta a conclusioni assolutamente non condivisibili quanto all’individuazione dei profili di responsabilità in capo ai sanitari del Presidio Ospedaliero di Cerignola, per tutti i motivi esplicitati dal c.t.p. dott. (…) nelle proprie controdeduzioni alla c.t.u., di cui il giudice di primo grado non avrebbe tenuto debito conto. In particolare, nella specie, non sarebbero stati presenti fattori di rischio perché la sig.ra (…) era una donna in perfette condizioni di salute, con un decorso di gravidanza (la prima) normale, privo di complicazioni, con un diabete chimico ben controllato, con travaglio regolare (alla quarantesima settimana gestazionale, quindi parto a termine) e un benessere fetale accertato.

Nessuna ragione vi era per ricorrere alla tecnica operatoria del parto cesareo, come invece hanno ritenuto i CTU nell’elaborato peritale, laddove avrebbero, erroneamente, dichiarato che il “rischio era prevedibile ed evitabile mediante l’espletamento di parto cesareo che avrebbe evitato il rischio del parto distocico”. Peraltro, a differenza di quanto ritenuto dai c.t.u., al momento del presentarsi della complicanza, i sanitari del P.O. di Cerignola avrebbero messo in atto il protocollo previsto per tali evenienze, applicando le manovre utili in tal senso, al fine di provvedere alla fuoriuscita delle spalle fetali. Ed infatti, eseguita la diagnosi, i sanitari avrebbero prontamente allertato l’aiuto anziano per poi praticare l’episiotomia, favorendo così il disimpegno spontaneo della testa e la conseguente estrazione della spalla, scongiurando i danni ipossici e gli esiti neurologici che possono verificarsi nell’arco di 4 – 5 minuti. Il tutto, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, sarebbe stato riportato nella cartella clinica ai punti “Diagnosi ostetrica e “Modalità parto”. Ha pertanto insistito nel rinnovo della c.t.u.

II.a Anche tale censura è infondata.

Dall’esame della documentazione sanitaria in atti, è possibile desumere che la signora (…), madre della (…), risultava primigravida a termine, per cui venne ricoverata in data 12/12/1990 presso la Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Cerignola (USL FG/10) per travaglio di parto. Alle ore 9.00 l’esame ostetrico rilevò appianamento del collo dell’utero del 50-60% e dilatazione di 3 cm, con testa adagiata allo stretto superiore del canale del parto; alle ore 10.15, con appianamento del 70% e dilatazione di circa 5 cm, venne somministrata ossitocina. Alle ore 12.50 nacque la piccola Diana (…), il peso alla nascita fu di 3900 kg con indice di Apgar di 5 (7 dopo 5′ e 10 dopo 10′); la neonata riportò lesioni del plesso brachiale, sulla base delle quali venne posta diagnosi di paralisi di arto superiore destro. Nella cartella clinica della divisione ginecologica si legge la seguente diagnosi ostetrica: ” .. spiccata angusta vulvoaginale, distocia di spalla” e vengono descritte le seguenti modalità del parto: “episiotomia, espulsione spontanea della testa, estrazione manuale delle spalle, episiotomia”. Nella cartella clinica della divisione pediatrica, nella diagnosi di ingresso si legge “sofferenza neonatale” e nell’anamnesi patologica prossima si legge ” .. parto autocico con spiccata angustia vulvo vaginale che ha causato un difficoltoso disimpegna della spalla soprattutto dx”.

I profili di responsabilità dei sanitari dell’ospedale di Cerignola accertati dai c.t.u., oggetto di contestazione da parte dell’appellante, consistono, in primo luogo, nel fatto che i sanitari “pur avendo riscontrato un “angustia vulvo vaginale” procedevano all’espletamento del parto pur sapendo di incorrere in un parto difficoltoso. Quindi rischio prevedibile ed evitabile mediante l’espletamento di parto cesareo che avrebbe evitato il rischio del parto distocico”. I periti hanno evidenziato che “la lesione del plesso brachiale è comunemente considerata iatrogena, conseguente a manovre errate nell’assistenza al parto con eccessiva trazione sull’estremo cefalico dopo l’espulsione dello stesso” e che le pubblicazioni sul tema collegano l’aumento di rischio di danno del plesso brachiale alla primiparità, all’aumentare del peso fetale ed all’eccessivo incremento ponderale della gestante. In particolare, un aumento della distanza tra sinfisi pubica e fondo dell’utero, indice di un esagerato sviluppo del feto, è tra i fattori materni spesso rilevabili nei casi seguiti da danni del plesso brachiale. Riguardo al peso fetale, è stato rilevato che già un peso alla nascita maggiore di 3500 grammi aumenta significativamente il rischio di lesioni dei nervi, sebbene si possa parlare di macrosomia fetale quando il peso, alla nascita, supera i 4000 g.

L’appellante ha obbiettato che la “distocia di spalla” sarebbe un evento raro imprevisto ed imprevedibile e che, in assenza dei fattori di rischio quali: a) macrosomia fetale; b) diabete della gestante; c) gravidanza protratta; d) obesità materna; e) distocia di spalla in parti precedenti, non vi sarebbe stata ragione alcuna per procedere al parto cesareo. Invero, in base a quanto evidenziato dai c.t.u. in sede di controdeduzione alle osservazioni del ctp, la maggior parte delle distocie si realizzano in una popolazione priva dei sopracitati fattori di rischio pertanto tale evenienza non può essere considerata imprevedibile ed il taglio cesareo elettivo o l’induzione dovrebbero essere tenute in considerazione nelle gravidanze in pazienti diabetiche con sospetto di macrosomia.

Nella specie, ” è proprio la dimensione della parte molle del canale del parto che ha determinato la distocia. Riteniamo che l’angustia spiccata della vulva, nonostante l’episiotomia, abbia condizionato l’espletamento del parto fisiologicamente e tale evenienza anatomica era possibile apprezzarla già nella fase del plaining al parto.

Proprio per questo è necessaria una stima quanto più accurata possibile sia clinica che ecografica delle possibili dimensioni del feto e della possibilità che la sua espulsione dal canale del parto, osseo e molle, si arresti per incongruo rapporto dimensionale tra bacino e feto stesso. Tale valutazione possiamo ritenere che non sia stata, il più probabile che non, eseguita dai sanitari ritrovandosi inaspettamente di fronte alla distocia pur essendo essa prevedibile”. L’appellante ha, poi, sostenuto che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, l’esecuzione delle corrette manovre da parte dei sanitari sarebbe stata riportata nella cartella clinica.

Tale assunto è, tuttavia, smentito dall’esame della cartella clinica allegata e da quanto evidenziato dai c.t.u..: “…. al momento dell’evidenza della distocia i sanitari avrebbero comunque dovuto mettere in atto quelle specifiche manovre, presenti nel bagaglio esperienziale di uno specialista, quale quella della manovra di McRoberts, nel tentativo di facilitare il parto riducendo al minimo il rischio di arrecare danni al neonato, ma di simili manovre non vi è alcuna evidenza nella documentazione sanitaria prodotta essendo la descrizione del parto sul diario clinico scarna e povera di annotazioni di cui il caso sarebbe stato sufficientemente ricco per le difficoltà incontrate.

Pertanto, riteniamo che sussistano profili di responsabilità sotto il profilo della negligenza e della imprudenza in capo ai sanitari che espletarono il parto della signora (…) a cui segui il danno del plesso brachiale alla nascitura (…). A tal riguardo anche quando non sia possibile prevedere se un parto avverrà in maniera distocica è decisivo che il personale sanitario medico e paramedico abbia familiarità con le manovre necessarie all’espletamento del parto complicato; è importante affrontare il problema con efficienza e perizia onde evitare una sofferenza cerebrale ipossico-ischemica e minimizzare il trauma”.

In sede di controdeduzioni alle osservazioni del c.t.p., i c.t.u. hanno precisato: “Nella documentazione presente nel fascicolo di causa e nello specifico la copia cartella clinica del ricovero 12/12/1990, è possibile riscontrare, in modalità del parto, l’assenza di manovre opportune da eseguirsi in corso di distocia di spalla. Infatti, tra le manovre che hanno dimostrato elevati tassi di successo ed innocuità, si ricorda la manovra di McRoberts, raccomandabile per la sua semplicità ed efficacia; … deve ritenersi che nella fattispecie sia stata omessa tale manovra che avrebbe avuto una apprezzabile opportunità di evitare la lesione del plesso brachiale. Pertanto possiamo concludere che, nel caso particolare, era evidente la “spiccata angustia vulvo vaginale” apprezzabile ad un esame obiettivo ed era prevedibile una difficoltà nella progressione del feto per una particola ristrettezza, sotto il profilo anatomico, del canale molle che non era possibile superare nemmeno con la episiotomia normalmente effettuata nel corso del parto. ….Inoltre deve ritenersi omessa la manovra di McRoberts atteso che non è riportata in cartella clinica l’esecuzione dell’unica manovra possibile finalizzata a facilitare il passaggio delle spalle ed evitare la trazione sul plesso nervoso. Per cui si confermano le conclusioni riportate in CTU ascrivendo ai sanitari una condotta negligente nel corso dell’espletamento del parto”.

Va, altresì, considerato che priva di alcun riscontro oggettivo, è rimasta l’ipotesi alternativa prospettata dal c.t.p. dell’appellante secondo la quale la lesione avrebbe avuto origine durante la vita intra uterina per situazione di compressione o di mal posizione fetale. Ritiene la Corte di condividere pienamente le conclusioni del c.t.u., poiché esse risultano essere logiche, coerenti e sorrette da dati scientifici oggettivi, avendo i c.t.u. compiutamente risposto anche alle ulteriori osservazioni del c.t.p. di parte convenuta, odierna appellante. Alla luce di tali considerazioni, deve rigettarsi la istanza di rinnovo della c.t.u. reiterata dall’appellante.

III. Con il terzo motivo, l’appellante ha lamentato la “erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice ha riconosciuto a (…) una personalizzazione media del danno – violazione e/o falsa applicazione dell’art.132 c.p.c.”, in quanto l’attrice non avrebbe fornito alcun concreto e specifico elemento soggettivo idoneo ad evidenziare una peculiarità del caso, rispetto ad altre fattispecie similari per età della vittima e gravità delle lesioni.

III.a Anche tale censura è priva di pregio.

Dall’esame della documentazione sanitaria allegata e dalla c.t.u., risulta che la piccola (…) fu sottoposta, sin dalla tenera età, ad un intenso trattamento fisiatrico e che, ciononostante, è residuata una “menomazione funzionale a carico dell’arto superiore destro, che si riverbera sulle attività quotidiane sotto il profilo funzionale nonché sotto l’aspetto estetico in una giovane donna, con espressione di sofferenza psichica e difficoltà di relazioni”.

Pertanto, ritiene la Corte che in presenza di tali circostanze specifiche, ritualmente allegate dalla danneggiata, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, sia corretto l’incremento (da Euro.73.032,50 a Euro.80.000,00) delle somme dovute a titolo di danno biologico in sede di personalizzazione della liquidazione da parte del giudice di prime cure, “in ragione delle oggettive difficoltà relazionali determinate dall’evento infausto e delle presumibili ripercussioni di tale danno alla vita di relazione ed affettiva della danneggiata”.

IV. Con il quarto motivo, l’appellante ha lamentato la “erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice ha riconosciuto a (…) gli interessi legali dal 20.09.1997 all’effettivo soddisfo”. Ad avviso dell’appellante, trattandosi di debito di valore, liquidato con moneta attuale, il Giudice di primo grado, non avrebbe dovuto liquidare gli interessi sul capitale (rivalutato) ma, per evitare un’indebita locupletazione, avrebbe dovuto devalutare alla data dell’evento la somma complessivamente liquidata a titolo di danno non patrimoniale e calcolare gli interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno fino al soddisfo o in alternativa applicare un saggio di interessi scelto equitativamente.

IV.a La censura è fondata.

L’appellante non ha contestato il fatto che, trattandosi di debito di valore, alla danneggiata spettino, oltre la rivalutazione monetaria del credito, anche gli interessi compensativi del lucro cessante (cfr. Cassazione civile sez. I, 27/12/2022, n.37798; Cassazione civile sez. I, 06/09/2022, n.26202), ma ha sostenuto che essi sarebbero dovuti non già sulla somma già rivalutata (o meglio liquidata all’attualità) come risulta dalla sentenza impugnata, ma sul capitale devalutato alla data dell’illecito e via via annualmente rivalutato sino al soddisfo, in base alle modalità di calcolo stabilite da Cass. Civ. S.U. 17.02.1995 n.1712.

L’appellante ha, poi, eccepito, l’inammissibilità e tardività della domanda formulata al punto n.2 delle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta (“riconoscere rivalutazione ed interessi dalla data dell’evento e non da quella della messa in mora”), trattandosi di domanda tesa a modificare un capo dell’impugnata sentenza (quello che riconosce gli interessi dalla data della mora) che avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale entro il termine perentorio stabilito, a pena di decadenza dall’art. 343 c.p.c..

Sul punto, gli appellati hanno obbiettato che l’esatto riconoscimento della rivalutazione e degli interessi – in particolare il loro corretto calcolo e la loro decorrenza – dovrebbe essere riconosciuto d’ufficio trattandosi di componenti del credito, senza che occorra alcuna specifica richiesta della parte interessata.

Tuttavia, nella fattispecie, non si controverte della debenza dei suddetti interessi ma delle modalità di calcolo degli stessi che risultano erroneamente riconosciuti nella sentenza impugnata sul capitale già attualizzato per cui, in accoglimento del quarto motivo di appello, nel rispetto dell’indirizzo giurisprudenziale costantemente applicato da questo Corte (cfr.Cass. Civ. S.U. 17.02.1995 n.1712) richiamato anche nell’atto di appello, devono riconoscersi gli interessi legali sul capitale devalutato all’atto dell’evento e via via annualmente rivalutato sino al soddisfo.

V. Con il quinto motivo, l’appellante ha dedotto, infine, “l’erroneità della sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha compensato le spese di lite tra (…), (…) e la ASL Fg, violazione e/o falsa applicazione degli artt.91 e 92 c.p.c.”. Le ragioni di soccombenza reciproca addotte dal giudice di prime cure per disporre la compensazione delle spese di lite tra le suddette parti sarebbero erronee perché, nella specie, non sarebbe ravvisabile alcuna soccombenza della convenuta su domande “contrapposte” ma solo su questioni preliminari e probatorie.

V.a Il motivo è fondato.

Sul punto, il giudice di prime cure ha così statuito “Le spese di lite tra (…), (…) e la ASL FG vanno interamente compensate, in ragione della reciproca soccombenza (essendo la ASL soccombente in ordine alle domande rivolte alla qualificazione della responsabilità come extracontrattuale, nonché in relazione al valore probatorio delle ricevute di ritorno delle cartoline a/r)”.

Va, tuttavia, osservato che il criterio della soccombenza va valutato con riferimento all’esito finale della domanda, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni preliminari di rito o pregiudiziali di merito, se la parte che le sollevò sia comunque risultata vittoriosa nel merito (cfr.Cassazione civile sez. VI, 02/09/2014, n.18503 Cassazione civile sez. III, 05/04/2003, n.5373).

Nella specie, tanto la questione della qualificazione della domanda risarcitoria, quanto quella del valore probatorio delle ricevute di ritorno non hanno influito sulla statuizione sulla domanda risarcitoria formulata dai coniugi (…) e (…), che è stata rigettata poiché prescritta.

Né può rilevare la circostanza che, a seguito della proposta conciliativa formulata dal giudice di prime cure con provvedimento del 5.11.2019, i coniugi (…) e (…), abbiano rinunciato ad ogni richiesta risarcitoria, perché tanto avveniva solo con le note conclusive.

Ne consegue che, in accoglimento del quinto motivo del gravame, i coniugi (…) e (…), devono essere condannati alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado in favore della ASL Fg., spese liquidate in Euro.7795,00 per compensi professionali, in base ai parametri minimi del DM. 55/14, trattandosi di pronuncia su una semplice questione di rito, in relazione al valore della causa e dell’attività difensiva svolta. Il parziale accoglimento del gravame (e precisamente di due motivi su cinque), con conseguente sostanziale conferma della soccombenza della ASL rispetto alla domanda principale, giustifica la compensazione di 3/4 delle spese del presente grado di giudizio, spese che, per la restante parte, devono essere poste a carico della parte appellata in favore dell’appellante, secondo soccombenza e liquidate e distratte come da dispositivo. Le spese del presente grado di giudizio sono liquidate in applicazione dei parametri del D.M. 147 del 13.08.2022 in vigore dal 23.10.2022, in considerazione del valore della causa (da Euro.52.000,00 a Euro.260.000,00) e dell’attività difensiva svolta (quattro fasi compresa la trattazione dell’inibitoria).

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Bari, III Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla ASL della Provincia di Foggia, in persona del legale rappresentante p.t., avverso la sentenza n.710/2021 emessa dal Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, pubblicata il 18.03.2021, nei confronti di (…), (…) e (…), reietta ogni ulteriore e contraria istanza ed eccezione, così provvede:

1) Accoglie per quanto di ragione l’appello e per l’effetto, in parziale riforma della gravata sentenza, dispone : a) che gli interessi legali sull’importo di Euro.80.000,00 liquidato a titolo risarcitorio in favore di (…) nella sentenza di primo grado, debbano essere riconosciuti sul capitale devalutato all’atto dell’evento e via via annualmente rivalutato sino al soddisfo e non già sulla somma già attualizzata dalla messa in mora del 10.09.1997 sino al soddisfo; b) condanna i coniugi (…) e (…), alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado in favore della ASL Fg., spese liquidate in complessivi Euro.7795,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge;

2) Condanna la parte appellata alla rifusione di 1/4 delle spese di questo grado di giudizio in favore dell’appellante, spese che liquida, per l’intero, in complessivi Euro.12.154,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito per dichiarata anticipazione;

3) dichiara compensata, tra le parti, la restante parte (3/4) delle spese processuali.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 14 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.