In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d’appello che – in parziale riforma della pronuncia di primo grado – aveva erroneamente liquidato una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale soggettivo patito dai congiunti della vittima deceduta in aggiunta ad un ulteriore importo a titolo di danno morale).”, sicché, fermo il criterio di liquidazione nella specie adottato, deve verificarsi se l’importo nella specie liquidato risulti giustificato dalla ricorrenza di elementi idonei, nei termini appena precisati, apprezzabili anche in via presuntiva.
Corte d’Appello|Cagliari|Sezione 2|Civile|Sentenza|17 luglio 2023| n. 254
Data udienza 8 giugno 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
II sottosezione civile composta da:
Donatella Aru Presidente
Cugusi Emanuela Consigliere
Grazia M. Bagella Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta al n.ro 205 del ruolo affari generali del contenzioso civile dell’anno 2021 promossa
da
(…) SPA, in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore dottor (…), elettivamente domiciliata in Cagliari, nella via (…), nello studio dall’avv. (…) che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata all’atto di citazione in appello,
Appellante principale
CONTRO
(…), (…) e (…), elettivamente domiciliate in Cagliari, nella via (…), presso lo studio dell’avv. (…) che le rappresenta e difende unitamente, quanto disgiuntamente, all’avv. (…) in forza di procura speciale in calce all’atto di citazione del primo grado di giudizio
Appellate e appellanti incidentali
E CONTRO
(…), in persona del procuratore speciale Dott.ssa (…), rappresentata e difesa, giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta depositata in primo grado, (…)ntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti (…), i quali eleggono domicilio in Cagliari, nella (…), presso lo studio (…);
Appellata e appellante incidentale
E CONTRO
(…) SPA, già (…) SPA, in persona del suo procuratore ad negotia, Dr. (…), elettivamente domiciliata in Cagliari, nella (…), presso lo studio associato degli avv. (…), i quali la rappresentano e difendono, unitamente e/o disgiuntamente, in forza di procura speciale in calce all’atto di chiamata in causa notificatole da (…) spa nel primo grado di giudizio,
Appellata e appellante incidentale
E CONTRO
(…), elettivamente domiciliato in Cagliari, nella (…), presso lo studio dell’Avv. (…) che lo rappresenta e difende (…)ntamente e disgiuntamente all’Avv. (…) giusta procura in calce all’atto di costituzione e risposta nel giudizio d’appello
Appellato
All’udienza del 25.11.2022 la causa è stata tenuta a decisione, con l’assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e delle repliche, sulle seguenti
CONCLUSIONI
Nell’interesse dell’appellante principale: “…Piaccia a codesta Ecc.ma Corte di Appello di Cagliari, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, in totale riforma della sentenza impugnata, ed in via subordinata e salvo gravame, in parziale riforma della stessa, previa sospensiva dell’efficacia esecutiva della stessa sentenza impugnata, accogliere le seguenti conclusioni:
IN VIA PRELIMINARE istruttoria:
dichiarare la nullità della consulenza tecnica espletata in accoglimento dell’eccezione sollevata con atto depositato il 12 marzo 2018 e reiterata all’udienza del 30 maggio 2018 o, quanto meno, la erroneità ed illogicità della stessa e, previo affidamento dell’incarico peritale ad altro consulente d’ufficio, disporne la rinnovazione alla luce delle osservazioni critiche inviate al CTU con pec del 12 gennaio 2018 (doc. n.8), doc. n.9), doc. n.10) e doc. n.11)) e depositate telematicamente il 12 gennaio 2018 nonché prodotte come allegato (doc. n.7)) alla suddetta istanza depositata il 12 marzo 2018;
ammettere le prove orali (interrogatorio formale e prova per testimoni) dedotte con la memoria istruttoria ex art. 183, 6°comma, n.2 c.p.c., con la conseguente modifica dell’ordinanza del 6 agosto 2018 e, quindi, l’interrogatorio formale della signora (…) e l’esame testimoniale della signora (…) sulle circostanze di fatto dei seguenti capi da a) fino a w) a suo tempo dedotti nel primo grado di giudizio:
a) prima di effettuare l’esame il paziente fu informato dal dottor (…) sulla procedura del test, sulle modalità di esecuzione e sulle possibili conseguenze e complicanze;
b) l’indagine a cui si sottopose il (…) venne effettuata in ambito ambulatoriale;
c) al paziente fu riferito che avrebbe dovuto chiedere l’interruzione dell’esame qualora fosse intervenuta stanchezza o insorto dolore toracico o qualsiasi altro dolore e che il medico avrebbe fatto altrettanto nel caso di eventuali alterazioni elettrocardiografiche o altre circostanze che, a parere del sanitario, l’avrebbero richiesto;
d) il paziente si sottopose a tale esame intorno alle ore 10; e) dopo circa 5 minuti, in assenza di segnalazione da parte del paziente di dolore toracico o di altro genere, il medico interruppe l’esame riferendo di aver riscontrato la comparsa di anomalie elettrocardiografiche (sottoslivellamento del tratto ST) che riteneva indicative di una coronaropatia cardiopatica ischemica;
f) il (…) venne fatto scendere dalla cyclette ed, in seguito, alla presenza della moglie appositamente convocata (lo attendeva nella sala d’aspetto), venne edotto nel dettaglio sulle anomalie dell’ECC e sull’opportunità di effettuare un immediato ricovero presso l’Ospedale San Martino;
g) gli venne giustificato tale suggerimento con l’informazione del fatto che tale presidio era ritenuto dal dottor (…) adeguatamente provvisto di attrezzature per procedere urgentemente ad ulteriori accertamenti e trattamenti come, ad esempio, una eventuale coronarografia urgente;
h) davanti a questa notizia il paziente manifestò un marcato stato d’ansia;
i) la moglie, frattanto, interloquiva col medico cui disse di avere parenti a Milano e che, quindi, preferiva eventualmente recarsi in tale luogo per le cure;
j) il medico manifestò ulteriormente l’urgenza del caso ed alfine ribadì ai coniugi che era meglio recarsi subito al San Martino di Oristano, offrendosi di accompagnarli e dicendo loro che avrebbe inteso prima comunicare per telefono con tale ospedale per presentare il caso;
k) dopo avere dato le suddette informazioni suggerì loro di accomodarsi un attimo in sala d’aspetto e di pensare a tutto ciò che gli era stato detto e consigliato per decidere;
l) tra l’entrata del paziente in ambulatorio, le informazioni allo stesso, l’esecuzione del test, l’interruzione, l’ingresso della moglie e le successive spiegazioni ai coniugi erano trascorsi almeno 35/40 minuti;
m) a quel punto entrava in ambulatorio il paziente successivo;
n) dopo qualche minuto (circa cinque) il medico, udito un vociare proveniente dal corridoio della sala d’attesa, ed uscito dall’ambulatorio per rendersi conto di ciò che avveniva, constatò che il (…) era accasciato;
o) il paziente veniva quindi messo in posizione di Trenderemburg (con gli arti inferiori sollevati) e si riprendeva immediatamente senza lamentare nessun sintomo di dolore al torace; p) permaneva per qualche minuto (circa cinque) in tale posizione ed, appena ripresosi, manifestava alla moglie la volontà di andare a casa;
q) in seguito si rialzava, aiutato, e dopo pochi secondi si accasciava nuovamente intorno alle ore 10,45-10,50; r) il medico, insieme ad altri assistenti presenti nel piano, si adoperava immediatamente per (…)re il paziente in una camera adiacente all’ambulatorio mentre venivano immediatamente allertati gli altri operatori sanitari (anche anestesisti) della Casa di Cura per attuare tecniche di rianimazione cardio-polmonare;
s) nel contempo veniva allertato il centralino della Casa di Cura per la chiamata al 118; ciò intorno alle ore 10,50;
t) per circa 10 minuti è stata attuata la RCP (rianimazione cardio-polmonare) anche con l’ausilio di anestesista prontamente recatosi sul posto in quanto presente in struttura; u) i sanitari del 118, arrivati sul posto alle ore 10,59, hanno continuamente tentato le manovre rianimatorie che erano già state iniziate dai sanitari presenti; v) l’esame oggetto di causa (Watt Test) è stato svolto nel piano terra che si trova in diretta comunicazione con i reparti di degenza;
w) gli ambulatori sono provvisti anche dell’erogatore dell’ossigeno collegato con l’impianto centralizzato o con bombole portatili;
IN VIA PRINCIPALE nel merito:
1) rigettare la domanda attrice, in quanto infondata, assolvendo la convenuta da ogni avversa pretesa;
2) condannare le attrici alla rifusione delle spese e competenze del doppio grado di giudizio, ivi comprese tutte le spese vive anticipate in primo grado, documentate e descritte nella parcella allora depositata, fra cui le spese di notifica della chiamata dei terzi in causa nei confronti delle compagnie assicuratrici ed il contributo unificato pagato dalla convenuta per la medesima chiamata di terzi; IN VIA SUBORDINATA e SALVO GRAVAME:
3) condannare le società (…) SPA e (…) a tenere indenne la (…) SPA dall’obbligo risarcitorio eventualmente riconosciuto in favore delle attrici, e delle eventuali spese processuali che fossero riconosciute dovute in favore delle stesse attrici, nei limiti del massimale di Euro 516.000,00 a carico della (…) SPA (al netto di quanto dalla stessa già corrisposto alle attrici in ottemperanza al disposto della sentenza di primo grado come ridimensionato dal provvedimento cautelare di Codesta Corte) (frase aggiunta nelle comparse conclusionali) e per la restante parte a carico della (…);
4) in ogni caso con vittoria di spese e di compensi dei due gradi del giudizio, ivi comprese tutte le spese vive anticipate in primo grado, documentate e descritte nella parcella allora depositata, fra cui le spese di notifica della chiamata dei terzi in causa nei confronti delle compagnie assicuratrici ed il contributo unificato pagato dalla convenuta per la medesima chiamata di terzi”
Nell’interesse delle appellate e appellanti incidentali (…), (…) e Valentina: “Voglia l’il.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione respinta: quanto all’appello principale -In via preliminare rigettare l’istanza avanzata dall’appellante ex art. 283 c.p.c. di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per tutte le ragioni esposte in narrativa; -Nel merito -rigettare integralmente l’appello proposto in quanto totalmente infondato in fatto ed in diritto per tutte le ragioni esposte in narrativa; quanto all’appello incidentale – Nel merito -riformare la sentenza di primo grado nella parte in cui stabilisce al capo n.3 il pagamento delle spese processuali a carico della parte soccombente per tutto quanto esposto in narrativa e per l’effetto condannare la Casa di Cura alla liquidazione delle incrementate spese legali di primo grado attribuendo le somme al procuratore antistatario, come esplicitamente richiesto nelle note conclusive. Con vittoria delle spese legali del presente giudizio, oltre al rimb. forfett., IVA e CPA come per legge.”
Nell’interesse dell’appellata e appellante incidentale (…): “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis reiectis e previe le declaratorie del caso, così giudicare:
1) IN VIA PRINCIPALE: Accogliere i primi quattro motivi di appello principale proposti dall’appellante (…) S.p.A. e rigettare il quinto motivo per le ragioni esposte e, per l’effetto, riformare in modo corrispondente la sentenza impugnata n. 803/2021 del Tribunale di Cagliari, con rigetto di qualsiasi domanda da chiunque svolta nei confronti di (…);
2) IN VIA INCIDENTALE: Accogliere comunque ed in ogni caso, anche nella denegata ipotesi di mancato accoglimento dei primi quattro motivi di appello principale proposti dalla (…) S.p.A., il primo motivo di appello incidentale proposto dall’esponente (…) e, conseguentemente e per le ragioni in atti, respingere ogni avversa pretesa da chiunque avanzata nei confronti di (…), dichiarando la inoperatività della polizza n. ITPMM1201098, sia ai sensi dell’art. 12 e dell’art. 23 delle Condizioni di Polizza, sia ai sensi dell’art. 1892 c.c.;
3) IN VIA INCIDENTALE SUBORDINATA: Nella denegata e francamente non creduta ipotesi di dichiarata operatività della polizza n. ITPMM1201098, con mancato accoglimento del nostro primo motivo di gravame incidentale, e nella ancor più denegata ipotesi di mancato accoglimento dei primi quattro motivi di appello principale proposti dalla (…) S.p.A., in parziale accoglimento del primo motivo di appello incidentale ridurre comunque l’indennizzo dovuto ai sensi dell’art. 1893 c.c., sempre e comunque nei limiti contrattuali di polizza, e dunque, in particolare, con riferimento alla operatività della garanzia a secondo rischio rispetto alla polizza (…) e con applicazione, ovviamente, anche della franchigia di polizza (50.000,00 Euro);
4) IN VIA INCIDENTALE ULTERIORMENTE SUBORDINATA: Nella denegata e francamente non creduta ipotesi di rigetto dei primi due motivi di appello incidentale e di dichiarata operatività della polizza n. ITPMM1201098, e nella ancor più denegata ipotesi di mancato accoglimento dei primi quattro motivi di appello principale proposti dalla (…) S.p.A., in accoglimento del terzo motivo di appello incidentale limitare comunque l’esposizione di (…) a quanto previsto dalle condizioni di polizza, in particolare con riferimento alla franchigia fissa di polizza (50.000,00 Euro), sempre e comunque con operatività della garanzia a secondo rischio rispetto alla polizza (…);
5) IN OGNI CASO: Con vittoria delle spese e competenze di lite di entrambi i gradi di merito. IN VIA ISTRUTTORIA: Si chiede disporre la rinnovazione della CTU medico legale ovvero, in subordine, la chiamata a chiarimenti del CTU Dott. Potenza in relazione ai numerosi profili critici dedotti in atti, rimasti privi di riscontro.”
Nell’interesse dell’appellata e appellante incidentale (…) S.p.A., già (…) S.p.A.: “Piaccia a questa Ecc.ma Corte, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: NEL MERITO IN VIA PRINCIPALE RITENERE fondati i motivi su esposti e, per l’effetto, in accoglimento dell’appello incidentale proposto, RIFORMARE la sentenza impugnata, rigettando la domanda risarcitoria formulata da (…), (…) e (…), in quanto infondata, e disponendo la restituzione, in favore di (…) spa, di quanto eventualmente da questa corrisposto in esecuzione della sentenza del primo grado. Con vittoria di spese (ivi comprese quelle forfettarie e di CTU) ed onorari del doppio grado del giudizio.
IN VIA SUBORDINATA Per quanto attiene al rapporto intercorrente con le attrici RIDETERMINARE l’ammontare dei danni da costoro subiti e comunque CONDANNARE (…) spa sempre nei limiti del massimale garantito, pari ad Euro516.000,00, ivi comprese le spese di soccombenza. Per quanto attiene al rapporto contrattuale intercorrente con il Dr. (…) ACCERTARE il grado di colpa imputabile al Dr. (…) nella determinazione dell’evento dannoso e, per l’effetto, CONDANNARE il medesimo, in misura proporzionale, a tenere indenne (…) spa e (…) spa, dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla decisione. Vinte in ogni caso le spese del doppio grado del giudizio.
IN VIA ISTRUTTORIA Ci si associa alle istanze istruttorie avanzate dall’appellante principale.”
Nell’interesse dell’appellato (…) dr. ____: “Tutto ciò esposto, si conclude affinché l’Ecc.ma Corte d’Appello voglia in riforma della sentenza n. 803/2021 del 10/03/2021 emessa dal Tribunale di Cagliari IN VIA PRELIMINARE E ISTRUTTORIA
a) Dichiarare la nullità della consulenza tecnica espletata nel giudizio di primo grado per violazione dell’art. 195 del C.p.c. per non aver svolto, neppure sinteticamente, le doverose valutazioni sulle osservazioni presentate dai C.T.P. e comunque per aver disatteso ogni termine assegnato dal giudice per la trasmissione della bozza e deposito della relazione definitiva o in subordine disporre il rinnovo totale della Consulenza tecnica d’Ufficio affidando l’incarico ad altro consulente che tenga conto del contenuto delle osservazioni presentate dalle parti convenute nel giudizio di primo grado;
b) ammettere le prove orali: interrogatorio formale della Sig.ra (…) e prova testimoniale della Sig.ra (…) dedotte con la memoria istruttoria ex art. 183, 6°comma, n.2 c.p.c. dalla (…) e non ammesse dal primo giudice con l’ordinanza del 6 agosto 2018, così come riportate nell’atto d’appello principale
NEL MERITO IN VIA PRINCIPALE: 1) Accogliere i motivi di gravame proposti dalla Casa di Cura (…) fatti propri e ri(…)ti nella presente comparsa e per l’effetto rigettare la domanda attrice in quanto infondata in fatto ed in diritto;
2) condannare le attrici alla rifusione delle spese e competenze del doppio grado di giudizio;
IN VIA SUBORDINATA 3) nella denegata ipotesi di riconoscimento del diritto delle attrici al risarcimento del danno seppure nella minor somma derivante dall’accoglimento del gravame sulla liquidazione dello stesso RESPINGERE IN QUANTO INFONDATA la domanda in primo grado e l’appello incidentale proposto dalla (…) S.p.a. nei confronti del Dott. (…) e, pertanto, respingerla e comunque condannare l'(…) SPA a tenere indenne quest’ultimo da qualsiasi obbligo risarcitorio eventualmente riconosciuto in favore delle attrici anche in ordine alle spese processuali;
4) condannare l'(…) S.p.a. alla rifusione delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.”
Ragioni di fatto e di diritto
La (…) S.p.A. ha proposto appello avverso la sentenza n. 803/2021, pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. e pubblicata in data 10.03.2021, del Tribunale di Cagliari che, a conclusione del primo grado di giudizio, ha pronunciato nei seguenti termini:
“…1) accertata la responsabilità dei sanitari nella causazione della morte di (…), condanna la (…) s.p.a. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, degli importi di euro 322.810,00 in favore di (…), di euro 291.377,00 in favore di (…), e di euro 227.125,00 in favore di (…), oltre al pagamento a ciascuna attrice degli interessi in misura legale ed alla rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo;
2) condanna (…) SPA a tenere indenne la (…) s.p.a. dall’obbligo risarcitorio nei confronti delle attrici nel limite del massimale di euro 516.000,00 e la (…) per la restante parte;
3) condanna la (…) s.p.a. a rimborsare le spese processuali sostenute dalle attrici in solido, pari a complessivi euro 22.861,00 (di cui euro 21.387,00 per competenze ed euro 1.474,00 per spese documentate) oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge;
4) condanna (…) SPA e (…) in solido a rimborsare le spese processuali sostenute dalla (…) s.p.a., pari a complessivi euro 21.387,00, oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge;
5) condanna (…) SPA a rimborsare le spese processuali sostenute da (…) pari a complessivi euro 10.693,50 oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge;
6) pone definitivamente a carico di (…) SPA e (…) in solido le spese per la CTU separatamente liquidate.”
Risulta dalla sentenza e dagli atti del primo grado di giudizio che (…), (…) e (…) avessero convenuto la (…) S.p.A. domandando, previo accertamento della responsabilità dei sanitari ivi operanti, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguiti al decesso del loro congiunto (…) (rispettivamente, coniuge e padre). A sostegno della domanda avevano esposto:
– Che in data 12.01.2012 (…), di anni 57 all’epoca dei fatti, si era recato presso la (…) di Oristano al fine di essere sottoposto ad esame ECG, in seguito alla recente comparsa di una sintomatologia di verosimile natura cardiovascolare (dispnea, senso di peso toracico) e che in un primo momento gli era stata effettuata una consulenza cardiologica, all’esito della quale veniva ripotato “..Anamnesi: riferisce occasionali episodi di dispnea da sforzo con senso di peso in regione mammaria sinistra. E.O.: PA 120/80 … ECG: ritmo sinusale con frequenza 61 bm. Morfologia nei limiti della norma. Giudizio diagnostico: esame clinico edECGgrafico nei limiti della norma. Test consigliati: test ergometrico … “;
– Che successivamente, in data 20.01.2012, nella medesima Cara di Cura, era stato effettuato un ECG da sforzo, il quale veniva sospeso dopo 5 minuti e 21 secondi dall’inizio della prova per la comparsa di claudicatio agli arti inferiori. Durante la successiva fase di “recupero”, proseguita per circa 6 minuti, era comparso inoltre un “sottoslivellamento” indicativo di una sofferenza ischemica del miocardio, la quale permaneva fino al momento dell’interruzione del monitoraggio ECG- grafico. Il test veniva, difatti, refertato come segue: “… H 9.47… Durata della fase di carico: 5.21 min; durata della fase di recupero: 6.17 min. Durata totale: 11.38 min … HR max 114 bpm, 4.30 mio, carico 75 W… Note: prova sospesa al carico max di 75 W per claudicatio arti inferiori. PAO max 185/100, FC max 115 bpm … Durante il recupero, sottoslivellamento max ST di mm 3 da V4 a V6 e turbe della ripolarizzazione (illeggibile). WT: submassimale positivo per ST….
– Che lo specialista cardiologo, nonostante gli evidenti segni di ischemia miocardica in atto e “sebbene le diffuse fonti bibliografiche di merito raccomandino in tali casi il prolungamento del monitoraggio ECG-grafico “fino al ritorno alle condizioni di base” o comunque “…fino a quando il medico che sovraintende al TE, non lo riterrà necessario in caso di anomalie persistenti” (pg. 4 dell’atto di citazione in primo grado) il cardiologo, al termine dei 6 minuti, aveva interrotto il monitoraggio ed aveva fatto accomodare il (…) presso la sala d’attesa antistante il gabinetto medico, comunicandogli la necessità di programmare un’ulteriore indagine diagnostica (nella specie, una coronarografia) da effettuarsi presso altra struttura attrezzata a tale scopo;
– Che, riguardo al test da sforzo, si dovesse evidenziare l’assenza di un’adeguata informazione al Sig. (…) in ordine alle modalità di sua esecuzione, alle sue finalità e alle sue possibili complicanze. In proposito le appellanti avevano precisato: “… sebbene il consenso in forma scritta non rappresenti un atto obbligatorio, e nonostante possa essere astrattamente ipotizzabile, nel caso in questione, una forma di “consenso implicito” reso dal paziente all’esecuzione del test, lo stesso non può dirsi (a fortiori perché non documentato in alcun modo, in ordine alla corretta informazione circa la procedura diagnostica resa dal medico. Ciò impediva il pieno e consapevole esercizio di quella autodeterminazione alla scelta dell’esecuzione dell’indagine diagnostica”.
– Che, in breve tempo, il paziente aveva lamentato la comparsa di malessere, a carattere ingravescente, per il quale veniva soccorso dal personale sanitario della struttura che provvedeva a posizionarlo su una barella e a trasportarlo all’interno di una stanza, peraltro, priva di strumentazione sanitaria (le attrici avevano, in proposito, specificato che l’unico “strumento” utilizzato dal personale sanitario durante le manovre di soccorso era stato il pallone Ambu);
– Che, alle ore 11.00, allertato dagli stessi sanitari della Casa di Cura, era giunto sul posto il personale del servizio “118”, il quale, sulla scheda sanitaria di sua competenza, aveva riportato: “…Allarme h 10.50. Partenza h 10.54. Arrivo sull’evento h 10.57 …Codice: emergenza … Patologia: cardiocircolatoria Arresto cardiaco … Ritmo monitor” Tl – FT; T2 – PEA; T3 – asistolia. De fibrillazione: n”1 shock 360 Joule Trattamento: cannula oro-faringea, 0 terapia, intubazione 0-T Periferiche: 1; Cristalloidi: 100 ml. Terapia farmacologica: 8 fl Adrenalina; 1 fl Atropina Annotazioni: pin ACC con RCP in corso. Segue protocollo AL5 senza ripresa di circolo Decesso h 12″ Nella relazione sanitaria veniva inoltre riportato: “…In data odierna, presso questa Casa di cura … è deceduto verso le ore 12 il sig. (…)… Lo stesso è stato colto da malore improvviso nella sala d’attesa dove era stato invitato a sostare 5/10 minuti dopo aver terminato esame diagnostico, prova da sforzo …”;
– Che era stato, quindi, richiesto riscontro diagnostico sulla salma del (…), al fine di accertare le cause del decesso. Nel relativo verbale era stato rilevato: “…Diagnosi anatomo-patologica: aterosclerosi grave del tronco comune dell’arteria coronarica di sinistra, estesa al tratto iniziale del ramo circonflesso e della discendente anteriore, con occlusione del lume del tronco comune (per una lunghezza di cm 0,5) da processo fibro-ateromasico complicato. Concomitano quadri di coronarosclerosi segmentata sub-occlusiva dell’arteria coronaria di destra. Aspetti di miomalacia del miocardio ventricolare sinistro antero-laterale, con rilievo microscopico locale di aree di necrosi coagulativa fibrocellulare recente, di tipo ischemico. Estesi focolai di miocardiosclerosi interessanti il miocardio ventricolare sinistro. Ipertrofia del ventricolo di sinistra (spessore massimo di cm 2,5 parete laterale).
Dilatazione delle cavità atrio-ventricolari cardiache. Edema e stasi intensa recentissima dei polmoni. Stasi poliviscerale. Conclusioni: aterosclerosi grave con occlusione del tronco comune dell’arteria coronaria di sinistra da processo fibroateromasico complicato. Aspetti di miomalacia del miocardio ventricolare sinistro antera- laterale con rilievo microscopico locale di aree di necrosi coagulativa di tipo ischemico delle fibrocellule cardiache. Estesi focolai di miocardiosclerosi. Edema e stasi recentissima dei polmoni… “. La scheda ISTAT relativa alle cause di morte riportava quanto segue: “…edema a stasi intensa e recentissima dei polmoni in p. aterosclerosi grave coronarica e miocardiosclerosi e ipertrofia ventricolare sinistra (…)”.
Allegando la responsabilità del personale medico e paramedico in servizio presso la (…) S.p.A. per il decesso del proprio congiunto, le parti attrici avevano concluso per la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni patrimoniali e non, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ed al pagamento delle spese processuali.
La Convenuta si era tempestivamente costituita chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda attorea in quanto infondata e, in via subordinata, di essere manlevata da ogni conseguenza pregiudizievole dalle società assicuratrici (…) S.p.A. e (…), che aveva provveduto a chiamare in causa. In ogni caso con vittoria di spese.
Si era costituita la terza chiamata (…) contestando ogni pretesa della parte attrice nei confronti della Casa di Cura. Aveva, quindi, chiesto, in subordine, il rigetto delle domande avanzate dalla Casa di Cura nei suoi confronti per inoperatività della polizza n. ITPMM1201098, sia ai sensi dell’art.12 e dell’art. 23 delle Condizioni di Polizza, sia ai sensi dell’art. 1892 c.c.; in ulteriore subordine, nell’ipotesi di declaratoria di responsabilità della Casa di Cura e di ritenuta operatività della polizza, aveva chiesto che l’indennizzo dovuto fosse limitato al massimale, con l’applicazione della franchigia di polizza ivi prevista, in ogni caso con vittoria di spese.
Si era, altresì, costituita la (…) S.p.A. che, preliminarmente, aveva chiesto di poter chiamare in causa il terzo dott. (…), legato da un rapporto libero professionale, affinché venisse accertata la sua responsabilità, eventualmente concorrente con quella della Casa di cura, in ordine al sinistro occorso ed operata una graduazione delle colpe, eventualmente imputabili a quest’ultima ed al dott. (…), … in vista di un’eventuale azione di regresso. Nel merito aveva chiesto il rigetto della domanda risarcitoria avanzata dalle attrici nei confronti della Casa di Cura e, in via subordinata, in caso di accertamento di colpa della Casa di Cura, di essere condannata nei limiti previsti dalla polizza assicurativa, in ogni caso con vittoria di spese.
Si era, infine, costituito in giudizio anche il dott. (…) ed aveva domandato il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese.
La causa era stata istruita con prove documentali e consulenza tecnica medico legale, all’esito della quale il Tribunale aveva esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione.
Il Tribunale ha svolto il seguente ordine di argomentazioni a sostegno della decisione assunta. – Dall’esame degli atti non era emersa la prova documentale della prestazione di un consenso informato da parte del paziente all’esecuzione dell’ECG da sforzo, il quale era stato, quindi, eseguito senza rendere edotto il (…) sulle modalità di espletamento del test e sui rischi ad esso connessi. Il suddetto test, così come evidenziato dal CTU nella sua relazione, avrebbe necessitato di una informazione scritta accompagnata da un colloquio esplicativo. La parte convenuta, a tal proposito, non aveva adempiuto l’onere di provare che vi fosse stata una corretta informazione del paziente in riferimento al test diagnostico eseguito.
– Alla luce degli accertamenti peritali effettuati, doveva ritenersi censurabile la condotta del sanitario della Casa di Cura sotto due aspetti: a) anzitutto l’avere effettuato il test in ambiente non adeguato a fronteggiare i rischi e le potenziali criticità; b) in secondo luogo non aver praticato un’assistenza tempestivamente adeguata all’insorgenza del malore.
– Sulla base delle osservazioni fornite dal CTU, si poteva ascrivere l’evento dannoso alla condotta “attendista” del sanitario che, in presenza di sintomi evidenti di infarto, non aveva proceduto a cure adeguate, determinando la morte del paziente il quale, diversamente assistito, “avrebbe avuto quanto meno maggiori chances di sopravvivenza trattandosi di un paziente di giovane età e asintomatico per patologia cardio-circolatoria”. A fronte di siffatta condotta attendista, la pregressa situazione patologica del paziente non poteva dirsi idonea ad escludere il nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento dannoso, non essendo stati accertati, peraltro, “comportamenti del paziente che, omettendo di seguire le prescrizioni ricevute, avessero cagionato o aggravato il pregiudizio patito”.
– Del danno cagionato doveva rispondere la Casa di Cura, sia a titolo di responsabilità contrattuale nei confronti dei familiari del paziente per l’inadempimento della prestazione posta direttamente a suo carico, ai sensi dell’art. 1218 c.c., sia sulla base di un autonomo “contratto c.d. di spedalità”, essendo, secondo la norma cit., responsabile per l’inadempimento della prestazione professionale svolta direttamente dal medico, quale proprio ausiliario necessario, a prescindere dall’esistenza di un rapporto organico di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra prestazione da questi effettuata e la organizzazione aziendale (“Costituisce pacifico principio di diritto nella giurisprudenza della Corte di legittimità che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria (nel caso di specie: la casa di cura) in cui viene eseguito l’intervento ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze.”.) (cfr. sentenza pag. 13). In considerazione delle ragioni esposte, il Tribunale aveva condannato la Casa di Cura al risarcimento dei danni, così come determinati, in favore delle attrici.
Aveva, poi, condannato le compagnie assicuratrici a tenere indenne la struttura sanitaria, loro assicurata, dall’obbligo risarcitorio nei confronti della parte attrice, in forza delle polizze prodotte in atti, dovendosi ritenere infondate le domande ed eccezioni sollevate dalle chiamate nelle loro comparse di costituzione: in particolare il giudice aveva ritenuto che dovesse considerarsi mera allegazione l’eccezione sollevata dalla (…) non essendo applicabili al caso di specie gli artt. 7.2 e 23 delle condizioni generali del contratto, che escludono l’operatività della polizza in relazione a fatti già noti al contraente, in quanto la casa di cura era venuta a conoscenza delle responsabilità del sanitario solo in seguito all’inizio dell’azione giudiziale; aveva inoltre disatteso, per mancanza di interesse, la domanda di (…) relativa all’accertamento del grado di responsabilità del dott. (…) al fine dell’esercizio dell’azione di regresso, escludendo le condizioni generali di contratto, all’art. C, l’azione di rivalsa nei confronti dei medici dipendenti. Aveva quindi condannato la (…) S.p.A., a tenere indenne l’assicurata nel limite del massimale, mentre la (…) S.p.A. per la restante parte, trattandosi di coassicuratrice a secondo rischio, liquidando le spese secondo la soccombenza e ponendo a carico delle compagnie assicuratrici le spese processuali della propria assicurata casa di cura e del dott. (…), oltre che, solidalmente tra le stesse, le spese della c.t.u. espletata.
Avverso la sentenza ha proposto appello la (…) formulando cinque censure. Si sono tempestivamente costituite in giudizio (…), (…) e (…), le quali hanno contestato la fondatezza del gravame e proposto appello incidentale relativamente alla liquidazione delle spese del giudizio. Si sono altresì costituiti ritualmente la (…) S.p.A. e il dott. (…), condividendo integralmente i motivi di appello addotti dalla (…). L'(…) S.p.A., ha inoltre proposto appello incidentale.
APPELLO PRINCIPALE I. Con il primo motivo di gravame, titolato “Il consenso informato”, ha lamentato l’erroneità della sentenza nel punto in cui, fondandosi sulle risultanze della c.t.u., ha ritenuto sussistere la responsabilità del sanitario, affermando che la Casa di Cura non avrebbe correttamente recepito il consenso informato del paziente (…). Alcun significato medico-legale avrebbe potuto difatti attribuirsi alla mancata acquisizione del consenso informato in forma scritta non essendo la suddetta forma obbligatoria, all’epoca dei fatti, per la procedura cui era stato sottoposto il paziente (ECG da sforzo). La casa di cura ha, inoltre, ribadito che il paziente era stato informato dal dottor (…) sulla procedura del test, sulle modalità di esecuzione e sulle possibili conseguenze e complicanze ad esso connesse e che, per tale motivo, l’assenza del consenso informato in forma scritta non sarebbe prova di inadeguatezza del processo informativo nei confronti del paziente circa i rischi dell’esame diagnostico cui era stato sottoposto.
Il motivo è fondato. Premesso che lo stesso Consulente ha rilevato che il consenso poteva, all’epoca dei fatti ed in relazione alla tipologia di esame praticato, essere espresso oralmente e che sotto tale profilo non è stata sollevata contestazione alcuna, si osserva che la stessa tipologia dell’esame, implicante un forte grado di collaborazione del paziente presupponeva di necessità la manifestazione del consenso da parte di questi. Per altro verso quel che si è lamentato da parte degli attori, non è stato il verificarsi del malore in sé, scatenato da una pregressa patologia sconosciuta al medico e al paziente, quanto, piuttosto, l’omesso intervento, tempestivo e adeguato rispetto alla grave problematica insorta nel paziente che la casa di cura aveva in carico.
Va poi ulteriormente osservato, in via peraltro dirimente, che dalla sentenza non pare essere fatta discendere, dalla ritenuta mancanza di consenso, alcuna, autonoma conseguenza, circostanza, questa, non fatta oggetto di censura da nessuna delle parti, neppure in via subordinata e condizionata. In proposito è opportuno richiamare l’orientamento della Suprema Corte espresso in diverse sue pronunce, secondo cui:
“In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se, nel primo caso, l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia “ex se” una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo, invece, l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – gravante sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in “re ipsa” (non essendo dato confondere la lesione del diritto, con le conseguenze pregiudizievoli che in concreto da esso derivano), è indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito. Diversamente, sebbene la condotta violativa dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto – non potendo affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno, è bene possibile che l’inadempimento dell’obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia esaurisca la propria funzione lesiva, inserendosi tra i fattori “concorrenti” della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute. Può e deve, invece, riconoscersi all’omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento, qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche e distinte conseguenze dannose (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 28985 del 11/11/2019).” (Sez. 3 -, Ordinanza n. 24471 del 04/11/2020)
e ancora: “In materia di responsabilità per attività medicochirurgica, qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile “ab origine ” alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza.” (Sez. 3 – Sentenza n. 28985 del 11/11/2019).
In difetto di allegazione specifica e puntuale, al di là di espressioni generiche e di stile, da parte delle attrici (le quali si erano limitate ad assumere la non avvenuta informazione e ad enunciare il principio di autodeterminazione) non può allora condividersi la conclusione cui è pervenuto il Tribunale (peraltro, lo si ribadisce, senza ad essa riconnettere alcuna autonoma conseguenza sul piano risarcitorio), affermando che ” …. Alla luce delle risultanze della CTU medico legale a firma del dott. (…), deve ritenersi che il (…), se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’ECG da sforzo” (pag. 8 sentenza), risultando, tale affermazione del tutto apodittica, oltre che irrealistica, dovendo di necessità la valutazione essere effettuata con un procedimento mentale ex ante, non certo alla luce dei fatti accaduti posteriormente.
Con il secondo motivo, l’appellante ha censurato la sentenza del Tribunale nel punto in cui avrebbe erroneamente criticato la condotta dei sanitari durante lo svolgimento dell’ECG sotto sforzo e successivamente alla sua interruzione. Il Giudice, sulla base delle risultanze peritali, avrebbe erroneamente affermato che i sanitari della Casa di Cura avevano trascurato, in seguito all’interruzione dell’esame, la gravità del quadro clinico del paziente e l’evidente pericolo di infarto e aveva addebitato alla struttura due diverse condotte censurabili sotto il profilo della colpa professionale: anzitutto l’aver eseguito il test in un ambiente non adeguato ad affrontare i rischi e le potenziali criticità e in secondo luogo il non aver praticato un’assistenza tempestiva ed adeguata all’insorgenza del malore. In particolare, il Tribunale avrebbe affermato, in maniera apodittica, che una diversa condotta dei sanitari avrebbe offerto al (…) “quanto meno maggiori chances di sopravvivenza” senza, peraltro, quantificare tale perdita di chances in termini percentuali, e senza nemmeno dimostrare il nesso di causalità fra la condotta dei sanitari e il decesso del (…).
Secondo l’appellante, difatti, l’evento morte sarebbe stato inevitabile nel caso specifico, vista la presenza di patologie pregresse e silenti che avrebbero afflitto il paziente e che erano state accertate solo in seguito al suo decesso. Sotto altro profilo, non corrisponderebbe a verità l’attribuzione, in capo al dottor (…), di una “condotta attendista” nella fase successiva all’interruzione del test diagnostico, non essendo stato possibile dimostrare, tramite l’ammissione delle prove orali, che il mancato trasferimento “d’urgenza” del signor (…) presso la struttura ospedaliera San Martino, così come suggerito dal dottor (…), fosse stata diretta conseguenza della netta opposizione al trasferimento manifestata dal paziente e dalla moglie.
Richiamando le osservazioni critiche mosse in primo grado nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio espletata, l’appellante ha quindi assunto la carenza di logicità dei ragionamenti con i quali il Consulente aveva rilevato che un’ipotetica condotta medica alternativa avrebbe determinato la sopravvivenza, a maggior ragione alla luce del fatto che l’esame autoptico aveva rivelato che il (…) era affetto da una grave patologia la cui mortalità sarebbe elevatissima.
Peraltro risulterebbe documentato in atti che, all’arrivo degli operatori del 118, allertati dal personale medico della Casa di Cura, fossero in corso le manovre di RCP, ed essendo altresì confermato dal CTU nella sua relazione peritale (peraltro in maniera contraddittoria): “gli elementi a nostra disposizione non consentono di individuare ritardi nei tempi di assistenza e di soccorso da parte del personale sanitario della struttura ospedaliera al paziente, in conseguenza del malore insorto” (pag. 19 elaborato peritale). Per i suddetti motivi la condotta messa in pratica dai sanitari della casa di cura sarebbe condivisibile e l’effettuazione di un differente approccio rianimatorio non avrebbe offerto al (…) significative chances di sopravvivenza in rapporto all’intrinseca mortalità correlata all’arresto cardiaco.
Il CTU non avrebbe inoltre tenuto conto delle osservazioni critiche inviategli dalla difesa della Casa di Cura e tale omissione sarebbe sufficiente per “accogliere l’eccezione di nullità della consulenza tecnica espletata o, quanto meno, per disporre la rinnovazione delle operazioni, da affidarsi ad altro esperto”. (pag. 20 atto di citazione in appello). Il motivo è infondato.
Deve ritenersi che il perito nominato abbia risposto esaustivamente alle domande poste dal Giudice, essendo presenti nella relazione tutti gli elementi utili ai fini della decisione, fondati su argomenti logicamente motivati, immuni da vizi e contraddizioni.
Dalla disamina degli atti e dalla perizia tecnica redatta dall’Ausiliario incaricato, risulta che: “…il test fu interrotto per una indicata insorgenza di claudicatio degli arti inferiori, ma soprattutto per un incremento notevole della pressione arteriosa con valori pari a 185/100 mmHg e frequenza cardiaca pari a 115 b/minuto e per l’insorgenza di un sotto-slivellamento del tratto ST nelle derivazioni V4, V5 e V6. ” (pag 17 ctu);
“…, l’esame del tracciato consente di apprezzare l’insorgenza e la persistenza del sotto-slivellamento del tratto ST nelle derivazioni V4, V5 e V6 nella fase di recupero, ad indicare che il paziente stava manifestando una ischemia coronarica duratura, con conseguente rischio di infarto del miocardio”. (pag. 18).
Come affermato dalla Casa di Cura e confermato dagli atti del dott. (…), il paziente venne fatto accomodare ad attendere in una stanza vicina all’ambulatorio, in compagnia della moglie, e proprio in tale lasso di tempo si manifestarono due episodi in cui si era reso necessario rianimarlo, di cui la seconda volta senza esito positivo.
Tale condotta (attendista) è stata valutata dal CTU come: “… incongrua ed imprudente, non in linea con la buona pratica clinica che impone, proprio per i rischi connessi alla prova, che il paziente venga seguito da personale medico per cogliere, appunto, tempestivamente l’insorgenza e/o la persistenza di sintomi clinici importanti (dispnea, precordialgia ecc.) che debbono allarmare il medico e necessitano di intervento tempestivo di natura farmacologica, assistenziale ed anche, se necessario, rianimatoria Si può pertanto affermare, in base alla documentazione in nostro possesso, che per l’insorgenza di un malore insorto a seguito di prova da sforzo il Sig. (…) fu soccorso da personale sanitario della struttura con manovre di rianimazione cardio-polmonare ed assistenza con il solo pallone Ambu (vedi atto di citazione), ma non risulta siano stati somministrati farmaci specifici di pronto intervento specialistico (nitroderivati, betabloccanti, adrenalina ecc.), né ossigenoterapia e tanto meno egli fu sottoposto ad intubazione oro tracheale, presidi che invece si sarebbero dovuti impiegare per fronteggiare la grave crisi cardiaca” (pag. 18 c.t.u.);
“Di più appare non condivisibile la scelta di far accomodare il paziente in sala d’attesa, poiché sarebbe stato più corretto e prudente mantenere il paziente sotto osservazione clinica per verificare la presenza e persistenza di eventuale sintomatologia indicativa di una sofferenza, anche mediante richiesta esplicita delle condizioni del paziente, eventualmente monitorizzandolo per rendere più tempestivo ed efficace l’intervento medico.” (pag. 23 c.t.u.).
Risulta poi dagli atti che, solo in seguito all’ultimo malessere del paziente, i sanitari della Casa di Cura avessero allertato l’equipaggio del servizio di emergenza sanitaria 118 il quale, recatosi tempestivamente in loco (dalla c.t.u. e dalla scheda redatta dagli stessi sanitari del 118 emerge che l’ambulanza fosse stata allarmata alle ore 10.50, giungendo presso la struttura sanitaria alle ore 10.57, “in tempi cioè del tutto congrui ed adeguati” così come evidenziato anche dall’Ausiliario), “…e constatando che il paziente era in arresto cardio circolatorio e già sottoposto a rianimazione cardio-polmonare, provvedeva subito ad intubarlo, a posizionare accesso venoso e ad iniziare monitoraggio elettrocardiografico che registrava in un primo momento fibrillazione atriale, quindi attività elettrica senza polso (PEA) ed infine asistolia. I sanitari del 118 eseguivano anche una defibrillazione con una singola scarica a 360 J e somministravano 8 fiale di adrenalina ed una di atropina che risultavano inefficaci e pertanto constatavano il decesso del paziente alle ore 12:00” (c.t.u. pag. 20): in proposito si sottolinea che la descrizione dell’attività dei sanitari del 118 è riportata dal CTU facendo riferimento agli atti correttamente letti ed esaminati, nello specifico i dati sopra riportati sono presenti nella allegata scheda del Servizio del 118.
Non rileva l’allegazione secondo cui al paziente fosse stata consigliata l’esecuzione di una coronarografia urgente presso la vicina struttura ospedaliera attrezzata, in quanto del tutto generica e contradditoria. Nell’atto di citazione in appello, a pag. 3, la Casa di Cura afferma: “Al termine dell’accertamento lo specialista cardiologo fece accomodare il Sig. (…) presso la sala d’attesa antistante il gabinetto medico, comunicando la necessità di programmare un’ulteriore indagine diagnostica (coronarografia), da effettuarsi presso altra struttura in quanto la Casa di Cura non era a ciò attrezzata.”; precisando, più avanti, a pag. 6 dello stesso atto, che il paziente “era stato esaurientemente edotto sulle anomalie dell’ECC e sull’opportunità di effettuare un immediato ricovero presso il vicinissimo Ospedale San Martino, presidio adeguatamente provvisto di attrezzature per procedere urgentemente ad ulteriori accertamenti e trattamenti come una eventuale coronarografia urgente. “, mentre, in proposito, i CTP del dott. (…) – il prof. (…) e la dott.ssa (…)- avevano rilevato che “il dott. (…) in considerazione dell’esito del test positivo per alterazioni di tipo ischemico a carico sottomassimale (…) informava il paziente della necessità di proseguire le indagini diagnostiche con studio coronarografico da programmare presso struttura ospedaliera di riferimento, in modo elettivo e non da eseguirsi in urgenza”) (cfr. note di parte redatte dai dott.ri (…) alla c.t.u.- pag. 28 ctu). Tale allegazione risulta altresì contraddetta dal fatto che, nonostante l’esame fosse stato ritenuto dal dottor (…) come urgente, così come più volte ribadito dall’appellante, questi abbia comunque fatto attendere il paziente in una sala d’aspetto adiacente all’ambulatorio in compagnia della coniuge, anziché sottoporlo alla stretta vigilanza sanitaria che sarebbe stata opportuna in così grave stato di allerta o senza disporne l’immediato trasferimento tramite ambulanza nella struttura più vicina attrezzata.
Irrealistica e contraddittoria è, ancora, l’allegazione della Casa di Cura secondo cui il mancato trasferimento del paziente presso la struttura ospedaliera vicina per effettuare una coronarografia fosse stato conseguenza dell’opposizione manifestata da questi e dalla moglie e fosse loro imputabile sollevando così la Casa di Cura da responsabilità, non potendo, all’evidenza, ipotizzarsi che un simile esame -peraltro non costituente l’opzione ottimale per scongiurare i rischi imminenti cui il paziente si trovava esposto in quel drammatico momento- avrebbe potuto essere eseguito senza alcuna programmazione.
Piuttosto, il paziente non era stato sottoposto a costante e stretta sorveglianza medica subito dopo l’esame, così come fatto rilevare dal CTU, il quale ha ulteriormente sottolineato, in sede di risposte alle osservazioni dei CTP dott. (…) e dott.ri (…): ” … il paziente fu fatto “accomodare … presso la sala d’attesa antistante il gabinetto medico”, a dimostrazione che egli non fu posto in idoneo ambiente sotto osservazione da parte di personale sanitario, come invece impone la buona pratica clinica per il rischio d’insorgenza di sintomi clinici importanti che necessitano di intervento tempestivo.” (pag. 33 della c.t.u.).
Alla luce di tali rilievi l’atteggiamento del medico, è stato, dunque, ben definito “attendista” dal Giudice di prime cure laddove il paziente, che aveva manifestato, in seguito all’esecuzione del test al cicloergometro, un quadro clinico indicativo di un’ischemia in atto, era stato invitato ad accomodarsi in una stanza attigua all’ambulatorio in compagnia della sola moglie, piuttosto che essere sottoposto a stretta osservazione, al fine di praticare manovre e cure e terapie immeditate ovvero o al contempo disporne, opportunamente, il pronto trasferimento in urgenza, tramite ambulanza, presso la struttura ospedaliera vicina più attrezzata.
Con le note integrative alla c.t.u., l’Ausiliario ha poi meglio chiarito che: “… un intervento più tempestivo ed in linea con i dettati di riferimento per una buona pratica medica avrebbero garantito al soggetto “quanto meno maggiori chances di sopravvivenza” trattandosi di un paziente di giovane età e clinicamente asintomatico per patologia cardiocircolatoria” (pag. 3 note integrative). Difatti le “linee guida AHA per RCP e ECC del 2010 … consigliano, come detto, l’impiego contestuale di manovre di rianimazione cardiopolmonare e di defibrillatore semiautomatico esterno e specificano che nel caso di evento occorso in ambiente ospedaliero o nelle strutture che dispongono di AED o defibrillatori, i soccorritori devono provvedere immediatamente alla RCP e utilizzare l’AED/il defibrillatore non appena disponibile “; inoltre, “…la rianimazione cardiopolmonare e l’utilizzo degli AED da parte dei primi soccorritori sono indicati per aumentare i tassi di sopravvivenza a un arresto cardiaco improvviso finanche in un contesto extraospedaliero” e “prevedono anche la somministrazione di alcuni farmaci stimolanti per il cuore, tra cui l’epinefrina e l’amiodarone “(pag. 3 note integrative ctu).
Nella specie, dalla ricostruzione dei fatti così come accaduti, la manovra di rianimazione cardio polmonare (RCP) praticata dai sanitari della Casa di Cura si può documentalmente evincere, unicamente (così come rilevato anche dal CTU), dalla scheda compilata a cura dei sanitari del 118, la quale riporta, nel riquadro “Annotazioni – sospetto diagnostico”, la dicitura: “Paziente in ACC con RCP in corso da parte dei sanitari del presidio sanitario”;
In merito all’adeguatezza dei locali in cui era stato eseguito il test al cicloergometro, rileva il fatto che, se è vero che tale test può essere svolto anche in centri sportivi, così come evidenziato dall’appellante, è del pari vero che nella fattispecie il test doveva essere eseguito per esigenze ed indagini ben diverse, al fine di accertare una sospetta patologia cardiaca, e quindi avrebbe dovuto svolgersi alla presenza di un corredo di supporti sanitari idonei a far fronte all’eventuale insorgenza di una crisi ischemica acuta, controllandola ed arginandola. Il CTU ha, difatti, evidenziato: “…l’esame al ciclo-ergometrico o ECG da sforzo è un test che prevede l’esecuzione di un elettrocardiogramma durante uno sforzo fisico controllato, nel corso del quale vengono registrati sia il tracciato elettrocardiografico che la pressione arteriosa a vari livelli di sforzo.
Lo scopo è quello di valutare il grado di malattia cardiaca nei pazienti con patologia coronarica già nota e difatti può essere eseguito sia nel paziente cardiopatico che nel soggetto sano. Si tratta, in buona sostanza, di un test PROVOCATIVO perché sfrutta lo sforzo fisico calibrato per indurre degli eventi in grado di evidenziare la risposta cardiovascolare allo sforzo ed eventuali suoi deficit. Come è noto, durante lo sforzo si registra un aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa sia sistolica che diastolica, della gittata sistolica e della portata cardiaca, del flusso sanguigno coronarico ecc. Tutto ciò (…) ad un aumento del consumo di ossigeno miocardico. Tali eventi vengono valutati appunto nel corso della prova. ” (pag.12).
Ha aggiunto quindi: “I rischi connessi a questo test sono essenzialmente legati allo scatenamento di crisi ischemiche acute, aritmie minacciose, scompenso cardiaco acuto, creando a volte una condizione d’imminente pericolo di vita. Per questo motivo i test ergometrici devono essere eseguiti in ambiente protetto, da personale qualificato in grado di prestare assistenza cardio-respiratoria (respirazione assistita, defibrillazione, terapia farmacologica, ecc.). La prova ha una durata complessiva di circa 20 minuti e viene effettuata in ambienti adeguatamente attrezzati per fronteggiare anche eventuali complicanze. Deve essere interrotta dal medico in qualsiasi momento se dovessero comparire segni o sintomi che possono allarmare: esistono criteri clinici e strumentali di arresto standardizzati; la prova può essere interrotta anche su richiesta del paziente.
Tra i rischi dell’ECG da sforzo vi è il manifestarsi di un’ischemia cardiaca con insorgenza di dolore toracico e correlati segni elettrocardiografici (sotto-slivellamento del tratto ST o comparsa di onda Q). Con la precisazione che, a conferma della necessità di un costante monitoraggio, “….Tale fenomeno potrà risolversi spontaneamente o potrà necessitare della somministrazione di alcuni farmaci specifici. In ogni caso, al termine dell’esame, il paziente dovrà permanere in osservazione per circa 15 minuti al fine di prevenire la possibilità che una eventuale complicanza tardiva si manifesti in ambiente non protetto”. (pag. 14 c.t.u.).
La relazione peritale redatta dal dott. Potenza non risulta dunque contraddittoria, contrariamene a quanto sostenuto dall’appellante, rivelandosi, nella sostanza, coerente con quanto sostenuto, anche quando – alla pag. 19- afferma: “… Gli elementi a nostra disposizione non consentono di individuare ritardi nei tempi di assistenza e di soccorso da parte del personale sanitario della struttura ospedaliera al paziente, in conseguenza del malore insorto.”, rilievo riferito alla tempestività in sé dei soccorsi chiamati in seguito all’insorgenza del malore e non, invece, alla loro adeguatezza, tanto più nella fase attendista, fortemente censurata dall’Ausiliario. In merito, difatti, alla pagina 26 della stessa consulenza, questi ribadisce: “Sulla base di tutto quanto sopra detto ritengo conclusivamente che nell’operato del sanitario che sottopose in data 20.01.2012 il Sig. (…) al test da sforzo al cicloergometro presso la casa di cura “(…)” sono ravvisabili concreti elementi di criticità a censura sotto il profilo della colpa professionale per aver effettuato il suddetto test in un ambiente non adeguato a fronteggiare i rischi e le potenziali criticità ad esso correlate e, conseguentemente, per non aver praticato un’assistenza tempestivamente adeguata all’insorgenza del malore”.
Non risulta invece dimostrata la ricostruzione degli eventi così come riportata dai dott.ri (…), consulenti del dott. (…), i quali fanno riferimento a una relazione da questi redatta, peraltro diversi mesi dopo i fatti, in data 18.10.2012, e neppure risultante agli atti.
La perizia tecnica di parte del dottor (…), inoltre, presenta una parafrasi arbitraria e fuorviante del contenuto della scheda sanitaria redatta a cura dei sanitari del 118, descrittiva della situazione trovata al momento dell’intervento e di quanto posto in essere. Riportano i CTP, con inciso in corsivo e virgolettato, che gli operatori del servizio di emergenza sanitaria avrebbero “trovato il paziente in “…ACC con RCP in corso da parte dei sanitari del presidio sanitario……Cannula oro-tracheale, intubazione oro-tracheale Dott. (…)…… Ritmo al monitor FV sottoposta ad DC shock 360 Joule….. asistolia e PEA…….Infusi5 fiale Adrenalina…..atropina…..Protocollo ACS senza ripresa di circolo…. Ore 12.00 Decesso. Si consiglia riscontro autoptico”. (pag.3 CTP di parte presente nel fascicolo del dott. (…)), ricostruendo in detti termini una serie di dati estrapolati dalla scheda, e finendo con il ricondurre al dott. (…) una sequenza di attività, prima fra tutte il posizionamento della cannula e l’intubazione oro tracheale eseguita invece dagli operatori del 118. La difesa del dott. (…) ha poi trasfuso lo stesso inciso nei propri atti, a sostegno delle tesi portate avanti.
Viceversa, tale conseguenzialità e sua riconducibilità al medico non trova affatto riscontro nella scheda sanitaria del 118, che riporta, invece, gli stessi dati entro caselle del tutto scollegate dall’indicazione del nominativo del dottor (…), accompagnato ad asterisco, non riferibile ad alcuna delle suddette attività salvo il fatto che il paziente era stato trovato in ACC con RCP in corso. D’altra parte la stessa cartella non descrive le attività già svolte, segnatamente e pacificamente, la ventilazione mediante utilizzo del pallone Ambu.
In merito, così rileva il CTU: “nessuna evidenza vi è che il paziente sia stato soccorso ed assistito dal personale della clinica e tanto meno sia stato intubato dal Dott. (…), stante l’evidenza documentale che alle ore 9.47 …(il paziente).. terminava la fase di recupero dell’esame ECG da sforzo e che l’unica annotazione a disposizione, cronologicamente successiva a tale orario, è quella contenuta nel verbale del 118 il cui personale giungeva sul posto alle ore 10.57 e provvedeva a praticare defibrillazione, ossigenoterapia, intubazione tracheale e terapia farmacologica anche con adrenalina. L’unico dato desumibile sempre da tale documento è che il personale della casa di cura abbia praticato RCP rianimazione cardio-polmonare (“Annotazioni: pz in ACC con RCP in corso da parte dei sanitari del presidio sanitario”)” (pag. 33 c.t.u.)
Delineata nei detti termini la situazione venutasi a creare in seguito alla eseguita prova da sforzo, deve ora rilevarsi, alla luce dei principi espressi dalla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, che:
“In tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità naturale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da eventi naturali, che possono invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di rigetto della domanda di risarcimento del danno patito dal figlio in conseguenza del decesso della madre, occorso allorquando la stessa si allontanava dalla R.S.A. presso la quale era ricoverata, in conseguenza di un infarto acuto del miocardio scatenato, in presenza di una situazione patologica pregressa, dallo stress psico-fisico dovuto alla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente). ” (Sez. 3 -, Sentenza n. 13037 del 12/05/2023).
Ancora: “In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile”, come pure delineata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 21 giugno 2017 in causa C-621/15 in tema di responsabilità da prodotto difettoso, in coerenza con il principio eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale – si sostanzia nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma anche all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica). (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione di merito che, facendo corretta applicazione dell’enunciato principio, aveva fondato la responsabilità di una struttura sanitaria, per colpa dei medici ivi operanti, in relazione al decesso di una paziente derivato dal ritardo di un solo giorno con cui le era stata diagnosticata la cd. “sindrome di Lyell”, non soltanto sul dato statistico delle percentuali di sopravvivenza dei pazienti affetti da detta sindrome, oltre che sul giudizio controfattuale a fronte di una condotta omissiva, ma anche sulla scorta degli elementi concreti risultanti dalle espletate c.t.u. e dalle prove acquisite riguardo alla superficialità dell’anamnesi effettuata sin dal ricovero, da cui era derivata l’errata diagnosi e le conseguenti dimissioni della paziente, nonostante l’elevata temperatura corporea, per di più, previa somministrazione di un farmaco tale da abbatterne del 70% le probabilità di sopravvivenza). ” (Sez. 3 -, Sent. n. 21530 del 27/07/2021),
ed altresì, ancora più chiaramente, da ultimo: “In tema di responsabilità per colpa medica, nell’ipotesi di concorrenza nella produzione dell’evento lesivo tra la condotta del sanitario ed un autonomo fatto naturale, quale una pregressa situazione patologica del danneggiato, spetta al creditore della prestazione professionale l’onere di provare il nesso causale tra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica e, una volta accertata la portata concausale dell’errore medico, spetta al sanitario dimostrare la natura assorbente e non meramente concorrente della causa esterna; qualora resti comunque incerta la misura dell’apporto concausale naturale, la responsabilità di tutte le conseguenze individuate in base alla causalità giuridica va interamente imputata all’autore della condotta umana. ” (Sez. 3 -, Sentenza n. 5632 del 23/02/2023).
Con il terzo motivo di gravame, “sulla natura della prestazione sanitaria (esame ambulatoriale e non ricovero ospedaliero)” l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nel punto in cui il Giudice, travisando il reale svolgimento dei fatti, ha affermato che la Casa di Cura non avrebbe assolto gli asseriti obblighi “di tipo latu sensu alberghieri,… di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze”, obblighi che sarebbero stati riconducibili alla struttura solo in caso di ricovero ospedaliero ma non nel contesto ambulatoriale in cui si era svolto l’esame diagnostico ECG da sforzo. L’assenza del “contratto di spedalità” e la differenza del tipo di prestazione sanitaria si evincerebbe, altresì, dall’assenza della cartella clinica, documento che, invece, sarebbe stato redatto dalla struttura sanitaria in caso di ricovero ospedaliero. Il motivo è infondato.
Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, difatti:
“L’accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall’art. 2 legge n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle “lato sensu” alberghiere.” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8826 del 13/04/2007).
In accordo con tale orientamento giurisprudenziale, dunque, bene ha pronunciato il Giudice di primo grado rilevando che “del danno cagionato al (…) dovesse rispondere, sulla base di un autonomo contratto c.d. di spedalità, la struttura sanitaria in quanto responsabile per il fatto del dipendente sulla base dell’art.1228 c.c. ” non rilevando, in tal senso, una distinzione tra la prestazione eseguita nell’ambito di un ricovero ospedaliero e quella eseguita in ambito ambulatoriale ai fini della sussistenza del contratto di spedalità.
Con il quarto motivo l’appellante ha lamentato l’erronea quantificazione delle somme liquidate a titolo di danno, osservando che il Tribunale: 1. non avrebbe indicato con precisione i dati, riferibili alle attrici, considerati ai fini dello sviluppo dei calcoli, all’infuori di un generico riferimento alle c.d. “tabelle milanesi”; 2. fra l’altro, non sarebbe dato comprendere se il Giudice abbia o meno tenuto conto della circostanza che nessuna delle due figlie del (…) risultasse risiedere nella casa familiare in cui abitava anche la vedova (…) (la figlia (…) aveva, difatti, dichiarato di abitare nella stessa via, ma presso differente n. civico -via (…) – e la figlia (…) di abitare a Milano).
La censura è fondata per quanto di ragione. Si premette che non viene impugnato il criterio di liquidazione applicato (all’epoca della sentenza, le tabelle milanesi sul cd. danno parentale erano elaborate secondo un sistema fondato sulla individuazione di un valore base, incrementabile fino ad un valore massimo di personalizzazione, per categoria di congiunti, che, in quanto ritenuto inadeguato dalla Suprema Corte di Cassazione, è stato sostituito, nel giugno del 2022, da un sistema a punti, frattanto potendosi ricorrere alle tabelle romane che già prevedevano siffatto sistema: in questa sede l’appellante non si duole, tuttavia, del mancato utilizzo di un sistema a punti, la cui applicazione peraltro, sarebbe stata più favorevole alle appellate, per cui deve essere confermata la metodica di liquidazione del danno adottata).
Il Tribunale ha fatto, evidentemente, riferimento alle tabelle allora vigenti (2018, che riportano valori appena inferiori ai corrispondenti delle tabelle del marzo 2021), applicando un incremento al cd. valore monetario base corrispondente al rapporto di parentela (identico per il figlio e per il coniuge), che può definirsi intermedio fra l’importo base e il massimo dell’aumento personalizzato, com’è dato desumere dagli importi liquidati.
Pur in assenza di riferimenti espressi in sentenza, incidenti sulla quantificazione, dallo specchietto illustrativo ivi riportato a pg. 16, si desume che il Tribunale ha ritenuto pacifico che la figlia (…) (non invece (…)), fosse convivente con i genitori, per tale motivo riconoscendole un importo a titolo di risarcimento considerevolmente più alto rispetto a quello riconosciuto all’altra figlia.
Ciò posto, la Suprema Corte (C. Cass. sez.3 n. 8265 del 22/03/2023) ha chiarito che:
“In tema di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, i criteri di cui alle tabelle milanesi ante 2022 devono essere intesi nel senso che essi non indicano una “forbice liquidatoria” fra un minimo ed un massimo, bensì tra un “valore monetario base”, espressione di una valutazione media uniforme del danno e una personalizzazione massima, applicabile solo alla luce di circostanze peculiari specificatamente allegate. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato l’inesistenza del denunciato contrasto della sentenza di merito che, riconoscendo dovuta la liquidazione del danno nella misura del valore medio aveva, poi, fatto riferimento al dato minimo della tabella milanese ante 2022).”.
I Giudici di legittimità, inoltre, fin dall’anno 2019 (Cass. civ. sez. 3, n. 28989 del 11/11/2019) hanno avuto modo di precisare: ” In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d’appello che – in parziale riforma della pronuncia di primo grado – aveva erroneamente liquidato una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale soggettivo patito dai congiunti della vittima deceduta in aggiunta ad un ulteriore importo a titolo di danno morale).”, sicché, fermo il criterio di liquidazione nella specie adottato, deve verificarsi se l’importo nella specie liquidato risulti giustificato dalla ricorrenza di elementi idonei, nei termini appena precisati, apprezzabili anche in via presuntiva.
A tal proposito va subito rilevato che non solo non risulta dimostrata la convivenza di (…) con i genitori, ma tale circostanza risulta addirittura smentita dal fatto che ella abitasse in uno stabile contrassegnato con altro numero civico, come pacificamente emerso. Esclusa la convivenza si giustifica una riduzione della quantificazione del danno in misura analoga a quella della sorella (…).
Gli ulteriori elementi desumibili dai dati presenti agli atti, consentono di ritenere congrui gli importi così “personalizzati”, siccome adeguati alle relazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, avuto riguardo: alla giovane età delle figlie al momento dell’evento dannoso, (…) 30 anni, (…) 28; all’età relativamente giovane del padre; al presumibile rapporto affettivo con il genitore, e alla conseguente sofferenza morale soggettiva derivata alle figlie dal suo decesso. Quanto al rapporto di coniugio, si deve avere riguardo alla età relativamente giovane della coniuge non separata, (…) (anni 54) e a quella della vittima primaria (anni 57), al rapporto di convivenza, alla conseguente sofferenza morale per la perdita subita e per il venir meno di una prospettiva di vita insieme. In definitiva, per le ragioni esposte, il risarcimento per il danno parentale resta quantificato nei termini definiti dalla sentenza di primo grado nei confronti di (…) (euro 270.390) e (…) (euro 225.325,00), mentre viene ridotto ad euro 225.325,00 con riguardo a (…). Si dà atto che l’appellante non ha svolto alcun rilievo o censura con riguardo alla liquidazione del danno patrimoniale, sul quale, pertanto, la Corte non deve pronunziarsi, neppure a seguito dell’esclusione della convivenza con i genitori quanto a (…) (a cui era stato riconosciuto dal Tribunale).
Inoltre l’appellante (così come le appellate (…) e (…)) non ha svolto censure relativamente alla statuizione su rivalutazione e interessi, come da dispositivo, sulla quale, del pari, la Corte non deve pronunciare.
Con l’ ultimo motivo, titolato “sulla liquidazione delle spese processuali”, l’appellante ha lamentato che il Tribunale, nel condannare le assicurazioni chiamate in causa a rimborsare le spese processuali sostenute dalla Casa di Cura, avrebbe errato nella liquidazione delle stesse, scostandosi dai valori medi riferibili al valore della controversia (il Tribunale aveva liquidato euro 21.387,00 a fronte dell’importo indicato nella parcella del difensore della Casa di Cura, pari a euro 27.804,00 per le quattro fasi svoltesi) e non considerando, altresì, gli aumenti previsti per la presenza di più parti nel giudizio -nella misura fino a +30% per ciascuna parte- (la Casa di Cura aveva indicato in primo grado la presenza di più di cinque parti con posizioni differenti sollecitando una maggiorazione forfettaria del 50%). Il Giudice non avrebbe, inoltre, computato le spese vive anticipate e sostenute per la notifica della citazione di chiamata dei terzi in causa e per il contributo unificato, per totali euro 1.501,61. Avrebbe dovuto, difatti, attenersi ai parametri di legge relativi al valore della controversia, alla complessità della causa ed all’attività concretamente svolta, eventualmente discostandosene con adeguata motivazione.
La censura dovrà essere esaminata nel prosieguo, all’esito della valutazione e decisione sui gravami incidentali.
APPELLO INCIDENTALE DI (…), (…) E (…)
Le appellanti incidentali hanno impugnato il capo n. 3 del dispositivo della sentenza, lamentando l’erronea quantificazione delle spese processuali liquidate in loro favore, per essere errata l’individuazione dello scaglione di riferimento, inferiore rispetto al valore della controversia, da determinare secondo il disputatum, tenendo conto non solo del contenuto della domanda, bensì del contenuto effettivo della decisione. Le somme risarcitorie riconosciute in favore della parte attrice dal Giudice di primo grado, difatti, condurrebbero all’individuazione dello scaglione superiore ad euro 520.000,00. Il Giudice, nel liquidare, si sarebbe però discostato da tale scaglione senza adeguata motivazione.
Applicando i valori medi alle fasi della causa di primo grado, difatti, si sarebbe giunti alla quantificazione di un importo maggiore rispetto a quello liquidato. Avendo, inoltre, la difesa delle allora attrici sostenuto in causa le pretese di tre soggetti diversi, ed avendo chiesto specifico riconoscimento del relativo incremento (50% del compenso unico), il giudice a quo avrebbe errato laddove non aveva immotivatamente provveduto ad aumentare l’onorario del professionista. Il difensore aveva inoltre, chiesto al Tribunale che venissero liquidate le spese legali distraendole in suo favore quale procuratore antistatario ai sensi dell’art 93 c.p.c., ma il Giudice aveva ignorato tale richiesta.
La censura non è fondata se non per quanto attiene alla richiesta di distrazione delle spese processuali essendosi il procuratore dichiarato antistatario.
Correttamente il Tribunale ha applicato lo scaglione di riferimento delle cause di valore indeterminato di particolare importanza, parametro medio, a fronte della originaria domanda avanzata dalle attrici, come è dato cogliere, anche in assenza di motivazione espressa sul punto, dall’entità dei compensi professionali stabiliti. Tale considerazione vale altresì con riguardo alla censura sulle spese svolta dalla Casa di Cura.
Si ritiene, altresì, che non debbano essere liquidate maggiorazioni per più parti posto che le attrici rivestivano la stessa posizione processuale (cfr. Cass. civ. sez. Un. sent. n. 31030 del
27/11/2019 che ha chiarito: “In tema di onorari di avvocato, l’art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014 non si applica nel caso in cui il professionista difenda più parti aventi la stessa posizione processuale ovvero una sola parte contro più parti ma in processi introdotti separatamente e non riuniti, ancorché aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto.”.). APPELLO INCIDENTALE DI (…) S.P.A.
Dal tenore discorsivo dell’appello incidentale proposto dalla Compagnia è possibile desumere i seguenti ordini di doglianze:
I. Il Tribunale avrebbe errato a rigettare la domanda della Compagnia nei confronti del dott. (…), al fine di essere tenuta indenne da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole in proporzione al grado di colpa imputatogli, per “mancanza di interesse…poiché l’art. C) delle condizioni generali di contratto esclude l’azione di rivalsa nei confronti dei medici dipendenti”. Non doveva infatti trovare applicazione tale previsione delle pattuizioni contrattuali regolanti il rapporto assicurativo in essere con la struttura sanitaria, pacifico essendo che il dottor (…) prestava la propria attività presso la Casa di Cura in regime “libero-professionale” e non come dipendente. Sussisteva, dunque, un interesse di essa appellante incidentale alla verifica del grado di colpa imputabile al dott. (…) nella determinazione dell’evento dannoso, nella prospettiva di una condanna di questi in misura proporzionale, a tenere indenne la Casa di Cura ed (…) S.p.A. da ogni conseguenza pregiudizievole derivante dalla decisione.
Il motivo non può trovare accoglimento. L’inquadramento del Dott. (…) nell’ambito di un rapporto libero professionale risulta essere del tutto sfornito di puntuale allegazione prima ancora che di prova, dovendosi, al contrario, ritenere incontestato, nell’ambito dei rapporti tra Casa di Cura e sanitario, l’inserimento di questi nella struttura organizzativa della prima, con conseguente assoggettamento ad orario, utilizzo del personale di supporto, utilizzo dei macchinari e di tutto l’apparato strutturale della clinica, aspetti mai messi in discussione nel corso del giudizio. Invero, in detta sede e in appello, la Casa di Cura non ha mai allegato che il dottor (…) non fosse un medico in servizio presso di essa o che fosse in regime libero professionale, facendo, anzi, riferimento allo stesso, nei suoi atti, come “sanitario ad essa addetto”. Né la Compagnia di Assicurazione ha assunto che il medico venisse direttamente retribuito dai pazienti (circostanza mai allegata dalle attrici che, infatti si sono rivolte alla (sola) Casa di Cura al fine di ottenere il risarcimento).
Il dottor (…), ha resistito all’appello incidentale della Compagnia, di cui ha sostenuto l’infondatezza, facendo rilevare che: “Contrariamente a quanto assume la Compagnia Assicuratrice l’art. C delle condizioni del contratto prevede la rinuncia al diritto di rivalsa nei confronti dei medici dipendenti intendendo con tale accezione i medici che prestano la loro attività retribuita a favore della casa di cura a prescindere dal tipo di rapporto intercorrente tra la casa di cura ed il medico, come dimostra la circostanza che la stessa clausola differenzia, pur prevedendo per tutti l’esclusione dal diritto di rivalsa, i dipendenti dell’assicurato iscritti nei libri obbligatori, dal direttore sanitario e i medici dipendenti pure esclusi dall’azione di rivalsa. ” (Comparsa di costituzione dott (…). Pag. 19). Il dott. (…) ha inoltre richiamato l’attenzione sulla circostanza per cui: “svolgendo presso la (…) la propria attività direttamente retribuita – con predeterminazione dell’orario di lavoro e dei compensi – dalla Casa di Cura non svolgesse presso la stessa un’attività libero professionale ma la prestazione di un servizio sotto la direzione del Direttore Sanitario, come dimostra anche la circostanza che la prestazione sanitaria veniva fornita dalla casa di cura e retribuita alla stessa e non al Dott. (…) la cui figura era a tutti gli effetti riconducibile a quella del medico dipendente” (pag. 20) evidenziando sotto tale aspetto che: “al punto A) delle condizioni generali del contratto dedicato alle estensioni di garanzia è detto espressamente che “la garanzia viene estesa alla R. C. derivante all’assicurato dall’esistenza di servizi medici ed infermieristici aziendali, compresa la responsabilità personale dei sanitari e degli addetti al servizio”.
Tali affermazioni l’appellato ha ribadito nelle sue memorie di replica alle comparse conclusionali, nelle quali ha ancora evidenziato che “il sanitario non svolgeva la sua attività avvalendosi della struttura e dei mezzi della casa di cura con rapporto libero-professionale nei confronti dei pazienti, ma con prestazione sanitaria riferibile direttamente alla Casa di Cura, con un rapporto che prevedeva l’esercizio dell’attività soggetta alla direzione del Dirigente Sanitario della struttura, con predeterminazione dell’orario di lavoro e di retribuzione predefinita da parte della Casa di Cura alla quale i pazienti corrispondevano il ticket o il compenso per la prestazione sanitaria ricevuta”.
Ha quindi sostenuto “che la rinuncia della Compagnia Assicuratrice all’azione di rivalsa nei confronti dei medici dipendenti prevista dall’art. C delle condizioni del contratto è da intendersi riferita a tutti i medici occupati nella struttura che prestano la loro attività retribuita a favore della Casa di Cura e a questa riferibile a prescindere dal tipo di rapporto intercorrente tra la Casa di Cura ed il medico, non operando la clausola in commento alcuna distinzione specifica tra il medico che opera nella struttura in regime libero professionale, la cui attività è riferibile alla Casa di Cura, ed il medico dipendente con rapporto di lavoro subordinato.”. Sotto altro aspetto, l’appellato ha evidenziato che, al punto A) delle condizioni generali del contratto, dedicato alle estensioni di garanzia, sarebbe espressamente affermato che: “la garanzia viene estesa alla R.C. derivante all’assicurato dall’esistenza di servizi medici ed infermieristici aziendali, compresa la responsabilità personale dei sanitari e degli addetti al servizio”.
Tali argomenti, di carattere squisitamente difensivo e dunque suscettibili di essere sviluppati anche in appello, sono condivisibili, in quanto frutto di un ragionamento fondato sulla corretta applicazione delle regole di interpretazione del contratto poste dagli artt. 1362 e seg. c.c., segnatamente dalle regole sull’interpretazione complessiva delle clausole, sull’interpretazione più favorevole al contraente non predisponente, secondo buona fede. Invero, come chiarito dalla Suprema Corte di Cass.: “Nell’interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 ss. c.c. e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente di cui all’art. 1370 c.c. ” (Sez. 3 – , Sentenza n. 10825 del 05/06/2020, Rv. 657966 – 01). Peraltro, anche a volere, in via di mera ipotesi, seguire il percorso argomentativo della Compagnia di assicurazione, si deve rilevare che alla polizza assicurativa prodotta in causa e di cui si discute, è allegata una “Appendice di variazione” la quale, formando parte integrante della polizza a cui è riferita, deroga in forma parziale alle specificazioni riportate nella lettera C) delle Condizioni Particolari del contratto assicurativo, riportando: “Si dà e si prende atto che a parziale deroga di quanto previsto dalle Condizioni Particolari “C” la garanzia si intende estesa alla responsabilità civile del personale medico non dipendente della Contraente.”
La censura deve, dunque, in ragione delle argomentazioni sovraesposte, ritenersi infondata e pertanto non meritevole di accoglimento.
II. La sentenza sarebbe censurabile, altresì, laddove il Tribunale: a. ha condannato in solido la (…) Spa e la (…) Spa al rimborso delle spese processuali di soccombenza, oltre a quelle forfettarie e agli accessori di legge. Il Giudice non avrebbe, difatti, rispettato il principio per cui l’assicurato ha diritto ad essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato, entro i limiti del massimale, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di questi, anche in eccedenza rispetto al massimale, purché entro il limite stabilito dall’art. 1917, comma terzo, cod. civ. b. ha condannato essa Compagnia al rimborso delle spese di resistenza in favore del dott. (…). Difatti, aldilà del fatto che, ex art. 1917, comma 3 c.c., queste sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata, nella specie il dott. (…) non aveva diritto a tale rimborso, posto che, non essendo dipendente della casa di cura assicurata, (…) aveva diritto di agire in rivalsa nei suoi confronti.
La censura è fondata con riguardo alla articolazione sub a, e manifestamente infondata quanto all’articolazione sub b.
II. a. Osservato che in proposito la Casa di Cura non ha svolto argomentazioni difensive, si richiama il principio espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui: “In materia di assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall’art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel “genus” delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore; le spese di chiamata in causa dell’assicuratore non costituiscono invece né conseguenza del rischio assicurato né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18076 del 31/08/2020, Rv. 658762 – 01). La Compagnia risponderà dunque delle spese di soccombenza entro i limiti del massimale di polizza e di quelle di resistenza entro il limite dell’art. 1917 c. 3 c.c. (capo 4 della sentenza).
II. b. Precisato che la questione relativa al diritto al rimborso del dott. (…) risulta mal posta considerato che questi è stato chiamato in causa dalla (…) s.p.a., sicché il richiamo al disposto dell’art. 1917 c 3 c.c. è del tutto inconferente, la condanna della Compagnia nei confronti del chiamato in causa rappresenta la logica conseguenza della soccombenza della prima rispetto al secondo (nel primo grado così come nel presente grado) per essersi vista rigettare la domanda di rivalsa.
APPELLO INCIDENTALE PROPOSTO DA (…)
La Compagnia, ha proposto appello incidentale formulando tre censure.
I. Con il primo motivo, titolato “inoperatività della garanzia per violazione e per effetto dell’art. 23 delle condizioni di polizza e comunque dell’art. 1892 c.c., nonché ed in via subordinata riduzione dell’eventuale indennizzo ex art. 1893 c.c.”, ha censurato la sentenza nel punto in cui ha affermato la sussistenza dell’obbligo assicurativo, in capo ad essa compagnia, piuttosto che riconoscerne l’inoperatività nel caso di specie, per effetto della violazione, da parte dell’assicurata, delle previsioni di cui all’art. 23 delle condizioni di polizza e, comunque, dell’art. 1892 c.c., ovvero senza disporre la riduzione dell’eventuale indennizzo di polizza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1893 c.c. La validità temporale dell’assicurazione “claims made”, difatti, stabilisce espressamente che essa “vale per i danni che si manifestino in qualunque parte del mondo e per i sinistri che abbiano luogo per la prima volta nel corso della durata di questo contratto, purché siano conseguenza di eventi, errori od omissioni accaduti o commessi non prima della data di retroattività indicata nel frontespizio di polizza a condizione che il Contraente ne dia regolare avviso agli Assicuratori, nei modi e nei termini stabiliti, nel corso del periodo di durata di questo contratto e comunque non oltre il trentesimo giorno dalla data di cessazione di questo contratto”.
Nella specie, posto che la decorrenza della retroattività della polizza assicurativa era fissata al 31.01.2010, che la stessa era stata emessa il 06.02.2012 con effetto dal 31.01.2012, e che il decesso del signor (…) era avvenuto il 20.01.2012 (per un evidente refuso, privo di pratiche conseguenze l’appellante ha indicato il “12.01.2012”), la (…) ha assunto che la Casa di Cura fosse certamente a conoscenza del fatto dannoso (morte del paziente (…)) occorso presso i propri locali, e che avesse taciuto tale circostanza alla compagnia assicuratrice dichiarando, al contrario, di non essere informata di fatti accaduti prima della stipula contrattuale dai quali sarebbero potute scaturire richieste risarcitorie. Tale avvenimento sarebbe stato rilevante per l’assicuratore il quale, se posto a conoscenza dello stesso, avrebbe stipulato la polizza con espressa esclusione delle eventuali richieste risarcitorie relative al sinistro già verificatosi. Difatti, ai sensi dell’art. 23 della stessa polizza assicurativa “Le dichiarazioni inesatte o le reticenze del Contraente/Assicurato relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio, possono comportare la perdita totale o parziale del diritto all’indennizzo, nonché la stessa cessazione dell’assicurazione ai sensi degli artt. 1892, 1893 e 1894 c.c.”, con la conseguenza che, con riguardo alla fattispecie per cui è causa, sussisterebbero comunque i presupposti per l’applicazione del disposto dell’art. 1892 c.c..
La statuizione del Tribunale sul punto sarebbe, in definitiva, palesemente errata “in quanto il Giudice erroneamente riferisce l’eccezione ad un possibile momento di acquisizione da parte dell’assicurata della “conoscenza delle responsabilità del sanitario”, mentre ciò che assume rilievo in proposito è la mera conoscenza dell’assicurato, al momento della stipula della polizza (nella fattispecie, avvenuta oltre tre settimane dopo i fatti), di fatti accaduti anteriormente dai quali possano scaturire possibili richieste risarcitorie, nella fattispecie indubitabile per tabulas”. Nell’insistere per l’accoglimento dell’eccezione, la Compagnia ha chiesto che, in ogni caso, l’indennizzo venga quantomeno ridotto in misura proporzionale rispetto alla differenza tra il premio percepito dalla compagnia e quello che la stessa avrebbe preteso (o potuto pretendere) se avesse conosciuto il reale stato del rischio. L'(…) ha, quindi, concluso, ribadendo il proprio diritto di rifiutare il pagamento dell’indennizzo, avendo pacificamente avuto conoscenza della reticenza dell’assicurata solo successivamente al sinistro ed avendo tempestivamente opposto la relativa eccezione.
Il motivo è fondato. Il Tribunale, sul punto, si è limitato ad affermare che “… la casa di cura era venuta a conoscenza della responsabilità del sanitario solo a seguito dell’inizio dell’azione giudiziale.”. La Casa di Cura, in risposta al motivo d’appello incidentale ne ha contestato il fondamento sostenendo: “Come si è prontamente affermato nella prima memoria istruttoria depositata per la Casa di Cura nel giudizio di primo grado, non vi è stata alcuna reticenza o dichiarazione inesatta dell’assicurata all’epoca della stipula della polizza. L’evento verificatosi (il decesso del signor (…), avvenuto il 20 gennaio 2012) non presentava requisiti tali da potere essere ragionevolmente considerato causalmente dipendente dalla responsabilità della Casa di Cura e, pertanto, non appariva meritevole di segnalazione. Tanto è vero che passarono ben nove mesi da quel fatto allorquando, soltanto il 21 settembre 2012, le attrici inviarono alla Casa di Cura la prima richiesta di risarcimento” (Comparse conclusionali pag. 9), nonché: “Come ha affermato la recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza n.416 dell’11 gennaio 2017) “la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore”, ribadendo che nel caso di specie non si sarebbero verificate le suddette condizioni. Inoltre, ha fatto rilevare di avere tempestivamente eccepito la decadenza della Compagnia dalla possibilità di far valere eventualmente l’annullamento del contratto, essendo decorsi abbondantemente tre mesi dacché aveva conosciuto l’inesattezza della dichiarazione o la reticenza senza dichiarare di volere esercitare l’impugnazione. Difatti l’assicurata, che aveva ricevuto la prima denuncia di sinistro il 21 settembre 2012 (nove mesi dopo l’evento – decesso), ne aveva prontamente informato la compagnia (…) con la denuncia del sinistro presentata fin dal 24 settembre 2012 (per il tramite del broker GBA, come stabilito in contratto).
Ciò posto si osserva, in linea generale, che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte: “L’art. 1892 c.c. onera l’assicurato di comunicare all’assicuratore l’esistenza di fatti anche solo potenzialmente idonei a far sorgere la propria responsabilità, con la conseguenza che deve escludersi la nullità della clausola che riferisca il suddetto onere anche alla “percezione” dei presupposti della responsabilità, evocando pur sempre tale sostantivo il concetto di conoscenza, e non già di mera impressione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di garanzia proposta da un medico nei confronti del proprio assicuratore della responsabilità civile, per avere il primo formulato, al momento della stipula del contratto, una dichiarazione negativa circa l’esistenza di elementi suscettibili di fondare la propria responsabilità risarcitoria, pur avendo già ricevuto le rimostranze di una paziente per l’esito negativo di un intervento precedentemente effettuato). “(Sez. 3 -, Ordinanza n. 23961 del 02/08/2022, Rv. 665612 – 01).
Ora, è pacifico che la polizza assicurativa di cui si discute fosse stata stipulata a secondo rischio dalla Casa di Cura con la (…), e fosse stata emessa in data 06.02.2012, a brevissima distanza dall’evento occorso in data 20.1.2012, nel corso del quale si era verificato il decesso del (…). Se, peraltro, è vero che in tale data non era ancora pervenuta alla Casa di Cura la prima richiesta di risarcimento (risalente al 21 settembre 2012) non è, tuttavia condivisibile la conclusione cui è pervenuto il Giudice di prime cure nel senso di riconoscere l’operatività della polizza poiché “la casa di cura era venuta a conoscenza delle responsabilità del sanitario solo a seguito dell’inizio dell’azione giudiziale”. Invero, l’evento presentava requisiti oggettivamente tali da poter essere considerato, secondo il parametro della media diligenza, come meritevole di segnalazione alla compagnia assicuratrice contraente (la morte per un malore occorso durante il test mirante ad indagare su problematiche cardiache del paziente, i soccorsi approntati sul momento, gli accertamenti autoptici richiesti).
Segnatamente, se è vero che l’autopsia era stata richiesta dalla medesima Casa di Cura in data 20.01.2012, che aveva provveduto (per sua specifica ammissione) ad inoltrare la comunicazione alla Procura della Repubblica (cfr. comparse conclusionali della Casa di Cura), ciò era avvenuto su specifica indicazione dei medici operanti del 118, come desumibile dalla loro relazione di intervento, sopra esaminata. Sicché risulta smentito l’assunto per cui la dichiarazione dell’assicurata non sia stata reticente, fondato sul rilievo per cui (a distanza di pochissimi giorni, spazio temporale tra l’evento e la data della stipula dell’assicurazione) non era stata presentata dai prossimi portanti (ancora) una richiesta di risarcimento tale da fare anche solo astrattamente ipotizzare che la vicenda fosse suscettibile di responsabilità in capo alla Casa di Cura. L’omissione della doverosa comunicazione, da parte della Casa di Cura, dell’evento occorso -le cui circostanze travalicavano, oggettivamente, il limite dell’irrilevanza, nei termini delineati da Cass. civ. 23961/2022 cit.- al contrario, tenuto conto, tanto più, dello stretto lasso temporale tra questo e la stipula della assicurazione con clausola claims made, in pendenza degli accertamenti autoptici, evidenzia, piuttosto, un atteggiamento quantomeno gravemente colposo della assicurata rispetto all’obbligo informativo scaturente dalla stipulazione del contratto in questione.
Alla stregua di una valutazione di prognosi postuma deve, altresì, ritenersi che tale, omessa informazione abbia verosimilmente inciso, in maniera rilevante, nel processo di formazione di volontà della Compagnia.
La stessa giurisprudenza citata dalla Casa di Cura (Cass., sent. n. 7456 del 21/07/1990), ha chiarito che: “In tema di dichiarazioni inesatte dell’assicurato, agli effetti di cui all’art. 1892 cod. civ., spetta all’assicuratore l’Onere di provare l’inesattezza delle dette dichiarazioni, nonché il dolo e la colpa grave del contraente che le ha rese, mentre è compito del giudice valutare, in via ipotetica, quale incidenza le circostanze taciute avrebbero potuto avere sulla prestazione del consenso da parte dell’assicuratore. (V 730/81, mass n 411205; (V 5489/79, mass n 402076; (V 348/79, mass n 396437).”. In successive sue pronunzie, la Suprema Corte ha altresì chiarito che: “L’elemento soggettivo per l’annullamento del contratto di assicurazione a norma dell’art. 1892 cod. civ. non richiede necessariamente artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la volontarietà e la consapevolezza delle dichiarazioni mendaci o della reticenza dell’assicurato con riguardo a circostanze determinanti per il consenso dell’assicuratore.” (Cass. Sent. n. 4682 del 12/05/1999). Risultano in definitiva soddisfatte le tre condizioni richieste dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui “In tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento allorché si verifichino simultaneamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di tali condizioni, che costituiscono il presupposto di fatto e di diritto dell’inoperatività della garanzia assicurativa, è a carico dell’assicuratore.” (Cass. civ. 11115/2020).
Circa l’eccepita decadenza (eccezione reiterata in questa sede e peraltro logicamente incompatibile con il passaggio argomentativo della sentenza, non censurato dalla Casa di Cura, secondo cui “… la casa di cura era venuta a conoscenza delle responsabilità del sanitario solo a seguito dell’inizio dell’azione giudiziale”), è sufficiente richiamare il principio reiteratamente espresso dalla giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui: “In tema di assicurazione contro gli infortuni, l’onere, imposto dall’art. 1892 c.c. all’assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l’assicuratore sia venuto a sapere dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo, esistente a carico dell’assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio.” (Cass. civ. sez.3, Ord. n. 1166 del 21/01/2020). Tale è, appunto, la situazione che ricorre nel caso in esame.
Con il secondo motivo la Compagnia ha lamentato il “mancato riconoscimento della franchigia fissa di euro 50.000″, mentre con il terzo motivo ha censurato l'”errata liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante in favore dei portanti (…)”. Entrambe le censure sono, evidentemente, assorbite dall’accoglimento della prima, così come devono ritenersi assorbite le ulteriori questioni sollevate dall’appellante incidentale.
SPESE DEL GIUDIZIO
Alla luce delle censure accolte a di quelle disattese può passarsi alla regolazione delle spese processuali, aspetto che implica l’analisi dell’ultimo motivo del gravame principale.
Appellante principale – appellate e appellanti incidentali (…)- (…)
Considerato l’accoglimento del gravame dell’appellante principale, seppure in misura assai contenuta (limitatamente all’entità del risarcimento del danno in favore di (…)), si ritiene la sussistenza dei presupposti per compensare per un quinto le spese di entrambi i gradi (scaglione indeterminato di particolare importanza, parametro medio, esclusa la fase di trattazione/istruttoria in appello in quanto non tenutasi). Con distrazione a favore del difensore delle attrici e appellanti incidentali, dichiaratosi antistatario.
(…) SPA – Casa di Cura: l’accoglimento del motivo di gravame sulla pronuncia relativa alle spese (capo 4 della sentenza) comporta una minima soccombenza della Casa di Cura su tale, specifica voce. Resta corrispondentemente assorbito lo specifico motivo di gravame (ultimo) proposto dalla Casa di Cura. Stante, peraltro la condanna della (…) nei confronti della Casa di Cura, seppure nei limiti del massimale e nei termini sopra stabiliti, si giustifica, nell’ambito dei rapporti fra le suddette parti la compensazione integrale delle spese (riferita, evidentemente, all’appello, non essendo stata censurata l’omessa pronuncia sulle spese di chiamata da parte del primo Giudice)..
(…) SPA – Dott. (…): attesa la totale soccombenza della prima nei confronti del secondo, anche le spese di questo grado sono poste a suo carico (scaglione indeterminato di particolare importanza, parametro medio, esclusa la fase di trattazione/istruttoria in appello in quanto non tenutasi).
Casa di Cura – (…): stante la soccombenza totale della Casa di Cura chiamante in causa (riforma condanna capo 2, conseguenziali revoche della condanna solidale spese capo 4 e spese di consulenza tecnica capo 6), la stessa deve essere condannata alla rifusione delle spese di entrambi i gradi in favore della (…) (scaglione indeterminato di particolare importanza, parametro medio, esclusa la fase di trattazione/istruttoria in appello in quanto non tenutasi).
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunziando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: accogliendo per quanto di ragione, nei termini e limiti di cui in motivazione, gli appelli principale ed incidentali proposti;
in parziale riforma della sentenza n. 803/2021 del Tribunale di Cagliari: 1. condanna la (…) s.p.a. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, degli importi di euro 322.810,00 in favore di (…), di euro 255.325,00 in favore di (…), e di euro 227.125,00 in favore di (…), oltre al pagamento a ciascuna attrice degli interessi in misura legale ed alla rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo;
2.dichiara compensate nella misura di un quinto le spese di entrambi i gradi del giudizio fra (…) e (…), (…), (…) e condanna la prima a rifondere alle seconde la restante parte, che liquida, a titolo di compensi professionali, quanto al primo grado, in euro 17.109,6, oltre spese per euro 1179,2, quanto al secondo grado in euro 10.848,00, oltre rimborso forfettario e accessori per entrambi i gradi, disponendo il pagamento in favore dell’Avvocato Intagliata, dichiaratosi antistatario;
3. condanna (…) SPA a tenere indenne (…) s.p.a. dall’obbligo risarcitorio nei confronti delle attrici nel limite del massimale di polizza di euro 516.000,00;
4. condanna (…) SPA a rimborsare a (…) s.p.a. le spese processuali sostenute in entrambi i gradi, di cui al capo 2 che precede, entro i limiti del massimale di polizza e quelle di resistenza, del giudizio di primo grado, pari a complessivi euro 21.387,00, oltre rimborso forfettario, iva e cpa come per legge, entro il limite di cui all’art. 1917 c. 3 c.c.;
5. dichiara compensate le spese processuali di chiamata in causa del presente grado del giudizio fra (…) SPA e (…) SPA;
6. rigetta la domanda di manleva proposta da (…) s.p.a. nei confronti di (…);
7. condanna (…) s.p.a. alla rifusione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio in favore di (…), che liquida, a titolo di compensi professionali, quanto al primo grado, in euro 21.387,00, quanto al secondo grado in euro 13.560,00, oltre rimborso forfettario e accessori per entrambi i gradi;
8. condanna (…) SPA a rimborsare le spese processuali sostenute da (…) nel primo grado del giudizio, già liquidate in euro 10.693,50, oltre rimborso spese forfettario, IVA e CPA come per legge, e nel presente grado, che liquida in euro 13.560,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge;
9. pone definitivamente a carico di (…) SPA le spese per la CTU separatamente liquidate.
Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio dell’8 giugno 2023.
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2023.