E’ pacifica la distinzione tra le figure giuridiche della ricognizione di debito titolata e la confessione. La prima, disciplinata dall’articolo 1988 c.c., ha per oggetto rapporti giuridici e comporta la presunzione, fino a prova contraria, del rapporto fondamentale; mentre la seconda, disciplinata dagli articoli 2730 e seguenti c.c., ha per oggetto fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte. Sulla base di questa distinzione, si afferma che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perché contenente l’indicazione della causa debendi, non assume per questo natura confessoria. Di conseguenza, anche in tale ipotesi, vige la regola – stabilita dall’ultima parte dell’articolo 1988 c.c. – secondo cui il promittente può dimostrare l’inesistenza della causa e, perciò, la nullità della promessa, mentre, le particolari limitazioni di prova poste dall’articolo 2732 c.c. per la confessione, consistenti nell’impossibilità di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza, possono trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale.
Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|24 aprile 2023| n. 10890
Data udienza 8 marzo 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21285/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), domiciliato per legge presso la Cancelleria della Corte Suprema di cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS), domiciliato per legge presso la Cancelleria della Corte Suprema di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 2467/2019, pubblicata in data 26 novembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2023 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.
RILEVATO
che:
1. (OMISSIS) propose opposizione al precetto, notificatogli in data 7 novembre 2011 da (OMISSIS), architetto, con il quale gli era stato intimato il pagamento della somma di Euro 149.760,00 a titolo di prestazioni professionali.
Dedusse, a sostegno della opposizione, che il titolo posto a base della preannunciata esecuzione, costituito da una scrittura privata autenticata, non era munito di formula esecutiva e che la quantificazione dei diritti ed onorari dell’atto di precetto comprendeva voci non dovute; contesto’, inoltre, la pretesa azionata per insussistenza del credito.
All’esito della costituzione dell’opposto, il Tribunale di Bari, con sentenza n. 1235/14, rigetto’ l’opposizione.
2. La Corte d’appello di Bari, dinanzi alla quale il (OMISSIS) ha proposto gravame, ha confermato la sentenza impugnata.
Premettendo che l’appellante aveva sostenuto che il credito era inesistente, in quanto la scrittura privata azionata aveva natura chiaramente simulatoria, se non in frode alla legge, dato che l’importo di Euro 120.000,00, che il (OMISSIS) pretendeva a titolo di consulenze professionali, rappresentava un corrispettivo “a nero” in relazione ad una compravendita commerciale (acquisto di un bar), perfezionatasi tra le parti in data 25 settembre 2008, da pagarsi in aggiunta all’importo indicato nell’atto di compravendita, inizialmente corrisposto a mezzo assegno bancario e successivamente sostituito con la scrittura privata oggetto di causa, la Corte ha posto in rilievo che il (OMISSIS) aveva dedotto che la scrittura ricognitiva di debito trovava il suo fondamento causale non nell’asserita attivita’ professionale, bensi’ in un patto contra legem – assunto in violazione delle disposizioni fiscali e della normativa antiriciclaggio – inteso ad occultare una parte del corrispettivo della transazione commerciale intervenuta tra le parti, tanto che aveva deferito giuramento decisorio per dimostrare la nullita’ della scrittura privata.
I giudici di appello, dando atto che il giudice di primo grado aveva qualificato la scrittura privata come atto ricognitivo di debito, hanno precisato che, nel caso in cui la promessa di pagamento coesisteva con l’indicazione del fatto costitutivo del debito, tale indicazione aveva natura di confessione e poteva essere vinta soltanto a mezzo revoca della stessa, provando, ai sensi dell’articolo 2732 c.c., l’errore di fatto o la violenza che aveva determinato la dichiarazione, non potendo la scrittura essere impugnata per simulazione.
Hanno soggiunto che la questione della simulazione assoluta e quella di nullita’ della scrittura privata erano state sollevate per la prima volta con l’atto di appello, essendosi l’appellante in primo grado limitato a negare la sussistenza dell’obbligo di pagamento, eccependo il difetto di prova del rapporto causale da cui esso derivava, ed hanno precisato che, pur potendo la nullita’ di un contratto posto a fondamento dell’azione di adempimento essere rilevata d’ufficio anche in appello, essa non poteva essere accertata sulla base di contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte delle quali l’appellato sarebbe stato costretto a subire il vulnus della maturate preclusioni processuali.
Hanno pure escluso l’ammissibilita’ del giuramento decisorio sia perche’ l’atto di appello, con il quale era stato deferito, non era stato sottoscritto dalla parte, ma soltanto dal suo difensore, al quale, tuttavia, non risultava essere stato conferito il relativo potere, sia perche’ con tale mezzo si intendevano dimostrare fatti e circostanze mai dedotte in primo grado; hanno pure rilevato la violazione dell’articolo 2739 c.c., che vietava l’ammissione del giuramento decisorio preordinato alla prova di fatti illeciti, considerato che, nel caso di specie, si chiedeva all’appellato di ammettere di avere dissimulato, con la scrittura del 5 maggio 2010, un pagamento diretto ad occultare, in violazione della normativa fiscale e di quella antiriciclaggio, parte del corrispettivo in realta’ convenuto per la compravendita di un esercizio commerciale.
La Corte territoriale ha, infine, rilevato che le allegazioni difensive dell’appellante risultavano prive di fondamento, in quanto fondate su domande ed eccezioni nuove e non riscontrate da risultanze probatorie idonee a superare gli effetti della dichiarazione confessoria relativa all’esistenza del rapporto causale sottostante all’assunzione dell’obbligo di pagamento contenuto nella scrittura privata del 5 maggio 2010.
3. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello, affidato a quattro motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso.
4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. cod. proc civ..
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando la “violazione del combinato disposto tra l’articolo 345 c.p.c., articolo 2732 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – illegittimita’”, il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che la scrittura privata, posta a fondamento del precetto, conteneva una “confessione”, in tal modo discostandosi dalla qualificazione di “promessa di pagamento” data dal giudice di primo grado.
Richiamando la differenza tra confessione e promessa di pagamento (o ricognizione), evidenzia che la dichiarazione contenuta nella scrittura privata integra un riconoscimento di debito titolato e che i giudici di appello non hanno tenuto conto che, in primo grado, il (OMISSIS), pur potendo giovarsi del principio dell’inversione dell’onere della prova, aveva chiesto di provare per testi lo svolgimento degli incarichi professionali; poiche’ la richiesta era stata respinta dal Tribunale, l’attivita’ che il (OMISSIS) sosteneva di avere svolto era rimasta sfornita di prova.
2. Con il secondo motivo, deducendo la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, partendo dalla considerazione che il giudice d’appello non puo’ mutare la qualificazione giuridica compiuta dal giudice di primo grado se non in presenza di una specifica impugnazione delle parti, il ricorrente sostiene che, nella specie, in assenza di impugnazione sul punto, la qualificazione giuridica della scrittura non puo’ che essere quella di “ricognizione di debito”, “suscettibile di eccezione di simulazione ex articolo 1388 c.c.” e non di “confessione” contestabile solo per errore ex articolo 2732 c.c., come ritenuto dai giudici di appello.
3. Con il terzo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura la decisione impugnata la’ dove la Corte d’appello ha affermato che la dedotta simulazione della scrittura privata viola il divieto di ius novorum e ribadisce che la nullita’ del contratto puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice anche in appello.
4. Con il quarto motivo, denunciando la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 233 c.p.c. e articolo 2739 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, il ricorrente sostiene che erroneamente e’ stata rilevata l’inammissibilita’ del giuramento decisorio.
Contesta, in particolare, alla Corte territoriale sia di avere trascurato che le pagine dell’atto d’appello contenenti i capitoli sui quali era stato articolato il giuramento decisorio risultavano sottoscritte anche dall’appellante, che aveva in tal modo confermato il proprio assenso al mezzo istruttorio, cosi’ sanando qualsiasi irregolarita’, sia di avere ritenuto che il giuramento fosse fondato su capitoli finalizzati a provare un fatto illecito, posto che, per atto illecito, nonostante l’ampia formula dell’articolo 2739 c.c., doveva intendersi solo l’illecito penale o amministrativo o anche l’atto turpe o riprovevole, mentre restava fuori dalla definizione l’atto illecito che generava mera responsabilita’ civile.
5. Il primo motivo e’ inammissibile per violazione del principio di autosufficienza di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e, comunque, infondato.
5.1. Come e’ stato chiarito anche di recente da questa Corte (Cass. sez. 1, 01/03/2022, n. 6769), perche’ il principio di autosufficienza possa dirsi osservato, occorre, per un verso, sul piano contenutistico, che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimita’ in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonche’ di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessita’ di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., sez. L, 28/12/2017, n. 31082; Cass., sez. 6-3, 03/02/2015, n. 1926; Cass., sez. L, 22/06/2020, n. 12191; Cass., sez. 5, 28/05/2020, n. 10143), sicche’ il ricorrente per cassazione deve esplicitare quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti che pone a fondamento del ricorso, riassumendoli o trascrivendoli a seconda di quanto di volta in volta occorra; per altro verso, che il ricorso soddisfi l’onere di “localizzazione processuale” di ciascun atto o documento su cui il ricorso si fonda (Cass., sez. U, 9/11/2021, n. 32673; Cass., sez. 3, 04/11/2021, n. 31796; Cass., sez. 6-5, 04/11/2021, n. 31590; Cass., sez. 6-5, 03/11/2021, n. 31377; Cass., sez. 6-5, 22/10/2021, n. 29667), onere di localizzazione indispensabile perche’ la Corte di cassazione sia posta in condizione di individuare ciascun atto o documento senza effettuare particolari ricerche.
L’odierno ricorrente, pur richiamando a sostegno del mezzo di ricorso in esame la scrittura privata del 5 maggio 2010, azionata con l’atto di precetto, omette di riportarne in ricorso l’integrale contenuto e, comunque, di localizzarla, specificando, altresi’, se essa e’ stata prodotta nel giudizio di legittimita’, in tal modo non rispettando le prescrizioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
5.2. Anche a prescindere da tale assorbente rilievo, il motivo e’, comunque, privo di fondamento.
E’ pacifica nella giurisprudenza di questa Corte la distinzione tra le figure giuridiche della ricognizione di debito titolata e la confessione. La prima, disciplinata dall’articolo 1988 c.c., ha per oggetto rapporti giuridici e comporta la presunzione, fino a prova contraria, del rapporto fondamentale; mentre la seconda, disciplinata dagli articoli 2730 e seguenti c.c., ha per oggetto fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte. Sulla base di questa distinzione, la giurisprudenza afferma che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perche’ contenente l’indicazione della causa debendi, non assume per questo natura confessoria. Di conseguenza, anche in tale ipotesi, vige la regola – stabilita dall’ultima parte dell’articolo 1988 c.c. – secondo cui il promittente puo’ dimostrare l’inesistenza della causa e, percio’, la nullita’ della promessa, mentre, le particolari limitazioni di prova poste dall’articolo 2732 c.c. per la confessione, consistenti nell’impossibilita’ di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza, possono trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla volonta’ diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale (Cass., sez. 3, 05/07/2004, n. 12285; Cass., sez. 2, 31/07/2012, n. 13689; Cass., sez. 2, 05/10/2017, n. 23246).
Nella sentenza qui impugnata e’ stato ben evidenziato che la pretesa creditoria si fonda sulla scrittura del 5 maggio 2010, sottoscritta dal ricorrente e dal controricorrente, con la quale il (OMISSIS), “premesso che l’arch. (OMISSIS) aveva svolto per suo conto varie consulenze tecniche di natura immobiliare, dallo stesso commissionategli, e che per tali consulenze tecniche era stato convenuto, di comune accordo tra le parti, la somma complessiva di Euro 120.000,00, oltre IVA, CNPAIA, come per legge, si obbligava ad effettuarne il pagamento entro e non oltre il 31.10.2010, nei modi in essa espressamente concordati tra le parti”.
A siffatta dichiarazione la Corte territoriale ha attribuito natura confessoria, sul rilievo che non risultava specificato il rapporto sottostante la promessa di restituzione, e tale statuizione e’ conforme al richiamato indirizzo di questa Corte.
La confessione, avendo valore di prova legale, puo’ essere vinta soltanto a mezzo revoca della stessa, provando, secondo quanto previsto dall’articolo 2732 c.c., l’errore di fatto o la violenza che ha determinato la dichiarazione (Cass., n. 23246/17, cit.).
Ne segue che non e’ ravvisabile la dedotta violazione di legge.
6. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
La limitazione del potere del giudice di pronunciare entro i confini delle domande proposte dalle parti riguarda l’individuazione dei soli elementi essenziali della domanda, segnatamente integrati dalla causa petendi (ossia dai fatti posti a fondamento della pretesa spiegata in giudizio) e dal petitum, ossia dal bene della vita concretamente perseguito (c.d. petitum indiretto) o, alternativamente, dalla pronuncia giudiziale strumentale al conseguimento di detto bene (c.d. petitum diretto) (Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048; Cass., sez. 1, 11/04/2018, n. 9002).
Il giudice d’appello e’, dunque, libero di dare al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data dal primo giudice con riferimento all’individuazione della causa petendi, anche se incontra il limite di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame (Cass., sez. 1, 12/10/2001, n. 12471; Cass., sez. 3, 07/12/2005, n. 26999; Cass., sez. 2, 31/03/2006, n. 7620) e di non mutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire (Cass., 2, 12/10/2007, n. 21484; Cass., sez. 3, 28/06/2010, n. 15383).
Nel caso di specie, la diversa qualificazione giuridica della scrittura privata, allegata da una delle parti a sostegno della pretesa creditoria azionata, cosi’ come operata dal giudice d’appello, non ha comportato una alterazione o un mutamento del fatto costitutivo della pretesa di pagamento, trattandosi di un potere che al giudice rimane costantemente conservato ogni qualvolta, sui fatti dedotti in giudizio, persista la contestazione tra le parti.
Nel caso di specie, avendo l’odierno ricorrente proposto in appello la propria contestazione sull’accertamento compiuto dal giudice di primo grado in relazione ai fatti posti a fondamento della pretesa creditoria azionata dal (OMISSIS), cosi’ devolvendo in sede di appello la questione della concreta sussistenza di tali fatti, del tutto correttamente il giudice d’appello ha esteso la propria cognizione alla valutazione anche della scrittura privata. Deve essere, pertanto, escluso il ricorso di alcuna questione di giudicato sulla qualificazione della scrittura come atto ricognitivo di debito operata dal giudice di primo grado, dovendo limitarsi, il tema del giudicato, all’eventuale carattere contestato (o incontestato) dei fatti invocati dalle parti a fondamento delle proprie domande.
7. Il terzo motivo e’ infondato, perche’, come correttamente rilevato dai giudici di appello, la domanda di simulazione e’ stata tardivamente introdotta in secondo grado. La nullita’ di un contratto posto a fondamento dell’azione di adempimento puo’ essere rilevata d’ufficio anche in appello, ma essa non puo’ essere basata su contestazioni in fatto non sollevate in precedenza (Cass., sez. 2, 09/08/2019, n. 21243; Cass., sez. 3, 19/02/2020, n. 4175).
8. Anche il quarto motivo va rigettato.
Il giuramento decisorio puo’ essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore, con dichiarazione fatta all’udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale o con atto sottoscritto dalla parte. Tuttavia, e’ inammissibile il giuramento decisorio deferito con atto di appello non sottoscritto personalmente dalla parte o da difensore munito di mandato speciale, come richiesto dall’articolo 233 c.p.c., ma dal difensore munito soltanto dell’ordinaria procura ad litem, anche se il giuramento sia stato ritualmente deferito in primo grado (Cass., sez. 3, 28/10/2014, n. 22805; Cass., sez. 2, 25/08/2020, n. 17718).
A cio’ deve aggiungersi che il giuramento decisorio e’ pure inammissibile perche’ volto a dimostrare la denunciata simulazione assoluta della scrittura privata, non dedotta in primo grado (Cass., sez. 3, 19/10/2015, n. 21073).
Il difetto delle condizioni di ammissibilita’ del mezzo istruttorio rende superfluo verificare se il giuramento fosse fondato su capitoli formulati in violazione dell’articolo 2739 c.c..
9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.