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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 3 marzo 2009, n. 5044
Nel contratto autonomo di garanzia – ai fini della cui distinzione dalla fideiussione non è decisivo l’impiego o meno di espressioni quali “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta”, ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia – il garante, improntandosi il rapporto tra lo stesso ed il creditore beneficiario a piena autonomia, non può opporre al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, salvo che dipenda da contrarietà a norme imperative o dall’illiceità della causa e che, attraverso il medesimo contratto autonomo, si intenda assicurare il risultato vietato dall’ordinamento. Nondimeno, si deve escludere che la nullità della pattuizione di interessi ultralegali si comunichi sempre al contratto autonomo di garanzia, atteso che detta pattuizione – eccezion fatta per la previsione di interessi usurari – non è contraria all’ordinamento, non vietando quest’ultimo in modo assoluto finanche l’anatocismo, così come si ricava dagli artt. 1283 cod. civ. e 120 del d.lgs. n. 385 del 1993.
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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 3 marzo 2009, n. 5044
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente
Dott. FICO Nino – Consigliere
Dott. CALABRESE Donato – Consigliere
Dott. TALEVI Alberto – Consigliere
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1289/2005 proposto da:
BE. AN. , RI. MA. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato GRASSO ROSALBA, rappresentati e difesi dall’avvocato DI NOI GABRIELE giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
SA. PA. IM. SPA, in persona del dr. No. Pa. , elettivamente domiciliata in ROMA, LUNG. TEVERE A. DA BRESCIA 9 – 10, presso lo studio dell’avvocato FIORETTI ANDREA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAVALLI GINO giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1571/2003 della CORTE D’APPELLO di TORINO, prima sezione civile, emessa il 14/11/2003, depositata il 02/12/2003, R.G. 1954/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2008 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato ANDREA FIORETTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 29.6.1998 la Sa. Pa. Im. s.p.a. chiedeva ed otteneva dal Presidente del Tribunale di Torino un decreto ingiuntivo nei confronti di Be.An. e Ri.Ma. per il pagamento della somma di lire 442.180.034, oltre accessori, che asseriva esserle dovuta in adempimento della fideiussione prestata dagli ingiunti in favore della societa’ An. .
Avverso tale decreto proponevano opposizione gli ingiunti chiedendone la declaratoria di illegittimita’ e di nullita’, nonche’ la rideterminazione, mediante c.t.u., del relativo saldo debitore. Be. e Ri. contestavano in particolare sia la revoca delle linee di credito a suo tempo concesse; sia il calcolo degli interessi con anatocismo; sia il tasso di interessi ritenuto di molto superiore a quello legale; sia l’affermazione della loro responsabilita’ patrimoniale, al di la’ del massimale della fideiussione prestata.
Controparte si costituiva in giudizio instando per l’integrale rigetto delle avverse domande.
Con sentenza del 29-8-2001 il Tribunale di Torino respingeva l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo opposto.
Avverso detta sentenza proponevano appello Be. e Ri. .
La Sa. Pa. IM. s.p.a. si costituiva nel giudizio di impugnazione chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza del 14.11. – 2.12.2003 la Corte d’Appello di Torino respingeva l’appello e condannava gli appellanti alle spese di lite.
Proponevano ricorso per cassazione Be.An. e Ri. Ma. .
Resisteva con controricorso la Sa. Pa. IM. s.p.a..
Entrambe le parti presentavano memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso Be.An. e Ri. Ma. denunciano: “1) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., e articolo 118 disp. att. c.p.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Nullita’ della sentenza per totale difetto di motivazione o quanto meno per motivazione insufficiente e incongrua rispetto alle argomentazione difensive trattate dalle parti e specificatamente dagli appellanti sia nell’atto introduttivo che nelle difese conclusive.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in tema di interpretazione dei contratti. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1936, 1939, 1941 e 1945 c.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in tema di contratti fideiussori e deroghe”.
Il motivo, come si evince dal titolo, si articola in tre censure. Con la prima parte ricorrente, riconosciuto che l’interpretazione del contratto e’ attivita’ riservata al giudice di merito, sottolinea che quest’ultimo deve comunque fornire una motivazione congrua e soddisfacente delle scelte ermeneutiche operate. Tali scelte invece, secondo Be. e Ri. , sono state giustificate dall’impugnata sentenza in modo eccessivamente sintetico, essendosi quest’ultima limitata ad affermare, nonostante numerosi indici in senso contrario, che l’accordo stipulato fra le attuali parti in causa non era una fideiussione, bensi’ un contratto autonomo di garanzia.
La seconda censura denuncia l’erronea applicazione, da parte della Corte distrettuale torinese, delle regole sull’interpretazione dei contratti ed in specie di quella sull’interpretazione letterale, e di quella sull’interpretazione sistematica di cui all’articolo 1362 c.c., commi 1 e 2.
La sentenza di merito, secondo Be. e Ri. , pur dando atto della loro indicazione come “fideiussori”, ha poi immotivatamente alterato tale qualificazione, senza neppure considerare che la Banca aveva “deliberatamente e costantemente” qualificato con il termine “fideiussione” il negozio de quo.
Nessuna delle censure appena esposte puo’ essere accolta.
Quanto alla prima, relativa alla denuncia di error in procedendo e nullita’ della sentenza per insufficiente motivazione, si deve preliminarmente rilevare che non e’ pertinente il richiamo all’articolo 360 c.p.c., n. 4, in quanto il vizio di omessa motivazione dev’essere denunciato in cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass., 21 luglio 2006, n. 16762).
D’altra parte, detto vizio sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto quest’ultimo alla formazione del proprio convincimento (Cass., 6 marzo 2008, n. 6064; Cass., 12 agosto 2004, n. 15693). Ma tanto non si ravvisa nella sentenza della Corte distrettuale che, seppur sinteticamente, ha comunque indicato nella presenza di clausole contrattuali derogatorie rispetto alla disciplina dell’articolo 1939 c.c., le ragioni per le quali ha qualificato il contratto inter partes come contratto autonomo di garanzia e non come fideiussione.
Non autosufficiente e’ la seconda censura relativa alla violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti. Parte ricorrente lamenta l’omessa analisi critica delle clausole contrattuali nel contesto documentale in cui sono inserite, ma per consentire a questa Corte di effettuare l’interpretazione sistematica del contratto avrebbe dovuto riprodurre l’intero testo negoziale, mentre le clausole sono riprodotte solo parzialmente. Un’integrale riproduzione di queste ultime risultava invece tanto piu’ necessaria ove si tenga conto che, secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, per distinguere la fideiussione dal contratto autonomo di garanzia non e’ tanto decisivo l’impiego di espressioni quali “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta”, quanto la relazione, desumibile dal complessivo regolamento negoziale, in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia (Cass., 28.2.2007, n. 4661; Cass., 9.11.2006, n. 23900). Ed e’ proprio a seguito dell’analisi di tale relazione che la Corte d’appello torinese, con ragionamento insindacabile in questa sede in quanto immune da vizi logico – giuridici e’ giunta a qualificare il contratto stipulato da Be. e Ri. , come un vero e proprio contratto di garanzia autonomo, nonostante la ripetuta indicazione di questi ultimi “fideiussori”.
Con la terza censura del primo motivo, sviluppata anche nel secondo, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello torinese non ha accertato se le parti intesero stipulare un contratto autonomo di garanzia ovvero una convenzione fideiussoria derogatoria ed affermano che tale organo giudicante ha errato nel non considerare come dalla clausola n. 8, derogatoria rispetto all’articolo 1939 c.c., si desuma l’accessorieta’ dell’obbligazione fideiussoria e la possibilita’ di una declaratoria di invalidita’ delle obbligazioni garantite avente conseguenze dirette nel rapporto fra banca e fideiussore.
Con il secondo motivo Be. e Ri. denunciano “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1936, 1939, 1941, 1945, 1375 e 1175 c.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, sotto ulteriore di versa prospettazione”.
Osservano i ricorrenti che, anche a qualificare la fideiussione da essi stipulata come contratto autonomo di garanzia, quest’ultimo non consente comunque al soggetto garantito, nel nostro caso un istituto bancario, di ottenere dai garanti somme non dovute, quali quelle costituite dagli “interessi di piazza” o dagli “interessi anatocistici”. E ricordano come le SS.UU. di questa Corte abbiano considerato nulla la clausola che prevede tali interessi, mentre e’ a loro avviso in contrasto con il divieto di vantaggi usurari ogni strumento volto alla percezione dei medesimi interessi.
In conclusione Be. e Ri. sottolineano che la loro eccezione e’ fondata sulla nullita’ del contratto principale per contrarieta’ a norme imperative o per illiceita’ della causa derivante dalla presenza di una clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi nel contratto di conto corrente fra il debitore principale e la banca e sostengono che tale invalidita’ si estende al contratto di garanzia o alla fideiussione.
La tesi non e’ fondata.
Deve premettersi che le parti possono determinare, attraverso la deroga convenzionale a norme dispositive come quelle che formano la disciplina ordinaria della fideiussione, forme contrattuali atipiche di garanzia (c.d. contratto atipico di garanzia), la cui ammissibilita’ nel nostro ordinamento, in quanto espressione dell’autonomia negoziale delle parti, e’ sottoposta unicamente al giudizio di meritevolezza ex articolo 1322 c.c.. La clausola di deroga all’articolo 1939 c.c., da intendersi come rinunzia preventiva all’eccezione di invalidita’ e non come affermazione della configurabilita’ di una fideiussione in assenza della relativa obbligazione garantita, soddisfa l’interesse meritevole di tutela della banca a rendere sempre operativa la garanzia di restituzione della prestazione che il cliente (debitore – garantito) ha gia’ ricevuto dalla banca stessa (Cass., 31 agosto 1984, n. 4738).
L’autonomia che caratterizza il rapporto fra il garante e il creditore beneficiario nell’ambito del contratto autonomo di garanzia comporta dunque che la nullita’ di un patto relativo al rapporto fondamentale non puo’ essere opposta al medesimo creditore, salvo che dipenda da contrarieta’ a norme imperative o illiceita’ della causa e salvo che, attraverso il contratto autonomo si intenda assicurare un risultato vietato dall’ordinamento. Non sempre pero’ la nullita’ della pattuizione di interessi ultralegali si comunica al contratto autonomo di garanzia, non essendo vietato nel nostro ordinamento il pagamento di tali interessi ma soltanto quello di interessi usurari (Cass., 7 marzo 2002, n. 3326). E non e’ neppure configurabile un divieto assoluto di ana-tocismo, essendo anzi quest’ultimo permesso alle particolari condizioni previste dall’articolo 1283 c.c., e, per gli esercenti l’attivita’ bancaria, dal Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 120 (Testo Unico bancario).
Piuttosto, in questo processo, la clausola 8) e quella che prevede l’anatocismo avrebbero potuto essere esaminate sotto il profilo della loro eventuale vessatorieta’ e quindi della necessita’ di una loro specifica approvazione per iscritto. Poiche’ tuttavia il giudizio sulla vessatorieta’ non e’ stato effettuato in sede di merito, lo stesso non puo’ essere ora compiuto per la prima volta in Cassazione, richiedendo la valutazione della suddetta clausola un giudizio di fatto che si puo’ formulare soltanto attraverso l’interpretazione della stessa nel contesto complessivo del regolamento negoziale per stabilirne il significato e la portata (Cass., 9.6.2005, n. 12.125; Cass., 19.7.2004 n. 13359). D’altra parte la legittimazione ad eccepire la nullita’ – inefficacia delle clausole vessatorie trova un duplice limite: da un lato nella regola secondo la quale i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilita’, questioni che hanno formato oggetto di gravame con l’atto di appello; dall’altro nella necessita’ che i presupposti di fatto relativi all’applicazione dell’articolo 1341 c.c., risultino gia’ acquisiti agli atti del processo (Cass., 23.7.2004, n. 13807).
Parte ricorrente solleva infine l’exceptio doli generalis quale limite opponibile dal garante alla sua rinunzia a sollevare eccezioni relative al rapporto principale, ivi comprese quelle sull’invalidita’ del contratto da cui tale rapporto deriva. Detta eccezione puo’ essere in effetti opposta in caso di esecuzione fraudolenta o abusiva del contratto, allorche’ l’attore, nell’avvalersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, si renda colpevole di frode sottacendo, nella prospettazione della fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fatto valere ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso, e comunque in presenza della prova evidente della pretestuosita’ dell’escussione della garanzia (Cass., 11.2.2008, n. 3179; Cass. 14.12.2007, n. 26262). Ma l’eccezione deve essere disattesa essendosi Be. e Ri. limitati a sollevarla senza specificamente indicare la concreta presenza delle suddette circostanze nella fattispecie per cui e’ causa.
In conclusione, le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso mentre la particolare complessita’ della fattispecie e della relativa vicenda processuale fanno ritenere necessaria la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.