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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 1 febbraio 2018, n. 2483
quanto piu’ la situazione di possibile danno e’ suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (secondo uno standard di comportamento correlato, dunque, al caso concreto), tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente (in quanto oggettivamente deviato rispetto alla regola di condotta doverosa cui conformarsi) nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benche’ astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale. L’accertamento delle anzidette circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice del merito.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:
La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 1 febbraio 2018, n. 2483
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI AMATO Sergio – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13442/2015 proposto da:
COMUNE (OMISSIS), in persona del Sindaco p.t. dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SEBASTIANO STRANGIO giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 118/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 09/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/11/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ALBERTO CARDINO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
RILEVATO CHE:
1. – (OMISSIS), nella qualita’ di genitore esercente la potesta’ sulla figlia minore Teresa, convenne in giudizio il Comune di (OMISSIS) per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti dalla figlia a seguito della caduta, in data (OMISSIS), in un burrone posto ai margini della strada comunale in contrada (OMISSIS), mentre la minore stessa era intenta a giocare nei pressi della abitazione del nonno paterno.
Nel contraddittorio con il Comune convenuto, l’adito Tribunale di Locri, con sentenza del settembre 2004, accolse la domanda e condanno’ il Comune al pagamento, in favore di (OMISSIS) (nelle more divenuta maggiorenne), della somma risarcitoria di Euro 234.403,85.
2. – Avverso tale decisione interponeva gravame il Comune di (OMISSIS), che la Corte di appello di Reggio Calabria, nel contraddittorio con (OMISSIS), accoglieva solo parzialmente con sentenza resa pubblica il 9 marzo 2015, rideterminando l’importo risarcitorio per il danno patrimoniale, cui era tenuto il Comune appellante, in Euro 190.804,70, oltre accessori.
2.1. – La Corte territoriale – per quanto ancora rileva in questa sede – ribadiva, anzitutto, la responsabilita’ del Comune per l’evento dannoso per non aver l’ente stesso “all’epoca adottato misure volte ad evitare cadute dalla strada in questione nel vicino burrone”, altresi’ escludendo che “la caduta di una bambina di nove anni di eta’, che sta giocando con il fratellino nei pressi dell’abitazione dei nonni in orario pomeridiano”, potesse ascriversi “a difetto di vigilanza da parte dei genitori”, non essendo un evento “di per se’ prevedibile (ed evitabile) utilizzando la normale diligenza”, cosi’ da non potersi ravvisare “un’efficacia causale sull’evento ne’ un concorso di colpa, rilevante ai sensi dell’articolo 1227 c.c., degli adulti tenuti alla vigilanza sulla bambina”.
2.2. – Il giudice di secondo grado confermava, poi, la statuizione di condanna al pagamento dell’importo di Euro 50.000,00, liquidato in via equitativa a titolo di “danno per mancato guadagno futuro”, osservando che, in presenza di postumi permanenti di rilevante entita’, pari al 25% di invalidita’, era corretta la riconduzione sotto l’anzidetta voce di danno la accertata riduzione “della capacita’ lavorativa generica subita dalla (OMISSIS)” nella misura dell’8%.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di (OMISSIS), affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
Il P.M. ha depositato le proprie conclusioni scritte (con cui chiede il rigetto del ricorso) e il Comune ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 2043 e 2051 c.c., e articolo 1227- c.c., comma 2.
La Corte territoriale avrebbe errato ad escludere la responsabilita’ del Comune, sia ai sensi dell’articolo 2051 c.c., che dell’articolo 2043 c.c., per non aver considerato che l’evento era da addebitarsi alla condotta della bambina di nove anni di eta’, intenta a giocare, senza la vigilanza dei genitori, su una sede stradale vicinale distante 5 metri da un burrone, cio’ costituendo, di per se’, uso anomalo della cosa, integrante caso fortuito, ossia “esclusivo fattore determinante” l’evento dannoso, peraltro prevedibile ed evitabile con l’uso della normale diligenza da parte di chi era tenuto alla vigilanza sulla minore.
2. – Con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 1227 c.c., comma 1, articoli 2056, 2043 e 2051 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso un concorso colposo “della danneggiata e/o dei suoi genitori” con efficacia causale circa la determinazione dell’evento dannoso, considerata la condotta “anomala e gravemente, oltre che prevedibilmente, pericolosa… realizzata con l’attivita’ di gioco, assieme al fratellino, sulla strada destinata al pubblico transito”.
2.1. – I motivi, da scrutinarsi congiuntamente per essere tra loro connessi, sono fondati nei termini e nei limiti di seguito precisati.
2.2. – Dalla sentenza impugnata non emerge alcuna espressa qualificazione della fattispecie di responsabilita’ civile extracontrattuale oggetto di cognizione, ne’ tantomeno ivi si fa riferimento ad una previa qualificazione operata dal primo giudice.
Tuttavia, il fatto decisivo che la Corte di appello assume a fondamento della responsabilita’ ascritta al Comune di (OMISSIS) e’ ben evidenziato e viene a concretarsi nell’omissione, da parte dello stesso ente territoriale, dell’adozione, all’epoca del sinistro, di “misure volte ad evitare cadute dalla strada in questione nel vicino burrone”.
In tal senso, l’addebito si risolve in quello della violazione di obblighi di cautela (specifica e/o generica), che si impongono al custode del bene teatro dell’evento lesivo in ragione della vigilanza sulla cosa cui esso e’ tenuto.
Si tratta, quindi, di fattispecie materiale riconducibile nell’alveo della responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c., facente leva sulla colpa del custode.
Difatti, costituisce oramai “diritto vivente” l’orientamento di questa Corte (non affatto incrinato da talune, isolate, disarmoniche pronunce) secondo cui la diversa responsabilita’ per i danni cagionati da cose in custodia, ex articolo 2051 c.c., e’ invece di natura oggettiva, incentrata sulla relazione causale che lega la cosa all’evento lesivo, senza che, ai fini della verificazione di tale evento, trovi rilievo alcuno la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza da parte di quest’ultimo (tra le molte: Cass., 12 luglio 2006, n. 15779; Cass., 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass., 25 luglio 2008, n. 20427; Cass., 12 novembre 2009, n. 23939; Cass., 1 aprile 2010, n. 8005; Cass., 11 marzo 2011, n. 5910; Cass., 19 maggio 2011, n. 11016; Cass., 8 febbraio 2012, n. 1769; Cass., 17 giugno 2013, n. 15096; Cass., 25 febbraio 2014, n. 4446; Cass., 27 novembre 2014, n. 25214; Cass., 18 settembre 2015, n. 18317; Cass., 20 ottobre 2015, n. 21212; Cass., sez. un., 10 maggio 2016, n. 9449; Cass., 27 marzo 2017, n. 7805; Cass., 16 maggio 2017, n. 12027).
Cio’ precisato, le doglianze di parte ricorrente sono da esaminare in ragione dell’evocata fattispecie legale di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c..
2.2. – In tale prospettiva, esse colgono nel segno la’ dove evidenziano la mancata applicazione degli articoli 40 e 41 c.p., e articolo 1227, comma 1 (come evocato nella sostanza delle argomentazioni, a prescindere da taluni incongruenti richiami al secondo comma della stessa norma: cfr., in tale ottica, Cass., 25 febbraio 2014, n. 4439), c.c., in relazione alla condotta stessa della minore danneggiata, compiendo cosi’ il Tribunale una incompleta e non corretta operazione di sussunzione del “fatto” nell’alveo della fattispecie legale di riferimento, segnata dal combinato disposto dell’articolo 2043 c.c., e (per l’appunto) articoli 40 e 41 c.p., e articolo 1227 c.c., comma 1.
2.3. – Il tema implicato dallo scrutinio imposto dalle doglianze di parte ricorrente offre l’occasione per talune preliminari puntualizzazioni.
2.3.1. – Lo spettro di indagine e’, anzitutto, quello del rapporto di causalita’ materiale nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale (cfr., segnatamente, l’analisi di Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn. 576 e ss.), che muove dai principi penalistici, di cui agli articoli 40 e 41 c.p., in base alla c.d. teoria della condicio sine qua non (nel cui ambito operano al contempo i principi dell’equivalenza delle cause e della causalita’ efficiente), per poi giungere, in ambito civilistico, alla c.d. teoria della causalita’ adeguata o a quella similare della c.d. regolarita’ causale, per cui occorre dare rilievo solo alle serie causali che ex ante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile. In particolare, alla stregua della c.d. teoria della regolarita’ causale, la conseguenza normale imputabile sara’ quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e, quindi, in base alla regolarita’ statistica o ad una probabilita’ apprezzabile ex ante (se non di vera e propria prognosi postuma) integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento (sia esso una condotta umana oppure no) originario, che ne costituisce l’antecedente necessario. Sicche’, il principio della regolarita’ causale, rapportato ad una valutazione ex ante e di carattere oggettivo, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra il criterio di imputazione – il comportamento nella responsabilita’ per colpa o l’evento generatore in quella oggettiva – del danno ed evento dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata.
2.3.2. – In tale contesto, anche il “fatto” del danneggiato (e, come si vedra’, anche se questi e’ incapace di intendere e volere) puo’ venire in rilievo (sia in ipotesi di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., che di quella ex articolo 2051 c.c.) ai fini della verifica di sussistenza del nesso di causa tra condotta del danneggiante ed evento dannoso ed essere, quindi, sia fattore concorrente nella produzione del danno ex articolo 1227 c.c., comma 1, sia fattore idoneo – in base ad un ordine crescente di gravita’ – ad elidere il nesso eziologico anzidetto, in base ad un giudizio improntato al principio di regolarita’ causale (cfr. in termini analoghi anche Cass., 6 maggio 2015, n. 9009, in motivazione).
Del resto, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152; Cass., 17 febbraio 2017, n. 4208), il fondamento stesso dell’articolo 1227 c.c., comma 1, non riposa sul c.d. principio di autoresponsabilita’, bensi’ trova ragione e applicazione nei principi della causalita’ e del funzionamento del nesso causale e la colpa alla quale la norma citata fa riferimento (e sul cui concetto e portata si avra’ modo di tornare piu’ avanti) e’ da intendersi non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perche’ il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’articolo 2043 c.c.), bensi’ come requisito legale della rilevanza causale del comportamento del danneggiato, ovvero, come riconosce una dottrina, come criterio di selezione delle concause rilevanti ai fini della riduzione del risarcimento.
2.3.3. – Giova, difatti, osservare, in linea piu’ generale, che, proprio alla luce della previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo, risponde a criteri di ragionevole probabilita’ e quindi di causalita’ adeguata l’imposizione di un dovere di cautela in capo anche al danneggiato, cio’ trovando giustificazione altresi’ nel dovere di solidarieta’, previsto dall’articolo 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocita’ degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze con cui si venga a contatto.
In tal senso, del resto, gia’ si e’ statuito che la responsabilita’ civile per omissione puo’ scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attivita’ a tutela di un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex articolo 1227 c.c., comma 1, (Cass., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406).
Un tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalita’ imposto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali allorquando si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita (di cui all’articolo 2 della Convenzione) o alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’articolo 8, commi 1 e 2, di quella): come gia’ affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla vita (Cass., 22 settembre 2016, n. 18619), supera il controllo di conformita’ alla detta Convenzione il principio di diritto (affermato da Cass., 23 maggio 2014, n. 11532) secondo cui “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto”.
In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza – che impone l’obbligo di adottare ogni precauzione per scongiurare pericoli per la vita (e l’incolumita’ o la salute) degli individui – di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri (con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumita’ in genere e, per di piu’, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione: da ultimo, Corte EDU 20 dicembre 2016, Ljaskaj c/ Croazia), con quella – altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare alla collettivita’ – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica, che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene primario della vita stessa.
E si e’ concluso che, per il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumita’ e alla salute – da parte dei pubblici poteri – e nei rapporti interprivati – non puo’ spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto.
2.3.4. – In tale quadro giustificativo, va allora ribadito che la condotta della vittima puo’ anche assumere efficacia causale esclusiva, ma soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso contrario poter rilevare ai fini del concorso nella causazione dell’evento, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e, se la disattenzione e’ sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo – ed elide il nesso causale tra condotta del danneggiante e evento di danno – quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto.
2.4. – Cio’ premesso, il giudice di secondo grado – senza, peraltro, evidenziare di aver compiuto una valutazione in concreto sullo stato di capacita’ di intendere e di volere della minore (Cass., 3 dicembre 2004, n. 22776) – ha messo unicamente in rilievo (in base all’accertamento di fatto ad essa riservato) che la caduta della stessa (OMISSIS) (di anni nove) nel burrone posto nelle vicinanze della strada (“piu’ di 5 mt.”: p. 7 della sentenza di appello) sulla quale la stessa era intenta a giocare “con il fratellino nei pressi dell’abitazione dei nonni in orario pomeridiano” non potesse ascriversi “a difetto di vigilanza da parte dei genitori”, non essendo un evento “di per se’ prevedibile (ed evitabile) utilizzando la normale diligenza”, cosi’ da non potersi ravvisare “un’efficacia causale sull’evento ne’ un concorso di colpa, rilevante ai sensi dell’articolo 1227 c.c., degli adulti tenuti alla vigilanza sulla bambina” (p. 8 della sentenza di appello).
2.5. – Opinando in tal modo, la Corte territoriale ha erroneamente concentrato il giudizio esclusivamente sulla possibile responsabilita’ concorrente, nell’illecito ascritto al Comune convenuto, degli adulti tenuti alla vigilanza della minore, tralasciando ogni indagine sulla questione davvero rilevante ai fini della decisione, ossia quella dell’accertamento e della valutazione, in rapporto alla acclarata condotta omissiva colposa del Comune convenuto (non fatta oggetto di specifiche e congruenti censure in questa sede), dell’esistenza di una eventuale incidenza causale della condotta tenuta dalla stessa minore in ordine alla produzione dell’evento dannoso, in termini di concorso colposo nella sua verificazione ovvero anche di elisione stessa del nesso causale.
2.6. – Il giudizio di responsabilita’ concorrente degli adulti “vigilanti” era, infatti, irrilevante, poiche’, nella specie, viene in rilievo un evento di danno subito dalla minore di eta’ in conseguenza del fatto illecito altrui e non un illecito dalla stessa minore commesso in danno di terzi e tale, dunque, nella ricorrenza dei rispettivi presupposti, da rendere immediatamente applicabile la disciplina dell’articolo 2047 c.c., o dell’articolo 2048 c.c..
Sicche’: a) ove si fosse accertato che la minore era incapace, la questione del concorso di colpa dei “vigilanti” era esclusa dalla circostanza che la presente causa non ha ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni patiti iure proprio da chi era tenuto alla vigilanza della minore, ma soltanto la domanda risarcitoria per i danni subiti dalla stessa minore, avendo il padre di (OMISSIS) agito unicamente nella qualita’ di genitore esercente la potesta’ e non in proprio (tra le altre, Cass., 13 agosto 1966, n. 2239; Cass., 11 aprile 1986, n. 2549; Cass., 9 giugno 1994, n. 5619; Cass., 24 maggio 1997, n. 4633; Cass., 18 luglio 2003, n. 11241);
b) ove si fosse, invece, accertato che la minore era capace, la violazione dell’obbligo di vigilanza era questione interna al rapporto tra “vigilato” e “vigilante” (originante, a seconda dei casi, una responsabilita’ contrattuale o extracontrattuale) e, quindi, estranea rispetto alla domanda di danni proposta dal “vigilato” nei confronti di un terzo danneggiante (cfr. in tale prospettiva Cass., 2 marzo 2012, n. 3242, che richiama gli argomenti a sostegno dell’orientamento, consolidato, in tema di fatti autolesivi).
2.7. – La Corte territoriale, invece, avrebbe dovuto porsi come detto – la questione dell’incidenza causale della condotta della minore nella verificazione dell’evento lesivo e cio’ non solo (come si palesa evidente) nel caso di capacita’ di intendere e volere della stessa (OMISSIS) all’epoca del sinistro, ma anche ove avesse accertato il suo stato di incapacita’ naturale.
Questo in applicazione, anzitutto, del risalente e consolidato (Cass., sez. un., 17 febbraio 1964, n. 351; Cass., 12 aprile 1978, n. 1736; Cass., 5 maggio 1994, n. 4332; Cass., 24 maggio 1997, n. 4633; Cass., 10 febbraio 2005, n. 2704; Cass., 22 giugno 2009, n. 14548; Cass., 2 marzo 2012, n. 3242) principio di diritto che si intende qui ribadire e precisare:
“allorquando la vittima di un fatto illecito abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l’obbligo del responsabile di risarcire quest’ultimo si riduce proporzionalmente, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di volere, in quanto l’espressione “fatto colposo” che compare nel citato articolo 1227, non va intesa come riferentesi all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilita’, la quale presuppone l’imputabilita’, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. L’accertamento in ordine allo stato di capacita’ naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell’evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice del merito”.
2.8. – In questa complessiva ottica (ossia della verifica di sussistenza dell’incidenza causale della condotta della minore, in stato di capacita’ naturale o meno, nella verificazione dell’evento di danno) e facendo riferimento al caso di specie – riconducibile alla fattispecie di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., giacche’ ipotesi di danno cagionato dalla condotta omissiva colposa del custode della strada nel predisporre le cautele necessarie affinche’ si evitasse la situazione di pericolo rappresentata dal precipizio sito ad una distanza di 5 mt. dalla stessa sede stradale (cfr., segnatamente, p. 5 della sentenza impugnata) – va, dunque, enunciato il seguente e ulteriore principio di diritto:
“quanto piu’ la situazione di possibile danno e’ suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (secondo uno standard di comportamento correlato, dunque, al caso concreto), tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del suo comportamento imprudente (in quanto oggettivamente deviato rispetto alla regola di condotta doverosa cui conformarsi) nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benche’ astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale. L’accertamento delle anzidette circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all’apprezzamento del giudice del merito”.
2.8. – Tale, dunque, avrebbe dovuto essere – alla luce delle norme implicate nella fattispecie oggetto di cognizione giudiziale (articolo 2043 c.c., articolo 1227 c.c., comma 1, articoli 40 e 41 c.p.) e in base al “fatto materiale” oggetto di sussunzione, secondo l’accertamento di esso esclusivamente riservato al giudice del merito -, la quaestio iuris che si imponeva alla Corte di appello di esaminare e risolvere e che, invece, non ha trovato evidenza alcuna.
3. – Con il terzo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 1223, 2043, 2051, 2056 e 2057 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto liquidabile il “danno per mancato guadagno futuro” pur in presenza dell’accertamento di una riduzione della sola capacita’ lavorativa generica, peraltro in misura modesta (8%), da ricondursi nell’ambito del danno biologico, e in favore di una minore di nove anni di eta’ che “non svolge alcuna attivita’ di lavoro”.
3.1. – Il motivo, in quanto attinente al quantum debeatur, e’ assorbito dall’accoglimento dei primi due mezzi, che pongono in discussione l’an debeatur sotto il profilo della eventuale incidenza, anche totale, della condotta della danneggiata nella produzione dell’evento lesivo.
4. – Vanno, dunque, accolti i primi due motivi nei termini sopra precisati e dichiarato assorbito il terzo motivo.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che dovra’ nuovamente delibare l’appello del Comune di (OMISSIS) (anzitutto) in punto di an debeatur alla luce dei principi enunciati ai precedenti §§ 2.7. e 2.8., oltre che a provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi di ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.