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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3035
soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto piu’ grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’, e’ consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.
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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3035
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23651-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA IN LCA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore e Commissario Liquidatore Prof. Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA, (INCORPORANTE (OMISSIS) SPA), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 4747/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), nella veste di genitore del minore (OMISSIS), nel 2000 convenne dinanzi al Tribunale di Velletri, sezione di Albano, (OMISSIS), la (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa e l’ (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la (OMISSIS)”), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti dal proprio figlio (OMISSIS) in conseguenza d’un sinistro stradale, avvenuto il (OMISSIS) e causato – nella prospettazione attorea – da un veicolo Opel di proprieta’ di (OMISSIS) ed assicurato dalla (OMISSIS).
Il contraddittorio venne integrato nei confronti di (OMISSIS), che risulto’ proprietario del veicolo Opel.
2. Con sentenza 16.2.2006 n. 258 il Tribunale accolse la domanda, e liquido’ alla vittima la somma di Euro 77.435 a titolo di risarcimento del danno biologico, ed Euro 58.998,75 a titolo di risarcimento del “danno morale”.
3. La Corte d’appello di Roma, adita dalla parte vittoriosa che domandava una piu’ cospicua liquidazione del risarcimento, con sentenza 15.7.2014 n. 4747, rigetto’ il gravame.
La Corte d’appello, dopo avere premesso che l’appellante aveva formulato una “generica perorazione volta a sostituire un diverso giudizio a quello fatto proprio dal primo giudice”, ritenne che:
(-) il grado di invalidita’ permanente patito dalla vittima fu correttamente stimato dal primo giudice nella misura del 30%;
(-) il giudice di primo grado aveva adeguatamente personalizzato il risarcimento del danno non patrimoniale, tenendo in debito conto le specificita’ del caso concreto per come dedotte e dimostrate;
(-) la vittima non aveva dimostrato di avere subito alcun danno patrimoniale da riduzione della capacita’ di lavoro.
4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), nelle more del giudizio divenuto maggiorenne, con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito con controricorso la sola (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto generico, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., un appello che invece doveva ritenersi specifico e percio’ ammissibile, in particolare sotto tre profili:
(-) nella parte in cui aveva lamentato “l’omessa valutazione e liquidazione del danno alla vita di relazione sociale del danno esistenziale”;
(-) nella parte in cui aveva lamentato “l’omessa valutazione e liquidazione del danno di natura psichica consistito nella ipocondria depressiva”;
(-) nella parte in cui aveva lamentato l’omessa valutazione del danno patrimoniale alla capacita’ lavorativa.
1.2. Il motivo e’ inammissibile per difetto di rilevanza.
E’ vero, infatti, che la corte d’appello a p. 2 della sentenza oggi in esame ha affermato “l’appello e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi ai sensi dell’articolo 342 c.p.c.”.
Tuttavia e’ altresi’ vero che, nelle pagine seguenti, la Corte d’appello non solo mostra di avere perfettamente compreso quale fosse il contenuto delle censure proposte dall’appellante, ma le esamina nel merito e le dichiara infondate. La sentenza si conclude poi con un dispositivo nel quale si dichiara di “respingere l’appello”.
Ora, e’ noto che i provvedimenti giurisdizionali vanno interpretati e qualificati sub specie iuris non gia’ estrapolandone singole parti, ma valutandoli nel loro complesso.
Nel nostro caso sia il diffuso esame dei motivi d’appello contenuto nelle pp. da 3 a 6 comprese della sentenza; sia il dispositivo di reiezione dell’appello, impongono di concludere che la Corte d’appello non abbia affatto inteso dichiarare “inammissibile”, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., il gravame, ma l’abbia esaminato e rigettato nel merito, e che l’accenno all’articolo 342 c.p.c. di cui a p. 2 della sentenza costituisca un superfluo obiter dictum.
2. Il secondo motivo.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 2 Cost.; articoli 1226 e 2056 c.c.; articoli 112, 115, 116 e 132 c.p.c.; articolo 118 disp. att. c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Nell’illustrazione del motivo il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe violato il principio di integrale riparazione del danno, oltre che i principi costituzionali di tutela dei diritti inviolabili della persona, per aver rigettato la domanda di risarcimento del danno esistenziale e del danno alla vita di relazione.
2.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, il motivo e’ manifestamente inammissibile: la censura di omesso esame d’un fatto decisivo non viene infatti nemmeno illustrata.
2.3. Nella parte in cui lamenta il vizio di violazione di legge, il motivo e’ infondato.
Violazione del principio di integrale riparazione del danno vi sarebbe stata, in tesi, se il giudice di merito, dopo avere accertato in facto l’esistenza d’un determinato pregiudizio, ne avesse negato in iure la risarcibilita’.
Non e’ questo, tuttavia, il nostro caso. Qui la Corte d’appello, dopo avere accertato che la vittima pati’, in conseguenza del sinistro, una invalidita’ fisica permanente del 30%, ha ritenuto che la somma di Euro 136.433,75, liquidata dal Tribunale a ristoro di tale danno, fosse adeguata a riparare tutti i pregiudizi non patrimoniali conseguiti al fatto illecito, “anche sotto l’aspetto relazionale ed esistenziale”, per come dedotti e dimostrati.
Si tratta di una statuizione rispettosa dei principi piu’ volte affermati da questa Corte, secondo cui:
(-) il danno non patrimoniale ha natura omnicomprensiva (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008);
(-) la particolare incidenza d’una lesione della salute su particolari capacita’ od attitudini della vittima puo’ giustificare un aumento della misura standard del risarcimento (ex permultis, Sez. 3 -, Cassazione n. 21939 del 21/09/2017; Cassazione n. 23778 del 07/11/2014);
(-) le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, e devono essere allegate in modo circostanziato e provate dall’attore, ne’ possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cassazione n. 24471 del 18/11/2014).
2.3. Nel caso di specie, il ricorrente sostiene (foglio 6, ultimo capoverso, del ricorso, le cui pagine non sono numerate) che la perdita di un occhio, da lui sofferta in conseguenza del sinistro, “affligge una delle funzioni basilari dell’essere umano”, e che tale perdita, cosi’ come la cicatrice derivatane, “hanno per sempre sconvolto la (sua) vita personale, sociale e sentimentale”.
Una deduzione di questo tipo e’ insignificante dal punto di vista medico legale prima, e dal punto di vista giuridico poi.
2.3.1. E’ insignificante dal punto di vista medico legale, perche’ il grado di invalidita’ permanente suggerito da un bare’me medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima.
Il grado percentuale di invalidita’ permanente non indica infatti, al contrario di quanto alcuni si ostinano a ritenere, la mera compromissione dell’integrita’ psicofisica, in se’ e per se’ considerata, ma rappresenta l’intensita’ delle conseguenze che da quella compromissione sono derivate sulla vita concreta della vittima.
In questo senso si espresse gia’ vari anni fa la Societa’ Italiana di Medicina Legale, la quale defini’ il danno biologico, espresso nella percentuale di invalidita’ permanente, come “la menomazione (…) all’integrita’ psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali (…), espressa in termini di percentuale della menomazione dell’integrita’ psicofisica, comprensiva della incidenza sulle attivita’ quotidiane comuni a tutti”.
La percentuale di “invalidita’ permanente” esprime dunque un pregiudizio dinamico, e non statico; relazionale e non solo individuale, e per l’esattezza il pregiudizio che i postumi hanno prodotto su tutte le attivita’ della vittima “comuni a tutti”.
2.3.2. Sul piano strettamente giuridico consegue, da quanto esposto, che per potere pretendere in giudizio un risarcimento ulteriore rispetto a quello ottenuto mediante la monetizzazione del grado di invalidita’ permanente, e’ necessario dedurre e dimostrare che la menomazione, nel caso concreto, ha prodotto conseguenze ulteriori e piu’ gravi di quelle che solitamente produce in persone dello stesso sesso e della stessa eta’ della vittima.
Ma nel caso di specie sarebbe vano cercare negli atti del ricorrente l’indicazione di quali siano state, nel caso di specie, queste conseguenze “piu’ gravi” rispetto ai casi consimili.
In applicazione di tali principi, questa Corte ha gia’ stabilito che soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto piu’ grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’, e’ consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; Sez. 3, Sentenza n. 24471 del 18/11/2014).
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. L’epigrafe del terzo motivo di ricorso (foglio 7 del ricorso) riproduce ad litteram quella del secondo motivo.
Anche in questo caso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta ancora una volta la violazione dell’articolo 2 Cost.; articoli 1226 e 2056 c.c.; articoli 112, 115, 116 e 132 c.p.c.; articolo 118 disp. att. c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Nell’illustrazione del motivo il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacita’ lavorativa generica e specifica.
Sostiene che la perdita della vista da un occhio costituirebbe un danno patrimoniale in re ipsa; che la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione i documenti dai quali risultava che la vittima, al momento dell’infortunio, studiava come apprendista cuoco; che anche uno studente od un disoccupato puo’ patire un danno patrimoniale da riduzione della capacita’ di lavoro; che lo stesso consulente tecnico d’ufficio aveva ammesso che l’invalidita’ patita dalla vittima avrebbe inciso su tutte le attivita’ di lavoro per le quali e’ richiesta la visione binoculare.
3.2. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il motivo e’ infondato.
Il problema della esistenza d’un danno patrimoniale da lucro cessante e’ stato infatti espressamente preso in esame dalla Corte d’appello, alle pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata.
V’e’ solo da aggiungere che l’omesso esame d’un documento o comunque d’una fonte di prova, da parte del giudice di merito, non costituisce un errore censurabile ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5, cosi’ come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, ove si afferma: “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”).
3.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo e’ del pari infondato.
La Corte d’appello non ha affatto affermato che un minore o uno studente non possano patire, in conseguenza di lesioni personali, un danno patrimoniale da riduzione della capacita’ di lavoro.
Ha semplicemente ritenuto che, nel caso di specie, non esistevano elementi per formulare un giudizio anche solo di probabilita’ sull’esistenza di tale danno.
Tale valutazione per un verso costituisce un apprezzamento di fatto, come tale non sindacabile in questa sede; per altro verso e’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di accertamento e liquidazione del danno futuro, secondo la quale tale danno va accertato in base a presunzioni semplici e all’id quod plerumque accidit, ma e’ pur sempre necessario che tali presunzioni si fondino su fatti noti e concreti dedotti dall’interessato.
Nel caso di specie, per contro, la Corte d’appello ha rilevato come l’attore non avesse fornito la prova “delle sue attitudini personali ne’ altri elementi d’ordine presuntivo che consentano di ritenere dimostrata la perdita effettiva della possibilita’ di svolgere lavori adeguati alla sua predisposizione”: valutazione, quest’ultima, non illegittima ne’ illogica, posto che un lavoratore del settore turistico-alberghiero non ha di norma bisogno della visione binoculare per lo svolgimento delle proprie mansioni.
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 112, 115, 116 e 132 c.p.c.; articolo 118 disp. att. c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Sostiene che la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sull’istanza da lui formulata, intesa ad ottenere che venisse disposta una nuova consulenza tecnica d’ufficio sulla persona dell’attore, per accertare il danno psichico da questi patito. Spiega che tale istanza era giustificata dal fatto che il consulente tecnico d’ufficio “non sottoponeva il ricorrente ad alcun test specifico, ma si limitava ad effettuare un colloquio preliminare dal quale desumeva l’assenza della riferita patologia depressiva”.
4.2. Il motivo e’ inammissibile per la sua genericita’, che impedisce a questa Corte di saggiarne la decisivita’.
4.3. La scelta di disporre o non disporre una consulenza tecnica d’ufficio, cosi’ come quella di rinnovarla o non rinnovarla, costituiscono valutazioni discrezionali riservate al giudice di merito.
L’esercizio di tale discrezionalita’ potrebbe tuttavia essere sindacato in sede di legittimita’, perche’ si tradurrebbe in un vizio del procedimento, quando ricorrano due presupposti:
(a) i fatti costitutivi della domanda (o dell’eccezione) non potrebbero essere provati altrimenti che con una consulenza tecnica;
(b) il giudice trascuri di nominare un consulente; ovvero, nominatolo, trascuri di esaminare le motivate ed analitiche censure tecniche mosse al suo operato.
Nel caso di specie il ricorrente, per quanto detto, ascrive al giudice di non avere voluto rinnovare un esame medico svolto, a suo dire, superficialmente.
Ma una simile evenienza, di per se’, non costituisce un vizio metodologico della consulenza, e non impone al giudice di rinnovarla. Infatti, da un punto di vista teorico, in assenza d’una storia clinica documentata per patologie psichiche e di sintomi evidenti, non errerebbe il consulente che evitasse di disporre ulteriori ed inutili approfondimenti.
Pertanto, per potere censurare – sotto il profilo dell’illogicita’ manifesta della motivazione – la sentenza che avalli l’operato d’un consulente superficiale o malaccorto, e’ pur sempre necessario dedurre che il consulente, se avesse correttamente condotto l’esame a lui richiesto, sarebbe verosimilmente pervenuto a conclusioni diverse.
Applicando questi principi al nostro caso, ne discende che sarebbe stato onere del ricorrente, in questa sede, esporre quali elementi di fatto, e risultanti da quali fonti di prova, consigliavano od addirittura imponevano al consulente di non limitarsi ad un mero colloquio con la persona da visitare, ma di compiere un piu’ approfondito esame neuropsichiatrico.
In assenza di tale allegazione il motivo va dunque dichiarato inammissibile, in quanto aspecifico.
5. Le spese.
5.1. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 7.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.