Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3022

la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso puo’ pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e cio’ sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’articolo 32 della legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex articolo 24 stessa legge.

 

Per una più completa ricerca di giurisprudenza, si consiglia la Raccolta di massime delle principali sentenza della Cassazione che è consultabile on line oppure scaricabile in formato pdf

Per ulteriori approfondimenti in materia di locazioni si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 8 febbraio 2018, n. 3022

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18807/2015 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 563/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

RILEVATO

che:

– (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, domandando il pagamento della somma di Euro 28.025,70, oltre accessori;

– dopo aver premesso che tra le parti erano stati stipulati due contratti di locazione (il 9 febbraio 1988 e il 29 giugno 1992) relativi a diversi immobili ubicati in (OMISSIS), gli attori affermavano che il predetto importo era dovuto a titolo di canoni insoluti, di adeguamenti ISTAT non corrisposti, di oneri accessori al godimento dei cespiti e di risarcimenti di danni arrecati ai locali;

– l’Amministrazione convenuta resisteva chiedendo il rigetto delle istanze svolte nei suoi confronti;

– il Tribunale di Catanzaro ritenne che la parte non avesse specificato il contratto in relazione al quale i canoni erano insoluti e l’ammontare specifico di quelli non pagati (tanto che la mancata contestazione dell’Amministrazione era irrilevante, mentre era incomprensibile la richiesta attorea di Euro 4.642,34), che difettava la prova della richiesta di aggiornamento Istat e i periodi di riferimento, che erano attinenti all’ordinaria manutenzione le spese afferenti al ripristino dell’immobile dopo l’uso (per contratto poste a carico della proprietaria);

– pertanto, con la sentenza n. 1208 del 2 luglio 2013, accoglieva parzialmente la domanda condannando il Ministero convenuto al pagamento della somma di Euro 92,96, dovute per la rimozione dell’impianto telematico, la sostituzione del frontalino del citofono e l’eliminazione del materiale depositato in un piccolo chiostro, oltre a interessi e rivalutazione monetaria;

– la pronuncia di primo grado, fatta oggetto di impugnazione degli attori, veniva confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro sulle seguenti considerazioni: a) la mancata contestazione dell’Amministrazione per i canoni richiesti era irrilevante in mancanza di idonea specificazione dei fatti costitutivi a cui correttamente il Tribunale aveva ritenuto di non poter sopperire d’ufficio, ne’ in appello era possibile superare le preclusioni di primo grado; b) gli aggiornamenti Istat erano stati negati in mancanza di prova di averli richiesti e tale assunto non era stato censurato; la nota del 30 settembre 2002 non era indicata negli atti di primo grado ed era successiva alla risoluzione del rapporto (1998); c) alla luce degli accordi contrattuali i pretesi danni restavano a carico dei proprietari, mentre nessun riconoscimento era contenuto nella nota dell’Agenzia delle Entrate che rimetteva tutto al competente Dipartimento del Ministero;

– (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) impugnano la sentenza n. 563 del 30 aprile 2015 della Corte territoriale proponendo ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

– il Ministero si e’ costituito solo per l’eventuale partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 347 c.p.c., comma 3, per avere la Corte d’appello adottato la propria decisione senza la preventiva e necessaria acquisizione del fascicolo d’ufficio del primo grado, pur disposta ma non evasa, contenente tra l’altro – i verbali delle udienze (anche di assunzione delle prove testimoniali), le ordinanze di ingiunzione emesse in corso di causa e l’elaborato peritale del consulente tecnico d’ufficio. A detta della parte, in tali verbali erano evidenziati i riconoscimenti di debito del Ministero, tant’e’ che il Tribunale aveva emesso ordinanze ingiuntive per canoni e danni. La mancanza del fascicolo di ufficio non avrebbe consentito alla Corte una corretta valutazione dei fatti costitutivi corroborati dalla C.Testo Unico (che aveva riconosciuto danni per Euro 17.532,93 oltre IVA).

2. Questa Corte ha piu’ volte statuito che “L’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado nel processo d’appello ha una funzione meramente sussidiaria, sicche’, in mancanza, il procedimento di secondo grado, e la relativa sentenza, non sono viziati, ne’ tale omissione puo’ costituire motivo di ricorso per cassazione, salvo che il ricorrente deduca che da detto fascicolo il giudice avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi su uno o piu’ punti controversi della causa, non rilevabili aliunde, che e’ suo onere indicare specificatamente” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1678 del 29/01/2016, Rv. 638540-01; analogamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3181 del 14/02/2006, Rv. 590313-01).

E’ onere della parte ricorrente, dunque, indicare con precisione quali elementi decisivi del giudizio, non rilevabili aliunde, risultino trascurati in conseguenza del mancato esame del fascicolo di primo grado.

Nel ricorso si afferma che “nei verbali di causa… emergono innanzitutto le dettagliate deduzioni a verbale di udienza (cfr. il verbale dell’udienza del 17.2.2005 e, soprattutto, del 20.10.2005) in cui si evidenziano al Giudicante i chiari riconoscimenti di debito (docc. 10, 11, 12 e 14 del fascicolo di parte attrici di primo grado) in merito alle somme non contestate sia per i canoni di locazione mai corrisposti che per la quantificazione dei danni subiti dagli immobili a seguito della locazione”.

Col proprio ricorso la parte ricorrente, senza cogliere la prima ratio decidendi del provvedimento impugnato (e cioe’, come meglio si dira’ nel prosieguo, la valutazione di genericita’ della domanda formulata), non afferma (ne’ dimostra) di aver effettuato, nel corso del processo, una precisazione della domanda o un’emendatio libelli autorizzata ex articolo 420 c.p.c. (peraltro, cio’ e’ stato escluso dalla Corte Territoriale): se l’originaria esposizione del petitum e della causa petendi e’ stata lacunosa (come ritenuto dal giudice del merito), soltanto la sua integrazione nel corso del processo (se eseguita con le modalita’ e le forme consentite dal codice di rito) avrebbe potuto “sanare” tale difetto, di talche’ l’acquisizione di verbali dai quali – a dire dei ricorrenti – emergono “chiari riconoscimenti di debito” non avrebbe comunque assunto un ruolo decisivo per inficiare la decisione impugnata.

In riferimento all’ulteriore considerazione dei ricorrenti – secondo cui “in esito a tali circostanziate deduzioni a verbale” e “in esito alle puntuali deduzioni a verbale di udienza del 20.4.2006” sono state emesse le ordinanze di ingiunzione del 28 novembre 2005 e del 5 aprile 2007 – si deve confermare il giudizio di irrilevanza (e, quindi, di non decisivita’) formulato dalla Corte d’appello poiche’, come correttamente osservato, tali provvedimenti sono caratterizzati da provvisorieta’ e sono suscettibili di revoca in sede di decisione (articolo 423 c.p.c.): conseguentemente, si deve escludere la possibilita’ di attribuire alle menzionate ordinanze l’efficacia di dimostrare inconfutabilmente la specificita’ della domanda attorea (e, invero, esse non sono idonee nemmeno a provarne la fondatezza).

Quanto alla mancata acquisizione della prova testimoniale e della consulenza tecnica d’ufficio sui pregiudizi riscontrati al momento del rilascio del cespite, il ricorso si limita ad affermare (apoditticamente) la loro decisivita’; in proposito si osserva che la parte non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, dalla quale si evince la superfluita’ dell’esame delle deposizioni e delle conclusioni del perito sull’ammontare dei danni arrecati ai locali. Infatti, pur se tale questione sara’ piu’ diffusamente trattata esaminando il quarto motivo di ricorso, sin d’ora puo’ constatarsi che la Corte territoriale ha fatto riferimento alla “analitica ricostruzione operata dal Tribunale in punto di qualificazione dei danni nel novero di quelli ricompresi nella ordinaria alea gravante sulla parte proprietaria”, argomentazione che non risulta censurata con l’atto di appello e nemmeno col ricorso per cassazione.

3. Con il secondo motivo la parte ricorrente, richiamando l’articolo 360 c.p.c., n. 3, censura la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 1571, 1587 c.c. e articolo 115, 426, 633 e 634 c.p.c., in quanto erroneamente sarebbe stata affermata, nella decisione impugnata (cosi’ come in quella di primo grado), la genericita’ della domanda avanzata in ragione della mancata allegazione e prova dei suoi elementi costitutivi; in particolare, sostengono i ricorrenti che l’atto introduttivo aveva esplicitamente indicato le fonti negoziali del loro credito (i contratti di locazione stipulati col Ministero), richiamato “tutta la corrispondenza intercorsa (docc. 8 e 13 del fascicolo di parte attrice di primo grado) nella quale chiaramente era stato evidenziato innanzitutto il mancato pagamento dei canoni di locazione rivalutati ed afferenti il primo contratto per il periodo di giorni 91 dal 10.10.1998 al 8.11.1998” e che le causali dell’obbligazione erano state “ulteriormente specificate con le deduzioni a verbale di udienza, sin dall’originaria instaurazione del giudizio”; dalla medesima documentazione si poteva altresi’ evincere la prova documentale del credito, peraltro non contestato (parzialmente) dal convenuto, condotta processuale a cui i giudici di merito avevano mancato di attribuire il dovuto rilievo.

4. La Corte territoriale – nel riportare le statuizioni della pronuncia appellata secondo cui “non risultava specificato quale dei due contratti stipulati non fosse oggetto di corretto adempimento e quali canoni fossero rimasti impagati” e “nessuna integrazione era stata operata dall’attore in corso di giudizio, ne’ si rinveniva nell’atto introduttivo il richiamo a documenti all’uopo ritenuti utili” – ha confermato la valutazione di genericita’ della domanda inizialmente svolta dagli odierni ricorrenti in ordine al pagamento di canoni insoluti, tanto che – difettando “la specifica indicazione del numero delle mensilita’ non corrisposte, dell’immobile oggetto di locazione, del contratto specifico regolante il rapporto in contestazione e l’importo della connessa obbligazione” – al giudice di prime cure era stato di fatto attribuito il compito di “operare – in via integrativa ed ex officio – la individuazione dei dati necessari per l’accoglimento della domanda”.

A tale argomentazione la parte ricorrente ribatte che l’atto introduttivo conteneva l’indicazione dei due contratti stipulati col Ministero e richiamava la corrispondenza depositata, all’interno della quale potevano rinvenirsi documenti contenenti una precisa individuazione degli elementi costitutivi della richiesta, nonche’ la prova della sua fondatezza.

I ricorrenti sovrappongono erroneamente il piano dell’allegazione con quello della prova arrivando ad affermare che “non vi era stata alcuna necessita’ di “integrazione officiosa dell’originaria richiesta” proprio perche’ il credito… era fondato su prova scritta e non vi era stata alcuna contestazione ad opera della controparte”, ma la questione in diritto attiene, innanzitutto, alle modalita’ di esposizione del petitum e della causa petendi, posto che la dimostrazione processuale deve riferirsi ai fatti tempestivamente allegati con la domanda introduttiva: in particolare, occorre chiarire se, per individuare il quadro delle allegazioni rilevanti, e’ possibile far riferimento anche ai documenti prodotti con l’atto introduttivo (qualificati come “elementi specificanti” dall’odierna parte ricorrente) oppure no.

Secondo alcune decisioni di legittimita’, “la nullita’ dell’atto di citazione per petitum omesso od assolutamente incerto, ai sensi dell’articolo 164 c.p.c., comma 4, postula una valutazione caso per caso, dovendosi tener conto, a tal fine, del contenuto complessivo dell’atto di citazione, dei documenti ad esso allegati, nonche’, in relazione allo scopo del requisito di consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese, della natura dell’oggetto e delle relazioni in cui, con esso, si trovi la controparte” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1681 del 29/01/2015, Rv. 634607-01; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17023 del 12/11/2003, Rv. 568105-01).

Si rinvengono, poi, altre pronunce che escludono radicalmente l’ammissibilita’ di allegazioni di fatto che rimandino per relationem alle produzioni documentali.

Il diverso orientamento evidenzia che l’individuazione degli elementi costitutivi della domanda nei documenti richiamati pregiudicherebbe – quantomeno nel rito ordinario – le esigenze difensive del convenuto, il quale deve poter approntare la sua difesa immediatamente, senza attendere il successivo deposito dei documenti allegati all’atto di citazione.

In ogni caso, la controparte sarebbe costretta a dover ricavare l’allegazione mediante l’interpretazione dei documenti, il cui deposito, pero’, soddisfa esigenze probatorie e non di integrazione della domanda.

Costituiscono espressione di tale ultimo orientamento le pronunce Cass., Sez. 1, Sentenza n. 29241 del 12/12/2008, Rv. 606057-01 (che, con riguardo ad una domanda di equo indennizzo ai sensi della Legge n. 89 del 2001, ha cosi’ statuito: “La domanda… riguardando un diritto di credito,… necessariamente eterodeterminato, richiede, stante l’esigenza del convenuto di apprestare le proprie difese, la puntuale osservanza dell’articolo 164 c.p.c., comma 4, con l’esatta individuazione del petitum e della causa petendi attraverso la corretta ed esaustiva esposizione dei fatti, a tale scopo non potendosi tenere conto della documentazione allegata dall’attore all’atto di citazione, poiche’ la relativa produzione, a norma dell’articolo 165 c.p.c., avviene successivamente, al momento della sua costituzione con finalita’ meramente probatorie”) e Cass., Sez. U, Sentenza n. 2435 dell’1/12/2008 (“In termini opposti rispetto a quanto invocato dalla ricorrente, infatti, deve ribadirsi – in conformita’, del resto, ad una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice – che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilita’ di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (cfr. Cass. 16 agosto 1990, n. 8304). Poiche’ nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall’iniziativa della parte e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, al giudice e’ inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o comunque – sollecitate dalla parte interessata (cfr. Cass. 12 febbraio 1994, n. 1419; Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385. Nel senso che perche’ il giudice possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso deve accertare, oltre la ritualita’ della produzione, cioe’ verificare che la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una eccezione, espressamente basata su quei documenti, Cass. 22 novembre 2000, n. 15103, specie in motivazione)”.

Inoltre – considerato che “l’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi e’ soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’articolo 214 c.p.c. o di proporre – ove occorra – querela di falso” (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 6606 del 06/04/2016, Rv. 639300-01; analogamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254-01: “L’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti”) – si deve necessariamente concludere che le affermazioni del diritto preteso devono essere specificamente enunciate nell’atto, al quale le produzioni documentali forniscono un mero supporto probatorio, senza assurgere a funzione integrativa di una domanda carente di specificita’.

Aderendo a quest’ultimo orientamento, si deve escludere in radice che la mancata indicazione degli elementi costitutivi della domanda genericamente formulata possa essere integrata da una sua specificazione effettuata mediante uno dei documenti prodotti dalla parte attrice.

Ad ogni buon conto, anche in una valutazione “caso per caso” (come richiedono Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1681 del 29/01/2015, Rv. 634607-01, e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17023 del 12/11/2003, Rv. 568105-01), nella fattispecie in esame il generico rimando alla “corrispondenza intercorsa” non e’ di per se’ sufficiente a consentire alla controparte di apprestare adeguate e puntuali difese: in proposito, si osserva che l’odierna parte ricorrente non riporta con precisione le espressioni impiegate per effettuare il rinvio alla documentazione prodotta limitandosi il ricorso ad affermare che era stata “richiamata tutta la corrispondenza intercorsa”; anche a voler trascurare l’inosservanza del principio di autosufficienza, si evidenzia che un generico richiamo dei documenti non puo’ in alcun modo svolgere una funzione integrativa del petitum e della causa petendi con l’effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) di scoprire, tra le varie produzioni, quali sono quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda (senza pero’ esplicitarlo nell’atto introduttivo).

Come gia’ esposto con riguardo al primo motivo, il ricorso non da’ atto di successive emendationes libelli, ne’ confuta l’affermazione della Corte di merito secondo cui “nessuna integrazione era stata operata dall’attore in corso di giudizio”, limitandosi la parte ad asserire apoditticamente che cio’ e’ avvenuto ed e’ stato ritenuto sufficiente per l’emissione di ordinanze di ingiunzione (circostanza che, come detto, e’ ex se irrilevante).

Le ulteriori censure contenute nel secondo motivo attengono alla pretesa non contestazione della sussistenza e dell’entita’ del credito da parte del Ministero convenuto, nonche’ alla sua prova.

Oltre ad essere carenti per mancanza di autosufficienza del ricorso (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 12840 del 22/05/2017, Rv. 64438301, specifica quali sono gli oneri del ricorrente che deduca la violazione del principio di non contestazione, non certo soddisfatti dall’odierna parte ricorrente), le censure non colgono nel segno: difatti, la Corte territoriale non ha affatto violato l’articolo 115 c.p.c., ma ha ritenuto – correttamente – che la regola non possa operare in presenza di generiche asserzioni di parte attrice (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21075 del 19/10/2016, Rv. 642939-01: “L’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicche’, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non puo’ che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte”).

Quanto alle prove documentali offerte, di cui si denuncia un omesso o erroneo esame, si osserva che l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non e’ mai sindacabile in sede di legittimita’.

In conclusione, per quanto esposto, il motivo e’ infondato.

5. Con il terzo motivo (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) lamentano violazione e falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., n. 3, L. n. 392 del 1978, articolo 32, per avere la Corte d’appello considerato non provata la richiesta di aggiornamento dei canoni di locazione nel corso del rapporto contrattuale, omettendo cosi’ di esaminare i documenti (anche interruttivi della prescrizione) prodotti.

6. Nel respingere la domanda attorea, la sentenza impugnata ha aderito alle statuizioni di questa stessa Sezione, secondo cui “la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso puo’ pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e cio’ sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’articolo 32 della legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex articolo 24 stessa legge (v. Cass. n. 14673 del 2003)” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11675 del 26/05/2014, Rv. 631068-01).

I ricorrenti lamentano un’erronea valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte territoriale, non essendo stato considerato che il Ministero convenuto aveva regolarmente corrisposto il canone aggiornato per un certo periodo (circostanza da cui si sarebbe dovuta evincere la prova, quantomeno presuntiva, della richiesta formulata nel corso del rapporto), ne’ adeguatamente esaminate le missive con cui tale domanda era stata rivolta al conduttore.

Il motivo e’ inammissibile perche’ la parte ricorrente mira a un riesame dei fatti di causa e delle risultanze probatorie gia’ apprezzati dal giudice di merito e, cosi’, a realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690-01).

7. Con il quarto motivo si denuncia, richiamando l’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1590, 2043 e 2735 c.c., con riguardo al rigetto della domanda di risarcimento dei danni arrecati agli immobili locati; i ricorrenti affermano che era stato pretermesso, dalla Corte di merito, l’esame delle prove documentali anche di quelle aventi natura confessoria – dalle quali poteva ritrarsi la prova dell’an e del quantum del pregiudizio.

8. Il motivo e’ inammissibile.

Nel rigettare l’appello, la Corte catanzarese rileva che “a fronte della analitica ricostruzione operata dal Tribunale in punto di qualificazione dei danni nel novero di quelli ricompresi nella ordinaria alea gravante sulla parte proprietaria, nulla di specifico e’ stato contestato”.

La parte ricorrente avrebbe dovuto, quindi, dapprima riportare le argomentazioni sul punto addotte dal giudice di primo grado (alle quali la sentenza di appello fa riferimento) e, poi, dimostrare di aver svolto con l’appello specifiche censure, non esaminate dal giudice del gravame.

Al contrario, pure nel ricorso per cassazione i ricorrenti si limitano ad affermare che “gli interventi minimi ritenuti necessari dal CTU per il ripristino dello stato dei luoghi non sembrano pertanto rientrare “nell’ordinario deterioramento connesso all’uso” come erroneamente ritenuto dal Collegio di appello” senza svolgere un iter argomentativo diretto a confutare la fondatezza giuridica della decisione.

L’unica deduzione a sostegno delle proprie censure e’ costituita da una pretesa confessione della controparte sull’obbligazione risarcitoria, asseritamente ignorata dal giudice di appello; in realta’, quest’ultimo ha preso in esame la documentazione indicata dagli appellanti e, con giudizio di merito sottratto al sindacato di legittimita’, ha ritenuto che “dalla lettura dei documenti (nel prosieguo delta motivazione esaminati in dettaglio) non e’ dato rilevare la sussistenza di specifici accordi – intervenuti tra le parti aventi ad oggetto eventuali obbligazioni risarcitorie”, posto che “ogni determinazione in tal senso veniva ad esser rimessa al competente Dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze”.

9. In mancanza di attivita’ difensive svolte dal Ministero intimato, non si provvede alla liquidazione delle spese. Sussistono, invece, i presupposti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.