Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 12 marzo 2018, n. 5948
Il cosiddetto premio fedelta’, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianita’ di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro – che e’ un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalita’ concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale – deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio) e’ piu’ ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione, comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto cio’ che il lavoratore riceva o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12.
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente
Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25902-2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. – (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrenti –
sul ricorso 26078-2012 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS) C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 691/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/11/2011 r.g.n. 1229/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/11/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano (sentenza del 10.11.2011), pronunziando sull’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva annullato la cartella esattoriale opposta dall’intimata societa’ (OMISSIS) s.p.a., ha riformato parzialmente tale decisione, accertando la legittimita’ dell’iscrizione a ruolo dei soli contributi omessi relativi al premio delle tre mensilita’ ed ha condannato l’opponente al pagamento dei relativi contributi per il periodo oggetto di causa, oltre che al versamento delle sanzioni civili di cui alla L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 8, lettera a).
La Corte territoriale ha spiegato che l’Inps, facendo acquiescenza agli altri capi della sentenza, aveva fondatamente lamentato l’erroneita’ della decisione nella parte in cui era stata erroneamente ritenuta non fondata l’interruzione della prescrizione del credito contributivo vantato in ordine all’erogazione dell’indennita’ delle tre mensilita’ della retribuzione corrisposta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Inoltre, secondo la stessa Corte, la sanzione per tale mancato versamento era riconducibile all’ipotesi dell’omissione e non a quella dell’evasione contributiva.
Per la cassazione della sentenza ricorrono separatamente la societa’ (OMISSIS) s.p.a. e l’Inps, rispettivamente con otto e due motivi.
Entrambe le parti resistono agli avversi ricorsi con controricorso, depositando, altresi’, memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 1335 c.c., la societa’ (OMISSIS) s.p.a. si duole della decisione attraverso la quale la Corte d’appello di Milano ha ritenuto provata l’interruzione della prescrizione sulla base della produzione in giudizio di una lettera raccomandata, nonostante che l’Inps non avesse allegato la prova dell’avvenuta spedizione e dell’avvenuta consegna di tale raccomandata.
2. Col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 416 c.p.c., la difesa della societa’ lamenta che la Corte di merito ha disatteso l’eccezione di prescrizione sulla base della produzione, da parte dell’Inps, della cartolina di ricevimento della raccomandata dell’8 novembre 2000 ad oltre due anni di distanza dalla sua costituzione in giudizio.
3. Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione degli articoli 2943 e 2697 c.c. in relazione agli articoli 420, 421 e 437 c.p.c., la ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, il giudice di primo grado non aveva acquisito agli atti la copia dell’originale della cartolina di ricevimento della raccomandata, in quanto all’udienza dell’1.7.2008, a fronte della tardiva produzione documentale effettuata dall’Inps, il giudicante non aveva assunto alcun provvedimento.
4. Col quarto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli articoli 279 e 340 c.p.c., la societa’ lamenta che l’Inps non aveva proposto riserva d’appello avverso l’ordinanza istruttoria resa dal primo giudice all’udienza del 18.5.2007, ordinanza in cui vi era il riferimento ad un riconoscimento delle parti circa l’intervenuta prescrizione su tutta la questione dedotta in giudizio, fatta eccezione per quella relativa alla qualificazione del rapporto dei tre medici di fabbrica.
5. Col quinto motivo, attraverso il quale si denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 329 c.p.c., si evidenzia che con la memoria d’appello era stata eccepita l’improponibilita’ dell’impugnazione svolta dall’Inps, atteso che a seguito di quanto statuito all’udienza del 18 maggio 2007 in merito alla circostanza che l’unica materia della causa non coperta da prescrizione o da giudicato era quella riflettente la posizione dei tre medici di fabbrica, l’Inps aveva riconosciuto, con separati provvedimenti, il diritto allo sgravio per gli importi relativi ai contributi pretesi per il “premio tre mensilita’”, ma cio’ nonostante i giudici d’appello avevano omesso di motivare in ordine all’intervenuta acquiescenza dell’istituto al provvedimento del giudice del lavoro di primo grado.
6. Col sesto motivo, attraverso il quale e’ dedotto vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, la societa’ lamenta che erroneamente la Corte d’appello di Milano ha citato, a sostegno dell’affermazione di assoggettabilita’ a contribuzione del premio “tre mensilita’”, il precedente di legittimita’ n. 16060/2003, posto che in quest’ultima sentenza la Corte di Cassazione aveva ritenuto assoggettabile a contribuzione il cosiddetto premio di fedelta’, premio, questo, del tutto differente da quello oggetto di causa.
7. Col settimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12 e dell’articolo 2120 c.c., nella formulazione antecedente alla modifica legislativa di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297 e post novella, la ricorrente contesta quanto affermato dalla Corte territoriale in merito alla ritenuta assoggettabilita’ a contribuzione del cd. premio “tre mensilita’” sulla base dell’impossibilita’ di riconoscere allo stesso la natura di indennita’ di anzianita’, quando, al contrario, tale premio avrebbe le caratteristiche proprie dell’indennita’ di anzianita’, ora T.F.R., essendo erogato solo in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro, senza essere collegato al raggiungimento dell’eta’ pensionabile, ed essendo determinato sulla base variabile della retribuzione oraria o mensile. Ne conseguirebbe, secondo il presente assunto difensivo, l’esclusione dell’emolumento in esame dalla base imponibile, al pari dell’indennita’ di anzianita’.
8. Con l’ottavo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12 dell’articolo 2120 c.c., nella formulazione antecedente alla modifica legislativa di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297 e post novella, nonche’ degli articoli 1362 c.c. e ss., la ricorrente sostiene che la conferma della non assoggettabilita’ a contribuzione del premio in esame discende anche dalla circostanza che nella propria circolare n. 451 del 3.3.1978 la Direzione generale dell’Inps aveva invitato le proprie sedi a considerare come escluse da contribuzione tutte quelle erogazioni strettamente collegate con la cessazione del rapporto di lavoro, realizzanti la fattispecie dell’integrazione o maggiorazione dell’indennita’ di anzianita’ non rientrante nella base imponibile.
9. Il ricorso della societa’ (OMISSIS) s.p.a. e’ infondato.
Anzitutto, per quel che concerne l’oggetto dei primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, essendo unica la questione dell’interruzione della prescrizione in essi dedotta, si osserva che correttamente la Corte d’appello di Milano ha rilevato che nella memoria di costituzione in giudizio di primo grado l’Inps aveva precisato di aver inviato alla societa’ le lettere, nelle date dell’8.11.2000 e del 17.4.2001, attraverso le quali aveva espressamente diffidato l’opponente al pagamento dei contributi dovuti, producendo in allegato, nel contempo, la citata raccomandata RR dell’8.11.2000, relativa ai contributi dovuti in relazione al premio oggetto di causa. La stessa Corte ha poi precisato che all’udienza dell’1.7.2008 la difesa dell’Inps aveva esibito l’originale della cartolina di ricevimento della citata lettera, recante la data del 20.11.2000, tanto che la copia dell’originale della cartolina era stata acquisita agli atti, per cui non era scattata alcuna preclusione ed alcuna tardivita’ della produzione poteva ritenersi essersi verificata. Inoltre, nell’impugnata sentenza e’ ben evidenziato che dalla lettura degli atti di causa non risultava che il giudice avesse verbalizzato la mancata acquisizione della produzione documentale concernente l’interruzione della prescrizione per tardivita’ della stessa, per cui era da ritenere acquisita al processo la copia del predetto documento, corrispondente all’originale esibito dall’Inps.
Orbene, tale ragionamento logico-giuridico, correttamente motivato in punto di diritto, e’ esente da rilievi di legittimita’, in quanto basato sulla puntuale ricostruzione dei fatti processuali attinenti all’efficacia espletata dalla produzione degli atti interruttivi della prescrizione, ritenuti regolarmente prodotti in giudizio, e non e’ in contrasto con le norme di rito in materia di preclusioni processuali.
10. Per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente anche il quarto ed il quinto motivo che vertono sull’asserita acquiescenza alla decisione giudiziale riconducibile all’ordinanza istruttoria del 18.5.2007.
Anche tali motivi sono infondati, posto che la Corte di merito ha correttamente rilevato che nel suddetto verbale si leggeva esclusivamente un’ordinanza di ammissione dei testi, neanche esplicativa dei capitoli di prova oggetto dell’istruttoria da svolgere, per cui non era dato ravvisare in tale provvedimento un contenuto decisorio implicante l’avvenuta disamina della questione della prescrizione rispetto alla quale l’Inps avrebbe dovuto manifestare riserva d’appello. Ne’ ha rilievo l’argomentazione difensiva che fa leva sulla circostanza rappresentata dal riferimento contenuto in tale verbale alla posizione assunta dalle parti in ordine alla questione della prescrizione, perche’ il passaggio motivazionale riportato dall’odierna ricorrente puo’ interpretarsi solo nel senso che lo stesso era strumentale all’adozione del provvedimento istruttorio, atteso che il valore decisorio sulla dibattuta questione di merito della prescrizione non poteva che discendere dalla decisione finale sul merito della vicenda, per cui, come giustamente evidenziato dalla Corte territoriale, non era dato comprendere quale riserva d’appello avrebbe dovuto essere formulata dall’Inps.
11. Sono, infine, infondati il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso della societa’ opponente, i quali possono essere esaminati congiuntamente essendo connessi in quanto vertono, sotto diversi aspetti, sulla qualificazione giuridica dell’indennita’ fatta oggetto di pretesa contributiva.
Orbene, non e’ affatto vero che il richiamo eseguito dalla Corte d’appello al precedente n. 16060/2003 di questa Corte non sia pertinente, in quanto l’esito di quel caso e’ stato utilizzato dalla Corte di merito in considerazione della ravvisata analogia con l’attuale questione.
Infatti, nel precedente n. 16060 del 25.10.2003 della sezione Lavoro di questa Corte fu statuito quanto segue: “Il cosiddetto premio fedelta’, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianita’ di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro – che e’ un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalita’ concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale – deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio) e’ piu’ ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione, comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto cio’ che il lavoratore riceva o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12”.
“Il “premio di fedelta’”, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianita’ di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, non puo’ essere assimilato alla indennita’ di anzianita’ – esclusa dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali ai sensi della L. n. 153 del 1969, articolo 12, comma 2, – non costituendo una retribuzione differita e proporzionale da erogarsi in favore di tutti i lavoratori, ed essendo condizionato al concorso di altre circostanze, ovvero ad una anzianita’ minima maturata in azienda.”
La Corte d’appello di Milano ha, pertanto, colto bene l’analogia col caso sopra richiamato, in quanto e’ stato puntualmente accertato che anche nella fattispecie la finalita’ dell’erogazione in esame era quella di stimolare la permanenza dei lavoratori in azienda e, quindi, di “fidelizzarli”, non di favorirne l’esodo, con conseguente assoggettabilita’ a contribuzione dell’indennita’ in esame. Ne’ appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente in ordine al fatto che l’indennita’ in questione veniva erogata al momento della cessazione del rapporto, poiche’ cio’ che rileva, ai fini dell’assoggettabilita’ di tale premio alla contribuzione, non e’ il momento della sua corresponsione, bensi’ la sua natura giuridica che e’ strettamente connessa alla sua finalita’, messa bene in rilievo dalla Corte di merito, e che consente di ritenere che il premio “tre mensilita’” non si sottrae alla regola generale della contribuzione di cio’ che viene erogato in costanza di rapporto di lavoro. Ne’ appare conferente il richiamo alla circolare dell’Inps, in quanto la stessa presuppone che si tratti di indennita’ analoga a quella di fine rapporto, situazione, questa, che nella fattispecie e’ stata esclusa.
12. Col suo primo motivo l’Inps deduce la nullita’ della sentenza per omessa pronunzia sulla parte del motivo di gravame avente ad oggetto la prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito.
Il motivo e’ infondato per la semplice ragione che l’Inps non censura la specifica statuizione dell’impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano con la quale si afferma espressamente che l’istituto di previdenza aveva fatto acquiescenza agli altri capi della sentenza di primo grado. Orbene, non vi e’ dubbio che in tali capi della sentenza di prime cure rientrasse la questione della prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito, per cui la difesa dell’ente avrebbe dovuto contestare in maniera altrettanto specifica tale autonoma statuizione che racchiude in se’ una precisa “ratio decidendi” che, allo stato, non risulta essere stata investita nella presente sede di legittimita’.
13. Col secondo motivo l’Inps si duole della violazione e/o falsa applicazione de4ll’articolo 2697 c.c., L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 8, lettera a) e articolo 116, comma 8, lettera b) nonche’ del vizio di motivazione, contestando la decisione della Corte d’appello di ritenere applicabile nella fattispecie la sanzione meno grave collegata all’ipotesi dell’omissione contributiva, in luogo di quella piu’ grave dell’evasione contributiva ed assumendo che la controparte avrebbe dovuto farsi, invece, carico di dimostrare l’assenza di un suo intento fraudolento al fine di poter beneficiare del piu’ favorevole regime sanzionatorio.
Anche tale motivo e’ infondato, atteso che, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di legittimita’, la Corte d’appello di Milano, nel ricondurre l’ipotesi in esame a quella punita in maniera meno grave, cioe’ al caso specifico dell’omissione contributiva, ha ben evidenziato che poteva condividersi l’assunto difensivo della societa’ circa un’effettiva e reale incertezza sulla sussistenza dell’obbligo contributivo di cui trattasi a seguito della comunicazione amministrativa poco chiara dell’ente impositore ed alla luce della circolare n. 451 del 3.3.1978 dell’Inps che escludeva dalla contribuzione le somme strettamente collegate con la cessazione del rapporto di lavoro, per cui era da escludere la sussistenza di un intento elusivo della societa’ atto a giustificare l’applicazione della piu’ grave sanzione connessa all’ipotesi dell’evasione contributiva.
14. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.
La reciproca soccombenza delle parti induce questa Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese del presente giudizio.