LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente
Vincenzo BALDASSARRE Rel. Consigliere
Rosario DE MUSIS Rel.
Giuseppe BORRE’
Giancarlo BIBOLINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Alban Gianni e Alban Luciano, residente in Nogara, elettivamente domiciliati in Roma, Via Bafile, 5, c/o l’avv. Maurizio Salari (studio avv. Tina Gregori) che li rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso.
Ricorrente contro
1) Soragna Vittorina
2) Romitti Angelo
3) Romitti Brenno.
Intimati e sul secondo ricorso n. 6414/89 proposto: da Romitti Angelo, Romitti Brenno e Soragna Vittorina, elettivamente domiciliati in Roma, Via G. Ferrari, 4, c/o l’avv. Sergio Cersosimo, che li rappresenta e difende con l’avv. Giovanni Guena giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale.
Controricorrente e ricorrente incidentale contro Alban Gianni e Alban Luciano residenti in Nogara, elettivamente domiciliati in Roma, Via Bafile, 5, c/o l’avv. Maurizio Solari (studio avv. Tina Gregori) che li rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso.
Controricorrente avverso la sentenza n. 803 della Corte di Appello di Venezia del 30.9.88.
Sono presenti per il ricorrente l’avv. Salari che chiede l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale. Per il resistente l’avv. Cersosimo che chiede il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale. Udita nella pubblica udienza del 15.2.1991 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dr. Baldassarre. Sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Di Renzo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Svolgimento del processo
Con citazione del 30 settembre 1979 Gianni e Luciano Alban convenivano innanzi al Tribunale di Verona Vittorina Soragna e Ciro e Brenno Romitti per sentirli condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inadempimento, da parte dei convenuti, dell’obbligo di conservare e restituire l’avviamento dell’azienda di panificazione degli istanti, sita alla via Mazzini di Nogara, che avevano condotto in locazione dal settembre 1969 al marzo 1979, adducendo che gli Alban avevano trasferito avviamento e clientela nel loro nuovo stabilimento di Via Marzabotto di Nogara.
Nel giudizio, riassunto, a seguito della morte di Ciro Romitti, dai suoi litisconsorti e da Angelo Romitti, resistevano i convenuti, che spiegavano anche domanda riconvenzionale, non coltivata nelle successive fasi processuali.
Il Tribunale adito respingeva le contrapposte pretese con sentenza 21 gennaio – 13 aprile 1985, la quale, impugnata da parte istante, era riformata dalla Corte d’appello di Venezia con la pronunzia, ora gravata per cassazione, di condanna, in solido, di Gianni e Luciano Alban a risarcire i danni a Vittorina Soragna e Brenno Romitti, sia in proprio che quali eredi di Angelo Romitti, ed a Ciro Romitti, solo in tale qualità, nella complessiva somma di lire venti milioni, e a rifondere i due terzi delle spese, con compensazione del terzo rimanente.
Gli Alban affidano il ricorso principale a quattro mezzi d’annullamento e gli intimati il ricorso incidentale a tre motivi, contestuali al controricorso, che sono resistiti da controricorso. V’é memoria dei ricorrenti incidentali.
Motivi della decisione
1) Va disposta la riunione dei due ricorsi proposti contro la stessa sentenza ( art. 335 cod. proc. civ.).
2) Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la “nullità del procedimento (art. 360 n. 3 in relazione all’art. 184 c.p.c. )” e su assume che gli attori avevano enunciato la “causa petendi” come violazione degli artt.
2555, 2561, 2562, 1571, 1576, 1587, 2598 cod. civ. e che in relazione ad essa aveva pronunciato il Tribunale, mentre con l’atto di appello era stato dedotto che gli Alban erano tenuti a cedere i contratti di forniture in atto, in ossequio a quanto previsto dall’art.
2558 cod. civ. , introducendo una nuova ragione, accolta dalla Corte d’appello con l’affermazione che gli Alban erano tenuti a consegnare la “lista dei clienti”, unico mezzo per realizzare il subentro nei contratti di fornitura.
Osserva il collegio, al riguardo, che la semplice richiesta, formulata con i motivi di appello, dell’applicazione di norme diverse da quelle indicate a corredo delle ragioni in diritto svolte nel giudizio di primo grado non comporta immutazione di tali ragioni, se tende a sostenere l’assunto di un più corretto inquadramento in diritto del fatto costitutivo della domanda, della quale rimangono fermi i dedotti presupposti, salvo sempre il potere del giudice di secondo grado di procedere all’esatta qualificazione del fatto medesimo.
Nella specie, come risulta dal “fatto” della sentenza denunziata, che i ricorrenti principali hanno riprodotto nel ricorso al fine dell’esposizione delle vicende processuali, il Tribunale ha ritenuto “che gli Alban non avessero alcun obbligo di consegnare ai Romitti la “lista dei clienti” da essi pretesa, ……, giacché nessuno poteva condizionare i clienti nella scelta se continuare ad avvalersi del vecchio panificio ovvero seguirne i lavoranti nel nuovo laboratorio,……”.
E’ ciò dimostra che il problema del subentro dei locatori nei contratti di fornitura era stato posto negli stessi termini in cui è stato poi affrontato (anche se con diverso esito e con il richiamo della norma non citata dal primo giudice) dalla Corte d’appello, secondo la quale, “essendo incontestato che all’inizio dell’affittanza i Romitti l’avessero consegnata (la lista dei clienti) ….., più ancora, la consegna era loro dovuta come unico mezzo concreto (in presenza dei contratti di fornitura così come appena descritti) per realizzare il subentro da parte dei nuovi gestori nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa, così come voluto dall’art.
2558 c.c.“.
Non risultando immutata la “causa petendi” il motivo esaminato deve essere respinto.
3) Dei motivi secondo e terzo del ricorso principale e del secondo dell’incidentale, i quali presentano nessi di connessione o dipendenza, appare opportuna la trattazione congiunta.
I ricorrenti principali addebitano alla Corte territoriale. Con il secondo mezzo, “omessa ed insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 in relazione all’art. 345 c.p.c. ) in punto di applicazione alla fattispecie dell’art.
2558 c.c. “, per avere affermato, senza che gli appellanti ne avessero dato la prova, che l’attività degli Alban era rivolta a clienti “grossisti” e che con essi erano in corso contratti di fornitura di pane a tempo indeterminato; per non avere considerato che la lista dei clienti non attiene alla fattispecie regolata dall’art.
2558 cod. civ. , riferibile ai contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda.
Con il terzo “omessa ed insufficiente motivazione ( art. 360 n. 5 c.p.c. ) in punto di applicazione alla fattispecie dell’art. 2598 n. 3 c.c. “, per avere ritenuto provata la circostanza dell’apertura di altro panificio in via Marzabotto prima della restituzione di quello dei Romitti, mentre avrebbe dovuto rilevare che la data 12 maggio 1978, risultante dal certificato della CCIAA, indica soltanto l’iscrizione nel registro delle ditte e che tale apertura era avvenuta il 6 novembre 1978 come riconosciuto dagli attori.
I ricorrenti incidentali, con il secondo motivo, denunziano “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (e contraddittorio) – omessa ed insufficiente motivazione, in ordine all’applicabilità, alla fattispecie de quo, del disposto dell’art.
2557 c.c. – divieto di concorrenza”, per non avere la Corte veneziana “ravvisato, con chiarezza, l’applicabilità dell’art. 2557”, che riguarda tutti i casi di successione nella gestione aziendale, tra i quali va compresa la fattispecie in esame.
Tanto premesso, si osserva che la Corte d’appello ha ravvisato nella sentenza di prime cure (sul punto relativo al rigetto della domanda attrice) una duplice carenza e, riformandola, ha ritenuto, in primo luogo, che gli affittuari Alban erano obbligati a consegnare la “lista dei clienti” di cui sub 2), al fine di consentire ai proprietari-locatori di subentrare nei contratti di fornitura in corso, ma avevano, al contrario, avvertito i clienti che da una certa data avrebbero continuato a servirli essi stessi da un nuovo panificio, così come riferito dal teste Cavalli. In siffatto contegno la Corte ha riscontrato violazione dell’art. 2558 cit.
Ha giudicato poi che, con l’apertura sempre in Nogara, di altro forno “immediatamente competitivo” nella via Marzabotto, posta a breve distanza dalla via Mazzini, dove era l’azienda degli ex locatori, (non anche dell’altro opificio sito in piazza Umberto I, rispetto al quale non poteva porsi il problema della violazione dell’art.
2557 cod. civ. ) era stato posto in essere un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 n. 3 cod. civ.
4) Il secondo mezzo del ricorso incidentale, in quanto proviene dalla parte vincitrice sul punto riguardante il diritto al risarcimento del danno, è, nella sostanza, condizionato all’accoglimento dei due avversi motivi e rimane, quindi, superato dal rigetto, per le ragioni appresso esposte, di essi.
5) I motivi secondo e terzo del ricorso principale, per quanto attiene al dedotto vizio di motivazione, non espongono ragioni tali da smentire quelle poste dalla Corte territoriale a sostegno degli accertamenti di merito della sentenza.
Pur articolandosi la decisione in due diversi profili di diritto, le conclusioni in fatto sono il frutto di un esame globale del materiale probatorio acquisito e denotano una sua esauriente e coerente valutazione. Sulle singole voci rimesse in discussione va poi rilevato che con il secondo motivo si sostiene che il teste Cavalli “ha affermato cose del tutto diverse da quelle attribuitegli in sentenza”; ma quali siano le asserite discordanze i ricorrenti non spiegano, come invece avrebbero dovuto.
Al contrario, le dedotte, carenze della motivazione debbono risultare, in modo esaustivo, dal ricorso per cassazione, essendo escludo che il Giudice di legittimità possa sostituirsi alla parte, ricercando negli atti la dimostrazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cit.. Allo stesso modo la preordinata apertura del nuovo forno – che il Giudice dell’appello non desume dalla sola menzionata certificazione, alla quale non potrebbe essere comunque negato un notevole valore indiziario, ma dall’esame complessivo delle risultanze di causa, oltre che dalla specifica correlazione con quanto riferito dal suddetto teste – non trova nel ricorso una ragionata smentita.
6) Divenuti definitivi, alla stregua dei rilievi che precedono, gli accertamenti di merito, va tenuta ferma la decisione, conforme a diritto, della quale, però, va corretta la motivazione (art.
384 cpv. cod. proc. civ.). In tema di successione dei contratti in occasione del trasferimento di azienda, questa Corte (conf. sent. nn. 632 e 969 del 1979, nonché, con riguardo al rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. , sent. n. 2644/85) ha avuto modo di chiarire, con argomenti che meritano piena adesione e vanno qui recepiti, che la successione deve ritenersi operante, in forza di interpretazione estensiva della norma dell’art. 2558 cit., in ogni ipotesi in cui si avveri la sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto, e, per tanto, anche nei confronti del locatore, allorché l’azienda gli sia ritrasferita dall’affittuario per scadenza del termine finale, come nella specie, o per altra causa negozialmente prevista.
Alla stessa conclusione porta l’ermeneusi della norma dell’art.
2557 cod. civ. , relativa al divieto di concorrenza, nel cui primo comma l’espressione “chi aliena” sta ad indicare la dismissione dell’azienda, la cui titolarità viene trasferita ad altro imprenditore, non sussistendo ragioni che possano giustificare la limitazione suggerita da non attenta lettura del testo nella sua formulazione lessicale.
Invero, la previsione del quarto comma dell’art. 2557, lungi dall’individuare, in via esclusiva, soggetti (usufruttuario e affittuario) a vantaggio dei quali il divieto di concorrenza sarebbe posto, ha una diversa valenza e una propria ragion d’essere, che confermano l’esattezza dell’interpretazione estensiva. La norma, in presenza di situazioni caratterizzate dalla titolarità temporanea (e correlata alla proprietà di altro soggetto) dell’azienda, tende soltanto a determinare la durata del divieto di concorrenza, in considerazione e relazione ai particolari rapporti esistenti tra le parti; ma in tal modo rende palese che il divieto in parola spiega la sua operatività anche quando il trasferimento non comporti vera e propria “alienazione”.
Sarebbe, quindi, in contrasto con l’effettiva portata precettiva del primo comma dell’articolo in esame, oltre che incoerente e discriminatorio, un trattamento deteriore del proprietario (di totale privazione della tutela di cui all’art. 2557) nell’occasione del ritrasferimento del compendio aziendale.
Consegue che, in relazione al giudizio di merito, al quale nella sentenza, nonostante la già rilevata unitarietà dei fatti accertati (ed anche il danno è liquidato poi globalmente), sono collegate differenziate discipline normative, l’intera fattispecie va ricondotta alla previsione dell’art. 2557, al quale v’é in motivazione un perplesso accenno.
Detta norma, riguardante il divieto di concorrenza nei casi di trasferimento di azienda, va, quindi, applicata sia al particolare aspetto, vagliato in sentenza, dell’invito rivolto ai clienti di rifornirsi nel nuovo panificio (per cui si legge in motivazione che “tutto l’argomentare di causa sull’obbligo o meno dei convenuti di riconsegnare la lista dei clienti va ricondotto a quanto appena affermato”, ossia a tale invito), sia all’altro aspetto, considerato dalla Corte del merito presupposto indissolubile del primo, dell’apertura del nuovo e vicino panificio, “così da trasferirvi la clientela di cui alla lista precisata”; rimanendo fermo il collegamento al complesso dei fatti accertati della unitaria e globale condanna risarcitoria.
Corretta la motivazione, non può essere pronunciata, per tanto, la cassazione della sentenza sul punto impugnato con gli esposti motivi.
7) Esame congiunto meritano anche il quarto mezzo del ricorso principale ed il primo di quello incidentale, con i quali si denuncia, rispettivamente:
Dai ricorrenti principali, violazione o falsa applicazione degli artt.
2043 e 1226 cod. civ. , nonché vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello liquidato il danno con criterio equitativo, mentre esso poteva essere provato nel suo preciso ammontare in base al raffronto della produzione del panificio all’inizio della locazione con quella effettuata dopo la riconsegna; per non avere, comunque, tenuto conto di circostanze decisive e, in particolare, dell’affermata possibilità per i clienti di recedere dal rapporto di fornitura.
Dai ricorrenti incidentali, contraddittorietà motivazione e violazione di norme di diritto, per avere il Giudice dell’appello disatteso le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, senza tener conto dei rilievi di parte appellante e senza ammettere la prova da essa proposta.
I contrapposti motivi non sono fondati.
La sentenza impugnata non ha effettuato infatti una liquidazione del danno fondata su criteri meramente equitativi, ma, prendendo le mosse da dati certi costituiti dall’accertata entità delle vendita di pane nei due momenti messi a raffronto, ha ritenuto che la valutazione di tali dati da parte del consulente d’ufficio peccasse per eccesso, per non avere tenuto conto l’ausiliario di una circostanza determinante, ossia dal fatto che il panificio di via Mazzini non rimase inattivo al termine della locazione e continuò a produrre (anche se in misura esigua), sino a che nel settembre 1979 venne nuovamente affittato. Di qui la riduzione dell’importo, determinato dal consulente in lire 40.181.400, a lire 20.000.000, secondo una stima prudenziale.
Ed è noto che, in tema di risarcimento del danno, la liquidazione equitativa costituisce un potere discrezionale del giudice del merito, per l’esercizio del quale è sufficiente che sussista un’impossibilità relativa od una somma difficoltà di prova completa e specifica, da valutarsi con riguardo alla particolarità del caso, alle risultanze processuali, nonché alle posizioni difensive delle parti (conf. sent. nn. 1659/81, 35/88, 2074/89).
Nella specie il Giudice del merito, dopo aver notato che sulla quantificazione del danno non si erano soffermate le parti, ha vagliato le singole deposizioni testimoniali al riguardo, nonché le risultanze della consulenza, arrestandosi di fronte alla concreta difficoltà di ricavare una precisa determinazione da dati a carattere necessariamente indicativo.
In tal modo ha fatto corretta applicazione dell’esposto principio, fornendo altresì la motivazione a cui era tenuto.
8) Il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale, in ordine al regolamento delle spese, si adducono ragioni del tutto generiche, che non tengono conto del potere discrezionale del giudice in materia, potere di cui ha fatto corretto uso la Corte veneziana, non può trovare ingresso. I due ricorsi riuniti vanno, per tanto, integralmente rigettati, con compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione a norma dell’art.
92 cod. proc. civ..
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta; compensa le spese.
Così deciso il 15 febbraio 1991.
Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1991.