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Contratto di affitto di azienda: principali aspetti civilistici
Contratto di affitto di azienda: nozione e definizione.
Il contratto di affitto di azienda viene comunemente definito come quel negozio con cui un soggetto, il concedente, si obbliga a far godere, per un dato tempo, un’azienda ad un altro soggetto, l’affittuario, il quale si impegna a gestirla senza modificarne la destinazione ed in modo da conservane l’efficienza dell’organizzazione, degli impianti e le normali dotazioni di scorte, dietro il pagamento di un determinato corrispettivo in danaro.
Con il contratto di affitto di azienda, il concedente a fronte di un corrispettivo per un determinato periodo di tempo, concede quindi all’affittuario un complesso organizzato di beni materiali e immateriali, nonché di rapporti giuridici attivi e passivi destinati allo svolgimento di un’attività economica avente come scopo la produzione di beni e servizi.
Il contratto di affitto di azienda può avere ad oggetto o l’unico complesso dei beni organizzato dall’imprenditore (intera azienda) oppure uno dei diversi complessi da questo organizzati ed in questo secondo caso si avrà per l’appunto affitto di ramo di azienda e come precisato dalla Giurisprudenza di legittimità: “per ramo di azienda“, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo” (in tal senso si è espressa Cassazione n. 5932/2008).
Il contratto di affitto di azienda non trova un specifica disciplina nel codice civile il quale si limita all’art. 2562 c.c. a stabilire che le disposizioni relative all’usufrutto di azienda si applicano anche nel caso di affitto di azienda.
In linea generale, la configurabilità del contratto di affitto di azienda non è condizionata dalla effettiva produttività dei beni che compongono l’azienda affittata al momento della conclusione del negozio, essendone sufficiente la potenziale attitudine produttiva, quale prevista e considerata dalle parti contraenti.
In sostanza, si ha azienda, e quindi di conseguenza contratto di affitto di azienda, anche quando la produttività sia una conseguenza meramente potenziale, e non ancora attuale, dell’organizzazione dei beni, sicché può parlarsi di affitto di azienda anche quando il complesso sia temporaneamente inattivo, o quando l’attività verrà iniziata dall’affittuario e persino se l’attività di impresa è cessata, almeno sino a quando il complesso non venga disgregato, o non perda, per altre ragioni, la propria attitudine ad essere utilizzato per l’esercizio dell’impresa (in tal senso si espresse Cassazione n. 123/1990).
Conclusivamente può affermarsi che l’affitto di azienda è il contratto consensuale, ad effetti obbligatori e sinallagmatico, con il quale un imprenditore, dietro corrispettivo di un canone e per un determinato tempo, concede un complesso organizzato di beni materiali e immateriali, nonché rapporti giuridici attivi e passivi destinati allo svolgimento di un’attività economica avente come scopo la produzione di beni o di servizi.
Il contratto di affitto di azienda è regolato dall’art. 2562 c.c. il quale, tuttavia, si limita ad un generico rinvio all’art. 2561 c.c. dettato in tema di usufrutto d’azienda, nonché alle norme relative all’affitto in generale di cui agli artt. 1571-1654 c.c.
Contratto di affitto di azienda: differenze con la locazione di immobile.
Il contratto di affitto di azienda, come sopra definito, deve innanzitutto distinguersi dalla locazione di immobili.
Infatti nella locazione di immobile oggetto del contratto è appunto l’immobile considerato nella sua specifica consistenza, con funzione prevalente rispetto agli altri beni, mentre nell’affitto di azienda l’oggetto del contratto è il complesso unitario dei beni destinati all’attività produttiva, discendendone da ciò che l’indagine sulla ricorrenza, in concreto, dell’una o dell’altra figura dei beni deve essere condotta, anzitutto, interpretando la comune intenzione delle parti contraenti, anche se in tale indagine può e deve tenersi conto dell’effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.
In sostanza, l’affitto di azienda può ricorrere anche quando il complesso organizzato dei beni sia stato dedotto nel contratto nella sua fase statica o quando l’azienda, al momento della conclusione del contratto, non fosse in grado di funzionare per la necessità di una diversa e più efficiente organizzazione o dell’apporto di altri beni.
In particolare poi, la concessione del godimento di un locale adibito ad esercizio commerciale può integrare affitto di azienda, ovvero locazione di immobile munito di pertinenze, a seconda che, sulla scorta della effettiva e comune intenzione delle parti, in relazione alla consistenza del bene ed a ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che l’oggetto del contratto sia un’entità organica e capace di vita economica propria, della quale l’immobile configura una mera componente, in rapporto di complementarità ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali, ovvero sia in via principale l’immobile medesimo, ancorché dotato di accessori, come entità non produttiva. (in tal senso si vedano Cassazione n. 16138/2010, Cassazione n. 807/2007 e Cassazione 15210/2005).
Sempre in merito a alla distinzione tra affitto di azienda e locazione di immobile è intervenuta un’ultima pronuncia della Giurisprudenza di legittimità secondo cui: “sia la natura del bene dedotto ad oggetto del rapporto contrattuale in esame non presentasse alcun requisito suscettibile di evidenziarne, in termini di assorbente rilevanza, aspetti di potenziale capacità produttiva, non essendo l’immobile stato considerato come uno degli elementi costitutivi di un complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, bensì nella sua individualità giuridica, ancorché con accessori collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e coordinazione, in tal senso ritenendo prevalenti i diversi profili di riconducibilità del rapporto allo schema della locazione in ragione della concreta configurazione (comunque non produttiva) del bene concesso in godimento” (in tal senso Cassazione n. 3026/2018).
Conclusivamente il criterio di distinzione tra contratto di affitto di azienda e contratto di locazione di immobili è oggettivo e soggettivo ad un tempo, nel senso che, perché si configuri un contratto di affitto di azienda, è necessario non solo che il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva, ma anche che la disponibilità del bene sia concessa al fine di consentire all’affittuario la gestione produttiva dello stesso.
Contratto di affitto azienda: durata, corrispettivo e identificazione dell’oggetto.
La durata ed il corrispettivo del contratto di affitto di azienda.
La durata del contratto di affitto d’azienda è liberamente determinabile dalle parti, infatti non è prevista una durata minima legale e può quindi essere determinata in un numero di anni predeterminato, eventualmente prorogabile, oppure può avere durata molto breve, anch’essa prorogabile.
Giova brevemente ricordare che il fallimento di una delle parti del contratto di affitto di azienda non è causa di scioglimento ma che entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati.
Del pari della durata anche la determinazione del corrispettivo del contratto di affitto di azienda è lasciata nella piena e completa disponibilità delle parti.
L’identificazione dell’oggetto del contratto di affitto di azienda.
Come già anticipato, il contratto di affitto di azienda può avere ad oggetto o l’intera azienda, ovvero parte di essa c.d. ramo di azienda.
Ciò posto, identificare concretamente e quindi determinare, la reale consistenza, della azienda o del suo ramo oggetto dell’affitto, compete alla volontà delle parti.
Generalmente l’individuazione negoziale dei beni aziendali avviene attraverso un inventario dei singoli beni facenti parte del contratto.
La funzione dell’inventario si mostra in tutta la sua rilevanza soprattutto al termine del contratto ed al momento della riconsegna dell’azienda poiché l’affittuario è tenuto alla restituzione dei beni indicati nell’inventario, dovendosi invece poi regolare in denaro la differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine del contratto secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 2561 c.c. secondo il quale “la differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”.
Per ciò che attiene il calcolo della differenza delle consistenze di inventario deve farsi riferimento, a norma degli art. 2561 e 2562 cod. civ. alla data di cessazione del contratto di affitto e non a quella di effettivo rilascio dell’azienda. (si veda Cassazione n. 8364/1998)
Giova ulteriormente ricordare che “la norma di cui all’art. 2561 comma quarto, cod. civ., che riconosce all’usufruttuario e, per effetto dell’art. 2562 cod. civ., all’affittuario l’indennizzo corrispondente alla differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio ed alla fine del rapporto, non è suscettibile di interpretazione analogica, essendo finalizzata esclusivamente ad evitare che colui che subentra ad altri nella titolarità dell’azienda abbia a conseguire indebiti vantaggi collegati all’altrui attività, per cui la relativa disciplina suppone una situazione in cui all’attività d’impresa del precedente titolare usufruttuario faccia seguito il trasferimento dell’azienda ad altro soggetto” (in tal senso si è espressa Cassazione n. 17459/2007).
Ulteriormente deve ricordarsi che “la disciplina dettata dagli artt. 1592 e 1593 cod. civ. in tema di miglioramenti ed addizioni all’immobile apportate dal conduttore, non trova applicazione nell’affitto di azienda, per il quale non è previsto uno “ius tollendi” in capo all’affittuario al termine del rapporto. Infatti, dal combinato disposto degli artt. 2561, quarto comma, e 2562 cod. civ., emerge che la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto, sia essa derivata da mutamenti quantitativi o soltanto qualitativi delle componenti aziendali” (si vedano Cassazione n. 19534/2015 e Cassazione n. 10623/2007).
Contratto di affitto di azienda: forma e iscrizione nel registro delle imprese
La forma del contratto di affitto di azienda, è disciplinata dall’art. 2556 c.c., il quale testualmente dispone che:
Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.
Il secondo comma dell’ art. 2556 c.c., testualmente prevede che i contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l’iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.
Il contratto di affitto di azienda, in quanto comporta un mutamento temporaneo alla titolarità dell’attività d’impresa, è soggetto a forma di pubblicità costituita dall’iscrizione nel registro delle imprese.
Ad analoga forma di pubblicità è soggetta anche la cessazione degli effetti del contratto di affitto di azienda.
L’iscrizione del contratto nel registro imprese ha una efficacia dichiarativa, e quindi introduce una presunzione assoluta di conoscenza del contratto da parte dei terzi, discendendone che l’atto iscritto può essere a questi opposto senza possibilità di eccezioni.
Contratto di affitto di azienda: gli obblighi a carico delle parti.
Gli obblighi del contratto di affitto di azienda a carico del concedente.
Gli obblighi per il concedente in linea generale possono così sintetizzarsi:
– l’obbligo di consegnare all’affittuario l’azienda secondo le caratteristiche pattuite nel contratto d’affitto in modo che essa possa servire all’uso ed alla produzione a cui è destinata di cui all’art. 1617 c.c.
– l’obbligo di rispettare il divieto di concorrenza per tutta la durata dell’affitto previsto dall’ art. 2557, comma 4, c.c.
A differenza che nella cessione di azienda, nel caso di affitto di azienda il divieto di concorrenza ha limiti più ampi in quanto si estende nei confronti del proprietario o del locatore e dura per tutta la durata dell’usufrutto o dell’affitto.
Del divieto di concorrenza si tratterà ampiamente nel paragrafo successivo.
Gli obblighi del contratto di affitto azienda a carico dell’affittuario.
Gli obblighi dell’affittuario invece posso così raggrupparsi:
– in base all’art. 2561 comma 2 c.c. l’affittuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue;
– secondo quanto previsto dall’art. 2561 comma 2 c.c. l’affittuario deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte.
In merito agli obblighi nascenti dal contratto di affitto di azienda, come affermato dalla Giurisprudenza, deve ricordarsi che “la natura sinallagmatica del contratto comporta una serie di obblighi a carico delle parti. Così il concedente è tenuto a consegnare l’azienda in condizioni tali da poter servire all’uso ed alla produzione cui è destinata. Quanto invece alle riparazioni straordinarie, la norma dell’art. 1621 c.c. – che prevede l’obbligo del locatore di provvedere alle riparazioni straordinarie – deve ritenersi norma a carattere dispositivo. Valida ed efficace è, quindi, la volontà contrattuale delle parti di regolare – pur nel rispetto dei limiti imposti dai canoni fondamentali del rapporto sinallagmatico – diversamente il rapporto. In particolare, l’inserimento, nel contratto di affitto di azienda, di apposite clausole contrattuali al fine di renderlo più congruente con le finalità che intendono perseguire, è allora pienamente consentito. Ciò vuol dire anche poter ripartire diversamente i rispettivi obblighi con riferimento alla manutenzione, alle innovazioni ed alle addizioni. Non senza evidenziare che il mantenimento dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti – previsto dall’art. 2561, comma 2, c.c. – si traduce per il conduttore nell’obbligo di sostenere tutte le spese che si rivelino necessarie per la sostituzione ed il rinnovo degli impianti. Norma, quest’ultima, peraltro, derogabile dalla volontà pattizia” (in tal senso Cassazione n. 18450/2015).
Contratto di affitto di azienda: divieto di concorrenza ex art. 2557 c.c. portata, effetti e derogabilità.
Per ciò che attiene al contenuto del divieto di concorrenza deve premettersi che la norma di cui all’ art. 2557 c.c. in tema di divieto di concorrenza, statuisce che in caso di alienazione di azienda ci si debba astenere, per un periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa.
Il comma 4 l’art. 2557 c.c. estende tale divieto anche all’usufrutto o all’affitto di azienda precisando che il divieto di concorrenza vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell’usufrutto o dell’affitto.
La ratio della norma è quella di garantire all’affittuario dell’azienda il pacifico godimento della stessa evitando che il concedente, attraverso lo svolgimento di analoga attività nella medesima area, possa svuotare di contenuto il contratto di affitto stipulato.
Si mira a tutelare l’affittuario e ciò sia al fine evitare uno sviamento della clientela dell’azienda ceduta/fittata, ma anche al fine di disciplinare in modo più congruo la portata degli effetti connessi al rapporto contrattuale posto in essere tra le parti.
Sebbene la norma miri a tutelare l’affittuario dell’azienda, la Giurisprudenza negli anni ha interpretato in modo estensivo il divieto di concorrenza, affermando che esso sussiste, oltre che a carico del locatore dell’azienda, anche a carico dell’affittuario dopo la scadenza del contratto di affitto (Cassazione n. 10105/1995).
Infatti, “le disposizioni dell’art. 2557 c.c., concernenti il divieto di concorrenza in caso di trasferimento di azienda, trovano applicazione non soltanto con riguardo alle ipotesi di alienazione di questa, intesa in senso tecnico, ma anche a tutte quelle altre ove si avveri la sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto e, pertanto, anche in favore del proprietario di un’azienda nel caso che l’abbia data in affitto allorché l’azienda gli sia stata ritrasferita dall’affittuario per scadenza del termine finale o per altra causa negozialmente prevista” (Cassazione n. 13762/1991).
In merito all’autonomia delle parti, giova premettere che: “il divieto di concorrenza posto dall’articolo 2557 c.c., comma 1, a carico del cedente non persegue un interesse pubblico ma è volto unicamente a tutelare il cessionario dell’azienda dal tentativo del cedente di sviare la clientela attraverso la prosecuzione da parte di quest’ultimo della stessa attivita’ che ha formato oggetto della cessione. Trattasi pertanto di una norma di natura dispositiva in cui l’obbligo previsto assume carattere contrattuale ed è, come tale, derogabile dalle parti. (in tal senso Cassazione n. 9251/1997)
Ciò posto, le parti possono liberamente derogare o disciplinarne il contenuto del divieto di concorrenza in totale autonomia, a condizione che non si impedisca ogni attività professionale dell’alienante o del concedente in quanto “è nullo, in quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento” (Cassazione n. 24159/2014 e Cassazione n. 16026/2001)
Va in fine ricordato che la violazione del divieto consente al affittuario di chiedere, oltre il risarcimento del danno, la cessazione dell’attività vietata o in alternativa la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. e seg.
La successione ex art. 2558 c.c. nei rapporti nei contratti stipulati dall’affittante.
L’art. 2558 c.c. testualmente dispone: Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.
Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’ usufruttuario e dell’ affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto.
Stando quindi alla citata norma, la successione dell’affittuario nei contratti inerenti all’esercizio dell’azienda, che non abbiano carattere personale e salvo patto contrario, è da considerarsi come un effetto naturale del contratto di affitto.
L’art. 2558 c.c. prevede in sostanza un’ipotesi successione automatica ex lege nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda ceduta, concessa in affitto o in usufrutto, stabilendo un’espressa deroga a quanto previsto dall’art. 1406 c.c. secondo il quale “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”.
La successione automatica ex lege, di cui all’art. 2558 c.c. (che ha ad oggetto solo contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale) si verifica sia nei contratti aventi ad oggetto il godimento dei beni aziendali non di proprietà dell’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della sua attività, e sia nei contratti di impresa, aventi ad oggetto rapporti concernenti l’organizzazione di questa, tra i quali a titolo esemplificativo rientrano i contratti con i fornitori, di assicurazione, di appalto, di concessione in uso di spazi pubblicitari, nonché il contratto di utenza telefonica che, data la sua natura di contratto di somministrazione di servizi non è un contratto qualificabile come personale, bensì quale contratto di impresa e come tale necessario all’esercizio dell’azienda medesima.
Come meglio precisato dalla Giurisprudenza “ai sensi dell’art. 2558 c.c., l’effetto naturale determinato dall’affitto d’azienda è, salvo patto contrario, il subingresso dell’affittuario nei contratti inerenti all’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Tale effetto è escluso solo in presenza di una specifica manifestazione di opposizione dell’altro contraente. I presupposti dell’affitto d’azienda sono dunque, l’inerenza del contratto all’azienda ed il carattere non personale dello stesso, senza che sia necessario dimostrare il consenso del terzo contraente. La cessione del contratto di cui agli art. 1406 c.c. si riferisce a prestazioni non ancora eseguite ed ha l’effetto di sostituire il terzo, col consenso dell’altra parte, nella posizione dell’originario obbligato; essa si differenzia dalla successione nei contratti di cui all’art. 2558 c.c. che ha effetti più ampi, potendo intervenire in qualsiasi fase del rapporto contrattuale e quindi anche nella fase contenziosa, assumendo, in tal caso, il cessionario dell’azienda la posizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso anche agli effetti del disposto dell’art. 111 c.p.c.” (Cassazione n. 18805/2015, Corte d’Appello Milano n. 2196/2016 e Cassazione n. 11318/2004)
In sostanza la ratio della predetta norma, viene individuata nella necessità di consentire il trasferimento di tutto il complesso aziendale e, dunque, di tutti i contratti che ne consentono il funzionamento.
Si deve precisare che “la successione dell’imprenditore nei rapporti contrattuali inerenti all’azienda non aventi carattere personale non può realizzarsi, ai sensi dell’art. 2558 c.c., qualora il trasferimento dell’azienda sia la conseguenza di un fatto non negoziale (nella specie, per provvedimento giudiziale)” (Si veda Cassazione n. 18805/2015).
Tuttavia è lasciata alla libertà delle parti la possibilità di escludere della successione sin qui descritta taluni rapporti contrattuali in essere al momento del trasferimento dell’azienda, trattasi del c.d. patto contrario.
In tal caso, come è logico che sia, tali contratti continueranno a produrre effetti in capo al solo concedente.
Il c.d. patto contrario non potrà avere ad oggetto tutti quei contratti volti all’acquisizione/detenzione di beni o servizi essenziali per il funzionamento del complesso aziendale (e non facilmente rimpiazzabili dall’acquirente) o quei contratti di impresa che costituiscono l’attività principale.