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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 31 marzo 2017, n. 8314
l’intermediario sia tenuto ad avvertire l’investitore del rischio default dell’emittente nonche’ dell’eventuale carenza di informazioni circa le caratteristiche dei titoli che si vanno ad acquistare (c.d. grey market), non essendo sufficiente la generica dizione “Paese emergente”.
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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 31 marzo 2017, n. 8314
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24276-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del suo Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 215/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 08/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/01/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per manifesta infondatezza.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente moglie e figlia del defunto (OMISSIS), convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Terni, la Banca (OMISSIS) s.p.a. e – sulla premessa che sia (OMISSIS) che (OMISSIS) erano stati indotti da funzionari dell’Istituto di credito all’acquisto, in diversi periodi, di bond argentini e di titoli della Provincia di Buenos Aires, subendo gravi perdite economiche a causa del default dell’Argentina verificatosi nel 2001 – chiesero che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei relativi danni, previa declaratoria di nullita’, annullamento o risoluzione del contratto di investimento.
Si costitui’ in giudizio la Banca, ponendo alcune eccezioni preliminari e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse la domanda e condanno’ la Banca al pagamento, in favore delle attrici, della somma di Euro 55.557,64, con il carico delle spese di lite.
La pronuncia e’ stata impugnata dalla s.p.a. (OMISSIS) e la Corte d’appello di Perugia, con sentenza dell’8 aprile 2014, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda delle originarie attrici, condannandole alla restituzione delle somme percepite in forza della sentenza del Tribunale ed ha compensato le spese del doppio grado di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che la clausola rischio paese, apposta solamente sugli ultimi ordini di acquisto sottoscritti dalle attrici, pur nella sua estrema sinteticita’, lasciava intendere che la Banca aveva provveduto ad illustrare al cliente il rischio rappresentato dall’acquisto dei titoli argentini. L’alto tasso di interesse di quei titoli, del resto, era tale da mettere sull’avviso “anche il piu’ sconsiderato investitore”. L’Agenzia (OMISSIS) aveva evidenziato il carattere crescente del rischio di quell’investimento, ma il compito della Banca non poteva essere quello di prevedere il rischio di default dell’Argentina, quanto piuttosto quello di avvertire della rischiosita’ dell’investimento, compito rispettato tramite l’apposizione della clausola rischio paese sopra ricordata.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Perugia propongono ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS) con unico atto affidato ad un motivo.
Resiste (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 cod. civ., del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 21, e degli articoli 28 e 29 della Delib. della Consob 1 luglio 1998, n. 11522.
Osservano le ricorrenti, dopo aver ricapitolato i passaggi salienti della motivazione della sentenza impugnata ed il contenuto di alcune disposizioni della citata delibera Consob, che la sentenza in esame sarebbe censurabile in quanto, pur ammettendo che la dicitura rischio paese era stata apposta solo ad alcuni atti di acquisto, ha poi rigettato integralmente la domanda. L’accertamento che gli istituti di credito sono tenuti a compiere in ordine al grado di conoscenza degli strumenti finanziari da parte del cliente ed alla sua propensione al rischio impone anche l’obbligo di segnalare l’eventuale particolare rischiosita’ dell’operazione, con rifiuto di darvi corso in assenza di un ordine scritto. La dicitura rischio paese non sarebbe affatto una garanzia idonea dell’avvenuto rispetto degli obblighi di informazione ai quali la Banca e’ tenuta per legge.
1.1. Il motivo e’ fondato.
Giova premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto ormai in diverse pronunce l’opportunita’ di chiarire quali siano i doveri delle banche in relazione ad investimenti ad alto rischio, alla luce del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e degli articoli 28 e 29 della Delib. della Consob 1 luglio 1998, n. 11522, con un percorso giurisprudenziale che ha tratto alimento anche dalla nota vicenda del default dell’Argentina.
1.2. E’ stato affermato, innanzitutto, che in tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioe’ da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente e, a fronte di un’operazione non adeguata, puo’ darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. All’operativita’ di detta regola non e’ di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza acquistato un altro titolo a rischio, perche’ cio’ non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (cosi’ la sentenza 25 giugno 2008, n. 17340, ribadita dalla successiva sentenza 29 ottobre 2010, n. 22147). Si e’ aggiunto, poi, che, trattandosi di responsabilita’ contrattuale, e’ sufficiente che l’investitore alleghi, da parte dell’intermediario, l’inadempimento delle obbligazioni poste a suo carico dall’articolo 21 cit. e dalla normativa secondaria, rimanendo a carico dell’intermediario l’onere di provare di aver rispettato le norme di legge e di avere agito con la diligenza qualificata richiesta (cosi’ la citata sentenza n. 22147 del 2010; sugli oneri di diligenza della banca in ordine alla specifica vicenda dei bond argentini v., di recente, la sentenza 6 marzo 2015, n. 4620).
La sentenza 25 settembre 2014, n. 20178 – nel dare conto che l’articolo 29 del citato regolamento CONSOB non e’ piu’ vigente, ma e’ tuttavia applicabile, ratione temporis, alle fattispecie come quella odierna – ha ribadito i principi suddetti ed ha specificato, in riferimento a quella specifica vicenda, che la sottoscrizione, da parte del cliente, della formula operazione non adeguata per tipologia non era di per se’ sufficiente a far ritenere dimostrato, da parte dell’intermediario, il rispetto dell’iter di cui alta norma citata del suindicato regolamento; ed ha aggiunto che tale onere di adeguata informazione non viene meno neppure di fronte al rifiuto dell’investitore di fornire indicazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio.
Ancora piu’ di recente, infine, la sentenza 26 gennaio 2016, n. 1376, nel ricapitolare la pluralita’ degli obblighi gravanti sui soggetti abilitati al compimento di operazioni finanziarie alla luce del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e degli articoli 28 e 29 del citato regolamento CONSOB, ha stilato una sorta di decalogo, ponendo in luce, tra l’altro, come l’intermediario sia tenuto ad avvertire l’investitore del rischio default dell’emittente nonche’ dell’eventuale carenza di informazioni circa le caratteristiche dei titoli che si vanno ad acquistare (c.d. grey market), non essendo sufficiente la generica dizione “Paese emergente”.
1.3. A questi ormai consolidati orientamenti della giurisprudenza, cui la pronuncia odierna intende dare convinta adesione e continuita’, non si e’ adeguata la sentenza in esame.
La Corte di merito, infatti, ha ritenuto, come si e’ visto, che la semplice clausola “rischio paese”, per di piu’ apposta solamente sugli ultimi ordini di acquisto sottoscritti dalle attrici, potesse essere sufficiente ad accertare che la banca aveva adempiuto ai propri doveri di informazione; cio’ sulla base di una serie di considerazioni di carattere politico ed economico che nessuna influenza possono avere in una simile controversia. Il fatto che i tassi di interessi alti siano indice di per se’ di una situazione di rischio, come pure la circostanza per cui non si puo’ imputare alla banca “di non aver previsto il default dello Stato argentino” (considerazione indubbia, nella sua ovvieta’) non mutano in nulla i termini del problema. Rimane la circostanza, decisiva, per cui, in presenza di un investimento certamente rischioso, la Banca convenuta nulla fece per rispettare le linee guida di cui alla citata delibera della CONSOB; non risulta, infatti, che essa abbia provveduto a dare corso all’operazione soltanto a seguito del rilascio di un ordine scritto preceduto da un’adeguata informazione sulla natura dei titoli che si andavano ad acquistare e sui conseguenti rischi ai quali gli investitori si esponevano.
Il ricorso, pertanto, e’ accolto e la sentenza impugnata e’ cassata.
Il giudizio e’ rinviato alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione personale, la quale decidera’ attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati.
Al giudice di rinvio e’ demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.