Indice dei contenuti
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 10 maggio 2018, n. 11289
Va al riguardo affermato che il condomino, il quale intenda proporre l’impugnativa di una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneita’ della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale.
Per una più completa ricerca di giurisprudenza, si consiglia invece la Raccolta di massime delle principali sentenze della Cassazione che è consultabile on line oppure scaricabile in formato pdf
Per ulteriori approfondimenti in materia condominiale si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
La responsabilità parziaria e/o solidale per le obbligazioni condominiali
Lastrico solare ad uso esclusivo regime giuridico e responsabilità
L’impugnazione delle delibere condominiali ex art 1137 cc
L’amministratore di condominio: prorogatio imperii
La revoca dell’amministratore di condominio
Rappresentanza giudiziale del condominio: la legittimazione a resistere in giudizio ed a proporre impugnazione dell’amministratore di condominio.
L’obbligo dell’amministratore di eseguire le delibere della assemblea di condominio e la conseguente responsabilità.
La responsabilità dell’amministratore di condominio in conseguenza del potere – dovere di curare l’osservanza del regolamento condominiale.
La responsabilità (civile) dell’amministratore di condominio.
Recupero credito nei confronti del condomino moroso
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 10 maggio 2018, n. 11289
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. CORTESI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15687-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 1, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 1, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difendo dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1089/2013 della Corte di appello di Milano depositata il 13 marzo 2013;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 ottobre 2017 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti (OMISSIS) (con delega dell’Avv. (OMISSIS)), per parte ricorrente, e (OMISSIS) (con delega dell’Avv. (OMISSIS)), per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23 giugno 2008 (OMISSIS) – nella qualita’ di proprietario di unita’ immobiliare sita nel Condominio (OMISSIS) evocava, dinanzi al Tribunale di Como – Sezione distaccata di Menaggio, il medesimo Condominio chiedendo dichiararsi la nullita’ delle Delib. assembleari (tenutesi fra il 10 marzo 2001 e l’11 luglio 2007, integrata la domanda in corso di causa fino al 24 ottobre 2009) limitatamente ai punti in cui, in tema di riparto delle spese di riscaldamento, erano stati adottati criteri non conformi alla legge o al regolamento condominiale, con condanna del Condominio alla restituzione delle somme versate in eccedenza. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto che assumeva la regolarita’ del criterio di riparto adottato, il giudice adito, respingeva la domanda attorea.
In virtu’ di rituale impugnazione interposta dal (OMISSIS), la Corte di appello di Milano, nella resistenza del Condominio, che proponeva anche appello incidentale, chiedendo dichiararsi la validita’ delle delibere de quibus, respingeva entrambe le impugnazioni.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale precisava che il regolamento condominiale invocato non prevedeva alcun criterio di riparto per le spese condominiali, ragione per la quale si era reso necessaria indire l’assemblea straordinaria del 10 marzo 2001, che all’unanimita’ dei presenti procedeva a ripartire il consumo della gestione in corso per unita’ immobiliari. Indicava, quindi, il contenuto delle restanti delibere: dopo circa un anno e mezzo, il 23 novembre 2002, la ripartizione del consumo per la gestione 2001-2002 veniva deliberata nel senso che il 30% spettava per numero di unita’ immobiliari ed il 70% tra singoli condomini, tra cui non figurava l’appellante; nell’assemblea straordinaria del 10 gennaio 2004 veniva fornita dal sig. (OMISSIS) una tabella di conversione, dandosi incarico all’Amministratore di ricalcolare i consumi ed indire una apposita assemblea; all’assemblea del 6 marzo 2004 veniva elaborato un criterio di calcolo per la tabella di riscaldamento secondo cui “il coefficiente fisso per il riscaldamento doveva essere portato dal 30% al 50%”, il restante 50% doveva essere addebitato in base a “la media tra la tabella presentata dal geom. (OMISSIS) aggiornata al 50% del costo fisso e la tabella calcolata con il metodo di conversione dal tecnico (OMISSIS) nell’anno 1998”, criteri da applicarsi alla gestione 2002-2003; l’assemblea straordinaria del 16 ottobre 2004 poi deliberava di ripartire le spese per gli esercizi 2002-2003, 2003 – 2004 e 2004 2007 e quelli successivi a preventivo con il criterio “misto” del 30% del costo totale del combustibile acquistato ripartito per unita’ abitativa, Euro 1.000,00 quale quota fissa annua ripartita su base millesimale; l’assemblea ordinaria del 24 marzo 2007 deliberava che “la tabella di riscaldamento allegata al consuntivo 2005 – 2006 venga ricalcolata considerando al 50% la quota fissa dell’impianto ripartendolo per condomino, fermo restando la quota di Euro 1.000,00 per ammortamento impianto ripartita secondo i millesimi di proprieta’”; infine, l’assemblea ordinaria del 24 ottobre 2009 si limitava ad affermare che “la spesa per il riscaldamento e’ stata conteggiata sulla base dei criteri in vigore, in attesa delle future decisioni in merito da parte del giudice”.
Si trattava all’evidenza di delibere che non potevano essere ritenute nulle essendo state assunte a maggioranza e non esulando la materia dalle attribuzioni dell’assemblea per volonta’ del Regolamento condominiale, in particolare parte 6, pag. 9. Ne’ il (OMISSIS) aveva provato quanto il criterio di ripartizione delle spese per il riscaldamento fosse stato in concreto per lui piu’ svantaggioso rispetto al criterio rigorosamente osservante della ripartizione per millesimi.
Quanto al ricorso incidentale, rilevava che, secondo la previsione nel Regolamento condominiale, l’assemblea nel discostarsi dal criterio di ripartizione per millesimi l’assemblea avrebbe dovuto indicarne le ragioni, mentre non era state illustrate, neanche parzialmente.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base di tre motivi, cui ha resistito D Condominio con controricorso.
In prossimita’ della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Vanno preliminarmente esaminate le deduzioni di inammissibilita’ del ricorso esposte nel controricorso ai sensi degli articoli 360 bis c.p.c., n. 1 e articolo 366 c.p.c., n. 3.
Rileva il Collegio che il ricorso, dopo avere indicato nell’epigrafe il giudice adito e le generalita’ delle parti, per sintesi talune parti del regolamento condominiale, con l’indicazione di solo alcune delle delibere impugnate, prosegue esponendo direttamente i motivi di doglianza, senza che detta parte preliminare, dedicata alla illustrazione dei fatti di causa, sia completa. Questi ultimi, tuttavia, sono piu’ chiaramente desumibili dalla illustrazione dei motivi stessi: e tanto basta per escludere l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3, in base al risalente principio al quale si intende date continuita’, condividendolo – secondo cui ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso per cassazione non occorre che l’esposizione sommaria dei fatti di causa costituisca parte a se’ stante del ricorso, essendo sufficiente che essa risulti, in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (Cass. n. 3087 del 1962; Cass. n. 1526 del 1962; Cass. n. 7392 del 2004; Cass. n. 16360 del 2004; Cass. n. 4403 del 2006; Cass. Sez. Un. n. 11653 del 2006; Cass. n. 16315 del 2007).
Del pari non puo’ trovare ingresso la ulteriore eccezione di inammissibilita’ del ricorso: alla luce della piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (cfr Cass. Sez. Un. n. 7155 del 2017), secondo cui lo scrutinio del ricorso ex articolo 360-bis c.p.c., n. 1, che ha funzione di filtro, esonera la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimita’, cosi’ consentendo una piu’ rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”, richiede una valutazione che deve svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione. Pertanto riguardando le ragioni di merito delle doglianze, non puo’ che concernere il contenuto decisorio e definitivo del provvedimento.
Venendo al merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli articoli 112 e 346 c.p.c., con conseguente nullita’ parziale della sentenza, per avere il ricorrente abbandonato in appello le domande di annullamento delle delibere per l’anno 2009, esaminate comunque dalla Corte di appello.
Il motivo oltre a non cogliere nel segno, appare inammissibile per carenza di interesse.
Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare (cfr. Cass. 11039 del 2006), in primo grado trova applicazione il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (imposto dall’articolo 112 c.p.c.), cui fa riscontro, nel giudizio d’appello, il principio del tantum devolutum quantum appellatum (articoli 342 c.p.c.); con la conseguenza che il giudice di primo grado non puo’ pronunciare ultra petita, mentre nel giudizio di appello, che ha per oggetto la medesima controversia decisa dalla sentenza di primo grado, operano i limiti della devoluzione che risultano fissati dagli specifici motivi che l’appellante ha l’onere di proporre con l’atto d’appello (ai sensi dell’articolo 342 c.p.c.) – per cui non puo’ essere trattata e decisa una questione, gia’ decisa in primo grado, se (in difetto di specifico motivo d’appello) la questione stessa non risulti, comunque, devoluta al giudice di appello oppure la decisione relativa risulti, addirittura, coperta dai giudicato sostanziale interno (articolo 2909 c.c.).
Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 c.p.c.) – come il principio del tantum devolutum quantum appellatum (articolo 342 c.p.c.) – non osta, tuttavia, a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata dalle parti, nonche’ in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, ma implica tuttavia il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto (petitum mediato) oppure di emettere una qualsiasi pronuncia su domanda nuova, quanto a causa pretendi, che non si fondi, cioe’, sui fatti ritualmente dedotti o, comunque, acquisiti al processo, anche se ricostruiti o giuridicamente qualificati dal giudice in modo diverso rispetto alle prospettazioni di parte, ma su elementi di fatto, che non siano, invece, ritualmente acquisiti come oggetto del contraddittorio.
La corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che vincola il giudice ex articolo 112 c.p.c., riguarda il petitum che va determinato con riferimento a quel che viene domandato sia in via principale sia in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire ed alle eccezioni che in proposito siano state sollevate dal convenuto (Cass. n. 8479 del 2002).
La sentenza impugnata non si discosta dai principi di diritto enunciati.
Ed infatti, la Corte di appello ha vagliato la sentenza impugnata, in ragione delle prospettazioni delle parti, tenendo conto che il bene della vita a tutela del quale il (OMISSIS) aveva adito il Tribunale di Como era costituito dalla richiesta di annullamento delle delibere assembleari limitamente al riparto delle spese di riscaldamento, deducendo a sostegno delle proprie ragioni la non conformita’ alla legge ed al regolamento condominiale dei criteri adottati, senza, quindi, violare l’articolo 112 c.p.c. e le altre disposizioni di legge richiamate per incorrere nel vizio di ultrapetizione.
Infatti il giudice del gravame, preso atto dell’abbandono da parte del ricorrente/appellante della domanda relativamente alle deliberazioni del 2009, nell’ordito motivazionale si e’ limitato ad indicare tutti i deliberati onde poter meglio fondare – dopo una completa ricostruzione dei dati fattuali della vicenda, con illustrazione delle varie delibere intervenute sulla questione della ripartizione dei costi per il riscaldamento – il proprio convincimento. Con motivazione logica e congrua, relativa ad un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, la Corte di appello ha poi ritenuto non fondata la censura con la quale si assumeva la irregolarita’ dei criteri di riparto utilizzati, poiche’ le delibere erano state assunte a maggioranza e la materia non esulava da quelle attribuite dal Regolamento condominiale all’assemblea. Afferma, inoltre, la corte distrettuale che in ordine a tale determinazione il (OMISSIS) non aveva provato che il criterio utilizzato fosse per lui in concreto piu’ svantaggioso rispetto al criterio rigorosamente osservante della ripartizione per millesimi. Non e’ dunque ravvisabile alcuna delle violazioni lamentate.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1123, 1135 e 1137 c.c. per avere la corte di merito ritenuto solo annullabili le delibere per il mancato rispetto della “norma di chiusura” sulla ripartizione delle spese contenuta nel Regolamento, nonostante il medesimo disponga in via generale che il conto di riparto delle spese occorrenti per la gestione dei servizi comuni avvenga sulla base della tabella millesimale riportata in calce; nel paragrafo recante la rubrica Ripartizione spese (pag. 14) il Regolamento dispone ancora che “Tutte le spese, ad eccezione di quelle per le quali le leggi vigenti stabiliscono particolari criteri di ripartizione, saranno ripartite in ragione dei millesimi di cui alla tabella millesimale prima citata”. Nonostante dette previsioni l’assemblea a maggioranza per il riparto della spesa comune di riscaldamento aveva fissato un criterio difforme, paritario ed indistinto.
Con il terzo mezzo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti: la corte territoriale avrebbe ricostruito i presupposti di fatto della vicenda in maniera fuorviante, ritenendo che tutte le delibere impugnate avessero carattere di provvisorieta’, giustificato da una situazione di emergenza.
Gli ultimi due motivi, incentrati sulla medesima questione della nullita’/annullabilita’ delle deliberazioni, sono bisognosi di trattazione unitaria. Essi non sono fondati per le ragioni di cui si dira’.
Preliminarmente va osservato che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle se l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri di riparto stabiliti dalla legge (o in via convenzionale da tutti i condomini), mentre sono annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano violati o disattesi (v. Cass. Sez. Un. n. 4806 del 2005).
Nella specie, per quanto del contenuto delle deliberazioni risulta specificamente riportato nel ricorso, come prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma, n. 6, non puo’ affatto sostenersi che l’assemblea del Condominio (OMISSIS) avesse con esse, esulando dalle proprie attribuzioni, modificato i criteri di riparto delle spese di riscaldamento stabiliti dalla legge (o comunque dapprima approvati in via convenzionale da tutti i condomini), sicche’ e’ da escluderne la nullita’.
Il ricorrente propone a questa Corte di rivalutare le risultanze probatorie per dare conforto all’assunto dello stesso ricorrente dell’erroneo rilievo dei consumi di calore posti a base del riparto, con cio’ investendo il giudice di legittimita’ di compiti che esulano dai limiti del suo sindacato.
E’ infine decisivo osservare, come la corte territoriale ha evidenziato, che non vi era la prova che alcun danno aveva ricevuto da detto riparto il ricorrente, ne’ poteva detta mancata prova essere superata dalla semplice proposizione di una generica domanda restitutoria, affidata ad una consulenza tecnica meramente esplorativa.
Va al riguardo affermato che il condomino, il quale intenda proporre l’impugnativa di una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneita’ della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale (cfr Cass. n. 7128 del 2017; Cass. n. 15377 del 2000).
Il ricorso va percio’ rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.