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Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10616
l’impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale va proposta con citazione (Cass. Sez. 2, n. 8440/2006; Cass. Sez. Un, n. 8491/2011), poiche’, nel silenzio dell’articolo 1137 c.c. circa la forma dell’introduzione del rito, trova applicazione la regola generale dettata dall’articolo 163 c.p.c.
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Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10616
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1949-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO DI (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 982/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/05/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1) (OMISSIS), con ricorso depositato il 5.3.2011 e notificato il 6.5.2011, conveniva dinanzi al Tribunale Ordinario di Torino il (OMISSIS), per ottenere l’annullamento o la dichiarazione di nullita’ delle deliberazioni condominiali del 23.2.2011, relative all’approvazione del bilancio consuntivo per spese ordinarie e straordinarie del 2010.
Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso con sentenza depositata il 10.10.2012.
2) La sig.ra (OMISSIS) proponeva appello contro la sentenza del Tribunale con ricorso, depositato il 9.4.2013 e notificato il 6.5.2013, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, decreto che gia’ rilevava la non corretta proposizione dell’impugnazione con il ricorso.
2.1) La Corte di appello di Torino rilevava l’inammissibilita’ del gravame per tardivita’, in quanto il termine “lungo” di sei mesi era “spirato vanamente il 7.4.2013”, posto che il giudizio di secondo grado andava introdotto con citazione anziche’ con ricorso e che la data di introduzione del giudizio coincideva con quella della notifica del ricorso-decreto, avvenuta il 6.5.2013, cioe’ un mese dopo il termine ultimo.
3) Per la cassazione della sentenza, (OMISSIS) ha proposto ricorso notificato il 7.1.2015 articolato su due motivi e illustrato da memoria.
L’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
4) La causa e’ stata avviata a trattazione con rito camerale davanti alla Sesta sezione civile, con proposta di rigetto del ricorso.
5) Con il primo motivo (OMISSIS) deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 327 e 434 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
La seconda censura attiene all’erroneita’ del calcolo relativo alla data di scadenza del termine di proposizione del gravame, in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Parte ricorrente assume che l’impugnazione della sentenza di primo grado era avvenuta con ricorso, anziche’ con citazione, depositato il 9.4.2013, entro il termine semestrale di decadenza che, a decorrere dalla data di deposito della sentenza avvenuta il 10.10.2012, spirava il 10.4.2013.
Afferma che per “mero lapsus calami” il giudice di appello avrebbe individuato la scadenza del termine per impugnare alla data del 7.4.2013 (in realta’ nel primo motivo di ricorso si fa riferimento alla data del 6.10.2013, successivamente corretta nel 7.4.2013, come indica espressamente il ricorrente nel motivo n. 2 e come si evince dalla sentenza impugnata a pag. 12).
Cio’ premesso, il ricorrente sostiene che, ai fini della tempestivita’, il parametro di riferimento vada individuato nella data di deposito del ricorso e non in quella della notificazione alla controparte. Seguendo tale impostazione, il termine di impugnazione sarebbe stato rispettato, poiche’ l’appello era stato presentato con ricorso depositato entro i sei mesi contemplati dall’articolo 327 c.p.c.
Critica l’orientamento seguito dalla Corte di appello di Torino, secondo cui quando l’impugnazione deve essere proposta con citazione, l’eventuale erronea introduzione del giudizio con ricorso, pur depositato entro i sei mesi, puo’ essere sanata solo a condizione che il ricorso ed il decreto di fissazione siano notificati alla controparte entro il termine di decadenza.
Parte ricorrente invoca, a tal fine anche il principio di ultrattivita’ del rito, il quale postulerebbe che il giudizio debba proseguire in appello nelle stesse forme, ancorche’ erronee, del giudizio di primo grado. Ne conseguirebbe che, dal momento che il giudizio di primo grado era stato introdotto con ricorso, l’appello doveva essere proposto con il medesimo mezzo, dovendosi, pertanto, fare riferimento alla data di deposito.
6) La doglianza e’ infondata.
E’ erronea l’indicazione in sentenza del termine di decadenza dei sei mesi alla data del 7.4.2013, in luogo del 10.4.2013.
Il termine di sei mesi previsto dall’articolo 327 c.p.c., infatti, va computato ai sensi dell’articolo 155 c.p.c., comma 2, non ex numero bensi’ ex nominatione dierum (cfr. Cass., Sez. 3, n. 17313/2015; Cass., Sez. 5, n. 22699/2013). Cio’ comporta che nel caso in esame, il termine cadeva il 10.4.2013, cioe’ sei mesi dopo la data di deposito della sentenza, avvenuta il 10.10.2012, come indicato dal ricorrente.
Tuttavia, come quest’ultimo riconosce, si tratta di una semplice svista che non e’ decisiva, poiche’ non incide ne’ sulla statuizione ne’ sui principi affermati dalla Corte.
La ratio decidendi e’ costituita dal fatto che la notifica del ricorso e del decreto e’ avvenuta in data 6.5.2013, oltre il termine di decadenza del 10.4.2013, sicche’ occorre stabilire se, ai fini della tempestivita’, si debba fare riferimento al momento del deposito o a quello della notifica del ricorso e, in secondo luogo, occorre coordinare le conclusioni a cui si giunge con il principio di ultrattivita’ del rito.
Ora, secondo la giurisprudenza di legittimita’ oramai consolidata, l’impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale va proposta con citazione (Cass. Sez. 2, n. 8440/2006; Cass. Sez. Un, n. 8491/2011), poiche’, nel silenzio dell’articolo 1137 c.c. circa la forma dell’introduzione del rito, trova applicazione la regola generale dettata dall’articolo 163 c.p.c.
Tanto premesso, per quanto riguarda in modo specifico l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione della delibera, anche in questo caso, in assenza di previsioni di legge “ad hoc”, l’impugnazione deve essere proposta in conformita’ con la regola generale contenuta nell’articolo 342 c.p.c., vale a dire mediante citazione. Ne consegue che la tempestivita’ dell’appello va verificata in base alla data di notifica dell’atto di citazione e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem.
Il principio e’ stato affermato dalla recente giurisprudenza di legittimita’, superando il precedente orientamento costituito da Cass. 18117/2013 citata dal ricorrente. A seguito della pronuncia Cass., Sez. Un., 1.2.2014, n. 2907, e’ stato chiarito il principio secondo cui un appello erroneamente introdotto con ricorso, anziche’ con citazione, e’ suscettibile di sanatoria, a condizione, appunto, che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, mentre la deroga, nel senso di un’assoluta equivalenza ed equipollenza delle forme, delineata da Cass., Sez. Un., 14.4.2011, n. 8491, trovava giustificazione soltanto per l’atto introduttivo del giudizio di primo grado di impugnazione delle delibere dell’assemblea condominiale, stante la riforma dell’articolo 1137 c.c., ante riforma del 2012.
Tale orientamento e’ stato ribadito sia in tema di impugnazione delle deliberazioni condominiali (Cass., Sez. 6, n. 8839/2017; Cass., Sez. 2, n. 23692/2014), che in tema di opposizione agli atti esecutivi (Cass. Sez. 3, n. 10643/2014) e in materia di opposizione all’ordinanza-ingiunzione (Cass., Sez. Un., n. 2907/2014; Cass. Sez. 2, n. 8536/2009).
Ragioni di coerenza giuridica e di uguaglianza inducono ad una generalizzazione del principio. Tale conclusione, del resto, discende dalla natura di rito generale del giudizio ordinario anche in relazione alla disciplina dell’appello di cui all’articolo 339 c.p.c. e segg.; nonche’, dal primato del rito ordinario sui riti speciali, anche in secondo grado, enucleabile dal combinato disposto dell’articolo 40 c.p.c., comma 3 e articolo 359 c.p.c.; infine, dalla circostanza che allorquando il legislatore ha voluto disegnare una disciplina speciale anche per il giudizio di secondo grado, lo ha fatto espressamente.
Il ricorso va quindi rigettato.
Non vi e’ necessita’ di provvedere sulle spese non avendo l’intimato svolto difese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.