Tribunale Udine, Sezione 2 civile Sentenza 22 gennaio 2018, n. 92
Sebbene il piano di ammortamento, come ripetutamente affermato dall’Arbitro Bancario Finanziario, “pur se non riversato in un formale allegato al contratto, sia un documento riassuntivo dell’evoluzione del rapporto costruito (…) sulla base dei precetti, delle pattuizioni e delle condizioni negoziali” ed integri “un documento a contenuto contrattuale la cui rimessione al cliente è di per sé doverosa” (decisione n. 3543 del 28 giugno 2013, che richiama le decisioni 313 8/12 e 644/10), la sua mancata consegna al cliente non riverbera nella nullità delle clausole contrattuali, ma è, se mai, sanzionabile sul piano risarcitorio; l’obbligo di dichiarare nel contratto il tasso di interesse e le altre condizioni del rapporto è comunque assolto dalle indicazioni corrispondenti, anche se i dati non vengono elaborati in un piano di ammortamento vero e proprio, posto che, sulla base di quei dati, esso è ricostruibile.
Non costituendo elementi necessari dei contratti di leasing, i relativi piani di ammortamento non dovevano essere allegati al contratto, né dovevano essere necessariamente consegnati con questo alla società utilizzatrice; essa aveva diritto di ottenerli, ma non vi è prova che li abbia richiesti alla banca prima dell’inizio della presente causa, né che dalla loro mancata disponibilità siano derivati a (…) S.r.l. danni, dei quali comunque la società opponente non ha chiesto il risarcimento.
Tribunale Udine, Sezione 2 civile Sentenza 22 gennaio 2018, n. 92
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice della seconda sezione civile del Tribunale di Udine, dotto Francesco Venier, ha pronunciato, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4924/2015 del R.G. in data 9 ottobre 2015, iniziata con atto di notificato telematicamente in data 30 settembre 2015
da
– (…) S.R.L., in persona del legale rappresentante, con i procuratori e domiciliatari avvocati PO.CH. del Foro di Monza, per procura speciale allegata telematicamente all’atto di citazione e RI.GI. del Foro di Firenze, per procura speciale allegata all’atto di costituzione di ulteriore difensore depositato telematicamente in data 28 aprile 2016,
attore – opponente
contro
– (…) S.P.A., in persona del legale rappresentante, con il procuratore e domiciliatario avvocato PA.MA., per procura generale alle liti per atto del notaio dotto (…) di data (…) (rep. n. (…), racc. n. (…)),
convenuto – opposto
cui è stata unita la causa civile di primo grado iscritta al n. 5206/2015 del R.G. in data 21 ottobre 2015, iniziata con atto di citazione notificato telematicamente in data 12 ottobre 2015
da
– (…), con i procuratori e domiciliatari avvocati CO.ED. del Foro di Lecco per procura speciale allegata telematicamente all’atto di citazione e RI.GI. del Foro di Firenze per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore depositata telematicamente in data 1 aprile 2016,.
attore-opponente
contro
– (…) S.P.A., In persona del legale rappresentante, con il procuratore e domiciliatario avvocato PA.MA., per procura generale alle liti per atto del notaio dotto (…) di data (…) (rep. n. (…), racc. n. (…)),
convenuto-opposto
avente per oggetto: leasing – 1.43.121.
Letti gli atti di causa;
osserva
La società (…) S.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto con il quale le è stato ingiunto il pagamento dei canoni scaduti di un contratto di leasing immobiliare e dei contratti di leasing di due autovetture, conclusi dalla società con (…) s.p.a. in data 11.12.2006,4.7.2007 e 4.2.2009, nonché la restituzione dei veicoli.
Distinta opposizione avverso il medesimo decreto ha proposto (…), che si era costituito fideiussore della società in relazione alle obbligazioni assunte con il contratto di leasing immobiliare ed al quale è stato ingiunto in solido con la società e con gli altri fideiussori il pagamento del debito relativo a quel contratto.
La società opponente ha chiesto in via preliminare la riunione della causa a quella iniziata nei suoi confronti da (…) S.p.A. per ottenere la riconsegna dell’immobile, previo accertamento della intervenuta risoluzione del primo contratto di leasing.
Nel merito, (…) S.r.l. ha eccepito la nullità di tutti e tre i contratti di leasing per indeterminatezza delle condizioni contrattuali ed in particolare del tasso di interesse, derivante dalla mancanza del piano di ammortamento ed ha chiesto che gli interessi vengano rideterminati al tasso legale e che venga accertato l’ammontare degli interessi indebitamente pagati; in via riconvenzionale (…) S.r.l. ha chiesto che venga accertato il suo credito “corrispondente alla differenza tra maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione dell’immobile avvenute ai valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale” e che (…) S.p.A. venga condannata a restituire i canoni già versati ai sensi dell’art. 1526 c.c.
La banca convenuta ha replicato che i contratti contenevano tutti gli elementi necessari per rendere certo il contenuto delle obbligazioni assunte dall’utilizzatore e tutti i dati necessari per ricostruire il piano di ammortamento, che non costituiva un elemento del contratto normativamente previsto; ha poi eccepito la genericità della domanda di restituzione formulata dalla società opponente, la inapplicabilità in via analogica delle previsioni dell’art. 169-bis della legge fallimentare e la inapplicabilità: dell’art. 1526 c.c., anche perché l’immobile non era ancora stato restituito alla concedente, ed ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o comunque la condanna della società opponente al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo o della diversa somma “ritenuta di giustizia, determinata anche alla luce di tutte le pattuizioni contenute nella clausola risolutiva espressa di cui all’art. 7 delle CGC del contratto n. 315660/1, ivi compresa qualsivoglia penale contrattuale ivi prevista, o, in subordine, delle norme di cui all’art. 1526 c.c.”, oltre ad interessi e spese.
Nella prima memoria depositata ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c. la società opponente ha contestato la validità delle clausole contrattuali che disciplinavano le conseguenze della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore ed ha insistito nella richiesta di applicazione dell’art. 1526 c.c.
Con il suo atto di opposizione, (…) ha invece disconosciuto la sottoscrizione apparentemente da lui apposta in calce alla fideiussione, contenente tra l’altro una clausola derogativa della competenza territoriale ed ha di conseguenza eccepito in via pregiudiziale la incompetenza per territorio di questo Tribunale e nel merito la inesistenza della sua obbligazione di garanzia; ha inoltre eccepito in via subordinata all’accertamento della autografia della sua sottoscrizione la nullità del contratto per le medesime ragioni svolte dal (…) S.r.l. ed ha proposto le medesime domande di accertamento e di condanna di (…) S.p.A. proposte dalla società.
La banca convenuta ha eccepito la inammissibilità della eccezione di incompetenza proposta da (…), per non essere stato indicato il giudice ritenuto competente ed ha chiesto la verificazione della autografia delle sottoscrizioni da lui apposte sulla fideiussione; quanto al merito, ha eccepito il difetto di legittimazione del fideiussore rispetto alla domanda di condanna al pagamento di somme in favore della società garantita ed ha proposto le medesime difese già svolte nell’altra causa.
In questa seconda causa, respinta la richiesta di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, è stata disposta una (…) grafologica al fine di accertare se la sottoscrizione apposta dall’opponente sul contratto di fideiussione fosse autografa e, acquisita la relazione della consulente dott.ssa Fr.Be., nell’udienza del 28.2.2017 la causa è stata riunita alla opposizione proposta da (…) S.r.l.
E’ stata quindi disposta una seconda (…) al fine di accertare quale fosse il valore di mercato dell’immobile oggetto del primo contratto di leasing alla data della risoluzione e alla data della sua restituzione al concedente e quale potesse essere l’ammontare del canone di locazione di mercato dell’immobile nel periodo in cui il contratto aveva avuto esecuzione.
Acquisita anche la seconda relazione di (…), la causa è stata rinviata alla odierna udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale.
La (…) grafologica ha accertato la appartenenza a (…) delle sottoscrizioni apposte sulla fideiussione rilasciata in favore di (…) S.r.l.
Le conclusioni della consulente dott.ssa (…), pur essendo state espresse per doverosa cautela (trattandosi di sigle e non di firme per esteso) in termini di “alta probabilità”, non lasciano dubbi sulla autografia di dette sottoscrizioni: la consulente ha evidenziato la prevalenza delle affinità, sia morfologiche, che dinamiche tra quelle firme e le firme di comparazione ed ha rilevato che le minori difformità riscontrate si giustificano nell’ambito della ampia variabilità del soggetto scrivente.
Le conclusioni della (…), supportate da plurimi riscontri oggettivi, riprodotti nella relazione ed immediatamente percepibili, sono state condivise dalla C.T.P. di parte convenuta opposta e non adeguatamente contestate dal C.T.P. di parte opponente, alle cui obiezioni la dott.ssa (…) ha ribattuto in maniera convincente e che non ha comunque escluso che il giudizio di autenticità potesse essere avvalorato in presenza di ulteriori sigle di comparazione.
Va quindi affermata la validità della fideiussione rilasciata da (…) e, con essa, la competenza di questo Tribunale, fondata sulla clausola di deroga alla ordinaria competenza territoriale specificamente approvata per iscritto dall’opponente.
Le altre ragioni di opposizione, come si è detto, sono comuni alla società ed alla persona fisica opponenti e possono pertanto venire esaminate congiuntamente.
Il principale motivo di opposizione proposto negli atti introduttivi attiene alla mancata consegna del piano di ammortamento dei leasing conclusi da (…) S.r.l.
Secondo gli opponenti il plano di ammortamento, dal quale dovrebbero risultare per ogni rata di canone la quota corrispondente al capitale e quella corrispondente agli interessi, sarebbe un elemento necessario della documentazione contrattuale che deve essere consegnata al cliente, la cui mancanza farebbe mancare il consenso dell’utilizzatore sulla ripartizione tra capitale ed interessi delle singole rate, gli impedirebbe di verificare lo stato dei pagamenti e la loro imputazione e renderebbe indeterminato l’oggetto del contratto.
Tali affermazioni non sono condivisibili.
Sebbene il piano di ammortamento, come ripetutamente affermato dall’Arbitro Bancario Finanziario, “pur se non riversato in un formale allegato al contratto, sia un documento riassuntivo dell’evoluzione del rapporto costruito (…) sulla base dei precetti, delle pattuizioni e delle condizioni negoziali” ed integri “un documento a contenuto contrattuale la cui rimessione al cliente è di per sé doverosa” (decisione n. 3543 del 28 giugno 2013, che richiama le decisioni 313 8/12 e 644/10), la sua mancata consegna al cliente non riverbera nella nullità delle clausole contrattuali, ma è, se mai, sanzionabile sul piano risarcitorio; l’obbligo di dichiarare nel contratto il tasso di interesse e le altre condizioni del rapporto è comunque assolto dalle indicazioni corrispondenti, anche se i dati non vengono elaborati in un piano di ammortamento vero e proprio, posto che, sulla base di quei dati, esso è ricostruibile.
Non costituendo elementi necessari dei contratti di leasing, i relativi piani di ammortamento non dovevano essere allegati al contratto, né dovevano essere necessariamente consegnati con questo alla società utilizzatrice; essa aveva diritto di ottenerli, ma non vi è prova che li abbia richiesti alla banca prima dell’inizio della presente causa, né che dalla loro mancata disponibilità siano derivati a (…) S.r.l. danni, dei quali comunque la società opponente non ha chiesto il risarcimento.
I piani di ammortamento sono stati poi prodotti dalla banca convenuta opposta con la prima memoria depositata ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c. (suoi doc. 27, 28 e 29) e nessuna contestazione relativa al loro contenuto è stata sollevata dagli opponenti.
Quanto poi alla considerazione che i piani di ammortamento “alla francese”, quali quelli dei leasing stipulati da (…) S.r.l., prevedano maggiori costi complessivi rispetto a quelli “all’italiana”, ciò è vero, ma il maggior costo (rappresentato, a parità di tasso nominale, da un maggior importo complessivo degli interessi) trova contropartita nella invariabilità dell’importo dei canoni, atteso che nell’ammortamento “alla francese” la restituzione del finanziamento avviene mediante rate costanti, comprensive di una quota variabile e via via crescente di capitale e di una quota variabile e via via decrescente di interessi, mentre nell’ammortamento “all’italiana” la quota di capitale compresa in ciascuna rata rimane costante e va via via riducendosi la quota di interessi, sicché all’inizio le rate sono di importo maggiore.
L’ammortamento alla francese presenta una minore convenienza in termini economici per il debitore rispetto ad altre modalità di ammortamento, ma tale minore convenienza trova compensazione nel fatto che l’ammontare della rata, oltre ad essere certo, è costante ed indipendente dai mutamenti di valore della moneta e consente alla parte obbligata una migliore pianificazione dei versamenti; su tali presupposti, la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi offerti da ciascuna forma di ammortamento e la scelta conseguente sono lasciate alle parti, che si presume la compiano consapevolmente.
Ove poi gli opponenti intendessero affermare che la mancanza del piano di ammortamento rende inconoscibile lo stesso tasso degli interessi convenuti (e non solamente la distribuzione tra le singole rate degli importi ad essi corrispondenti) e per tale ragione rende indeterminato l’oggetto del contratto, è facile replicare, con la banca convenuta, che dal contratto di leasing immobiliare (ma altrettanto vale per i leasing delle due autovetture) “risultavano evincibili tutti gli elementi caratterizzanti il piano finanziario, ossia il valore di acquisto dell’immobile (pari ad Euro 1.160.790,28), il corrispettivo globale della locazione (Euro 1.628.189,85), la durata della locazione (240 mesi), l’ammontare del maxicanone iniziale (Euro 196.173,55), il numero dei canoni mensili successivi (239 mesi del valore di Euro 5.991,70 ciascuno), il valore del riscatto (indicato in Euro 290.197,57), l’indicizzazione del canone al tasso di interesse del Libor CHF 3 mesi 365 preso a base 1,6000 ed al tasso di cambio CHF/EUR 1,5898 e le modalità di calcolo per applicare la variazione, le spese di istruttoria (Euro 1.200,00), l’interesse effettivo (al momento della stipula pari 5,5138%) e, infine, gli interessi di mora (Euribor 3 mesi lettera divisore 360 maggiorato di 5 punti percentuali)”.
Non vi è dunque ragione per rideterminare il piano di ammortamento dei tre contratti di leasing applicando gli interessi legali; oltre tutto, tale domanda non è neppure conseguente a quella di accertamento della nullità per indeterminatezza dell’intero contratto, che era la domanda proposta in via principale negli atti di opposizione e solo con la prima memoria depositata da (…) S.r.l. ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c. è stata modificata in una domanda di nullità delle sole clausole relative agli interessi.
Negli atti introduttivi, gli opponenti hanno chiesto in via riconvenzionale che venga riconosciuta l’esistenza di un loro credito corrispondente alla differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione dell’immobile e il credito della banca in linea capitale e la condanna di (…) s.p.a. a restituire i canoni riscossi in esecuzione di tutti e tre i contratti, a norma dell’art. 1526 c.c.
La prima domanda è fondata sulla ritenuta applicabilità delle norme dettate per lo scioglimento del contratto di leasing nel caso di fallimento o ammissione al concordato preventivo dell’utilizzatore, sul presupposto che tali norme esprimano un principio che ha superato la tradizionale distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento e che sarebbe applicabile a tutte le ipotesi di scioglimento di un contratto di leasing.
Così non è: come affermato da Casso sez. I, 9 febbraio 2016, n. 2538, “l’introduzione nell’ordinamento, tramite l’art. 59 D.Lgs. n. 5 del 2006, dell’art. 72 quater l. fallo non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo, e le differenti conseguenze (nella specie, l’applicazione in via analogica dell’articolo 1526 c.c. al leasing traslativo) che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore”.
Da ciò deriva che, quando la risoluzione interviene per inadempimento dell’utilizzatore, nel caso di leasing traslativo trova applicazione il disposto dell’art. 1526 c.c., alla quale gli opponenti, in contraddizione con le domande fondate sul principio espresso nelle norme della legge fallimentare, hanno comunque fatto riferimento, chiedendo “in ogni caso” la condanna di (…) s.p.a. alla restituzione dei canoni già versati.
Nella prima memoria depositata ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c. nella causa promossa da (…) s.r.l. la domanda iniziale è stata modificata e riportata esclusivamente al disposto dell’art. 1526 c.c.; quella memoria, anzi, è stata dedicata nella quasi integrità ad illustrare la domanda fondata su questa norma, dando per scontata la intervenuta risoluzione dei contratti per inadempimento della società utilizzatrice.
Non vi è questione sulla applicabilità al leasing traslativo della norma dell’art. 1526 c.c. (Cass. sez. un. 7 gennaio 1993, n. 65), alla quale è stato riconosciuto carattere inderogabile (Cass. sez. III, 27 settembre 2011, n. 19732); più dubbio è che sia il leasing immobiliare, che quelli dei due autoveicoli, siano qualificabili come traslativi.
La elaborazione giurisprudenziale che ha portato alla individuazione delle due figure di locazione finanziaria risale alla fine degli anni ottanta del secolo scorso ed ha trovato un primo punto fermo nella pronuncia delle sezioni unite della Cassazione n. 65 del 7 gennaio 1993, che ha recepito un indirizzo formatosi nell’ambito delle sezioni semplici, secondo cui nell’ambito del leasing finanziario, sono individuabili due distinte figure contrattuali, nella prima delle quali, “corrispondente a quella tradizionale, l’utilizzazione della res da parte del concessionario, dietro versamento dei canoni all’uopo previsti, si inquadra, secondo la volontà delle parti, in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso, onde i canoni costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento; nella seconda, invece, le parti al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, ali ‘uso programmato ed alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicché il trasferimento del bene all’utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un’eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto” (Cass. sez. I, 13 dicembre 1989, n. 5573).
Sulla scorta di tale distinzione, le sezioni unite hanno individuato le caratteristiche strutturali del leasing c.d. “tradizionale” o “di godimento”, “nella funzione di intermediazione che l’impresa di leasing svolge tra il produttore (o fornitore) e l’utilizzatore del bene; nel fatto di avere ad oggetto beni o impianti strumentali all’esercizio dell’impresa dell’utilizzatore, dei quali è ragionevolmente prevedibile (ed è stato dalle parti previsto) il superamento tecnologico o l’esaurimento delle potenzialità di cui sono capaci nel periodo di durata del contratto; nell’interesse del concedente a realizzare un impiego remunerativo di capitale finanziario ed in quello dell’utilizzatore ad ottenere non già la proprietà immediata del bene (il cui acquisto forma oggetto di una mera facoltà da esercitare eventualmente al termine del rapporto), bensì la disponibilità del bene stesso, senza esborso di capitali rilevanti, con la conseguente acquisizione del valore di consumazione economica e del potere di sfruttamento del bene, da lui stesso prescelto per le esigenze della sua impresa, fino alla pressoché totale obsolescenza di esso; nel ragguaglio dei canoni alla vita economica del bene, secondo un piano di ammortamento finanziario, al termine del quale l’utilizzatore restituisce l’importo del capitale investito dal concedente presso un terzo, maggiorato dell’utile dell’impresa di leasing e delle spese dell’operazione; nel minimo valore residuale del bene, corrispondente all’altrettanto modesto prezzo di opzione per l’acquisto della proprietà, allo scadere del contratto; nella considerazione della proprietà del bene in capo al concedente in funzione di garanzia del pagamento dei canoni secondo il piano di ammortamento concordato”.
Di converso, le caratteristiche del leasing “traslativo” sono state individuate nella assenza di coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto, nella volontà originaria delle parti di realizzare, con lo strumento del leasing, il trasferimento della proprietà del bene al termine del rapporto, “costituendo l’acquisto una situazione di fatto necessitata per l’utilizzatore, avuto riguardo alla sproporzione tra (l’ancor notevole) valore residuo del bene stesso ed il modesto prezzo di opzione”, nella corrispondenza dell’importo globale dei canoni al valore del bene in quanto tale e nel fatto che ciascun canone sconta anche una quota di prezzo, ponendosi la vendita come elemento caratteristico causale coessenziale con la funzione finanziaria”, nella funzione strumentale della concessione in godimento rispetto alla vendita, nell’ancor più evidente scopo di garanzia oggettiva realizzato mediante la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto.
Nel primo tipo di leasing, “la prevalenza dello scopo di godimento rispetto ali ‘(eventuale) effetto traslativo della proprietà del bene relega in posizione marginale e sussidiaria, nella valutazione delle parti, il patto di opzione, avuto riguardo alla previsione di un valore pressoché nullo del bene al termine del contratto, il cui “tantundem” è rappresentato – come si è detto – dal prezzo di opzione” ed “i canoni costituiscono sempre e soltanto il corrispettivo del godimento del bene, essendo determinati dai contraenti in misura e con modalità tali da risultare progressivamente e costantemente equivalenti al valore di consumazione economica del bene stesso; essi perciò non comprendono una porzione del prezzo, anche quando l’utilizzatore decide di avvalersi dell’opzione” e, in coerenza con tali premesse si è affermata la sussistenza di una perfetta corrispettività e sinallagmaticità tra le prestazioni delle parti durante lo svolgimento del rapporto e, di conseguenza, la ravvisabilità nella figura del leasing tradizionale dei requisiti del contratto ad esecuzione continuata o periodica, “in presenza dei quali opera il principio generale della irretroattività inter partes degli effetti della risoluzione, sancito dall’art. 1458, 1 comma, seconda ipotesi, cod. civ., estensibile ai contratti innominati in forza dell’art. 1323 cod. civ., con conseguente inapplicabilità di normative con esso incompatibili, come quella prevista dall’art. 1526 cod. civ.”.
Per contro, alla seconda categoria di contratti è stata negata la natura di contratto ad esecuzione continuata o periodica e si è ritenuto, quindi, inapplicabile il regime dell’art. 1458, 1 comma, seconda ipotesi, c.c., “non essendo in esso ravvisabile quella perfetta corrispettività a coppie delle prestazioni reciproche e periodiche che caratterizzano invece il leasing tradizionale, poiché tali prestazioni non solo non sono separabili giuridicamente ed economicamente dalle precedenti e dalle successive, ma non realizzano costantemente, durante la vita del rapporto, l’equilibrio sinallagmatico tra prestazione e controprestazione, costituendo ciascun canone il corrispettivo sia della concessione in godimento, per la parte già eseguita fino al momento della risoluzione, sia del previsto trasferimento della proprietà del bene, sicché non sussiste equivalenza delle posizioni delle parti al momento dell’anticipata risoluzione del rapporto e difetta quindi il presupposto essenziale per l’applicazione della disciplina dell’art. 1458 c.c. citato”, mentre si è ritenuta applicabile per analogia la disposizione dettata dall’art. 1526 c.c.
La Cassazione ha anche chiarito che la individuazione della tipologia del leasing dipende dalla “ricostruzione, nell’uno o nell’altro senso, dell’intenzione delle parti trasfusa nel regolamento negoziale” ed “è problema da risolvere caso per caso, alla luce delle concrete peculiarità delle singole fattispecie”.
Sotto questo profilo assumono rilevanza non solamente i due elementi del prezzo stabilito per il riscatto in rapporto al valore residuale del bene alla scadenza del rapporto e della quantificazione dei canoni, ma anche una serie di indici ulteriori, che possono essere la presenza di una clausola che pone a carico dell’utilizzatore il rischio della perdita del bene (in analogia con il disposto dell’art. 1523 c.c.), la attribuzione all’utilizzatore della facoltà di esercitare le azioni che spettano al proprietario della cosa, il rapporto tra la durata del contratto ed il periodo di prevedibile obsolescenza tecnica ed economica del bene, l’interesse che l’utilizzatore ha inteso soddisfare con la stipulazione del leasing ed il rilievo del patto di opzione per le parti, la previsione della facoltà per l’utilizzatore di chiedere la proroga del contratto sul presupposto dell’ulteriore utilizzabilità del bene, l’obbligo dell’utilizzatore di riconsegnare il bene in buono stato di manutenzione e di funzionamento.
L’orientamento fatto proprio dalle sezioni unite del 1993 è stato ribadito da numerose pronunce successive, che hanno posto l’accento in particolare sui due elementi del valore residuo del bene al termine del leasing in rapporto al corrispettivo dell’opzione di acquisto e della comprensione nell’importo dei canoni di una quota del prezzo di acquisto (tra le tante, Casso sez. III, 4 luglio 1997, n. 6034; Casso sez. III, 18 novembre 1998, n. 11614; Casso sez. III, 14 aprile 2000, n. 4848; Casso sez. I, 7 febbraio 2001, n. 1715; Casso sez. I, 3 settembre 2003, n. 12823; Casso sez. III, 14 novembre 2006, n. 24214; Casso sez. III, 28 agosto 2007, n. 18195 e, da ultimo, Casso sez. III, 25 gennaio 20 Il, n. 1748).
Ben pochi degli altri elementi che secondo la sentenza delle sezioni unite assumono rilievo discretivo sono presenti nei contratti di leasing conclusi dalle parti ed il solo raffronto tra il valore residuo dei beni e il prezzo di riscatto potrebbe indurre a dubitare del carattere traslativo dei contratti oggetto di causa.
L’immobile oggetto del primo contratto è stato acquistato per il prezzo di Euro 1.050.000,00 e alla data di risoluzione del contratto, intimata con lettera ricevuta il 17.2.20 15 (doc. Il del fascicolo di parte del procedimento monitorio) il suo valore si era ridotto, secondo la stima operata dal (…), a Euro 530.000,00, con una svalutazione di quasi il 50%.
Il prezzo del riscatto che la società utilizzatrice avrebbe potuto esercitare alla scadenza del gennaio 2027 (e dunque oltre dieci anni dopo) è stato pattuito in Euro 290.197,57, importo inferiore del 45% al valore di stima del 2015: se l’immobile si svalutasse progressivamente, il prezzo di riscatto non sarebbe stato inferiore a quello che a quell’epoca sarebbe stato il suo valore e dunque verrebbe meno il principale elemento rivelatore della natura traslativa del leasing, che è la sproporzione tra il prezzo di riscatto e il valore del bene.
In realtà, sul prezzo di mercato degli immobili (e dunque sul valore stimato dal C.T.U. geom. Pe.) incidono in misura notevole l’andamento economico generale e quello del settore e la svalutazione subita nei primi otto anni di esecuzione del contratto non può imputarsi alla perdita di valore intrinseco del bene, che nulla esclude potrebbe rivalutarsi nei prossimi anni, in dipendenza dell’andamento del mercato immobiliare.
Assume dunque rilevanza decisiva, ai fini della qualificazione del leasing come traslativo, la circostanza che i canoni di leasing sono stati pattuiti in un importo decisamente maggiore di quello che sarebbe stato un normale canone di locazione commerciale; i canoni contrattuali ammontavano infatti a circa 6.000,00 Euro al mese, mentre il canone di locazione di mercato è stato stimato dal C.T.U. in un importo che nel corso degli anni è variato tra 28.000,00 Euro circa e meno di 25.000,00 Euro all’anno (e dunque tra 2.350,00 e 2.080,00 Euro al mese).
Tali valori rendono evidente che il canone di leasing non andava a retribuire solamente la concessione del godimento dell’immobile, ma per una quota . assai rilevante (oltre al metà) anticipava il prezzo di acquisto dello stesso.
Quanto alle due autovetture, una analoga valutazione non dà il medesimo esito: i beni mobili in questione sono soggetti a ben più rapida obsolescenza rispetto ad un immobile e la durata del leasing (cinque anni) è comparabile con quella del loro ammortamento contabile.
Né il prezzo di riscatto (Euro 4.516,66 per la autovettura (…) e Euro 119,97 per il (…)) è inferiore al presumibile valore che i mezzi avrebbero avuto al termine del contratto, né i canoni mensili di leasing (rispettivamente Euro 724,67 e Euro 228,83) erano lontani da quello che poteva essere un canone di noleggio di mercato.
Di conseguenza, se al contratto di leasing immobiliare deve ritenersi applicabile la norma dell’art. 1526 c.c., le clausole che disciplinano gli effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore dei due contratti di leasing mobiliare mantengono piena validità ed efficacia (salvo il potere del giudice di ridurre la penale contrattualmente pattuita, a norma dell’art. 1384 c.c.).
Alla domanda degli opponenti di vedere applicato il disposto dell’art. 1526 c.c., la banca convenuta opposta ha replicato richiamando a sua volta le previsioni di quella norma ad essa favorevoli; per come sono state formulate le sue conclusioni, non è chiaro se (…) s.p.a. abbia chiesto oltre alle somme richieste con il ricorso per decreto ingiuntivo, anche il pagamento delle ulteriori somme di cui assume di avere diritto in base alla clausola risolutiva espressa inserita nelle condizioni generali di contratto o comunque in base all’art. 1526 c.c., o se si sia limitata a valorizzare i diritti economici fondati su tali disposizioni per ottenere la conferma della condanna al pagamento dell’importo del decreto ingiuntivo opposto.
Sebbene alla prima memoria da essa depositata ai sensi dell’art. 183 comma 6 c.p.c. la banca convenuta opposta abbia allegato un prospetto delle somme che le spetterebbero in base alla clausola risolutiva contrattuale, in quella memoria essa ha dedotto di avere “invocato (. ..) l’applicazione di tutte le disposizioni contenute nella clausola risolutiva espressa” (e dunque anche di quella parte delle previsioni della clausola che non verrebbe invalidata dalla imperatività dell’art. 1526 c.c.) “in via di eccezione, al fine di far accertare l’effettiva debenza ed il concreto ammontare dei canoni scaduti ed impagati di cui al decreto ingiuntivo ed al fine di paralizzare le domande riconvenzionali avversarie, volte ad ottenere la restituzione dei canoni corrisposti”.
Pertanto, anche se la banca avrebbe potuto chiedere, in via di reconventio reconventionis, il pagamento anche delle somme dovutele in conseguenza della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, deve ritenersi che oggetto della sua domanda di condanna rimangano esclusivamente i canoni scaduti e non pagati alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, anche se la loro debenza deve essere valutata alla luce delle domande e delle eccezioni riconvenzionali degli opponenti.
Non è contestato che, alla stregua delle previsioni contrattuali ed una volta esclusa la nullità per indeterminatezza delle clausole sugli interessi, i canoni scaduti e non pagati, maggiorati dei relativi interessi e delle spese ammontino alle somme portate dal decreto ingiuntivo opposto.
Come si è detto, gli opponenti hanno contestato la debenza di tali somme eccependo la nullità della clausola risolutiva espressa che ne prevede il pagamento in quanto la risoluzione, in base all’art. 1526 c.c., avrebbe piena efficacia retroattiva tra le parti.
La clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di leasing immobiliare (doc. 5 del fascicolo di parte del procedimento monitorio) prevede che “i corrispettivi periodici comunque pagati resteranno acquisiti alla concedente per l’intero loro ammontare” e che “la concedente ha altresì facoltà di richiedere all’utilizzatore il pagamento di un importo pari alla somma dei corrispettivi periodici a scadere attualizzati al tasso base per l’indicizzazione dei canoni ridotto alla metà (. ..) maggiorato dell’importo pattuito per l’esercizio del diritto di opzione. Dall’importo così determinato sarà dedotto l’eventuale ricavato dalla vendita del bene, ovvero l’importo assunto a base di calcolo nell’ipotesi di diversa ricollocazione del bene. L’utilizzatore autorizza sin d’ora la concedente a . compensare ogni credito di essa concedente con l’eventuale debito restitutorio conseguente alla vendita e/o ricollocazione del bene. In caso di bene invenduto o non ricollocato – purché effettivamente riconsegnato a mani della concedente – sarà dedotto il valore attribuito a tale bene secondo stima commerciale compiuta dalla concedente e che l’utilizzatore già da ora accetta senza riserva alcuna con la sottoscrizione del presente contratto. La predetta stima commerciale si intenderà comunque effettuata salvo conguaglio a debito o a credito dell’utilizzatore, da determinarsi in rapporto all’effettivo ricavato della vendita o dall’effettivo importo di ricollocazione del bene”.
La clausola è contenuta In termini identici nei due contratti di leasing mobiliare (doc.12 e 19 del fascicolo di parte del procedimento monitorio).
Essa, nel prevedere il diritto del concedente di recuperare il bene, di trattenere i canoni scaduti e di richiedere il pagamento dei canoni a scadere e del prezzo di riscatto della proprietà del bene, pur con la detrazione dall’importo dovuto dall’utilizzatore del valore del bene, determinato come in essa previsto, è in contrasto con il disposto dell’art. 1526 c.c. che prevede come regola generale che gli effetti restitutori della risoluzione operino retroattivamente, in ragione del fatto che la funzione delle rate pagate è (quantomeno in parte) quella di anticipo del prezzo.
La norma del codice civile consente però che le parti convengano che le rate pagate restino acquisite al concedente a titolo di indennità ed anche “in materia di risoluzione di leasing traslativo, le parti possono convenire, ai sensi dell’art. 1526 cod. civ., applicabile in via analogica, l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto” (Cass. sez. III, 12 settembre 2014, n. 19272).
Con il ricorso per decreto ingiuntivo, (…) s.p.a. ha in effetti chiesto solamente il pagamento dei canoni già scaduti alla data della risoluzione dei contratti, che sono certamente dovuti a titolo di indennità, salva la possibilità di chiedere la riduzione giudiziale di tale indennità (domanda che, in questi termini, non è stata formulata dagli opponenti).
L’indennità prevista da secondo comma dell’art. 1526 c.c. è correlata alla disponibilità del bene di cui il conduttore ha profittato nel periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione e, di converso alla mancata disponibilità da parte del proprietario; essa partecipa dunque della natura dell'”equo compenso” che spetta al concedente ai sensi del primo comma, ma non si esaurisce in esso, avendo anche funzione di penale, come dimostrato dal fatto che il giudice può ridurla.
Il solo “equo compenso” comprende la remunerazione del godimento del bene e il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo e al logoramento per l’uso, ma esclude il mancato guadagno che il concedente avrebbe tratto dalla integrale esecuzione del contratto (Cass. sez. 1,23 maggio 2008, n. 13418; Casso sez. III, 24 giugno 2002, n. 9161).
I danni ulteriori subiti dal concedente (sia in termini di deterioramento subito dal bene per un uso anormale della cosa, sia in termini di mancato conseguimento di tutte le utilità che sarebbero derivate dalla integrale esecuzione del contratto) sono suscettibili di venire liquidati separatamente, ave ne ricorrano i presupposti e nulla vieta alle parti di determinare anticipatamente l’entità del risarcimento attraverso una clausola penale che però “non è tuttavia equa per il solo fatto di essere stata convenuta, atteso che l’art. 1384 c.c. consente al giudice che ne sia richiesto di ridurre equamente la prestazione assunta” (Cass. sez. III, 24 giugno 2002, n. 9161).
L’indennizzo costituito dai canoni versati (e dovuti fino alla risoluzione) che il concedente ha diritto di trattenere in conformità al secondo comma dell’art. 1526 c.c. ha appunto la funzione di penale per la parte che eventualmente eccede quello che sarebbe l’equo compenso previsto dal primo comma della norma.
Sulla base dei principi sopra esposti, va verificato se l’indennità convenuta dalle parti vada equitativamente ridotta.
I criteri in base ai quali va valutato se la misura della penale determinata dalle parti sia equa devono tener conto del fatto che, una volta “recuperato, da parte del concedente, il capitale monetario impegnato nell’operazione in vista del corrispondente guadagno mediante il detto compenso e il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non si presta ad essere commisurato ali ‘intera differenza necessaria per raggiungere il guadagno atteso, poiché, con l’anticipato recupero del bene e del suo valore, il concedente è di norma in grado di procurarsi, attraverso il reimpiego di quel valore, un proporzionale utile, che deve conseguentemente essere calcolato in detrazione rispetto alla somma che l’utilizzatore stesso avrebbe ancora dovuto corrispondere se il rapporto fosse proseguito” (Cass. sez. III, 13 gennaio 2005, n. 574); peraltro di ciò le parti hanno tenuto conto, stabilendo che il valore dei ricollocamento del bene debba venire detratto dalle somme dovute dall’utilizzatore inadempiente.
Come si è visto, i canoni di leasing erano ben superiori a quello che sarebbe stato un normale canone di locazione; trattenendo i canoni già pagati ed ottenendo il pagamento di quelli scaduti, (…) s.p.a. conseguirà quindi un vantaggio maggiore rispetto a quello corrispondente alla remunerazione del godimento del bene; considerato però il deprezzamento subito dall’immobile, i costi della immobilizzazione del capitale, le spese di gestione del rapporto, nonché il fatto che la detenzione da parte della società conduttrice si è protratta ben oltre la risoluzione del contratto, la differenza rispetto a quello che sarebbe stato il solo equo compenso per l’uso della cosa e che dunque è dovuta a titolo di penale appare equa, sicché non vi è ragione di ridurre l’indennità dovuta, corrispondente all’importo richiesto con il ricorso monitorio.
Non rileva, in relazione alle domande proposte in causa, la circostanza che la clausola inserita nel contratto concluso dalle parti preveda ben più della acquisizione da parte del concedente dei canoni già pagati (e di quelli scaduti e non pagati, che rientrano comunque tra quelli cui potrebbe avere diritto ai sensi dell’art. 1526 comma 2 c.c.), visto che (…) s.p.a. non ha chiesto in questa sede il pagamento delle ulteriori somme che le sarebbero dovute (i canoni non ancora scaduti e l’importo pattuito per l’esercizio del diritto di opzione, detratto il valore del bene del quale ha riacquistato la disponibilità); ove lo facesse in una separata causa, verrà valutata in quella sede la congruità della indennità convenuta nella sua integrità, tenendo conto di quanto riconosciuto dovuto nel presente giudizio.
Analoghi problemi non si pongono quanto ai due contratti di leasing mobiliare, le cui clausole rimangono valide, non trattandosi di leasing traslativi.
Il decreto ingiuntivo opposto va dunque integralmente confermato e gli opponenti vanno condannati a rifondere a (…) s.p.a. le spese dei due giudizi, che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto delle modalità della fase decisoria.
Il costo della (…) grafologica va posto In via definitiva a carico di (…), mentre il costo della (…) affidata al geom. Pe. va posto in via definitiva a carico solidale di entrambi gli opponenti.
P.Q.M.
Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando,
l) Respinge la domanda di accertamento della nullità della fideiussione rilasciata in data 11 dicembre 2006 da (…) per le obbligazioni assunte da “(…) S.r.l.” nei confronti di “(…) S.p.A.” con il contratto di leasing immobiliare di medesima data;
2) Respinge la domanda di accertamento della nullità per indeterminatezza delle clausole relative ai tassi di interesse pattuiti nei contratti di leasing conclusi da “(…) S.r.l.” con “(…) s.p.a.” in data (…) e in data 4 luglio 2007 e del contratto di leasing concluso da “(…) s.r.l.” con “(…) s.p.a.” in data 4 febbraio 2009;
3) Respinge le domande riconvenzionali proposte da “(…) s.r.l.” e da (…) nei confronti di “(…) s.p.a.” con atti di citazione notificati in data 9 e 21 ottobre 2015, come modificate con memoria depositata telematicamente ai sensi dell’art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. in data 29 giugno 2016 e, per l’effetto,
4) Respinge le opposizioni proposte da “(…) s.r.l.” e (…) avverso il decreto ingiuntivo n. 1378/15 pronunciato dal Giudice designato di questo Tribunale nei loro confronti in data 8 luglio 2015 che, per l’effetto, integralmente conferma;
5) Condanna “(…) S.r.l.”, In persona del legale rappresentante, a rifondere a “(…) s.p.a.”, in persona del legale rappresentante, le spese della causa inizialmente iscritta al n. 4924/15 R.G., liquidate in Euro 2.500,00 per la fase di studio,. in Euro 1.500,00 per la fase introduttiva e in Euro 600,00 per rimborso forfetario delle spese, oltre IVA e CPA.
6) Condanna (…) a rifondere a “(…) s.p.a.”, in persona del legale rappresentante, le spese della causa inizialmente iscritta al n. 5206/15 R.G., liquidate in Euro 4.704,00 per esborsi, in Euro 2.500,00 per la fase di studio, in Euro 1.500,00 per la fase introduttiva, in Euro 5.000,00 per la fase istruttoria e di trattazione e in Euro 1.350,00 per rimborso forfetario delle spese, oltre IVA e CPA.
7) Condanna “(…) s.r.l.”, in persona del legale rappresentante, e (…), in solido tra loro, a rifondere a “(…) s.p.a.”, in persona del legale rappresentante, le spese della riunita, liquidate in Euro 4.000,00 per la fase istruttoria e di trattazione, in Euro 4.000,00 per la fase decisoria e in Euro 1.200,00 per rimborso forfetario delle spese, oltre IVA e CPA.
8) Pone in via definitiva il compenso liquidato in favore della C.T.U. grafologa dott.ssa (…) a carico di (…);
9) Pone in via definitiva il compenso liquidato in favore del C.T.U. geom. Ma.Pe. a carico solidale di “(…) S.r.l.”, in persona del legale rappresentante, e di (…).
Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.
Così deciso in Udine il 22 gennaio 2018.
Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2018.