l’estensione di una servitu’ convenzionale e le modalita’ del suo esercizio devono essere desunte dal titolo, da interpretarsi secondo i criteri di cui agli articoli 1362 e ss. c.c.; tuttavia, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1063, 1064 e 1065 c.c., ove la convenzione manchi di sufficienti indicazioni, divengono operanti i criteri di legge, in forza dei quali il diritto comprende quanto necessario per farne uso e deve essere esercitato in modo da consentire di soddisfare il bisogno del fondo dominante, con il minor aggravio per il fondo servente.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14504
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24447-2014 proposto da:
(OMISSIS), domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3379/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 02/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli la sorella (OMISSIS), deducendo che la comune genitrice con rogito per notar (OMISSIS) del 12/2/1964 aveva creato una servitu’ di passaggio con mezzi meccanici nell’immobile in (OMISSIS) su di una striscia di terreno larga, prima metri 4, e poi metri 3, in favore di essa attrice, e sulla quale la convenuta vantava solo una servitu’ di passaggio pedonale.
Aggiungeva che all’inizio della strada doveva essere costruito un cancello in legno a cura di entrambe le sorelle, ma che la convenuta aveva realizzato una rampa di scale e quattro gradini che insistono sul tracciato della servitu’, impedendo all’attrice il passaggio con mezzi meccanici.
Chiedeva quindi la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con la condanna altresi’ all’apposizione della recinzione alla sede stradale ed all’apposizione del cancello.
La convenuta nel contestare la domanda, in via riconvenzionale chiedeva che l’attrice fosse condannata ad eliminare a sua volta alcuni abusi in danno della sua proprieta’ esclusiva.
Quanto alla domanda principale, deduceva che l’atto notarile invocato dalla controparte, per il tenore delle espressioni utilizzate, non poteva intendersi come idoneo a creare immediatamente un diritto di servitu’, in quanto l’utilizzo dei verbi al tempo futuro sottintendeva la volonta’ della donante di procedere in un momento successivo alla creazione della servitu’, come peraltro confermato anche dalla lettura del successivo atto per notar (OMISSIS) del 19/10/1984 con il quale alla convenuta era stata donata dalla madre un’altra particella di terreno, atto che prevedeva la creazione di una ben diversa servitu’ di passaggio, metanodotto ed elettrodotto.
Il Tribunale adito con sentenza del 23 giugno 2000 rigettava la domanda attorea, ed in parziale accoglimento della riconvenzionale, condannava l’attrice all’abbattimento del cancello in ferro, del muro di recinzione e del filare di tegole.
Proposto appello principale da (OMISSIS) ed appello incidentale da (OMISSIS), la Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 3379 del 2/10/2013, in accoglimento dell’appello principale, condannava l’appellata all’abbattimento della scala e della botola in ferro che ricoprivano la rampa della scala di accesso al piano interrato della stessa appellata, confermando per il resto la decisione di prime cure.
Secondo i giudici di appello era da ritenersi fondato il motivo di gravame con il quale si contestava la corretta interpretazione dell’atto di donazione del 12 febbraio 1964 con il quale la madre delle parti in causa aveva donato dei beni immobili ad entrambe le figlie, atto che a detta dell’attrice prevedeva anche la costituzione della servitu’ di passaggio carrabile a suo favore.
Diversamente da quanto opinato dal Tribunale, l’utilizzo dei verbi al tempo futuro per manifestare la volonta’ della donante quanto alla costituzione della servitu’, non poteva reputarsi come idoneo a denotare una semplice intenzione di dare vita poi successivamente alla servitu’, senza che poi tale intento si fosse concretizzato, posto che altrimenti la clausola del contratto non avrebbe avuto alcun senso.
Il richiamo alla situazione di fatto quale evidenziata dalle planimetrie allegate allo stesso atto di donazione, l’immediata necessita’ ed esigenza della donataria di fruire della servitu’ di passaggio sulla striscia di terreno ivi indicata, non giustificavano l’interpretazione del giudice di prime cure.
Inoltre la soluzione sostenuta dall’attrice, e favorevole all’immediata creazione della servitu’, non era smentita dal tenore del successivo atto di donazione del 19 ottobre 1984 con il quale la donante aveva donato alla convenuta la striscia di terreno gia’ gravata della servitu’ in esame, posto che l’ulteriore servitu’ costituita nell’atto posteriore era chiaramente collocata su di una diversa zona della particella donata.
Quanto all’ulteriore affermazione del giudice di prime cure secondo cui l’atto del 1964 al piu’ avrebbe costituito la servitu’ sul solo tratto confinante con la particella n. (OMISSIS) donata all’attrice, e non anche sul tratto in prosieguo, confinante con la proprieta’ donata in quell’occasione a (OMISSIS), la stessa era priva di riscontro nell’atto di donazione e contrastata dallo stato dei luoghi, in quanto solo riconoscendo il diritto di passaggio sull’intero percorso era possibile assicurare al fondo donato a (OMISSIS) l’accesso alla pubblica via.
Ne derivava che, una volta riscontrato, anche tramite la CTU, che le opere eseguite dalla convenuta, effettivamente impediscono l’esercizio della servitu’ di passaggio a piedi e con mezzi meccanici, andava ordinata la riduzione in pristino stato dei luoghi.
Nel prosieguo della motivazione, i giudici di appello rigettavano il secondo motivo dell’appello principale essendo emerso l’effettivo compimento delle opere idonee a pregiudicare il diritto della convenuta, mentre quanto all’appello incidentale, in relazione ai capi della riconvenzionale non accolti dal Tribunale, deducevano che il modestissimo sconfinamento del corpo scala, peraltro indicato anche in termini dubitativi dal CTU, non consentiva di ravvisare i presupposti per il loro accoglimento.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che la previsione di cui all’articolo 6 dell’atto per notar (OMISSIS) del 12/2/1964, relativo alla pretesa costituzione di una servitu’ di passaggio, giustificasse la soluzione dell’immediata creazione del diritto in oggetto, senza pero’ tenere conto di alcuni documenti prodotti in corso di causa.
In primo luogo si evidenzia che la riproduzione grafica del titolo originario non consentirebbe di apprezzare se la striscia di terreno gravata fosse posta nel lato est (come opinato dai giudici di appello) ovvero ad ovest; si aggiunge che i grafici allegati alla CTU comproverebbero che laddove si ritenga che invece la striscia sia posta ad ovest, i manufatti realizzati dalla convenuta insisterebbero solo su terreni di sua esclusiva proprieta’.
Anche a voler seguire la tesi dei giudici di appello, si sarebbe trascurato il contenuto dell’atto di transazione e permuta del 4 aprile 1984, allegato all’elaborato peritale ed inserito nella produzione di parte appellata, dal quale emergerebbe che in epoca successiva alla donazione cui accede la costituzione della servitu’, la donante e la sorella, avvedutesi della loro immissione in possesso di beni diversi rispetto a quelli alle medesime attribuit4 con il precedente atto di divisione ereditaria dell’11 luglio 1957, al fine di risolvere l’errore de quo e di transigere le liti insorte per effetto dello scambio avvenuto, in via transattiva permutavano tra loro gli immobili in precedenza assegnati con la divisione, con la conseguenza che la donazione oggetto di causa nonche’ quella precedente del 1962 sarebbero affette da nullita’, il che escludeva che l’atto del 1964 potesse validamente costituire la servitu’ a tutela della quale ha agito l’attrice.
Inoltre i giudici di appello avrebbero omesso di esaminare gli estratti di mappa ed i rilievi planimetrici acquisiti in corso di causa che non evidenziano in alcun modo graficamente l’esistenza della servitu’.
Ancora, sarebbe stata trascurata la portata dell’atto di citazione del 27 giugno 2001 con il quale la stessa attrice, dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado emessa nell’ambito del presente giudizio, aveva richiesto accertarsi l’avvenuto acquisto per usucapione della medesima servitu’ qui vantata per titolo, riconoscendo in tal modo l’inidoneita’ dell’atto del 1964 a dare vita ad una servitu’ di passaggio.
Il motivo e’ infondato.
Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dalla L. n. 134 del 2012, il vizio denunciabile e’ limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata cosi’ sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). Ne discende che la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorieta’ delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio e’ deducibile quale violazione della legge processuale ex articolo 132 c.p.c.).
Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresi’ sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.
Poste tali premesse e passando alle doglianze di parte ricorrente, in disparte l’evidente carenza del requisito di specificita’ del motivo ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 nella parte in cui denuncia il contrasto tra l’accertamento compiuto dal giudice di appello e quanto invece emergerebbe da non meglio precisati ed individuati grafici e planimetrie allegati all’elaborato peritale d’ufficio, nonche’ laddove omette di riprodurre il testo scritto dell’articolo 6 dell’atto di donazione del 1964, come redatto a mano nell’atto originario (che denoterebbe una diversa indicazione del punto cardinale di riferimento), la censura mostra nel suo complesso il reale intento di aspirare ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, in quanto, lungi dall’addurre l’omessa disamina di fatti decisivi, sostiene che in realta’ tramite una diversa valutazione di alcuni degli elementi istruttori in atti si sarebbe potuti pervenire ad una diversa interpretazione dell’atto costitutivo della servitu’.
Quanto, in particolare al contenuto dei vari documenti invocati, ed esclusa la possibilita’ di denunciare al fine che qui interessa la pretesa erronea lettura dell’articolo 6 dell’atto di donazione del 12/2/1964, che e’ invece specifico oggetto della decisione gravata, in ogni caso difetta il requisito delle decisivita’ in merito alla pretesa omessa disamina della successiva proposizione da parte dell’attrice di un giudizio di usucapione della medesima servitu’ a tutela della quale aveva agito sul presupposto della sua fonte convenzionale, trattandosi di condotta che, lungi dal denotare in maniera inequivoca il riconoscimento della fondatezza della tesi della controparte (riconoscimento che invece appare contrastato dalla pressoche’ coeva proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado) si presta ad essere intesa come volta prudenzialmente a precostituirsi un diverso fondamento giuridico per la tutela del diritto di passaggio asseritamente leso dalla condotta della sorella, per l’ipotesi in cui la sentenza appena emessa fosse stata confermata in sede di impugnazione.
Con le memorie la ricorrente ha altresi’ dedotto che nelle more sarebbe stata emessa dal Tribunale di Napoli una sentenza (n. 395/2015 del Tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Casoria) con la quale, all’esito del giudizio di primo grado introdotto dalla controparte al fine di ottenere l’accertamento dell’acquisto per usucapione della medesima servitu’ di passaggio, sarebbe stata accertata l’esistenza della servitu’ de qua, sulla base del medesimo titolo qui dedotto, ma con un tracciato che corrisponde a quello invece indicato nella planimetria allegata all’atto per notar (OMISSIS) del 19/10/1984.
Pertanto parte ricorrente ha chiesto disporsi la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del gravame proposto da parte della controricorrente avverso tale successiva pronuncia ai sensi dell’articolo 295 c.p.c. ovvero ex articolo 337 c.p.c..
Rileva il Collegio che in tal modo il Tribunale, sebbene investito della richiesta di accertamento della servitu’ per usucapione ha in realta’ deciso, e peraltro sul presupposto della fonte convenzionale del diritto dell’attrice, sul medesimo diritto che e’ oggetto del giudizio ora devoluto a questa Corte (avendo peraltro rigettato la richiesta fondata sull’avvenuta usucapione), cosi’ che appare evidente che trattasi di un’ipotesi riconducibile al fenomeno della litispendenza che, lungi dal legittimare la richiesta di sospensione del giudizio preveniente, avrebbe invece imposto al giudice successivamente adito di dover pronunciare ai sensi dell’articolo 39 c.p.c..
Ancora, quanto alla pretesa omessa disamina dell’atto di transazione e permuta del 4 aprile 1984, il motivo non risulta conformarsi ai requisiti formali prescritti dalla norma come interpretata dalle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 8053/2014 citata, hanno precisato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, posto che nel motivo non risulta indicato in quale occasione la portata di tale atto negoziale sia stata oggetto di discussione tra le parti.
La doglianza e’ comunque priva di pregio, in quanto trascura la circostanza che, anche a voler ritenere che alla data del compimento degli atti di donazione del 1962 e del 1964 la madre delle odierne contendenti avesse disposto di beni che non erano di sua proprieta’, l’atto di cui si lamenta l’omessa disamina, oltre a rideterminare i rapporti dominicali tra le sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS), attribuendo alla prima proprio quei beni di cui in precedenza aveva disposto a titolo liberale, contiene, a quanto riportato nello stesso motivo, anche la rinnovazione della volonta’ della donante di donare ora per allora i medesimi beni gia’ interessati dalle precedenti donazioni e nella medesima consistenza (cfr. sul punto Cass. n. 1867/1967, a mente della quale la donazione nulla, ancorche’ insuscettibile di sanatoria da parte del donante, puo’ tuttavia essere rinnovata con efficacia ex nunc, mediante un altro atto dotato dei requisiti di forma e di sostanza prescritti dalla legge per porre in essere tale negozio traslativo), ben potendosi quindi ritenere che tale volonta’ di rinnovare le precedenti donazioni, includa anche le contestuali previsioni in materia di servitu’, tra le quali rientra anche quella di cui all’articolo 6 dell’atto del 12/2/1964.
3. Il secondo motivo di ricorso, articolato in due punti, nel primo lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., in tema di interpretazione dei contratti, nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritento che l’atto di donazione del 1964 contemplasse anche la volonta’ attuale della donante di costituire una servitu’ di passaggio in favore dell’attrice.
Nel secondo punto, invece, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1063 e ss. c.c. ed in particolare la violazione del principio del cd. minimo mezzo, che impone di ritenere che l’esercizio delle servitu’ debba avvenire in maniera tale da soddisfare i bisogni del fondo dominante con il minor aggravio al fondo servente.
Nel caso di specie, l’interpretazione offerta dalla Corte d’Appello non terrebbe conto del fatto che in tal modo il fondo della ricorrente risulterebbe, per effetto delle previsioni contenute nel successivo atto per notar (OMISSIS) del 1984, gravato di ben due servitu’ di passaggio.
Entrambe le censure sono prive di fondamento.
Quanto alla prima si ricorda che l’interpretazione di un atto negoziale e’ tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’articolo 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicche’, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresi’ precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta’, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimita’, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non puo’ trovare ingresso in sede di legittimita’ la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi gia’ dallo stesso esaminati; sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
La critica della ricorrente, sebbene apparentemente corredata del richiamo ad alcune delle norme in tema di ermeneutica contrattuale, non individua in realta’ lo specifico errore commesso dalla Corte d’Appello, la quale con motivazione logica ed adeguata ha chiarito le ragioni della non decisivita’ dell’uso del tempo futuro nell’atto di donazione, sottolineando come le successive previsioni dell’atto di donazione del 1984 non potessero sovvertire quanto in maniera chiara si evinceva dal contenuto dell’atto del 1964.
Ne deriva che, poiche’ il motivo aspira semplicemente ad ottenere una diversa interpretazione del contratto, senza pero’ adeguatamente esplicitare le ragioni dell’insostenibilita’ della diversa soluzione dei giudici di merito, lo stesso non puo’ trovare accoglimento.
Quanto invece alla diversa denuncia di violazione del principio del cd. minimo mezzo, deve richiamarsi l’opinione di questa Corte che ha reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 7564/2017) l’estensione di una servitu’ convenzionale e le modalita’ del suo esercizio devono essere desunte dal titolo, da interpretarsi secondo i criteri di cui agli articoli 1362 e ss. c.c.; tuttavia, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1063, 1064 e 1065 c.c., ove la convenzione manchi di sufficienti indicazioni, divengono operanti i criteri di legge, in forza dei quali il diritto comprende quanto necessario per farne uso e deve essere esercitato in modo da consentire di soddisfare il bisogno del fondo dominante, con il minor aggravio per il fondo servente (conf. ex multis Cass. n. 8261/2002, secondo cui, solamente quando permangano dubbi circa l’interpretazione del titolo costitutivo in ordine all’estensione e alle modalita’ di esercizio della servitu’, il giudice e’ tenuto ad applicare il criterio sussidiario del minore aggravio per il fondo servente, di cui all’articolo 1065 cod. civ.).
Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto che sulla scorta del titolo non sussistessero dubbi circa l’estensione e le modalita’ di esercizio della servitu’, entrambe chiaramente desumibili dalla lettura dell’atto (cfr. in particolare pag. 6 quanto alla precisazione secondo cui la striscia interessata dalla servitu’ era da individuare in quella non solo confinante con il fondo dell’attrice ma anche con quella confinante con il fondo in precedenza donato alla ricorrente), il che mette evidentemente fuori gioco le norme invocate da parte convenuta, attesa la loro portata sussidiaria.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano come da dispositivo.
7. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’articolo 1 bis, stesso articolo 13.