i provvedimenti adottati e le prove raccolte precedentemente in un giudizio possessorio non sono utilizzabili nel giudizio di “negatoria servitutis”, di seguito instaurato tra le stesse parti, gli uni e gli altri non investendo il profilo del titolo discusso nel giudizio petitorio (conf. ex multis, Cass. n. 5732/1994, per la quale le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell’eventuale identita’ soggettiva, sono caratterizzate dall’assoluta diversita’ degli ulteriori elementi costitutivi – “causa petendi et petitum” – e, conseguentemente, i provvedimenti e le soluzioni adottate in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni questione sulla legittimita’ della situazione oggetto di tutela, non possono influire sull’esito del giudizio petitorio, ne’ le prove acquisite nel giudizio possessorio possono essere richiamate nel giudizio petitorio, in favore dell’una o dell’altra parte; conf. Cass. n. 2607/1999).
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14503
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25392-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 564/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 06/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle parti.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Speranza, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa (OMISSIS), deducendo di essere proprietari di una serie di fondi nel comune di Tezze sul Brenta, frazione Belvedere, a servizio dei quali esisteva un passaggio carraio di natura pubblica, insistente sul lato sud del fondo di proprieta’ della convenuta, riportato in catasto terreni al foglio (OMISSIS), mappali nn. (OMISSIS), ed al foglio (OMISSIS) mappali nn. (OMISSIS).
Aggiungevano che il possesso di tale diritto di passaggio era stato oggetto di accertamento anche in sede possessoria, con sentenza n. 352 del 2003 dello stesso Tribunale adito, e pertanto chiedevano accertarsi l’esistenza di tale servitu’, sussistendo i requisiti per la costituzione di una servitu’ pubblica di passo carraio ex articolo 825 c.c., ovvero, e per effetto del possesso ultraventennale, di una servitu’ privata di passaggio con ogni mezzo.
Nella resistenza della convenuta, il Tribunale con la sentenza n. 273 del 28 aprile 2011, accoglieva la domanda di usucapione della servitu’ di passaggio ma limitatamente al passaggio pedonale e ciclabile, e secondo il percorso indicato nella CTU espletata.
Gli attori impugnavano tale sentenza lamentando l’erroneo rigetto della domanda di accertamento della servitu’ pubblica di passaggio nonche’ nella parte in cui aveva limitato il passaggio, escludendo l’uso di veicoli.
Nella resistenza dell’appellata, la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 564 del 6 marzo 2014, rigettava l’appello, condannando gli appellanti anche al rimborso delle spese di lite.
Quanto al mancato riconoscimento dell’esistenza di una servitu’ di uso pubblico, si osservava che l’utilizzo del percorso come indicato dagli attori non risultava idoneo a soddisfare interessi di carattere collettivo, sembrando invece evidente che il passaggio assicurava le necessita’ inerenti ai fondi degli stessi attori, i quali agivano come proprietari e non gia’ quali semplici abitanti della zona.
Tale conclusione trovava poi conforto nelle risultanze della prova testimoniale che non permetteva di affermare una destinazione pubblica del percorso, in quanto risultava irrilevante che fossero stati visti transitare sui luoghi anche dei soggetti terzi.
Cio’ che rilevava e’ che non sussisteva un pubblico interesse a servirsi del percorso al fine di mettere in collegamento diverse strade pubbliche, emergendo piuttosto che l’utilizzo da parte dei privati fosse sempre avvenuto al fine del soddisfacimento delle necessita’ delle singole proprieta’.
Quanto al rigetto della domanda di usucapione della servitu’ di passaggio con veicoli, la Corte distrettuale reputava irrilevante il solo dato rappresentato dalla larghezza dell’area di sedime della strada, dovendosi avere riguardo unicamente alle concrete modalita’ di esercizio del possesso.
Le emergenze di causa denotavano che vi era stato un transito limitato a pedoni ed a biciclette, dovendosi reputare non decisiva la deposizione di un solo teste che aveva si’ riferito di un passaggio con veicoli, ma ben potendosi ritenere che il suo ricordo si riferisse al solo tratto iniziale, ed essendo la stessa dichiarazione contrastata dal tenore delle altre deposizioni.
In merito alla rilevanza del diverso giudizio possessorio, la sentenza di appello rilevava la diversa finalita’ di quest’ultimo rispetto al giudizio petitorio, sicche’ era ben possibile che in sede possessoria fosse accordata tutela al solo esercizio di fatto, anche eventualmente abusivo, ed all’evidente fine di evitare che le parti possano farsi ragione da se’.
In merito al mancato accoglimento della domanda di usucapione del (OMISSIS), la Corte distrettuale rilevava che lo stesso era titolare di fondi non confinanti con il sedime della servitu’, posti a circa mezzo chilometro di distanza ed altrimenti raggiungibili dalla pubblica via, non potendosi quindi ravvisare la sussistenza del requisito della contiguita’ anche ai fini dell’usucapione.
Infine erano da disattendere le richieste di prova testimoniale avanzate in appello, atteso che l’attivita’ istruttoria era gia’ stata espletata ed esaurita in primo grado.
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine al mancato accoglimento della domanda di costituzione della servitu’ pubblica di passaggio, in quanto non e’ stato adeguatamente apprezzato il complessivo esito della prova testimoniale e della documentazione in atti che unitariamente considerate invece portavano a ritenere provato l’interesse generale alla fruizione della strada da parte della collettivita’, risultando erronea la conclusione secondo cui non era dimostrato che anche i terzi si fossero serviti della strada in via complementare rispetto alla viabilita’ pubblica.
Sempre nello stesso motivo si lamenta l’erroneita’ della motivazione nella parte in cui non si e’ attribuita rilevanza alle ammissioni del possesso degli attori da parte della convenuta.
Il motivo e’ inammissibile, atteso che alla fattispecie, ratione temporis, trova applicazione la novellata previsione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di ricorso avverso sentenza di appello pubblicata in data successiva al 12 settembre 2012.
Ne deriva che la denuncia del vizio motivazionale sulla base della previsione ormai non piu’ applicabile rende il motivo inammissibile.
Peraltro non puo’ non osservarsi che le censure anche alla luce della costante interpretazione offerta della norma previgente, non avrebbero in ogni caso potuto trovare accoglimento, risolvendosi le critiche dei ricorrenti nella non consentita sollecitazione a questa Corte di pervenire ad un diverso apprezzamento delle risultanze fattuali in contrasto con quanto invece ritenuto dal giudice di appello con motivazione congrua ed esente da vizi logici.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 705 c.p.c., comma 1 e dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine all’affermata irrilevanza delle circostanze emerse nell’istruttoria della domanda di reintegra possessoria esperita in corso di causa, le quali deponevano per un utilizzo del percorso anche con veicoli, agricoli e non, da molti anni.
Il motivo risulta inammissibile nella parte in cui sostiene l’esistenza del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza pero’ specificare, alla luce della previsione in concreto applicabile, quale sia il fatto decisivo di cui sarebbe stata omessa la disamina, palesandosi comunque formulato in evidente violazione del principio di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.p., comma 1, n. 6, laddove, pur lamentando la mancata considerazione delle risultanze istruttorie raccolte nell’ambito del procedimento possessorio esperito in corso di causa, omette di riprodurre con precisione il contenuto delle stesse, riferendo genericamente di un passaggio che risulterebbe provato “da molti anni”, espressione questa che non consente di superare la valutazione espressa dal giudice di appello circa la carenza di prova di un possesso per un tempo utile ad usucapire.
In ogni caso e’ infondata anche la dedotta censura di violazione dell’articolo 705 c.p.c., occorrendo a tal fine far richiamo ai precedenti di questa Corte a mente dei quali (cfr. Cass. n. 9881/2012) i provvedimenti adottati e le prove raccolte precedentemente in un giudizio possessorio non sono utilizzabili nel giudizio di “negatoria servitutis”, di seguito instaurato tra le stesse parti, gli uni e gli altri non investendo il profilo del titolo discusso nel giudizio petitorio (conf. ex multis, Cass. n. 5732/1994, per la quale le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell’eventuale identita’ soggettiva, sono caratterizzate dall’assoluta diversita’ degli ulteriori elementi costitutivi – “causa petendi et petitum” – e, conseguentemente, i provvedimenti e le soluzioni adottate in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni questione sulla legittimita’ della situazione oggetto di tutela, non possono influire sull’esito del giudizio petitorio, ne’ le prove acquisite nel giudizio possessorio possono essere richiamate nel giudizio petitorio, in favore dell’una o dell’altra parte; conf. Cass. n. 2607/1999).
4. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’articolo 1158 c.c. in relazione al rigetto della domanda di usucapione proposta da (OMISSIS), che la sentenza gravata ha motivato sul presupposto che l’attore era titolare di fondi non confinanti con l’area di sedime del tracciato della servitu’ posti a distanza di circa mezzo chilometro e raggiungibili dalla pubblica via.
Si deduce che l’elemento della contiguita’ tra i fondi dominante e servente non e’ posto da alcuna norma come requisito essenziale per la nascita della servitu’, con la conseguenza che non poteva escludersi la necessita’ per il (OMISSIS) di doversi servire della strada oggetto di causa.
Anche tale motivo e’ privo di fondamento.
Ed, infatti, e’ pacifico che secondo la costante giurisprudenza di legittimita’ (cfr. anche in tempi non recenti, Cass. n. 860/1972) il requisito della contiguita’ dei fondi nei rapporti di servitu’ (espresso nella regola: fundi vicini esse debent) deve essere inteso non nel senso empirico di materiale aderenza dei due fondi, ma in senso giuridico, come volta a designare una situazione tale che l’uno possa prestare all’altro il vantaggio costituito dal contenuto della servitu’ (conf. Cass. n. 216/1969; Cass. n. 1323/1973; Cass. n. 3288/1969), ben potendosi quindi ipotizzare l’esistenza di una servitu’ di passaggio anche se tra i fondi interessati vi sia il fondo di un terzo o un tratto di strada pubblica.
Tuttavia, la sentenza gravata, lungi dal limitarsi a riscontrare la sola circostanza che i fondi del (OMISSIS) e quello della convenuta non fossero confinanti, ha attribuito rilevanza alla non trascurabile distanza esistente tra i due fondi (circa mezzo chilometro) ed al fatto che il primo fosse in altro modo raggiungibile dalla pubblica via, pervenendo quindi ad una valutazione in fatto (cfr. Cass. n. 965/1983 circa l’affermazione secondo cui l’elemento della contiguita’ o vicinanza dei fondi e’ un elemento di fatto piu’ che di diritto) in ordine al riscontro dell’assenza di un vantaggio effettivo e giuridicamente apprezzabile in favore del fondo del ricorrente, il che palesa che la censura piu’ che denunciare un errore di diritto, miri piuttosto a contestare la valutazione di merito compiuta dal giudice di appello, non sindacabile tuttavia in sede di legittimita’.
5. Il quarto motivo, infine, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 3 per la mancata ammissione dei nuovi mezzi di prova dedotti con l’atto di appello.
Si sottolinea che i capitoli di prova formulati con l’atto di appello erano volti, da un canto, a precisare i mezzi con cui la generalita’ aveva esercitato il passaggio, e dall’altro, a verificare il giudizio di insufficienza formulato dal Tribunale in ordine alla deposizione resa dal teste (OMISSIS).
Inoltre si lamenta anche la circostanza che il giudice di appello avrebbe dovuto acquisire le risultanze della prova testimoniale assunta nel procedimento possessorio.
Quanto a quest’ultima doglianza la sua infondatezza si rivela alla luce di quanto esposto in occasione della disamina del secondo motivo di ricorso, a cui pertanto si rinvia.
In merito invece alla mancata ammissione dei capitoli di prova formulati con l’atto di appello, ed in disparte l’inammissibilita’ del motivo che discenderebbe dalla mancata riproduzione in ricorso dei capitoli di prova articolati con l’atto di appello, va ricordato che nella fattispecie era stata espletata la prova testimoniale nel corso del giudizio di primo grado e che, come ribadito nello stesso motivo in esame, i capitoli richiesti in appello miravano a chiarire ed ad integrare quanto gia’ emerso all’esito della prova assunta.
Tale precisazione denota quindi l’evidente infondatezza della censura.
In tal senso, la costante giurisprudenza di legittimita’ ha affermato che (cfr. Cass. n. 10502/1999) anche nell’assetto normativo processuale conseguente all’entrata in vigore della L. n. 353 del 1990 (e successive modif.), improntato oltretutto ad un sistema delle preclusioni istruttorie ancor piu’ rigido rispetto al regime processuale precedente, e’ inammissibile in appello (salvo il ricorso al rimedio della rimessione in termini, previsto dall’articolo 184-bis cod. proc. civ., qualora ne sussistano le condizioni), per il principio dell’infrazionabilita’ e della contestualita’ che la caratterizzano, la prova testimoniale che, anche in modo indiretto, si appalesi preordinata a contrastare, completare o confortare le risultanze di quella gia’ dedotta ed assunta in primo grado, e cioe’ a determinare, attraverso nuove modalita’ e circostanze, ovvero per la connessione delle circostanze gia’ provate con quelle da provare, una diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo istruttorio nelle precedenti fasi del processo (conf. Cass. n. 20327/2006; che ribadisce che l’accertamento in ordine alla novita’ della prova – nel caso oggi all’esame di questa Corte, compiuto dal giudice di appello che ha ritenuto che la prova testimoniale esperita in primo grado fosse ormai esaurita – involge un apprezzamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimita’; Cass. n. 1873/2006).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano come da dispositivo.
7. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.