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ai fini della configurabilità del dolo ed, a maggior ragione, della colpa grave quale causa di annullabilità del contratto di assicurazione a norma dell’art. 1892 c.c. non sono necessari artifici o altri mezzi fraudolenti, richiesti, invece, dall’art. 1439 c.c. per l’annullabilità in genere dei contratti, ed è sufficiente la volontarietà delle dichiarazioni mendaci o della reticenza dell’assicurato con riguardo a circostanze determinanti per il consenso dell’assicuratore.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di assicurazione si cosiglia la lettura dei seguenti articoli:
Il contratto di assicurazione principi generali
L’assicurazione contro i danni e l’assicurazione per la responsabilità civile.
L’assicurazione sulla vita (c.d. Polizza vita)
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 17 maggio 2004, n. 9342
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo Giuliano – Presidente
Dott. Paolo Vittoria – Consigliere
Dott. Francesco Sabatini – Consigliere
Dott. Antonio Limongelli – Consigliere
Dott. Bruno Durante – Consigliere Relatore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ma. Le. Si., Ma. Mo., Gi. Mo., elettivamente domiciliati in Ro. Via dei Ba. Nu. 39, presso lo studio dell’Avvocato Re. Ma., che li difende unitamente all’Avvocato Ma. Ca., giusta delega in atti:
ricorrenti
contro
As. S.p.A. le As. d’It., in persona dell’Amministratore delegato e legale rappresentante dott. Luciano Roasio, elettivamente domiciliata in Roma Via Sa. 46, presso lo studio dell’Avvocato Pa. Pr., che la difende, giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 3052/99 della Corte d’Appello Roma, sezione III civile emessa l’1/10/1999, depositata il 21/10/99; R.G. 3132/1997;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/03 dal Consigliere Relatore Dott. Bruno Durante;
udito l’Avvocato Re. Ma.;
udito l’Avvocato Pa. Pr.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vittorio Eduardo Scardaccione che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ce. Mo. conveniva innanzi al Tribunale di Roma la As. S.p.A le As. d’It. ed, assumendo che si era verificato il rischio (malattia ed infortunio) contro il quale si era assicurato con la detta società, ne chiedeva la condanna al pagamento dell’indennità.
La società resisteva alla domanda, deducendo che all’atto della stipula del contratto l’assicurato non aveva dichiarato le malattie che lo affiggevano ed a norma dell’art. 1892 c.c. non aveva diritto all’indennità.
Il tribunale rigettava la domanda; gli eredi di Ce. Mo., deceduto nel frattempo, proponevano gravame che la Corte di Appello di Roma rigettava con sentenza resa l’1.10.1999, motivando come segue.
La società assicuratrice è venuta a conoscenza dell’inesattezza e reticenza delle dichiarazioni rese dall’assicurato solo quando ha ricevuto la lettera con le cartelle cliniche e, cioè, l’1.12.1992; avendo impugnato entro i tre mesi successivi il contratto (esattamente con lettera spedita il 3.2.1993), ha evitato la decadenza prevista dall’art. 1892 c.c.; nessun obbligo aveva la società assicuratrice di controllare i documenti concernenti altri rapporti assicurativi instaurati precedentemente con Ce. Mo. per verificare se da essi risultassero malattie non dichiarate in occasione della stipula del contratto; la lettera della società assicuratrice 24.2.1993 contenente disdetta dell’assicurazione non è incompatibile con l’impugnazione del contratto contenuta nella lettera 3.2.1993, atteso che, oltre a ribadire l’impugnazione, presumibilmente copre l’ipotesi di rigetto di essa; a fronte delle dichiarazioni reticenti o gravemente omissive dell’assicurato non è possibile dubitare dell’esistenza del dolo o della colpa grave; il rischio coperto dalla polizza del 1986 resta assorbito dalla seconda polizza e, comunque, la domanda di indennità che lo concerne non è provata nel “quantum”.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi Mo., affidandone l’accoglimento a sei motivi; l’intimata ha resistito con controricorso; i ricorrenti hanno depositato memoria e brevi osservazioni ex art. 379 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 1892 c.c. e 115 c.p.c.; si deduce che, ove avesse portato la propria valutazione sulle lettere 3.2 e 26.2.1993, la corte di merito sarebbe sicuramente pervenuta alla conclusione, diversa da quella alla quale è pervenuta, che si è verificata decadenza dall’impugnazione del contratto di assicurazione: ciò perché la prima lettera, proveniente dall’ispettorato infortuni e malattie, privo di poteri rappresentativi, non contiene l’impugnazione, ma avverte soltanto che essa verrà successivamente proposta, mentre la seconda lettera risulta spedita in tempo utile per evitare la decadenza, ma non è dimostrato se è stata ricevuta ed in quale data dall’assicurato, sicché a nulla rileva che contenga l’impugnazione e rechi la sottoscrizione dell’agente generale di Ro., munito di poteri rappresentativi della società.
Il motivo non può trovare accoglimento.
La Corte di merito, ha interpretato la lettera 3.2.1993 nel senso che contiene l’impugnazione del contratto di assicurazione a norma dell’art. 1892 c.c..
Orbene siffatta interpretazione non è stata censurata, come avrebbe dovuto, con l’indicazione delle norme ermeneutiche violate e delle modalità della violazione.
In questo contesto interpretativo il rilievo che la lettera non contiene l’impugnazione, ma avvisa semplicemente che essa interverrà, si risolve nell’inammissibile contrapposizione di una interpretazione diversa e perde ogni valore l’omesso esame della lettera 26.2.1993 che, secondo quanto dedotto nel motivo all’esame, conterrebbe l’impugnazione.
E’ dedotto solo in questa sede e quindi inammissibilmente che la prima lettera proviene da organo privo di poteri rappresentativi.
Occorre aggiungere che, come gia affermato da questa Corte, l’onere, imposto all’assicuratore dal comma 2 dell’art. 1892 c.c. di manifestare, al fine di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto di assicurazione – per dichiarazioni inesatte o reticenze – entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di annullabilità, non sussiste quando il sinistro si verifica prima che sia decorso il termine predetto o, a più forte ragione, prima che, come nella specie, l’assicuratore sia venuto a conoscenza dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo in questi casi sufficiente, per sottrarsi al pagamento dell’indennità, che egli invochi, anche mediante semplice eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’onere dell’assicurato di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio, senza la necessità di una formale dichiarazione di impugnazione del contratto di assicurazione (Cass. 19.8.1983, n. 5401; Cass. 17.8.1990, n. 8373; Cass. 25.3.1999, n. 2815).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 1322, 1444 c.c., 115 c.p.c., nonché vizi di motivazione; in definitiva si lamenta che la Corte di merito non abbia valutato la lettera 24.2.1993 in rapporto alla lettera del 26 dello stesso mese ed anno, sostenendosi che con la prima lettera, interpretata “autenticamente” dalla seconda, la società assicuratrice ha esercitato la disdetta in base alle norme contrattuali sul presupposto della validità del contratto; che, pertanto, la disdetta ha preceduto l’impugnazione a norma dell’art. 1892 c.c. ed il contratto ne è risultato convalidato ex art. 1444 c.c..
Con il terzo motivo di ricorso, nel denunciarsi violazione degli artt. 1444 c.c. e 112 c.p.c., nonché vizi di motivazione, si deduce che la Corte di merito non si è pronunciata sulla convalida del contratto di assicurazione conseguente all’avere l’As. S.p.A. le As. d’It. erogato le prestazioni (rimborso delle spese di degenza presso la clinica Ar. medica) previste dalla polizza n. (…) ed al non avere impugnato la polizza n. (…).
I motivi, che si esaminano congiuntamente per l’evidente connessione, non possono essere accolti.
Va rilevato in proposito che la giurisprudenza di questa Corte ravvisa nella convalida tacita, alla quale si riferiscono i motivi, un negozio compiuto mediante comportamento concludente, nel quale dare esecuzione al contratto rileva come indice della volontà di convalidarlo; sono idonei a manifestare tale volontà non solo l’esecuzione in senso stretto e, cioè, l’adempimento della prestazione, sia essa totale o parziale, ma anche atti di esercizio di diritti dipendenti dal contratto (Cass. 27.3.2001, n. 4441).
In quanto negozio la convalida tacita presuppone la conoscenza della causa di annullabilità e richiede la volontà consapevole di produrre l’effetto convalidante (Cass. 2.4.1982, n. 2029).
Orbene nella specie non risulta neppure dedotto che gli atti di convalida siano stati posti in essere con la consapevolezza dell’annullabilità del contratto di assicurazione e la volontà di convalidarlo.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia “violazione dell’art. 1892 c.c.; violazione dei principi sull’onere della prova; violazione dell’art. 115 c.p.c.; omessa motivazione”; si lamenta che la Corte di merito non abbia ritenuto che l’assicuratore avesse acquisito la conoscenza della reale situazione di fatto, a prescindere dalle dichiarazioni dell’assicurato, attraverso la documentazione sanitaria prodotta per ottenere l’indennità relativa ad altro rapporto assicurativo; si sostiene che in base alle regole dell’ordinaria diligenza l’assicuratore deve tenere conto dei documenti inerenti al rischio, di cui si trovi comunque in possesso, ed anzi tale possesso genera una presunzione di conoscenza vincibile con la prova contraria; si censura la Corte di merito per non avere pronunciato sulla richiesta di prova testimoniale volta a dimostrare che il Ce. Mo. ha partecipato le sue effettive condizioni di salute ad agente dell’assicurazione.
Il motivo è infondato.
Giova rilevare che, pure quando abbia reso dichiarazioni inesatte o sia stata reticente, l’assicurato può evitare l’annullamento del contratto, provando che prima di concluderlo l’assicuratore conosceva le circostanze relative alla dichiarazione inesatta o reticente.
A questo fine, tuttavia, non è sufficiente che dimostri che in epoca più o meno prossima, nell’ambito della liquidazione di indennità relativa ad altro contratto, ha fornito all’assicuratore documenti, il cui esame avrebbe potuto portarlo ad acquisire una conoscenza sufficientemente completa della situazione di fatto influente sul rischio, in quanto non si può pretendere che l’assicuratore spinga la propria diligenza fino ad esaminare gli atti relativi ad indennità già liquidate sulla base di altre polizze.
Occorre inoltre precisare che la conoscenza dell’assicuratore non va confusa con quella dei soggetti che non abbiano il potere di rappresentarlo, come il procacciatore di affari o l’agente senza rappresentanza, il cui stato soggettivo rimane a norma dell’art. 1391 c.c. privo di rilevanza, salvo che non si provi con qualsiasi mezzo che di esso è stato reso partecipe l’assicuratore (Cass. 25.3.1999, n. 2815; Cass. 23.11.1987, n. 8352).
Ne consegue che la prova testimoniale tendente a dimostrare che Ce. Mo. ha dichiarato al Signor Co. – agente As. S.p.a. le As. d’It. – le proprie effettive condizioni di salute sarebbe stata rilevante solo se ne avesse formato oggetto l’ulteriore circostanza che il Co. era fornito di poteri rappresentativi o, in difetto, che ha comunicato le dichiarazioni ricevute all’assicuratore.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 1892 c.c., nonché vizi di motivazione; premesso che ai fini dell’annullamento del contratto la norma citata richiede che le inesattezze o le reticenze siano determinate da dolo o colpa grave e che l’onere di provare l’indicato requisito grava sull’assicuratore, si deduce che la Corte di merito ha valutato in modo parziale le risultanze probatorie ed è incorsa in illogicità ed apoditticità manifesti, non avendo messo a raffronto ‘il questionario anamnestico sottoscritto per la polizza n. (…) ed i risultati del check up compiuto presso la Ma. De. nel gennaio del 1991″ ed avendo ritenuto che “i gravi episodi di patologia per ipertensione dichiarati nell’anamnesi rilasciata al momento del ricovero presso il Policlinico Ge. fossero anteriori nel tempo invece che successivi alla stipulazione della polizza n. (…) “; conclusivamente si sostiene che la Corte di merito ha ritenuto “l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo o colpa grave con motivazione illogica e lacunosa, senza esaminare circostanze contrarie decisive”.
Il motivo è privo di fondamento.
Va anzitutto rilevato che ai fini della configurabilità del dolo ed, a maggior ragione, della colpa grave quale causa di annullabilità del contratto di assicurazione a norma dell’art. 1892 c.c. non sono necessari artifici o altri mezzi fraudolenti, richiesti, invece, dall’art. 1439 c.c. per l’annullabilità in genere dei contratti, ed è sufficiente la volontarietà delle dichiarazioni mendaci o della reticenza dell’assicurato con riguardo a circostanze determinanti per il consenso dell’assicuratore (Cass. 13.11.1987, n. 8352).
In particolare, per quanto concerne il dolo è sufficiente la coscienza dell’inesattezza o della reticenza e la volontà di rendere la dichiarazione inesatta o reticente, mentre per quanto concerne la colpa si richiede che la dichiarazione falsa o reticente sia frutto di una grave negligenza attinente al momento della coscienza dell’inesattezza o della reticenza o al momento della dichiarazione della notizia reticente o falsa (Cass. 25.3.1999, n. 2815, in motivazione).
Per delimitare l’estensione dell’obbligo dell’assicurando l’assicuratore è tenuto, in base alle regole della correttezza, a proporre questionari con l’indicazione delle circostanze che ha interesse a conoscere in modo da ridurre gli spazi di indeterminatezza.
Nella specie la Corte di merito ha desunto il convincimento di sussistenza dell’elemento soggettivo da una serie di elementi che ha specificamente indicato e sono sicuramente idonei a lumeggiare la consapevolezza, da parte dell’assicurato, delle circostanze taciute e la volontarietà del silenzio, sicché il non avere esaminato gli altri elementi indicati nel motivo avrebbe potuto rilevare solo se la valutazione di tali elementi avrebbe portato con un alto grado di probabilità a decisione diversa; il che va escluso.
Con il sesto motivo si censura la Corte di merito per avere rigettato la domanda di indennità concernente la polizza (…), sostenendosi che il rischio non è assorbito dall’altra polizza e la prova del “quantum” emerge dalla documentazione prodotta.
Il motivo non può trovare accoglimento in quanto non riproduce il contenuto dei documenti, dai quali emergerebbe la prova del “quantum”, come sarebbe stato necessario onde consentire la valutazione di decisività sulla sola base del ricorso e senza bisogno di altre fonti di cognizione (ex plurimis Cass. 17.6.1995, n. 6863); ciò a prescindere dalla questione dell’assorbimento del rischio nella seconda polizza, il cui esame rimane, pertanto, superato.
In conclusione, il ricorso è rigettato; si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.