Nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo, svolgendo una funzione reintegrativa della perdita patrimoniale patita dall’assicurato, ha natura di debito di valore e, quindi, esso deve essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, prescindendo sia dall’inadempimento sia dal ritardo colpevole dell’assicuratore; infatti, la condotta del debitore rileva unicamente dal momento in cui, con la liquidazione, il debito indennitario da obbligazione di valore diventa obbligazione di valuta.

 

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di assicurazione si cosiglia la lettura dei seguenti articoli:

Il contratto di assicurazione principi generali

L’assicurazione contro i danni e l’assicurazione per la responsabilità civile.

L’assicurazione sulla vita (c.d. Polizza vita)

Corte d’Appello Taranto, civile Sentenza 5 giugno 2018, n. 244

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto,

in persona dei magistrati

1) Dr. Riccardo Alessandrino – Presidente

2) Dr. Ettore Scisci – Consigliere

3) Dr. Marina Cosenza – Consigliere relatore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 164 del ruolo generale anno 2015, riservata per la decisione nell’udienza del 21.2.2018,

tra

(…), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma.Mi., Fe.Le. e Be.Pa.;

– Appellante –

e

(…), incorporante la (…) s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Gu.Ca., Ce.Ve. e Fr.De.;

– Appellata –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 94/2015, resa dal giudice monocratico presso il Tribunale di Taranto in data 2.1.2015, veniva rigettata la domanda proposta da (…) nei confronti della (…) s.p.a., volta ad ottenere l’indennizzo per i danni subiti dalla propria imbarcazione “(…)” reg. matr. presso Capitaneria di Porto n. (…), denominata “(…)” ed assicurata presso la compagnia in data 15.6.2010 per il valore convenzionale stimato in Euro. 73.000,00. Deduceva che detta imbarcazione era stata il 20.8.2010 oggetto di furto dal (…) “(…)” in Taranto, in cui era ancorata, e poi di rinvenimento, semiaffondata, nelle acque antistanti il lido di Pisticci (MT).

Con citazione notificata il 18.3.2015, il (…) interponeva appello.

Si costituiva, resistendo e spiegando appello incidentale, la (…) s.p.a., quale incorporante di (…) s.p.a..

La causa era trattenuta a sentenza all’udienza del 21.2.2018, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il gravame, l’appellante si duole della interpretazione della clausole delle condizioni generali di contratto allegate alla polizza, nonché dell’omessa pronuncia circa il ristoro dei costi per le spese e i compensi di rimozione del relitto disposta dall’Autorità, nonché di assistenza e salvataggio, in forza delle clausole 14 e 22 della polizza.

Il primo motivo è infondato. Corretta appare la ricostruzione effettuata dal primo giudice circa l’occorso: non essendovi stati né la perdita totale (art. 19 c.g.a.) né l’abbandono (art. 20 c.g.a.), risulta applicabile alla fattispecie l’art. 21 delle condizioni di contratto, che recita: “Nella liquidazione dei danni parziali sono ammesse a risarcimento solo le spese di riparazione sostenute, incluse quelle accessorie rese necessarie dalle riparazioni stesse”. L’appellante eccepisce che detta clausola non può essere interpretata letteralmente e, in caso positivo, che la stessa ha carattere vessatorio.

La doglianza è priva di pregio. L’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione in ordine all’estensione e alla portata del rischio assicurato rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se è sorretta da adeguata e congrua motivazione.

Ben s’intende poi come le misure previste come necessarie perché si possa far luogo all’indennizzo, per la stessa natura vincolante della regolamentazione pattizia, debbano essere tassativamente quelle convenute. Dall’analisi del principio emerge che il rischio viene a configurarsi come possibilità dell’assicuratore di dover effettuare la prestazione risarcitoria non solo al verificarsi dell’evento previsto ma, altresì, al concretizzarsi delle specifiche modalità positivamente o negativamente indicate; le misure delle quali si tratta si configurano, pertanto, quali elementi essenziali della fattispecie costitutiva del diritto all’indennizzo, ossia la loro adozione indica il fatto costitutivo del diritto dell’assicurato.

Assurgendo dette misure ad elementi costitutivi del diritto all’indennizzo, questo viene “sic ed simpliciter” meno nell’ipotesi del loro mancato puntuale apprestamento.

Ne deriva che è onere dell’assicurato – sul quale incombe la dimostrazione del rischio coperto dalla garanzia assicurativa – dimostrare anche la concreta sussistenza delle stesse misure (nella specie, effettuazione delle riparazioni), proprio in quanto elementi costitutivi di quel rischio.

La sentenza impugnata, proprio al fine di individuare quale fosse l’oggetto del contratto e cioé il rischio assicurato (e per converso il rischio escluso), ha ritenuto che, per effetto della clausola n. 21, il rischio assicurato fosse quello di riparazioni rese necessarie dai danni parziali subiti dall’imbarcazione. D’altronde, l’indennizzo è una prestazione patrimoniale che vale a compensare un soggetto a seguito di un pregiudizio patito; l’assicurazione è il contratto con cui l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno a esso prodotto da un sinistro (assicurazione contro i danni).

Diversa questione è se il primo giudice, nella valutazione suddetta, abbia effettuato la corretta interpretazione delle clausole contrattuali, censura egualmente mossa dall’appellante.

Come già rilevato, l’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione, in ordine alla estensione e alla portata del rischio assicurato, rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito (Cass. civ., 18 settembre 1980, n. 5301; Cass. civ., 6 settembre 1985, n. 4641).

Ciò costituisce specifica applicazione, in tema di interpretazione del contratto di assicurazione, di un principio generale applicabile all’interpretazione di ogni contratto.

In proposito va, anzitutto, rilevato che l’art. 1362 c.c., allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, rilevi con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile; soltanto quando le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise ed univoche, è consentito al giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi indicati dagli artt. 1362 e s. c.c., che hanno carattere sussidiario (Cass. 1.4.1993, n. 3936).

Pertanto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell’operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto e, qualora queste siano chiare e dimostrino un’intima ratio, il giudice non può ricercarne una diversa, venendo così a sovrapporre la propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti (Cass. 29.4.1994, n. 4121; Cass. 22.4.1995, n. 4563).

La parte che denunzi l’erronea determinazione della volontà negoziale effettuata dal giudice di merito è tenuta ad indicare quali canoni o criteri interpretativi siano stati violati ex artt. 1362 ss. c.c.; in mancanza, l’individuazione della volontà negoziale – che avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed oggettiva, si risolve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno sono diverse da quelle della parte, bensì allorché esse sono insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cassazione civile, sez. III, 06/11/2002, n. 15552; conff. Cass. 12.3.1994, n. 2415; Cass. 2.2.1996, n. 914; Cass. 25.2.1998, n. 3142). Non è ravvisabile nell’art. 21 citato una clausola vessatoria. Le clausole vessatorie esprimono un contenuto negoziale che esula dallo schema essenziale o tipico del contratto cui in concreto possono accedere, tant’è che esse sono elencate in forma tipizzata nell’art. 1341, 2 co. come clausole che possono accedere a qualunque contratto e nell’art. 1469 bis come clausole che possono accedere a tutti i contratti aventi ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi.

L’art. 1905 c.c. Limiti del risarcimento. 1 L’assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall’assicurato in conseguenza del sinistro. 2 L’assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato costituisce una prima attuazione del più generale principio indennitario, secondo cui il ristoro del danno costituisce il fine ed anche il limite naturale dell’obbligazione risarcitoria. Quest’ultima trova la sua precisa determinazione nel contratto. In quanto orientato ad impedire speculazioni rivolte al conseguimento di indebiti vantaggi economici, il principio indennitario viene comunemente considerato norma inderogabile di ordine pubblico.

E’ fondata la doglianza relativa al mancato indennizzo per “le spese per la rimozione del relitto imposta dalle Autorità competenti” ex artt. 14 (rischi assicurati) ultimo comma, e 22 c.g.a. Non ricorrono gli estremi delle spese di assistenza e salvataggio, perché esse si riferiscono alle previsioni di cui agli artt. 489 e 490 cod. nav. (Art. 489 – Obbligo di assistenza. L’assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, oltre che nel caso previsto nell’articolo 485, quando a bordo della nave o dell’aeromobile siano in pericolo persone. Il comandante di nave, in corso di viaggio o pronta a partire, che abbia notizia del pericolo corso da una nave o da un aeromobile, è tenuto nelle circostanze e nei limiti predetti ad accorrere per prestare assistenza, quando possa ragionevolmente prevedere un utile risultato, a meno che sia a conoscenza che l’assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla. Art. 490 – Obbligo di salvataggio. Quando la nave o l’aeromobile in pericolo sono del tutto incapaci, rispettivamente, di manovrare e di riprendere il volo, il comandante della nave soccorritrice è tenuto, nelle circostanze e nei limiti indicati dall’articolo precedente, a tentarne il salvataggio, ovvero, se ciò non sia possibile, a tentare il salvataggio delle persone che si trovano a bordo. È del pari obbligatorio, negli stessi limiti, il tentativo di salvare persone che siano in mare o in acque interne in pericolo di perdersi). L’appellante ha prodotto la diffida della Capitaneria di Porto in data 21.8.2010 e la fattura, quietanzata, rilasciata dall’Associazione (…) per il recupero dell’imbarcazione, ammontante ad Euro. 4.200,00. Non possono riconoscersi le spese per lo stazionamento della barca ammalorata protrattosi per mesi presso l'”(…)”, giacché era a carico dell’assicurato l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c., che impone allo stesso di attivarsi per evitare il sinistro, oltre che per evitare il danno o per attenuarne la portata. La sua inosservanza, dolosa o colposa, comporta, ai sensi dell’art. 1915, la liberazione totale o parziale dell’assicuratore dalla sua obbligazione (C. 238/1984). Nello svolgimento di tale attività, sia precedente che successiva rispetto al verificarsi del danno, l’assicurato deve prestare la diligenza propria del buon padre di famiglia (C. 1749/2005; C. 4789/1984). La valutazione in ordine alla diligenza prestata è giudizio di merito, insindacabile in Cassazione (C. 3948/1976).

Ben avrebbe potuto e dovuto il (…) adoperarsi per ricoverare l’imbarcazione presso il “(…)”, struttura dalla quale era stata sottratta e con cui egli aveva una convenzione di ormeggio e, in ogni caso, data la chiara dizione dell’art. 20 c.g.a. egli avrebbe avuto l’obbligo di procedere subito alle riparazioni della barca, onde essere poi indennizzato a rigor di polizza.

Pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata, la (…) s.p.a. n.q. va condannata al pagamento, in favore di (…), della somma di Euro. 4.200,00 per recupero dell’imbarcazione.

Nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo, svolgendo una funzione reintegrativa della perdita patrimoniale patita dall’assicurato, ha natura di debito di valore e, quindi, esso deve essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, prescindendo sia dall’inadempimento sia dal ritardo colpevole dell’assicuratore; infatti, la condotta del debitore rileva unicamente dal momento in cui, con la liquidazione, il debito indennitario da obbligazione di valore diventa obbligazione di valuta (Cassazione civile, sez. III, 28/07/2015, n.15868). Pertanto, la somma di Euro. 4.200,00 andrà rivalutata secondo gli indici Istat e, poiché deve presumersi che, ove rimborsato per tempo, l’assicurato avrebbe adoperato la stessa in impieghi bancari, su di essa, anno per anno rivalutata, andranno riconosciuti gli interessi al tasso del 2%, mediamente praticato dalle banche sui depositi, a partire dalla data del sinistro fino al saldo.

L’appello incidentale ed ogni altra domanda devono ritenersi assorbiti da quanto sopra dedotto.

La parziale soccombenza reciproca giustifica la compensazione per 1/3 delle spese di lite; i restanti 2/3, liquidati come in dispositivo in ragione del valore della controversia e dell’attività svolta, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e conclusione, così provvede:

1. accoglie l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, condanna la (…) s.p.a. quale incorporante di (…) s.p.a. a pagare, in favore di (…), la complessiva somma di Euro. 4.200,00, oltre rivalutazione e interessi compensativi calcolati con le modalità di cui in motivazione;

2. conferma nel resto l’impugnata sentenza;

3. dichiara assorbito l’appello incidentale;

4. condanna (…) al pagamento dei 2/3 delle spese di questo grado, liquidati in complessivi Euro 5.094,66, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge;

5. compensa tra le parti il restante 1/3 delle spese.

Così deciso in Taranto il 16 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.