ai fini della responsabilita’ dell’amministratore di una societa’ ex articolo 2391 c.c., comma 2, per non essersi astenuto dal voto sulla deliberazione con cui gli vengono affidati lavori in appalto, non basta che le opere siano state realizzate dall’appaltatore – per personali attitudini o per il concorso di particolari circostanze a lui favorevoli – con costi minori di quelli contabilizzati, ma deve fornirsi la prova del danno “ingiusto” cagionato alla societa’, e cioe’ dell’eccessivita’ del corrispettivo pattuito rispetto a quello di norma effettivamente praticato per opere del medesimo tipo o, comunque, della concreta possibilita’ di realizzare tali opere mediante altre imprese a condizioni piu’ vantaggiose per la committente.
Corte di Cassazione, Sezione 6 1 civile Ordinanza 1 giugno 2018, n. 14072
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11250/2017 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 646/2016 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il 16/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/04/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
(OMISSIS) s.p.a. conveniva in giudizio (OMISSIS), gia’ amministratore delegato della societa’, contestando la responsabilita’ dello stesso per aver agito in conflitto di interessi con la medesima, avendo omesso di riferire in ordine ai rapporti di parentela sussistenti con un membro dell’organo di consulenza incaricato di esaminare la convenienza di un’operazione di finanziamento nei confronti di societa’ estere;
l’adito tribunale di Trieste rigettava la domanda, poiche’ la fattispecie di responsabilita’ dell’amministratore era da ricondurre alla violazione degli obblighi di informazione di cui all’articolo 2391 c.c., nell’ambito della generale azione di responsabilita’ disciplinata dall’articolo 2392, con onere della prova in ordine al danno cagionato alla societa’ e al nesso causale;
ad avviso del tribunale, era mancata appunto tale prova, poiche’ non era stata dimostrata ne’ l’esistenza di un vantaggio patrimoniale per il convenuto a seguito dell’operazione di finanziamento deliberata, ne’ l’eventualita’ dell’adozione della delibera di finanziamento in caso di adempimento degli obblighi di informazione;
la corte d’appello di Trieste, con ordinanza del 1-3-2017, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della societa’ ai sensi dell’articolo 348 bis c.p.c., dacche’ il ricorso per cassazione della medesima avverso la sentenza di primo grado, con articolazione di un unico mezzo;
(OMISSIS) ha resistito con controricorso;
la ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato che:
la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2391, 1223, 2727 e 2697 c.c., sul rilievo che l’articolo 2391, attiene a fattispecie di responsabilita’ autonoma rispetto a quella disciplinata dall’articolo 2392: a suo dire, l’obbligo informativo disciplinato dall’articolo 2391, si presterebbe a ricomprendere, a seguito della riforma, ogni ipotesi di interesse dell’amministratore nell’operazione oggetto di delibera consiliare, ivi compresa l’ipotesi di rapporti familiari con soggetti incaricati di svolgere consulenze per conto della societa’; inoltre, l’ipotesi di responsabilita’ per omesso adempimento degli obblighi informativi comporterebbe, a differenza del modello generale di responsabilita’ nei confronti della societa’, un’inversione dell’onere della prova quanto alla presunzione di rilevanza causale della condotta rispetto al danno subito dalla societa’;
il ricorso e’ manifestamente infondato, essendo sufficiente correggere la motivazione del tribunale nella parte attinente al tipo di azione proposta;
essendo stata dedotta un’ipotesi di danni riferibile alla violazione, da parte dell’amministratori, dei cd. obblighi di disclosure (articolo 2391 c.c., comma 1), la fattispecie era da annoverare nell’articolo 2391 c.c., comma 4, che, a prescindere dalla sorte di eventuali rimedi reali quanto alla deliberazione consiliare assunta, consente alla societa’ di far valere la responsabilita’ dell’amministratore per i danni derivati da tale specifico inadempimento;
sennonche’, il tribunale, con valutazione di fatto istituzionalmente a lui rimessa, non sindacata sul versante dell’omesso esame di fatti decisivi, ha stabilito che non era stata prospettata l’esistenza di un vantaggio patrimoniale del (OMISSIS) nell’operazione di finanziamento alla societa’ estera;
in secondo luogo ha osservato, anche all’esito di un giudizio controfattuale, che nessuna prova era emersa in ordine al nesso tra l’inadempimento ascritto all’amministratore e la conseguenza dannosa ipotizzata;
e’ decisivo allora considerare che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il dato testuale della disposizione sopra evocata non permette di rilevare alcuna inversione dell’onere della prova in tema di verificazione del danno ovvero di nesso causale tra l’omissione dell’amministratore e la conseguenza dannosa;
sulla societa’ che assuma di essere stata danneggiata dall’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’amministratore incombe pur sempre la prova del danno e del nesso di causalita’;
tanto questa Corte ha gia’ affermato merce un principio che, enunciato in relazione all’appalto, viene in rilievo dinanzi a qualsiasi contratto che risulti infine stipulato in conseguenza della deliberazione: “ai fini della responsabilita’ dell’amministratore di una societa’ ex articolo 2391 c.c., comma 2, per non essersi astenuto dal voto sulla deliberazione con cui gli vengono affidati lavori in appalto, non basta che le opere siano state realizzate dall’appaltatore – per personali attitudini o per il concorso di particolari circostanze a lui favorevoli – con costi minori di quelli contabilizzati, ma deve fornirsi la prova del danno “ingiusto” cagionato alla societa’, e cioe’ dell’eccessivita’ del corrispettivo pattuito rispetto a quello di norma effettivamente praticato per opere del medesimo tipo o, comunque, della concreta possibilita’ di realizzare tali opere mediante altre imprese a condizioni piu’ vantaggiose per la committente” (v. Cass. n. 12700-93 e gia’ Cass. n. 285-62);
ne’ postula diversa conclusione la sentenza citata dalla ricorrente (Cass. n. 3483-98), la quale si e’ limitata a evidenziare che, ai fini della sussistenza della responsabilita’ degli amministratori per la loro partecipazione a una delibera riguardante un’operazione in conflitto di interessi con la societa’, e’ sufficiente che tale operazione presenti una utilita’ per la controparte nella quale i suddetti amministratori abbiano un interesse, risultando ininfluente, a tal fine, la valutazione delle scelte gestionali e delle ragioni che hanno indotto gli amministratori a compierle; cio’ in quanto, invero, in presenza di un conflitto di interessi, “la fonte della responsabilita’ e’ costituita dal compimento dell’azione in se’ e per se’ considerata, dalla sua illegittimita’ conseguente all’essere stata compiuta in violazione di precisi canoni generali e specifici di comportamento, e dalla dannosita’ della scelta gestionale, senza che, peraltro, possa rilevare il merito di tale scelta”; che’ anzi proprio il riferimento alla dannosita’ della scelta gestionale, quale elemento essenziale della responsabilita’, implica, anche in base alla citata decisione, la condivisione del principio per cui della prova di tale dannosita’ resta onerata l’attrice secondo gli ordinari criteri distributivi di cui all’articolo 2697 c.c.;
il ricorso va pertanto rigettato e le spese processuali poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.