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Peraltro la funzione degli interessi di mora, quale strumento risarcitorio del danno in misura predeterminata e forfetaria, ne consente una sostanziale assimilazione nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie all’istituto negoziale generale in materia di obbligazioni rappresentato dalla clausola penale, con la conseguenza che rimane astrattamente percorribile la possibilità per il debitore di avanzare istanza di riduzione ex art. 1384 c.c., prospettandone i presupposti di manifesta eccessività riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.
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Tribunale Milano, Sezione 6 civile Sentenza 16 febbraio 2017, n. 16873
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SESTA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott. Francesco Ferrari ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. omissi/2016 promossa da:
MUTUATARIA
– attrice –
Contro
BANCA
– convenuta –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. mutuataria instaurava il presente giudizio nei confronti della Banca, al fine di ottenerne la condanna alla restituzione di somme pagate a titolo di interessi usurari con riferimento a un contratto di mutuo.
L’attrice in particolare esponeva:
– che il 30.06.2004 stipulava con la convenuta un contratto di mutuo ipotecario per Euro 300.000,00, da restituirsi in 120 rate mensili;
– che le parti pattuivano un tasso di interessi corrispettivo fisso per i primi due anni e la possibilità per il mutuatario di scegliere tra un tasso fisso o uno variabile per ciascun biennio successivo del piano di ammortamento;
– che il contratto prevedeva l’applicazione di interessi usurari;
– che, pertanto, la banca doveva essere condannata ex art. 1815 secondo comma c.c. alla restituzione di tutte le somme versate a titolo di interessi.
Nessuno si costituiva per la Banca, la quale veniva quindi dichiarata contumace.
Il giudice disponeva la conversione del rito e, all’esito delle memorie istruttoria, non dava corso ad attività istruttoria alcuna e rinviava all’odierna udienza per la discussione e decisione della causa ex art. 281 sexies c.p.c.; solo in occasione di detta udienza si costituiva parte convenuta, chiedendo il rigetto delle domande attoree.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le domande attoree sono infondate e, pertanto, non possono trovare accoglimento.
Preliminarmente va revocata la dichiarazione di contumacia della banca convenuta, essendosi quest’ultima costituita, sia pure tardivamente.
Premesso, infatti, come l’attrice mai abbia sostenuto come il tasso degli interessi corrispettivi concordato oltrepassasse il tasso soglia in materia di usura, la contestazione di fatto è stata innanzitutto formulata pretendendo di sommare al tasso convenzionale pattuito per gli interessi corrispettivi il tasso concordato per gli interessi moratori e in tal modo, facendo richiamo ad alcuni precedenti giurisprudenziali, evidenziando come la sommatoria dei due tassi di interesse risultasse superiore al tasso soglia in materia di usura.
Sennonché deve rilevarsi come la difesa attorea cada in un equivoco interpretativo, dal momento che i precedenti giurisprudenziali invocati non sostengano in alcun modo la pretesa a sommare i due tassi di interesse, al fine di verificarne la legittimità o meno sul piano dell’usura, ma si limitano a evidenziare come il controllo dell’usurarietà degli interessi debba operare non solo con riferimento agli interessi corrispettivi, ma anche per gli interessi moratori.
In sostanza, quindi, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero risultare usurarie, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che, nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi.
Anche là dove, come frequentemente avviene, le parti avessero determinato il tasso di interesse moratorio in una misura percentuale maggiorata rispetto al tasso dell’interesse corrispettivo, ciò assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della modalità espressiva adottata per la quantificazione del tasso, ma non implica sul piano logico giuridico una sommatoria dell’interesse corrispettivo con quello moratorio, dato che quest’ultimo, sia pure determinato in termini di maggiorazione sull’interesse corrispettivo, comunque si sostituisce al primo.
La contestazione mossa dall’attrice, inoltre, non può essere condivisa, quanto meno nella sua prospettazione “astratta”: la parte, infatti, non deduce di avere pagato tardivamente una o alcune delle rate del piano di ammortamento e, quindi, di avere dovuto corrispondere importi a titolo di interessi moratori, ma pretende viceversa di conteggiare l’incidenza di tali interessi a livello teorico, esemplificando inadempimenti tali da non consentire una risoluzione contrattuale in forza delle clausole del contratto di mutuo.
Tale impostazione, tuttavia, diviene arbitraria nelle conclusioni se solo si consideri la teoricità dei presupposti, dal momento che non può ritenersi percorribile una rilevazione in termini percentuali del tasso di mora effettivo pattuito su presupposti di entità dell’inadempimento e di durata dello stesso del tutto indeterminati e non prevedibili al momento della pattuizione delle condizioni contrattuali.
Se, pertanto, deve escludersi la possibilità di procedere a una sommatoria dei tassi di interesse pattuiti, va in ogni caso ulteriormente precisato come allo stato non si possa neppure procedere a una valutazione del carattere usurario o meno degli interessi di mora mediante un loro raffronto con il tasso soglia.
In proposito, infatti, si deve rilevare come tanto la giurisprudenza di legittimità che la stessa Banca d’Italia siano sostanzialmente concordi nel ricordare come anche gli interessi moratori, al pari di quelli corrispettivi, debbano sottostare ai limiti derivanti dalla disciplina in materia di usura e, quindi, siano suscettibili di essere pattuiti in misura usuraria.
Tale premessa si fonda su quanto ricordato dal legislatore con il D.L. 394/2000, il quale, con riferimento alla disciplina in materia di usura, ha fatto esplicito riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti:
Sebbene, quindi, profondamente differente sia la natura e la funzione degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, anche questi ultimi sono suscettibili di essere etichettati come usurari.
Se tale principio non può che essere condiviso nella sua affermazione astratta, sicuramente più problematico diventa l’accertamento in concreto del carattere usurario, quando la verifica viene effettuata con riferimento agli interessi di mora.
Il problema, infatti, nasce per il fatto che con la Legge 108/1996 si è inteso “oggettivizzare” la nozione di usura, introducendo l’istituto del tasso soglia, in modo che, superando le difficoltà probatorie in precedenza riscontrate in materia, gli interessi dovessero essere riconosciuti come usurari per il solo fatto che fossero stati pattuiti in misura superiore al tasso soglia rilevato per la tipologia di contratto omogenea a quella in verifica.
Precisato ancora come il tasso soglia è stato determinato attraverso la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) praticato nel periodo per la specifica tipologia di contratto e, quindi, operando su di esso la maggiorazione prevista (inizialmente il 50%, dal 14.05.2011 il 25% maggiorato a sua volta di 4 punti percentuali e con il limite di una maggiorazione finale rispetto al TEGM non superiore all’8%), deve osservarsi come le rilevazioni del TEGM vengano effettuate trimestralmente dalla Banca d’Italia secondo le indicazioni e le prescrizioni impartite dal Ministero delle Finanze.
Ebbene, dette prescrizioni hanno sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato con riferimento a tali interessi, in considerazione della loro natura e funzione di retribuzione del denaro e, quindi, di prezzo corrisposto in relazione all’erogazione del credito.
Al contrario, analoga rilevazione non viene richiesta con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento del mutuatario, nonché in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall’inadempimento e, quindi, di una funzione che può portare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremamente eterogenee e non strettamente e direttamente collegate al costo del denaro e all’erogazione del credito.
Il fatto, quindi, che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all’erogazione del credito), porta a concludere come non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari.
Così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorio pattuito e il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi).
In sostanza, quindi, quanto meno ad oggi una verifica in termini oggettivi del carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusa dalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare.
Né il problema potrebbe essere superato invocando la rilevazione condotta dalla Banca d’Italia nel 2001 con riferimento ai tassi di interesse moratori praticati sul mercato; l’Istituto di vigilanza bancaria, infatti, anche con la propria Circolare del 03.07.2013, ha fatto richiamo a tale rilevazione, ricordando come fosse stato verificato come in media gli interessi moratori fossero pattuiti in misura maggiorata di 2,1 punti percentuali rispetto ai tassi medi concordati per gli interessi corrispettivi.
Sennonché detta rilevazione, oltre a essere “ufficiosa”, in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze in attuazione a quanto dettato dalla Legge 108/1996, non solo non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l’acquisizione di dati a campione, ma soprattutto risale a oltre dieci anni fa, senza essere stata aggiornata e rivisitata trimestralmente, come invece preteso dal legislatore.
In sostanza, quindi, anche la soluzione di raffrontare il tasso degli interessi moratori con un tasso soglia specifico costruito con riferimento agli interessi di mora, se dal punto di vista logico matematico risulta sicuramente più condivisibile, non trova comunque giustificazione sul piano propriamente giuridico per il carattere “privato” del tasso di riferimento preso in esame per il raffronto.
Deve, pertanto, concludersi che, sino a quando non verrà commissionata dal Ministero delle Finanze una rilevazione di un TEGM specifico per gli interessi di mora, per questi ultimi non risulti possibile procedere a una qualificazione in termini “oggettivi” dell’interesse usurario, ferma restando la possibilità che tali interessi possano essere riconosciuti comunque come usurari in chiave soggettiva, ossia là dove, richiamando quanto dettato dall’art. 644 c.p., si dimostri che detti interessi siano stati pattuiti in termini tali da creare una sproporzione delle prestazioni, con approfittamento delle condizioni di difficoltà economiche e finanziarie del debitore (ipotesi neppure dedotta da parte attrice).
Ad oggi, quindi, la premessa ricavabile dalla Legge 394/2000 e ribadita reiteratamente dalla giurisprudenza e dalla stessa Banca d’Italia circa la possibilità di sottoporre a un vaglio di usurarietà anche gli interessi moratori, per forza di cose non può che essere circoscritta alla dimensione “soggettiva” dell’usura, così come ricavabile dalla disciplina penalistica dell’istituto.
La tesi sopra esposta, relativa all’impossibilità di raffrontare il tasso di interesse moratorio con il Tasso Soglia ai fini di verificarne l’usurarietà, oggi appare ulteriormente confortato dal D.L. 132/2014 convertito con la Legge 10.11.2014 n. 162, il quale ha introdotto un interesse legale di mora per le ipotesi in cui lo stesso non fosse stato oggetto di specifica pattuizione ad opera delle parti; tale interesse legale è stato parametrato con richiamo al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al D.L.vo 231/2002, determinando in tal modo un tasso di interesse che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore al Tasso Soglia trimestralmente rilevato dalla Banca d’Italia.
Se, pertanto, si dovesse opinare per l’ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile, arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurario per una molteplicità di contratti, con l’effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore.
Né potrebbe obiettarsi che in tale ultimo caso gli interessi così determinati non sono frutto di una pattuizione negoziale, ma sono imposti in via residuale dal legislatore, in quanto comunque si finirebbe con ammettere che un tasso di interesse, considerato massimamente lesivo, in quanto usurario, pur non modificandosi nei suoi contenuti sostanziali, diventi invece legittimo e conforme con gli interessi meritevoli di protezione per il solo fatto che, in difetto di pattuizione fra le parti, intervenga come sostitutivo su imposizione dello stesso legislatore.
Peraltro la funzione degli interessi di mora, quale strumento risarcitorio del danno in misura predeterminata e forfetaria, ne consente una sostanziale assimilazione nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie all’istituto negoziale generale in materia di obbligazioni rappresentato dalla clausola penale, con la conseguenza che rimane astrattamente percorribile la possibilità per il debitore di avanzare istanza di riduzione ex art. 1384 c.c., prospettandone i presupposti di manifesta eccessività riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento (si confronti Cass. 23273/2010).
Nel caso di specie, tuttavia, in diretto di allegazione alcuna in proposito, deve considerarsi preclusa l’applicazione ufficiosa dell’istituto da ultimo richiamato, con conseguente rigetto della domanda azionata con il presente giudizio.
Se le considerazioni esposte sono già assorbenti nel senso di escludere la fondatezza delle contestazioni sollevate con riferimento agli interessi moratori, ad abundantiam va ulteriormente rilevata l’inattendibilità delle perizie econometriche di parte prodotte in giudizio con riferimento alla pretesa di determinare un Tasso Effettivo di Mora, dal momento che tale nozione muove dal presupposto di sommare spese e oneri agli interessi moratori. effettuando una analogia con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), senza tenere conto che quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che invece dipende non dall’erogazione del credito, quanto piuttosto dall’inadempimento del debitore.
La ricostruzione proposta da parte attrice, al fine di sostenere la sussistenza di un Tasso Effettivo di Mora (chiamato T.E.MO) superiore al tasso soglia, risulta evidentemente non condivisibile anche sotto un altro profilo.
L’operazione compiuta, infatti, consiste nell’ipotizzare un ritardo nel pagamento della prima rata di ammortamento di 29 giorni e di rapportare poi la mora così maturata alla sola quota capitale della prima rata non pagata tempestivamente.
Tale operazione tuttavia è priva di qualsiasi fondamento.
In primo luogo non si comprende perché il valore assoluto della mora sia stato rapportato alla sola quota capitale quando la mora è stata applicata sull’intera rata non pagata ed è quindi tale ammontare che costituisce il “capitale” considerato per il suo calcolo.
La strumentalità della scelta della prima rata è poi resa evidente dal fatto che nel piano di ammortamento a rate costanti in essa è massima la quota interessi e minima quella capitale.
Inoltre è del tutto arbitrario ipotizzare un ritardo di 29 giorni, dato che non ha alcun riscontro con i fatti di causa e ciò evidenzia l’arbitrarietà del calcolo operato.
Ma l’erroneità della tesi di parte attrice emerge essenzialmente là dove si pretenda di parametrare là quota di interessi moratori alla quota capitale della rata tardivamente onorata e non già al capitale residuo al momento del pagamento, con l’effetto di individuare in tal modo un tasso di mora nettamente superiore rispetto a quello effettivamente applicato; il raffronto, infatti, non può che essere condotto con riferimento al capitale residuo ancora non restituito;
alla scadenza della rata, atteso che è in relazione al capitale erogato che viene inizialmente pattuito il tasso di interesse corrispettivo costituente il costo del mutuo ed è in relazione a detto capitale, ridotto grazie al progressivo rimborso delle rate, che vanno conteggiati alle scadenze pattuite gli importi pretesi a titolo di interessi.
In realtà, infatti, ai fini del calcolo del tasso effettivo, TAEG, come disciplinato nella Direttiva 2011/90/UE e Provv. Banca d’Italia 28/3/2013, con formula del tutto diversa da quella utilizzata dalla parte, occorre la conoscenza ex ante degli interessi pagati e ciò non è evidentemente possibile in caso di mora, della quale non si conosce ex ante né la base di calcolo, né la durata.
In definitiva, quindi, la pretesa di calcolare un tasso effettivo di mora non ha alcuna base normativa ed è assolutamente priva di attendibilità per le modalità seguite nella fattispecie.
Pari esito, infine, va attribuito anche alla contestazione relativa a una pattuizione illecita dei tassi di interesse pretendendo di sommare al tasso degli interessi corrispettivi la penale pattuita per il caso di anticipata estinzione del rapporto di mutuo e, così facendo, riscontrare il superamento del Tasso Soglia.
Anche sotto tale profilo, infatti, la doglianza non può essere condivisa, considerato come la penale per l’anticipata estinzione del mutuo non possa considerarsi un onere collegato all’erogazione del credito, riguardando piuttosto una fase successiva ed eventuale, ossia la risoluzione anzitempo del rapporto ed è rivolta a indennizzare la parte mutuante della perdita di lucro discendente dalla mancata corresponsione degli interessi originariamente programmati con il piano di ammortamento poi disatteso per effetto della anticipata risoluzione.
Coerentemente, quindi, la stessa Banca d’Italia nelle proprie istruzioni in materia di determinazione del TEGM ha precisato di non ricomprendere tale onere ai fini della rilevazione dell’usura.
Per quanto attiene, poi, all’incidenza della polizza assicurativa, deve rilevarsi come, nonostante i termini istruttori concessi, parte attrice abbia omesso di produrre la polizza, con l’effetto che la stessa risulti attestata solo per la sua incidenza economica tramite un richiamo contenuto nel contratto di mutuo; tale circostanza preclude di accertare se la stipula della polizza fosse stata condizione imposta ai fini dell’erogazione del mutuo, con la necessità di doverne tenere conto ai fini della determinazione del TAEG, piuttosto che frutto di una scelta effettuata dalla parte mutuataria.
Per ultimo parte attrice ha contestato l’applicazione di interessi anatocistici insiti nella pattuizione di un piano di ammortamento “alla francese”, ossia mediante la previsione della restituzione delle somme mutuate attraverso il pagamento di rate di importo costante, ciascuna delle quali composta da una quota di capitale e una di interessi, con previsione che nella parte iniziale del rapporto la quota di interessi inserita nella rata sia prevalente rispetto al capitale e che il rapporto fra tali due componenti vada progressivamente a invertirsi con le rate successive, mediante un aumento costante della quota capitale e corrispondente riduzione della quota di interessi.
Orbene, a letta dell’attrice tale modalità di ammortamento nasconderebbe inevitabilmente una prassi anatocistica non pattuita e illegittima, in quanto contrastante con il dettato di cui all’art. 1283 c.c., implicando di fatto l’addebito di interessi a un tasso complessivo maggiore rispetto a quello pattuito.
Tale doglianza, che richiama alcuni isolati precedenti giurisprudenziali, nasce da un equivoco nella scomposizione della struttura dei contratti di mutuo con ammortamento alla francese, in quanto tale sistema matematico di formazione delle rate risulta in verità predisposto in modo che in relazione a ciascuna rata la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull’intero importo mutuato, bensì di volta in volta con riferimento alla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, escludendosi in tal modo che, nelle pieghe della scomposizione in rate dell’importo da restituire, gli interessi di fatto vadano determinati almeno in parte su se stessi, producendo l’effetto anatocistico contestato.
Né può parlarsi di anatocismo illegittimo con riferimento all’addebito di interessi moratori su rate scadute, ma non tempestivamente pagate, dal momento che con riferimento a tale addebito il contratto di mutuo prevede espressamente che gli interessi moratori vadano calcolati sull’intera rata (e quindi anche sulla quota di essa imputata a interessi corrispettivi), salvo escludere che gli interessi moratori così calcolati possano a loro volta produrre nuovamente frutti, il tutto in piena conformità con quanto previsto dall’art. 3 della delibera C.I.C.R. del 09.02.2000.
Per le ragioni tutte esposte, pertanto, le domande attoree vanno giudicate come infondate e devono essere respinte.
La costituzione di parte convenuta solo in occasione della udienza di discussione non ha implicato alcuna attività difensiva effettiva, tale da giustificare una condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite, dovendo essere valutate le spese sostenute dalla convenuta come sostanzialmente superflue ex art. 92 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza disattesa:
– rigetta le domande proposte da mutuataria nei confronti della Banca
– nulla in ordine alle spese di lite.
Così deciso in Milano il 16 febbraio 2017.
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2017.