Ora, va innanzitutto rilevata l’inconsistenza giuridica della tesi della sommatoria tra tasso di interesse corrispettivo e tasso moratorio. Viene, infatti, in rilievo la differente funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfetaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario. Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c. 1 c.c.. Siffatte differenze si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest’ultimo. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.
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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 18 maggio 2018, n. 10156
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
XVII (già IX) SEZIONE CIVILE
in persona del giudice unico dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 36088 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, vertente
tra
(…) e (…), elettivamente domiciliati in Roma alla piazza (…), presso lo studio dell’Avv. Pi.Si. che li rappresenta e difende unitamente all’Avv. Ma.Me. in forza di procura in atti
attori
e
(…) società cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma al viale (…), presso lo studio dell’Avv. Ma.Ra., che la rappresenta e difende in forza di procura in atti
convenuta
oggetto: mutuo bancario
FATTO E DIRITTO
I sigg.ri (…) e (…) hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma il (…) società cooperativa chiedendo che, previo accertamento della pattuizione ed applicazione di interessi usurari, fosse dichiarata la gratuità ex art. 1815 c.c. del contratto di mutuo ipotecario da loro stipulato in data 18/4/2011 con la banca convenuta e che quest’ultima fosse condannata a restituire tutte le somme indebitamente percepite da compensare, eventualmente, con il debito residuo e a ridurre la garanzia ipotecaria accesa sul mutuo in proporzione al saldo debitorio effettivo.
Si è costituita in giudizio il (…) società cooperativa eccependo in via pregiudiziale la nullità dell’atto di citazione ex artt. 163 nn. 3 e 4 e 164 c.p.c. per assoluta indeterminatezza della cosa oggetto della domanda. Nel merito la convenuta ha contestato tutte le domande avversarie chiedendone il rigetto integrale.
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti ed all’udienza dell’8/11/2017 è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.
Anzitutto va respinta l’eccezione pregiudiziale di nullità dell’atto di citazione sollevata dalla banca convenuta. La nullità per carenza dei requisiti di cui all’art. 163 nn. 3 e 4 postula la totale omissione dei fatti posti a fondamento della domanda e l’assoluta incertezza del bene della vita di cui si domanda il riconoscimento. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, le domande proposte dagli attori sono sufficientemente determinate sia nel petitum (costituito dalle richieste di accertamento delle nullità riferite al contratto di mutuo precisamente individuato e dalle conseguenti richieste restitutorie) che nella causa petendi (integrata dalla asserita pattuizione ed applicazione di interessi contra legem ovvero dalla indeterminatezza delle relative pattuizioni) ponendo, in tal modo, la parte convenuta nella condizione di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (cfr. Cass. 4.06.2001 n. 7507), come in effetti è avvenuto. La genericità delle allegazioni difensive costituisce un vizio di esposizione non tale da impedire l’identificazione dei diritti azionati, ma che al più può rilevare ai fini dell’accoglimento nel merito delle domande proposte, come sarà di seguito precisato.
Le domande proposte dagli attori sono infondate.
E’ provato per tabulas che in data 18/04/2011, i sigg.ri (…) e (…) hanno stipulato con il (…) società cooperativa un contratto di mutuo ipotecario dell’importo di Euro 349.982,50 da restituire in 300 rate mensili (doc. 1 del fascicolo di parte attrice).
Gli attori allegano la natura usuraria del contratto da loro stipulato assumendo che il tasso soglia anti usura vigente al momento della convenzione, pari al 4,19%, era superato sia dal tasso di mora valutato autonomamente, sia dalla sommatoria di quest’ultimo e del tasso corrispettivo.
Ora, va innanzitutto rilevata l’inconsistenza giuridica della tesi della sommatoria tra tasso di interesse corrispettivo e tasso moratorio. Viene, infatti, in rilievo la differente funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfetaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario. Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c. 1 c.c.. Siffatte differenze si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest’ultimo. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.
La verifica del superamento del tasso soglia deve pertanto essere eseguita facendo riferimento al solo tasso corrispettivo e agli eventuali costi aggiuntivi accessori all’operazione di finanziamento.
Nel caso di specie per quanto risulta dal contratto di mutuo il tasso nominale annuo degli interessi corrispettivi al momento della pattuizione era pari al 2,707%, mentre il tasso annuo effettivo globale (ovvero il costo complessivo dell’operazione di finanziamento incluse anche le spese e gli altri oneri) era pari al 3,3609%: entrambi i tassi sono ben inferiori al tasso soglia del 4,19% vigente al momento della stipulazione del contratto (II trimestre 2011).
Quanto agli interessi moratori, in considerazione della evidenziata funzione di liquidazione forfetaria e anticipata del danno da inadempimento assolta da detti interessi, a questi andrebbe applicata la disciplina prevista per la clausola penale, con la conseguenza che, qualora la loro misura sia eccessiva, dovrebbe trovare applicazione lo strumento della riduzione giudiziale ex art. 1384 c.c., senza potersi fare ricorso alla loro completa eliminazione (per l’assimilazione della convenzione con cui si determina la misura degli interessi moratori ad una clausola penale, cfr. Cass. 18 novembre 2010, n. 23273; Cass. 17 novembre 1994, n. 2358). L’interpretazione del dato normativo nel senso dell’esclusione della rilevanza degli interessi moratori ai fini della disciplina dell’usura appare coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del tasso annuo effettivo globale le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora (vedi, da ultimo, direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014 in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, recepita con D.Lgs. n. 72 del 2016).
Ma anche a voler ritenere che gli interessi di mora non possano essere sottratti alla disciplina sull’usura si ritiene che il tasso di mora non possa essere confrontato con il medesimo tasso soglia che costituisce termine di paragone per i tassi di interesse corrispettivi.
Bisogna, infatti, considerare che le rilevazioni operate dalla (…), sulla scorta delle quali il Ministero dell’Economia determina trimestralmente, mediante appositi decreti, i tassi effettivi globali medi (base di calcolo del “tasso soglia”), sono effettuate senza considerare gli interessi di mora, i quali riguardano operazioni con andamento anomalo in quanto non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente.
Pertanto, sarebbe del tutto iniquo, oltre che scientificamente inattendibile, un confronto di due dati disomogenei, ove il primo sia calcolato computando le voci di costo secondo una data metodologia (che esclude gli interessi di mora), e il secondo sia calcolato, computando voci di costo diverse (includendo gli interessi di mora). La rilevazione dei tassi usurari richiede necessariamente l’utilizzazione di dati tra loro oggettivamente comparabili “sicché se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato” (così, Cass. 3 novembre 2016, n. 22270; Cass. 22 giugno 2016, n. 12965).
Anche volendo ricostruire in via interpretativa un tasso soglia per gli interessi moratori, tale tasso dovrà necessariamente essere superiore al tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi in ragione della cennata differenza funzionale intercorrente tra le due tipologie di interessi.
L’unico parametro oggettivo disponibile per la ricostruzione in via interpretativa di un tasso soglia degli interessi moratori è dato dai risultati di un’indagine statistica effettuata dalla (…), che rilevò come mediamente il tasso degli interessi moratori convenzionalmente pattuito fosse maggiorato di 2,1 punti percentuali rispetto al tasso medio degli interessi corrispettivi. Dunque, ai fini del verificarsi dell’usura il tasso di mora dovrà essere raffrontato con un tasso soglia determinato attraverso la maggiorazione del TEGM del 2,1%, aumentato poi della metà (da maggio 2011, il TSU per gli interessi di mora sarà determinato maggiorando il TEGM del 2,1%, aumentato poi del 25% e di ulteriori quattro punti percentuali).
Di conseguenza, nel caso di specie l’interesse di mora, in sé considerato e previsto contrattualmente al tasso del 4,707% non può essere considerato usurario, non superando il tasso soglia anti-usura calcolato secondo le modalità sopra indicate (TEG medio + 2,1 + aumento della metà).
Peraltro il rilievo di parte attrice circa la natura usuraria del tasso di mora non tiene conto della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 3 del contratto di mutuo, laddove è testualmente previsto che gli interessi di mora siano determinati “comunque nel rispetto della L. n. 108 del 1996”. Del resto la parte attrice non ha offerto alcuna prova circa l’effettivo addebito di interessi moratori, né tanto meno vi è prova dell’applicazione di interessi con tasso superiore al tasso soglia in violazione della clausola contrattuale sopra menzionata.
Va poi rilevata l’inammissibilità delle nuove allegazioni difensive introdotte dagli attori per la prima volta con la prima memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. concernenti la presunta indeterminatezza del tasso di interesse e l’applicazione di interessi anatocistici contra legem quale conseguenza del sistema di ammortamento a rate costanti (c.d. ammortamento alla francese) previsto nel contratto in esame. Si tratta infatti di vere e proprie domande nuove e non di mere precisazioni delle domande iniziali.
In ogni caso le nuove domande formulate dagli attori sono destituite di ogni fondamento.
Infatti, nel caso di ammortamento alla francese come quello previsto nel caso di specie, a fronte di un capitale preso a prestito all’epoca iniziale, il debitore deve corrispondere rate di importo costante costituite da una quota – interessi decrescente e da una quota – capitale crescente. Ne consegue che anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti. Il piano di ammortamento alla francese non comporta, quindi, né un’indeterminatezza del tasso di interesse, né un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto una diversa costruzione delle rate costanti in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale, in ossequio al principio previsto dall’art. 1194 c.c.
L’erroneità delle impostazioni difensive fin qui esaminate e la carenza probatoria in ordine all’applicazione di interessi contra legem non possono essere ovviate con la consulenza tecnica d’ufficio che viene sollecitata da parte attrice.
Ed infatti è appena il caso di osservare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso stretto, ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione. Essa può essere disposta solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere funzionale a soddisfare finalità esclusivamente esplorative: essa non può valere ad eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate, specie in un sistema processuale, come è il nostro, caratterizzato da preclusioni istruttorie.
Ne consegue l’inammissibilità della consulenza tecnica richiesta dai due mutuatari perché tesa a supplire l’onere di allegazione e della prova su di loro gravante ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati e neanche tempestivamente dedotti (cfr. Cass. 26/02/2003 n. 2887).
Una volta escluse le nullità contrattuali ipotizzate dagli attori vanno respinte sia la domanda di dichiarazione di gratuità del contratto di mutuo, sia le conseguenti richieste volte alla rideterminazione del saldo ed alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.
Parimenti va disattesa la richiesta di riduzione dell’ipoteca non essendo stata dimostrata la sproporzione tra l’importo garantito e il saldo debitorio del tutto genericamente allegata dagli attori.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (…) e (…) nei confronti del (…) società cooperativa, ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:
– respinge le domande;
– condanna i due attori, in solido tra loro, a rifondere al (…) società cooperativa le spese di lite liquidate in complessivi Euro 9.000,00 per compensi professionali, oltre agli accessori nella misura di legge.
Così deciso in Roma il 27 aprile 2018.
Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2018.