Invero, per ciò che attiene agli effetti della risoluzione del contratto di leasing in ordine ai canoni già pagati, per quanto il contratto di locazione finanziaria per cui è causa, secondo quanto affermato dalla parte convenuta, possa essere ricondotto alla figura del leasing traslativo, con conseguente applicabilità in astratto della norma di cui all’art. 1526 c.c., tuttavia, difettano certamente, allo stato, i presupposti di applicabilità della disciplina di tale norma in punto di restituzione dei canoni pagati, posto che tale norma, nella parte in cui attribuisce al compratore (qui utilizzatore) il diritto ad ottenere la restituzione delle rate (qui canoni) versate, imponendo all’altra parte il dovere di restituire le rate riscosse “salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa”, presuppone l’avvenuta restituzione della cosa; che, invero, in sede di restituzione dei canoni pagati occorre tener conto dell’equo compenso per l’uso, che costituisce un limite alla misura dei canoni da restituire e che può essere determinato solo dopo che il bene sia stato restituito; che, del resto, tale principio risulta anche espressamente affermato in pronunce della Corte di legittimità laddove viene chiarito “che nel leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”.
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Tribunale Milano, Sezione 12 civile Sentenza 22 giugno 2018, n. 7005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
EX DODICESIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Lorenzo Orsenigo
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 73422/2014 promossa da:
(…) SPA (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CA.GI. ed elettivamente domiciliata in VIA (…), 20122, MILANO, presso il difensore avv. CA.GI.
ATTRICE
contro
(…) SRL (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. SI.AL. e dell’avv. BU.FR. ed elettivamente domiciliata in VIALE (…), MILANO, presso il difensore avv. SI.AL.
CONVENUTA
FATTO E DIRITTO
Va premesso quanto segue:
– che la parte attrice (…) s.p.a. (già (…) s.p.a.) in relazione ai due contratti di locazione finanziaria immobiliare stipulati dalla (…) s.p.a. (poi (…) s.p.a.) con l’utilizzatrice (…) s.r.l. (poi (…) s.r.l.) aventi n. (…) e n. (…) (ed aventi, rispettivamente, ad oggetto una unità immobiliare sita nel Comune di R., via C. n. 15, ad uso industriale ed una unità immobiliare sita nel Comune di R., via U.), deducendo l’intervenuta risoluzione di tali due contratti in conseguenza dell’inadempimento dell’utilizzatrice ed a seguito della lettera raccomandata di risoluzione contrattuale datata 10/3/2014 inviata alla convenuta in base ad una clausola risolutiva espressa, ha introdotto la presente causa con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. per conseguire una pronuncia di risoluzione dei contratti in questione e di condanna della parte convenuta alla restituzione degli immobili oggetto dei due contratti di leasing;
– che, costituendosi in giudizio, la parte convenuta (…) s.r.l., deducendo la responsabilità della concedente società di leasing per violazione delle norme di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nonché per violazione dell’art. 1337 c.c., ha chiesto il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la condanna della parte attrice al risarcimento dei danni; – che la parte convenuta, in particolare, ha dedotto che le parti avevano concluso tre distinti contratti di leasing (il contratto di leasing immobiliare n. (…) avente ad oggetto un immobile sito in R., via (…); il contratto di leasing immobiliare n. (…) avente ad oggetto un immobile sito in R., via U., ed il contratto di leasing mobiliare n. (…) avente ad oggetto attrezzatura sportiva); che l’utilizzatrice, a fronte delle proprie difficoltà finanziarie, aveva cercato di riequilibrare il rapporto con la concedente attraverso una trattativa, durata ben quattro anni, finalizzata a conseguire il riscatto anticipato con la vendita a terzi dei beni oggetto dei contratti n. (…) e n. (…) e la rimodulazione del contratto più consistente avente n. (…); che la trattativa non si era conclusa positivamente per responsabilità della concedente società di leasing;
– che, in corso di causa, è stato disposto il mutamento del rito, con l’assegnazione dei termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c.;
– che la causa è giunta in decisione in assenza di attività istruttoria.
Ad avviso di questo giudice le domande svolte da parte attrice sono fondate e meritevoli di accoglimento, dovendosi considerare, anzitutto, che risulta documentato: A) che con contratto n. (…) la parte attrice ebbe a concedere in locazione finanziaria alla parte convenuta l’unità immobiliare sita nel Comune di R., via (…), ad uso industriale, il tutto distinto al catasto fabbricati del suddetto Comune al foglio (…), mappale (…), cat. (…), come meglio descritto nel contratto di compravendita stipulato dinanzi alla dott.ssa (…), notaio in Codroipo, e nelle conclusioni di parte attrice (cfr. Il contratto di locazione finanziaria n. (…) sottoscritto in data 26/4/2007 sub doc. 3 attrice nonché la copia del contratto di compravendita con la fattura di acquisto sub doc. 2 attrice); B) che con contratto n. (…) la parte attrice ebbe a concedere in locazione finanziaria alla parte convenuta l’unità immobiliare sita nel Comune di R., via (…), ad uso negozio al piano terra, facente parte di un complesso condominiale, catastalmente censita al nuovo catasto edilizio urbano del Comune di R., via (…), Foglio (…), Mappale (…), subalterno (…), P.T. Cat. (…) come meglio descritto nell’atto di compravendita stipulato dinanzi alla dott.ssa (…), notaio in Codroipo, e nelle conclusioni di parte attrice (cfr. Il contratto di locazione finanziaria n. (…) sottoscritto in data 20/12/2002 sub doc. 6 attrice nonché la copia del contratto di compravendita con la fattura di acquisto sub doc. 5 attrice); che è altrettanto pacifico e documentato che la parte attrice ebbe a consegnare in godimento alla parte convenuta gli immobili oggetto di tali due contratti (cfr. i verbali di consegna e collaudo sub docc. 4 e 7 attrice).
Va, quindi, detto che l’attrice ha dedotto l’inadempimento della parte convenuta all’obbligazione di pagamento dei canoni e, su tale assunto, ha invocato l’intervenuta risoluzione dei contratti per effetto dell’invio della lettera raccomandata di risoluzione contrattuale datata 10/3/2014 (cfr. le lettere di risoluzione contrattuale sub doc. 9 attrice nelle quali veniva indicato, per il contratto n. (…), l’ammontare del credito maturato a tale data nell’importo di Euro 75.622,07 e l’ammontare del residuo credito a titolo di penale nell’importo di Euro 443.135,64 e, per il contratto n. (…), l’ammontare del credito maturato a tale data nell’importo di Euro 13.236,25 e l’ammontare del residuo credito a titolo di penale nell’importo di Euro 10.415,78); che l’addebito di inadempimento è avvalorato dalla produzione degli estratti conto relativi ai due contratti (doc. 10 attrice); che la parte convenuta, costituendosi in giudizio, non ha in alcun modo dimostrato di aver provveduto al pagamento dei canoni scaduti ed indicati come insoluti negli estratti conto prodotti da parte attrice né ha contestato di aver ricevuto la citata lettera di risoluzione contrattuale.
Invero, la parte convenuta ha inteso resistere alla pretesa di restituzione dei beni azionata da parte attrice essenzialmente deducendo proprie ragioni di credito risarcitorio in conseguenza dell’asserita responsabilità di parte attrice che avrebbe ingiustificatamente impedito la definizione transattiva della vertenza nonostante una trattativa protrattasi per ben quattro anni. Al riguardo, la parte convenuta ha dedotto che essa, al fine di sistemare la propria posizione debitoria nei confronti della concedente, avendo trovato un soggetto interessato all’acquisto dei beni oggetto dei contratti (…) (avente ad oggetto l’immobile sito in (…), via (…)) e (…) (avente ad oggetto attrezzatura sportiva), chiese alla concedente di poter riscattare in anticipo i beni oggetto di tali due contratti e di rimodulare il terzo contratto n. (…); che, peraltro, i conteggi ad essa trasmessi dalla concedente per il riscatto anticipato dei beni oggetto dei due contratti (…) e (…) indicavano importi superiori a quelli che sarebbero stati dovuti in base alle previsioni contrattuali; che l’indisponibilità della concedente a procedere ad una riconciliazione dei conteggi aveva portato all’insuccesso della trattativa transattiva sino ad arrivare alle lettere di risoluzione contrattuale datate 10/3/2014.
Ad avviso di questo giudice tali allegazioni di parte convenuta sono infondate e comunque inconcludenti al fine di supportare la pretesa risarcitoria di parte convenuta e, prima ancora, di contrastare la pretesa restitutoria azionata da parte attrice in conseguenza dell’intervenuta risoluzione dei contratti di leasing per cui è causa, dovendosi considerare che, in generale, i contratti di leasing non prevedono il diritto dell’utilizzatore al riscatto anticipato dei beni oggetto dei contratti di leasing, trattandosi semplicemente di una eventualità possibile in quanto frutto di apposita trattativa e accordo tra le parti; che, all’evidenza, tale trattativa non è andata a buon fine per l’indisponibilità dell’utilizzatrice ad accettare i conteggi degli importi per il riscatto trasmessi dalla concedente e da questa ritenuti quale condizione per giungere (in via eccezionale) all’estinzione anticipata dei contratti; che, peraltro, la parte convenuta non ha dimostrato nè chiarito sotto quale profilo i conteggi trasmessi dalla concedente sarebbero stati errati per avere la concedente “imputato i pagamenti fatti da (…) srl non in base alle causali effettive di bonifico ma secondo imputazioni unilaterali”; che, invero, trattasi di un’allegazione generica, posto che, come detto, la parte convenuta non ha nemmeno contestato in causa la propria posizione debitoria quale risulta dagli estratti conto prodotti dalla parte attrice e posti a base dell’invocata risoluzione contrattuale.
Va, quindi, detto che, infondata essendo la pretesa risarcitoria avanzata in via riconvenzionale dalla parte convenuta, l’inadempimento della parte convenuta all’obbligazione di pagamento dei canoni di leasing integra il presupposto per far luogo alla risoluzione di diritto del contratto alla stregua della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 21 delle condizioni generali di contratto della quale pacificamente l’attrice si è avvalsa con l’invio della citata lettera di risoluzione contrattuale; che alla declaratoria di risoluzione del contratto consegue la condanna della parte convenuta al rilascio degli immobili ormai dalla stessa detenuti “sine titulo”.
Va, infine, richiamato che la parte convenuta, ha anche genericamente lamentato nelle proprie difese che la concedente, nel chiedere la restituzione dei beni, non avrebbe fatto “cenno al rimborso dei canoni già versati dall’utilizzatrice e ciò in spregio della norma di riferimento di cui all’art. 1526 c.c. applicabile al caso di specie”: al riguardo, la parte convenuta, pur non avendo svolto alcuna domanda in proposito, ha tuttavia dedotto che, benché il contratto di leasing preveda la possibilità per la concedente di trattenere le rate già versate dall’utilizzatore, tuttavia spetterebbe al giudice “disporre, dopo adeguata valutazione, quale sia la somma eventualmente trattenibile a titolo di penale nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’altra parte”.
Ad avviso di questo giudice trattasi di allegazioni infondate ed inconcludenti ai fini del decidere.
Invero, per ciò che attiene agli effetti della risoluzione del contratto di leasing in ordine ai canoni già pagati, per quanto il contratto di locazione finanziaria per cui è causa, secondo quanto affermato dalla parte convenuta, possa essere ricondotto alla figura del leasing traslativo, con conseguente applicabilità in astratto della norma di cui all’art. 1526 c.c., tuttavia, difettano certamente, allo stato, i presupposti di applicabilità della disciplina di tale norma in punto di restituzione dei canoni pagati, posto che tale norma, nella parte in cui attribuisce al compratore (qui utilizzatore) il diritto ad ottenere la restituzione delle rate (qui canoni) versate, imponendo all’altra parte il dovere di restituire le rate riscosse “salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa”, presuppone l’avvenuta restituzione della cosa; che, invero, in sede di restituzione dei canoni pagati occorre tener conto dell’equo compenso per l’uso, che costituisce un limite alla misura dei canoni da restituire e che può essere determinato solo dopo che il bene sia stato restituito; che, del resto, tale principio risulta anche espressamente affermato in pronunce della Corte di legittimità laddove viene chiarito “che nel leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno” (Cass. 28/8/2007 n. 18195; Cass. 8/1/2010 n. 73); che, inoltre, può ben essere richiamata, al riguardo, la previsione normativa, di recente introduzione, di cui all’art. 72 quater comma 2 della L. Fallimentare, con cui è stato previsto che, in tema di locazione finanziaria, “in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale”; che, invero, tale previsione legislativa, nel prevedere l’accredito alla curatela fallimentare (dell’utilizzatore) dell’eventuale differenza “fra la maggior somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale”, presuppone, appunto, che il bene sia stato restituito alla concedente; che, nel caso, non risulta che i beni oggetto dei contratti di locazione finanziaria per cui è causa siano stati restituiti alla concedente, avendo questa introdotto il presente giudizio proprio per conseguire la riconsegna dei beni oggetto del contratto di leasing per cui è causa; che, peraltro, l’eventuale pretesa di restituzione dei canoni pagati, in ipotesi vantata dall’utilizzatrice alla stregua dell’art. 1526 comma 1 c.c. (norma che, in tema di vendita con riserva della proprietà, prevede che “se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa”), sarebbe, comunque, infondata, posto che le parti, nel disciplinare gli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, hanno previsto, all’art. 21 delle condizioni generali di contratto che, in tale ipotesi, “resteranno acquisiti” tutti gli importi corrisposti dall’utilizzatore nel corso del rapporto; che trattasi di una previsione compatibile con la norma, invocata da parte convenuta, di cui all’art. 1526 c.c. che, al comma 2, prevede che “qualora sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta”; che, in proposito, sarebbe da ritenersi infondata la doglianza circa l’eccessiva onerosità della clausola penale prevista dalle condizioni generali di contratto ai fini della disciplina contrattuale degli effetti della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatrice.
Al riguardo, va considerato che le condizioni di contratto, da un lato, prevedono che, a fronte della risoluzione anticipata del contratto, la concedente, oltre ad acquisire i canoni già maturati, abbia diritto di conseguire, a titolo risarcitorio, il valore attuale del corrispettivo residuo (costituito dai canoni a scadere e del prezzo di opzione), da un altro lato, prevedono che sia accreditato all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita del bene restituito; che tale disciplina degli effetti della risoluzione contrattuale vale ad evitare il rischio che la concedente, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i canoni contrattualmente pattuiti, abbia a conseguire un indebito vantaggio derivante dal cumulo delle due utilità (rappresentato dalla somma dei canoni e del residuo valore del bene) in contrasto con lo specifico dettato normativo della norma di cui all’art. 1526 c.c. (Cass. 27/9/2011 n. 19732), posto che, se da un lato la clausola penale in questione, in ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore all’obbligazione di pagamento dei canoni e di conseguente risoluzione del contratto, prevede la liquidazione anticipata del danno anche attraverso la corresponsione dei canoni a scadere attualizzati e di quanto previsto in contratto ai fini dell’esercizio della facoltà di opzione, da un altro lato, la stessa clausola prevede che sia interamente accreditato all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita del bene restituito; che questa struttura della clausola penale (con la previsione dell’accredito in favore dell’utilizzatore di quanto ricavato dalla vendita del bene restituito) è tale da realizzare il contemperamento degli opposti interessi e da evitare un ingiustificato arricchimento da parte della società di leasing; che una conferma della legittimità di tale assetto negoziale, circa gli effetti della risoluzione del contratto, può rinvenirsi sia nelle disposizioni introdotte dal Legislatore sia con il D.Lgs. n. 5 del 2006 che, all’art. 72 quater comma 2 della L. Fallimentare, ha previsto che “in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso rispetto al credito residuo in linea capitale”, sia nella più recente norma di cui all’art. 1 comma 78 L. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), con la quale, in tema di contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale, è stato previsto che “in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto”.
Né, tenendosi presente la funzione di finanziamento del contratto e l’esigenza di rimborso alla concedente del capitale prestato, può ritenersi illegittima una clausola che, in ipotesi di inadempimento dell’utilizzatore all’obbligazione di pagamento dei canoni e di conseguente risoluzione del contratto, preveda la liquidazione anticipata del danno anche attraverso la corresponsione dei canoni a scadere attualizzati e di quanto previsto in contratto ai fini dell’esercizio della facoltà di opzione, ove si consideri che, per effetto della clausola penale posta a base di una tale pretesa (implicante, come detto, l’accredito in favore dell’utilizzatore di quanto realizzato dalla vendita del bene restituito), la concedente, a differenza di quanto ritenuto dalla convenuta, non conseguirebbe nulla di più di quanto avrebbe percepito se il contratto fosse stato regolarmente adempiuto.
Secondo il criterio della soccombenza la parte convenuta va condannata a rimborsare all’attrice le spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:
1) in accoglimento delle domande svolte da parte attrice, accerta e dichiara l’intervenuta risoluzione dei contratti di locazione finanziaria aventi n. (…) e n. (…), e, per l’effetto, condanna la parte convenuta (…) s.r.l.:
A) a rilasciare alla parte attrice (…) s.p.a. l’unità immobiliare ad uso industriale sita nel Comune di R., via C. n. 15, il tutto distinto al catasto fabbricati del suddetto Comune al foglio (…), mappale (…), cat. (…), come meglio descritta nel contratto di compravendita stipulato dinanzi alla dott.ssa (…), notaio in Codroipo, e nelle conclusioni di parte attrice;
B) a rilasciare alla parte attrice (…) s.p.a. l’unità immobiliare sita nel Comune di R., via (…), ad uso negozio al piano terra, facente parte di un complesso condominiale, catastalmente censita al nuovo catasto edilizio urbano del Comune di R., via (…), Foglio (…), Mappale (…), subalterno (…), P.T. Cat. (…), come meglio descritta nell’atto di compravendita stipulato dinanzi alla dott.ssa (…), notaio in Codroipo, e nelle conclusioni di parte attrice;
2) rigetta la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta in via riconvenzionale dalla parte convenuta nei confronti della parte attrice;
3) condanna la parte convenuta predetta a rimborsare alla parte attrice le spese di lite liquidate in complessivi Euro 10.634,00 (di cui Euro 634,00 per spese ed Euro 10.000,00 per compenso), oltre 15% per rimborso spese forfetarie, oltre IVA e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Milano il 21 giugno 2018.
Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2018.