in caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico – percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto.

 

Tribunale Ferrara, civile Sentenza 18 giugno 2018, n. 476

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice Marianna Cocca

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 4049/2015, promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. ZA.MI., elettivamente domiciliata presso il difensore avv. ZA.MI.

ATTORE/I

contro

AZIENDA (…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. TA.MI. elettivamente domiciliato presso il difensore avv. TA.MI.

CONVENUTO/I

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La signora (…), quale erede di (…), deceduto in data 16.06.2013, ha convenuto in giudizio la Azienda U.S.L. chiedendo di riconoscere la diretta responsabilità nella causazione del danno subito per la morte del di lei padre, esistenziale e psichico dallo stessa patito quale erede del (…) per responsabilità medica, e quindi condannare la Azienda U.S.L. a pagare in suo favore la somma complessiva di Euro 436.428,00, o quella diversa maggiore e/o minore somma che verrà ritenuta di giustizia ad esito dell’istruttoria, aumentata di rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data dell’evento dannoso al saldo effettivo, a titolo di risarcimento di tutti i danni patiti in considerazione della responsabilità medica da errata diagnosi e conseguente anticipato decesso, danno biologico esistenziale e psichico subito dalla sig.ra (…) per la perdita del di lei padre, comprensivo di Euro 1.984,76 per spese mediche.

Si è costituita la Azienda U.S.L. chiedendo in via preliminare: accertare e dichiarare il difetto di titolarità attiva e il difetto di legittimazione attiva in capo all’odierna attrice e, per l’effetto, assumere ogni conseguente provvedimento di legge (inammissibilità della domanda); sempre in via preliminare: accertare e dichiarare che le pretese risarcitorie avverse hanno natura extracontrattuale; in via principale: rigettare ogni e qualsivoglia domanda formulata nei confronti dell’Ausl di Ferrara in quanto inammissibile ovvero infondata; in via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle avverse pretese e di rigetto delle sopra formulate conclusioni, e sempre nei limiti di quanto risulterà eventualmente provato all’esito dell’istruttoria, accertare e dichiarare tenuta l’Ausl di Ferrara a risarcire all’attrice limitatamente a quanto risultante all’esito della espletanda attività istruttoria.

Entrambe le parti hanno chiesto la vittoria delle spese di lite.

Istruita la causa con l’acquisizione dei documenti depositati dalle parti e l’espletamento di una c.t.u., è stata trattenuta in decisione all’udienza del 21/12/2017.

La domanda è fondata nei termini che seguono.

Preliminarmente, la qualità di erede di (…) in capo a (…) risulta provata dal doc. 10 di parte attrice: il certificato prodotto, in assenza di contestazioni circa la sua autenticità da parte della convenuta, costituisce prova della qualità di erede e non avendo la convenuta specificato sotto quale profilo (non idoneo ad essere superato da detto certificato) sussista il dubbio circa la qualità di erede, con il che la relativa contestazione appare del tutto generica.

Come detto la signora (…) agisce allegando, sulla base di documentazione medica e di perizia di parte, la errata diagnosi in ordine alla patologia del padre (…), deceduto in data 16.06.2013.

La convenuta, costituendosi, ha sottolineato la natura extracontrattuale dei danni patiti iure proprio dalla congiunta nonché in generale che, alla luce della recente disciplina in tema di responsabilità sanitaria, la domanda risarcitoria spiegata dall’attore/ricorrente in questa sede dovrà qualificarsi extracontrattuale, “con conseguente applicazione del diverso termine di prescrizione e della diversa ripartizione dell’onere della prova in capo all’asserito danneggiato in punto di nesso causale ed elemento soggettivo della condotta”. La convenuta ha inoltre rilevato la insussistenza di responsabilità in merito ai fatti oggetto di causa ed assenza di nesso causale tra il decesso del sig. (…) e le cure rese dai sanitari dell’Azienda (…) e contestato la domanda sotto il profilo del quantum.

Posto che la prescrizione non è eccepita nel presente giudizio, quanto alla natura giuridica della responsabilità medica, va rilevato quanto segue.

Va premesso che la consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito a partire dagli anni novanta ha gradualmente fatto confluire tutte le fattispecie di responsabilità della struttura sanitaria nell’ambito della responsabilità contrattuale, con la conseguenza dell’applicazione dei correlativi regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, ravvisando la fonte di tale tipo di responsabilità nella conclusione, al momento della “accettazione” del paziente nella struttura, di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità avente ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere sanitario che prestazioni secondarie ed accessorie quali quelle assistenziali e latu sensu alberghiere. La responsabilità dell’ente ha, così, assunto carattere contrattuale in relazione sia a fatti di inadempimento propri della struttura che alle condotte dei medici dipendenti, in applicazione dell’art. 1228 c.c. sulla responsabilità del debitore per fatti dolosi o colposi degli ausiliari, laddove invece rispetto al medico dipendente, la giurisprudenza, valorizzando la sussistenza di un rapporto in cui il paziente si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele, ha accolto la qualificazione della fonte del rapporto medico dipendente – paziente in termini di “contatto sociale”. L’affermata natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, ha poi trovato l’ulteriore conforto delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, le quali con la ormai notissima sentenza dell’11 gennaio 2008, n. 577 hanno prestato sostanziale adesione a tale opzione ermeneutica.

Dunque, secondo la giurisprudenza consolidata, l’ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale. (Cass., Sez. Terza, Sentenza n. 1620 del 03/02/2012).

Tale inquadramento giuridico non è venuto meno neanche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 189 del 2012 c.d. legge Balduzzi che, con riferimento alla disciplina della responsabilità penale del medico fa salvo “l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”, dovendosi ritenere che con tale inciso il legislatore non abbia inteso imporre una qualificazione giuridica in sede civile della responsabilità del sanitario come extracontrattuale.

Ogni dubbio è comunque superato in ragione del fatto che il consolidato orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato è stato fatto proprio anche dalla legge di riforma della responsabilità sanitaria (L. 8 marzo 2017, n. 24 pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 marzo 2017, n. 64 e recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”), che ha ribadito che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. (mentre afferma che i sanitari rispondono del loro operato in base all’art. 2043 c.c. a meno che non abbiano agito nell’adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente).

L’erede del sig. (…) fanno valere un’ipotesi di responsabilità di una struttura sanitaria per il pregiudizio che si assume conseguito a condotta colposa dei sanitari della struttura sanitaria: vanno quindi applicati i criteri propri della responsabilità contrattuale: da tale descritto inquadramento giuridico deriva l’applicazione della relativa normativa in termini di prescrizione, grado della colpa, ripartizione dell’onere della prova.

Come anche di recente ribadito dalla Suprema Corte, “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato; competerà, poi, al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante” (Cass., Sez. VI – 3, Ord., 29-03-2018, n. 7884).

Ciò in relazione, anzitutto, al danno fatto valere iure hereditario.

Va quindi esaminato il delicato profilo del nesso causale tra la condotta dei sanitari e la morte di (…) occorre ricordare che l’accertamento di siffatto indispensabile elemento dell’illecito in ambito civile è presidiato da regole differenti da quelle seguite nel processo penale, come sancite dalla nota sentenza Sezioni Unite Franzese n. 30328/2002. Nel giudizio civile opera infatti la regola della normalità causale della preponderanza del “più probabile che non”: la Suprema Corte ha anche di recente ribadito che “in materia di responsabilità per attività medico – chirurgica, l’accertamento del nesso causale – da compiersi secondo il criterio della “preponderanza dell’evidenza” (altrimenti definito anche del “più probabile che non”) – implica una valutazione della idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente che deve essere correlata alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità” (Cass., Sez. Terza, Sentenza n. 3390 del 20/02/2015).

In buona sostanza, l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni, pur contrattuali, cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa o concausa efficiente del danno.

Il paziente non può, dunque, limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, dovendo, invece, dedurre l’esistenza di una inadempienza astrattamente efficiente alla produzione del danno: “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza” (Cass., Sez. Terza , Sentenza n. 18392 del 26/07/2017).

I risultati cui è giunto il nominato consulente dott. (…), che questo giudice ritiene di dover integralmente richiamare e condividere in quanto immuni da vizi logici e suffragati da opportuni richiami alla letteratura medica, hanno portato ad individuare la responsabilità della struttura sanitaria, non avendo i medici eseguito il trattamento conformemente alle leges artis del caso specifico.

Il fatto, per come desumibile dalla documentazione in atti può essere descritto come segue.

(…), nato il (…), che in data 13.03.2012 si sottoponeva a visita proctologica a causa di episodi di rettorragia persistenti da alcuni mesi; in tale occasione, eseguita un’anoscopia, veniva formulata diagnosi di malattia emorroidaria con immediata indicazione al trattamento chirurgico di tale condizione, senza prescrizione di ulteriori accertamenti. Sottoposto presso l’Ospedale del Delta di Lagosanto al trattamento chirurgico della malattia emorroidaria (dearterializzazione emorroidaria), il paziente continuava a presentare sanguinamento rettale. Dopo nuovo ricovero il 02.05.2012, veniva sottoposto ad intervento chirurgico e riscontrata la presenza di due piccole sedi di sanguinamento nel canale anale, considerate la fonte del profuso sanguinamento e trattate mediante punti di sutura.

Il c.t.u. rileva che “il paziente veniva dimesso in data 16.05.2012 e, anche in questa occasione, non veniva presa in considerazione l’opportunità di uno studio del colon né durante la prolungata degenza né dopo la dimissione”.

Dopo soli tre giorni, precisamente il giorno 19.05.2012, il Paziente ritornava al Pronto Soccorso del medesimo nosocomio per persistenza della rettorragia con severa anemizzazione e, dopo un nuovo ricovero di quattro giorni e ulteriori motrasfusioni, veniva dimesso, ancora senza la prescrizione di alcun approfondimento diagnostico.

Dopo alcune visite di controllo, rassicuranti nonostante la persistenza dei sintomi, il Sig. (…) si presentava nuovamente presso lo stesso Pronto Soccorso in data 11.01.2013 con un quadro di sanguinamento analogo ai precedenti, questa volta aggravato dallo scadimento delle condizioni generali. Durante il ricovero, durato 10 giorni, il paziente veniva ancora trasfuso e poi dimesso in data 22.01.2013, con la sola prescrizione di rivalutazione chirurgica in caso di ulteriore persistenza della sintomatologia.

In data 08.02.2013 il paziente consultava un nuovo specialista che, per la prima volta (dopo circa 11 mesi dalla prima valutazione), prescriveva l’esecuzione di una indagine diagnostica. Così, dopo un nuovo accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Adria per sepsi da enterococco e anemia da sanguinamento rettale, in data 13.02.2013 il paziente eseguiva una rettosigmoidoscopia che permetteva la diagnosi di neoplasia del giunto retto – sigma.

Dopo essere stato sottoposto in data 18.02.2013, ad intervento chirurgico “laparoscopico di resezione anteriore di retto con ileostomia di protezione”, l’esame istologico del pezzo operatorio evidenziava uno stadio avanzato della neoplasia (pT4aN2M0: Stadio III C).

Seguivano altri interventi e l’esecuzione di chemioterapia adiuvante, tuttavia il severo scadimento delle condizioni generali con marcato calo ponderale (15 Kg), legato al lungo periodo di malattia, non consentiva di eseguire tale terapia che era pertanto rimandata. Purtroppo, a causa dell’ulteriore peggioramento delle condizioni cliniche generali, anche ad una successiva visita oncologica eseguita in data 10.04.2013, l’inizio della chemioterapia veniva ulteriormente procrastinato e tale trattamento non verrà mai eseguito.

Il paziente veniva tra aprile e maggio 2013 sottoposto ad accertamenti e ad intervento chirurgico di laparoscopia esplorativa ed era dimesso in data 26.05.2013; dopo nuovo ricovero il 25.09.2013 per enterorragia stomale fino al 04.06.2013, data in cui veniva trasferito presso l’Hospice di Codigoro, struttura presso cui si verificava l’exitus in data 16.06.2013.

Dunque, il Signor (…) è deceduto per uno stato di cachessia conseguente ad esiti di resezione di neoplasia del retto sigma con ileo – stomia di protezione e cirrosi epatica ascitica.

Ha rilevato il c.t.u. che già nel marzo 2012 il paziente aveva eseguito una visita specialistica a causa di un persistente sanguinamento rettale che veniva attribuito alla malattia emorroidaria da cui il paziente era affetto. Tuttavia il sanguinamento rettale lamentato dal paziente, pur essendo caratteristico della malattia emorroidaria, è però comune a molte altre condizioni quali malattia diverticolare, malattie infiammatorie intestinali, neoplasie benigne o maligne a carico del colon-retto.

La diagnosi, dunque, è stata effettuata con circa dieci mesi di ritardo. Tale circostanza – ha rilevato il c.t.u.. ha influenzato in maniera negativa la storia clinica del Sig. (…): oltre ad agire direttamente consentendo l’aumento dimensionale del tumore e la diffusione linfonodale, ha anche condizionato indirettamente la prognosi, attraverso l’immunodepressione indotta dalla necessità di ripetute emotrasfusioni e l’impossibilità di seguire il corretto iter terapeutico mediante chemioterapia adiuvante, riducendo in maniera significativa le sue chances di sopravvivenza e di guarigione. Chiarisce il c.t.u. che un corretto inquadramento diagnostico eseguito molti mesi prima avrebbe consentito di trattare la malattia in uno stadio più precoce (probabilmente senza metastasi linfonodali), in un paziente in condizioni generali meno compromesse e quindi in grado di eseguire tutte le necessarie terapie (inclusa la chemioterapia).

Il c.t.u. – considerate le condizioni generali del paziente, inclusa l’età di 75 anni e il fatto che presentava una cirrosi integrando tutti i dati a disposizione e quindi dando atto che il quadro neoplastico sarebbe stato comunque presente anche 10 mesi prima dovendosi escludere il riconoscimento del nesso causale tra il ritardo diagnostico e la morte -“vista la presenza di una cirrosi avanzata, fattore prognostico senz’altro negativo ed indipendente dall’evoluzione neoplastica della vicenda, si deve concludere che il ritardo diagnostico addebitabile al personale medico dell’Ospedale del Delta di Lagosanto (FE) ha determinato una perdita di chances di sopravvivenza intorno al 40%”.

Dunque il ritardo diagnostico – piuttosto evidente – non ha determinato la morte del Paziente (quanto meno secondo il criterio del più probabile che non), ma comunque ha influito sulla prognosi, nella misura appunto del 40%.

All’esito di queste conclusioni, la convenuta correttamente richiama la giurisprudenza di legittimità a mente della quale la domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza d’una negligente condotta del medico che l’ebbe in cura, deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di “tutti i danni” causati dalla morte della vittima (Cass. Sez. Terza, 29-11-2012, n. 21245).

Va rilevato infatti che il danno da perdita delle chance di guarigione o di sopravvivenza secondo la giurisprudenza unanime consiste nella perdita non già della certezza di guarire, né della probabilità di guarire, ma nella perdita della mera possibilità di guarire, ovvero di guarire con postumi minori rispetto a quelli effettivamente patiti.

Deve ritenersi, però, che nella domanda attorea relativa al “risarcimento di tutti i danni patiti in considerazione della responsabilità medica da errata diagnosi e conseguente anticipato decesso”, l’utilizzo del termine anticipato induca a ritenere che il danno richiesto dall’attrice fosse anche quello relativo all’autonomo profilo della perdita di chances di sopravvivenza, considerato che nell’atto introduttivo, oltre alla deduzione del nesso causale con l’evento morte, quivi non riconosciuto, si richiama, sulla scorta della ctp, la circostanza che “l’avanzato stadio di malattia riscontrato a febbraio 2013, inoltre ha condizionato una terapia chirurgica più aggressiva, con una resezione locale più estesa che ha reso necessario allestire una ileostomia assai mal tollerata”.

Trattasi di un fatto allegato che consiste nell’autonomo profilo di un condizionamento (quindi proprio in via di mera possibilità) della possibilità di guarire o di un diverso evolversi della patologia, che di fatto integra la perdita di chances riscontrata in sede istruttoria.

Venendo alla liquidazione, quindi, del danno riscontrato va chiarito che il danno da perdita di chances di guarigione riguarda l’ipotesi in cui, non essendo possibile stabilire quale beneficio avrebbero potuto arrecare al paziente le cure che vennero omesse, il paziente ha comunque diritto ad essere risarcito per il solo fatto di avere perduto la possibilità (o chance) di guarire o sopravvivere.

Rispetto a tale tipologia di pregiudizio il danno – evento non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo, senza che assuma rilevanza il grado di probabilità di ottenerlo.

Il punto è stato anche di recente chiarito dalla Suprema Corte: “in caso di perdita di una “chance” a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al “risultato perduto” (nella specie, maggiori “chance” di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale “possibilità”, per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico – percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto” (Cass., Sez. Terza , Sentenza n. 5641 del 09/03/2018).

Come osservato dalla Suprema Corte il primo accertamento va condotto in termini probabilistici, con applicazione della regola civilistica c.d. del “più probabile che non”, così che, in questo caso, la ricorrenza del nesso causale può affermarsi allorché l’errore medico ha comportato “più probabilmente che non” la perdita della possibilità di una vita più lunga da parte del paziente, statisticamente accertata, sulla base di indagini epidemiologiche, in caso di diagnosi precoce della patologia.

Passando alla liquidazione dei danni – conseguenza, si rileva come la domanda risarcitoria abbia ad oggetto pregiudizi di natura non patrimoniale, dedotti dall’attrice tanto iure proprio quanto iure hereditatis.

Attesa la particolarità del bene interesse sotteso alla perdita di chances, si pone preliminarmente l’esigenza identificare in cosa si sostanzia, in generale, il danno risarcibile in caso di privazione di possibilità favorevoli di guarigione, per poi verificare nel caso di specie quali siano state le concrete utilità delle quali è stato privato (…) in conseguenza della perdita di chance di sopravvivenza nei termini chiariti dal c.t.u.

Poiché la liquidazione deve essere effettuata in via equitativa, va rilevato che la traduzione in termini monetari del sacrificio del bene giuridico in questione appare complessa: secondo un orientamento della giurisprudenza di merito, volto ad evitare che l’equità sfoci in un sostanziale arbitrio, occorre riferirsi alle Tabelle di Milano. Secondo tale impostazione si applica sul risarcimento che si sarebbe liquidato per una invalidità del 100% una riduzione in misura corrispondente alla percentuale di possibilità di sopravvivenza perduta (in tal senso Tribunale di Monza 30.1.1998, in Resp. civ. prev., 1999, 701 ma anche Tribunale Latina Sez. II, Sent., 20/03/2018, che chiarisce che il danno va liquidato: a) determinando la somma che sarebbe spettata alla vittima nel caso di invalidità permanente pari al 100%; b) dividendo tale somma per il numero di anni della vittima; c) moltiplicando il risultato per il numero degli anni cui viene di norma proiettata la possibilità di sopravvivenza; d) calcolando sull’importo cosi ottenuto la percentuale di possibilità di guarigione perduta).

Nel caso di specie il valore risarcitorio dell’invalidità totale che sarebbe spettata ad (…) (77 anni all’epoca dei fatti) è, secondo l’ultimo aggiornamento delle Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale elaborate dal Tribunale di Milano (2018), pari ad Euro 762.097,00; dividendo detto importo per il numero degli anni della vittima, si ottiene l’importo di Euro 9.897,00, il quale, moltiplicato per il numero di 4 anni (proiezione della possibilità di sopravvivenza alla stregua dei dati sulla mortalità femminili rilevati dall’Istat), dà l’importo di Euro 39.588,00. Su detta somma va calcolata la percentuale del 40% di possibilità di sopravvivenza perduta. Ne discende che l’importo da liquidarsi iure successionis all’attrice, ai sensi dell’art. 1226 c.c., a titolo di ristoro per la diminuzione delle possibilità di sopravvivenza del padre è pari ad Euro 15.836,00. Su tale somma, liquidata all’attualità, vanno conteggiati gli interessi legali a decorrere dalla data del fatto: per evitare un indebito arricchimento della parte danneggiata, l’importo riconosciuto di Euro 15.836,00 va devalutato alla data del fatto (16/06/2013), e successivamente rivalutato in base all’indice FOI elaborato dall’ISTAT, fino alla data della presente sentenza, con applicazione di anno in anno degli interessi legali maturati.

Andranno poi riconosciuti gli interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.

Alla signora (…) non può, invece, essere riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio (da perdita del rapporto sanitario), posto che tale forma di pregiudizio postula la perdita o la grave alterazione del rapporto parentale che nel caso di specie, pur dovendosi ritenere sussistenti, non possono porsi in relazione causale con l’omissione imputabile all’azienda sanitaria convenuta. Da essa è, infatti, derivata la sola perdita di possibilità di sopravvivenza da un processo morboso che era già in atto al momento dell’omissione diagnostica, mentre è stata esclusa la prova del nesso causale tra l’inadempimento riscontrato e l’evento morte.

Nessuna allegazione vi è poi in ordine al danno biologico esistenziale e psichico subito iure proprio dalla ricorrente, essendo peraltro del tutto priva di riferimenti di calcolo e documentali la richiesta di Euro 436.428,00 indicata in citazione.

Non possono essere riconosciute le spese mediche, non risultando prodotte le ricevute (il doc. 5) né indicata la natura di tali spese.

Considerato che l’attrice è stata ammessa al Gratuito Patrocinio a Spese dello Stato con Provv. n. 22 del 2016 in data 3 febbraio 2015 del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e che si è proceduto ad inviare richiesta di conferma della permanenza delle condizioni all’Ufficio delle Entrate di Ferrara, il pagamento delle spese di lite liquidate con la presente ordinanza viene disposto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 133 D.P.R. n. 115 del 2002, in favore dello Stato.

Anche le spese di c.t.u., liquidate con separato decreto, vanno poste a carico della convenuta.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto, per quanto riguarda i compensi professionali, dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, alla luce dell’attività complessivamente svolta e dello scaglione di riferimento. Quest’ultimo va individuato in quello riconosciuto quale valore effettivo della domanda, risultando il valore indicato in citazione “manifestamente diverso da quello presunto” ai sensi dell’art. 5 comma 2 D.M. n. 55 del 2014 (Euro 600,00 per fase di studio, Euro 450,00 per fase introduttiva, Euro 900,00 per fase istruttoria, Euro 850,00 per fase decisoria).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda di (…) nei confronti di AZIENDA (…), ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

– accoglie parzialmente la domanda e, per l’effetto, dichiara tenuta e condanna l’Azienda U.S.L. al pagamento in favore di (…) della somma di Euro 15.836,00, devalutata al 16/06/2013, e successivamente rivalutata in base all’indice FOI elaborato dall’ISTAT, fino alla data della presente sentenza, con applicazione di anno in anno degli interessi legali maturati, oltre interessi al tasso legale vigente dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;

– pone a carico della Azienda U.S.L. le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.800,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, IVA e c.p.a. con aliquote di legge e se dovute;

– dispone che il pagamento delle spese sia eseguito in favore dello Stato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 133 D.P.R. n. 115 del 2002;

– pone le spese di c.t.u. a carico della convenuta

Così deciso in Ferrara l’11 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.