Difatti, l’opposizione ex articolo 645 c.p.c., da’ luogo ad un autonomo giudizio di cognizione che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario, con la conseguenza che il giudice dell’opposizione e’ investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione, ancorche’ il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio. La mancanza del parere dell’ordine professionale e della parcella contenente l’esposizione delle spese e dei diritti, puo’ – percio’ – essere eventualmente valutata sotto il solo profilo del regolamento delle spese processuali, ma non impedisce al giudice dell’opposizione di valutare autonomamente la fondatezza della pretesa creditoria.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 6 luglio 2018, n. 17911
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30136/2014 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso quest’ultimo in (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3373/2014, depositata il 24.9.2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20.4.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
La Corte distrettuale di Milano ha respinto l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado n. 5283/2013, con cui era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. (OMISSIS) per il pagamento delle competenze professionali maturate in relazione alle attivita’ di difesa svolte in favore del resistente nel giudizio definito con sentenza n. 7287/2009, per un importo di Euro 17.762,62, oltre accessori e spese processuali.
La sentenza impugnata ha asserito che la pronuncia con cui il tribunale di Milano aveva liquidato le spese processuali in favore di (OMISSIS), ponendole a carico della parte soccombente, poteva considerarsi prova del credito vantato dal difensore, non essendo necessaria la produzione della parcella corredata dal parere di congruita’ dell’Ordine professionale, poiche’ il difensore non aveva richiesto somme ulteriori.
Ha ritenuto corretta la pronuncia ex articolo 96 c.p.c., comma 3, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, articolo 45, disposta dal tribunale pur in assenza della prova di un concreto pregiudizio ai danni del resistente. Per la cassazione di questa sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, sviluppato in tre motivi.
L’avv. (OMISSIS) ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione dell’articolo 636 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte distrettuale ritenuto che la liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, effettuata in favore del (OMISSIS), costituisse prova del credito derivante dall’attivita’ difensiva svolta dall’avv. (OMISSIS), non considerando che la suddetta liquidazione giudiziale non era stata preceduta dall’acquisizione del parere professionale ai sensi dell’articolo 2233 c.c.. Si assume, inoltre, che solo con l’entrata in vigore della L. n. 27 del 2012, articolo 9, comma 5, l’obbligatorieta’ del parere e’ stato implicitamente abrogato, mentre, sia con riferimento alla liquidazione effettuata con sentenza n. 7287/2009 dal tribunale di Milano nella causa in cui il difensore aveva prestato il patrocinio, sia con riferimento a quella effettuata nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avv. (OMISSIS), tale parere era necessario a prescindere dall’importo richiesto.
Il motivo e’ infondato.
La Corte distrettuale ha ritenuto superfluo il deposito da parte dell’avv. (OMISSIS) del parere di congruita’ del Consiglio dell’ordine degli avvocati, poiche’ il difensore aveva richiesto la condanna del ricorrente al pagamento del medesimo importo liquidato in favore di quest’ultimo con la sentenza n. 7287/2009, sostenendo inoltre che detto parere sarebbe stato necessario solo qualora il difensore avesse preteso importi maggiori.
La pronuncia e’ corretta nel dispositivo ma va emendata nella motivazione, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4.
Anzitutto, l’attivita’ svolta dal difensore si e’ integralmente esaurita con la pubblicazione della sentenza 7287/2009 e pertanto non viene in rilievo il Decreto Legge 24 gennaio 2012, articolo 9, convertito con L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha abrogato le tariffe forensi, poiche’, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 41, i nuovi parametri sono applicabili ogni volta che la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, benche’ questa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando vigevano le tariffe abrogate (Cass. 19.12.2017, n. 30529; Cass. 3.2015, n. 13628; Cass. 19.10.2016, n. 21205; Cass. s.u. 12.10.2012, n. 17405).
Cio’ premesso, occorre considerare che, a seguito dell’emissione del decreto ingiuntivo in favore dell’Avv. (OMISSIS), il ricorrente aveva proposto opposizione ex articolo 645 c.p.c..
In tale giudizio non aveva piu’ rilievo il mancato deposito del parere di congruita’ emesso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, dovendo il giudice procedere alla liquidazione del compenso sulla base delle risultanze di causa, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni necessarie per l’emissione dell’ingiunzione di pagamento e dall’ammontare dell’importo richiesto.
L’articolo 636 c.p.c., comma 1, nel disciplinare i presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo in favore dei professionisti ai sensi dell’articolo 633 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 3, assegna alla parcella professionale corredata dal parere del Consiglio dell’ordine di appartenenza una valenza probatoria privilegiata a carattere vincolante e ai fini della sola pronuncia dell’ingiunzione, mentre tale valore probatorio non permane anche nella fase di opposizione, nel quale e’ il giudice a dover valutare la congruita’ degli importi richiesti – o a stabilire quanto competa al professionista – sulla base degli atti di causa (Cass. 15.1.2018, n. 712; Cass. 11.1.2016, n. 430; Cass. 13.4.2015, n. 7413).
Difatti, l’opposizione ex articolo 645 c.p.c., da’ luogo ad un autonomo giudizio di cognizione che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario, con la conseguenza che il giudice dell’opposizione e’ investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione, ancorche’ il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio (Cass. 29.1.1999, n. 807). La mancanza del parere dell’ordine professionale e della parcella contenente l’esposizione delle spese e dei diritti, puo’ – percio’ – essere eventualmente valutata sotto il solo profilo del regolamento delle spese processuali, ma non impedisce al giudice dell’opposizione di valutare autonomamente la fondatezza della pretesa creditoria (cfr. Cass. 12.2.1998, n. 1505).
2. Il secondo motivo censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la sentenza adeguatamente motivato sulla questione sollevata dall’opponente circa il fatto che la sentenza con cui il tribunale aveva disposto liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, era stata emessa a favore del ricorrente e non del difensore, dato che l’avv. (OMISSIS) non si era dichiarato antistatario; che quindi quest’ultimo era tenuto a provare le attivita’ svolte e a produrre la parcella corredata dal parere del Consiglio dell’ordine professionale, in modo da consentire al giudice di valutare se e come le prestazioni fossero state effettuate ed accertare se le somme gia’ corrisposte fossero idonee ad estinguere il credito azionato in giudizio.
Il motivo e’ inammissibile poiche’ la sentenza, depositata in data 24.9.2014, ricade nella nuova previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 5 n. 5 e pertanto e’ denunciabile solo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di dibattito processuale, e non l’omessa, insufficiente o contradittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, secondo la formulazione introdotta dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2.
Il controllo sulla motivazione e’ attualmente consentito ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nei casi tassativamente individuati dalla giurisprudenza di questa Corte e comunque non per denunciare la mera insufficienza della motivazione stessa (Cass. s.u. 7.4.2014, n. 8053).
In ogni caso, la Corte distrettuale ha chiaramente evidenziato che la sentenza emessa a conclusione del giudizio in cui l’avv. (OMISSIS) aveva svolto il patrocinio in favore del ricorrente, conteneva la valutazione di congruita’ dell’importo poi liquidato a titolo di spese processuali, e ha ritenuto di poterla utilizzare anche ai fini della quantificazione del compenso professionale, sostenendo che non occorresse una ulteriore valutazione da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati, poiche’ il difensore non aveva richiesto somme ulteriori. La sentenza n. 7287/2009 e’ stata ritenuta prova sufficiente dell’espletamento dell’incarico e delle relative prestazioni ed elemento di convincimento utile per la quantificazione del compenso, per cui non aveva alcun rilievo che l’Avv. (OMISSIS) non si fosse dichiarato antistatario.
3. Il terzo motivo censura la violazione dell’articolo 96 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza condannato il ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte, reputando irrilevante la prova del danno, prova che non era sussistente, considerato che il professionista avrebbe potuto dare esecuzione alla sentenza e al decreto ingiuntivo.
Il motivo e’ infondato.
La Corte ha confermato la condanna dell’opponente ai sensi dell’articolo ex articolo 96 c.p.c., comma 3, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, articolo 45.
A differenza dei primi due commi, che contemplano fattispecie risarcitorie ancorate alla domanda di parte e alla prova della effettiva sussistenza di un pregiudizio, il comma 3 della disposizione, nel prevedere che in ogni caso il giudice puo’, anche d’ufficio, condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, contempla una misura sanzionatoria, volta a reprimere l’abuso dello strumento processuale quando esso e’ impiegato per finalita’ devianti rispetto alla “tutela dei diritti e degli interessi legittimi” per il quale l’articolo 24 Cost., comma 1, garantisce il ricorso al giudice.
Cio’ e’ confermato dal riferimento, contenuto nella norma, non al risarcimento del danno ma al pagamento di una somma, e dall’adottabilita’ della condanna “anche d’ufficio”, riferimento che attesta la finalizzazione dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, alla tutela di un interesse pubblico (cfr. Corte cost. 23.6.2016, n. 152; Cass. 8.2.2017, n. 3311; Cass. 19.4.2016, n. 7726).
Non occorreva quindi la prova che il resistente avesse subito un concreto pregiudizio per effetto della proposizione dell’opposizione ex articolo 645 c.p.c., da parte del (OMISSIS) e, pertanto, la sentenza non e’ incorsa nella violazione denunciata.
Il ricorso e’ quindi respinto, con aggravio di spese come da liquidazione in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente e’ tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2000,00 per compenso, oltre ad Iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.
Si da’ atto che il ricorrente e’ tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.