Indice dei contenuti
Non rilevano, inoltre, ai fini della verifica della usurarietà del tasso d’interesse moratorio, le spese accessorie previste dal contratto di mutuo, non essendo condivisibile la pretesa di configurare un Tasso Effettivo di Mora (T.E.MO.), derivante dalla sommatoria tra spese ed interessi moratori, in analogia con quanto avviene con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), in quanto quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendosi escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che, invece, dipende non dall’erogazione del credito, bensì dall’inadempimento del debitore.
Per approfondire la tematica degli interessi usurari e del superamento del tasso soglia si consiglia la lettura del seguente articolo: Interessi usurari pattuiti nei contatti di mutuo
Per ulteriori approfondimenti in materia di diritto bancario si consiglia la lettura dei seguenti articoli:
Il contratto di mutuo: aspetti generali.
Mutuo fondiario e superamento dei limiti di finanziabilità.
Il contratto autonomo di garanzia: un nuova forma di garanzia personale atipica
La fideiussione tra accessorietà e clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni
Il contratto di leasing o locazione finanziaria
Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 6 luglio 2018, n. 13923
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE DICIASSETTESIMA CIVILE
Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 65063/2015 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza dell’11/4/2018 e promosso da:
(…) nato a F. il (…), residente a F., via (…), (C.F.: (…))
(…) nata a F. il (…), residente a F., via (…), (C.F.: (…))
entrambi elettivamente domiciliati in Roma, via (…) c/o lo studio dell’avv. Va.Va., che li rappresenta e difende anche disgiuntamente dagli avv.ti Ma.Ma. e Fl.Bi. in virtù di mandato in calce all’atto di citazione
ATTORI
contro
(…) S.p.A. (P. IVA (…)), con sede legale in R., alla Via (…), iscritta all’Albo delle Banche e capogruppo del gruppo bancario (…), aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, rappresentata e difesa dall’Avv. Ma.D’A. in virtù di procura generale alle liti, elettivamente domiciliata in Roma, via (…) c/o lo studio dell’avv. Fr.Ma.
CONVENUTA
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione notificato in data 16/10/2014 (…) e (…) convenivano in giudizio avanti all’intestato Tribunale la S.p.A. (…) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla ripetizione delle somme indebitamente corrisposte in esecuzione del contratto di mutuo ipotecario a tasso fisso inter partes stipulato in data 3/12/2008 per atto a rogito del Notaio (…), Rep. n. (…), Racc. n. (…), previa declaratoria di nullità delle clausole relative alla determinazione dei tassi d’interesse corrispettivo e moratorio.
Gli attori, in particolare, premesso di aver stipulato con la controparte il contratto di mutuo ipotecario a tasso fisso e rata costante sopra descritto per la somma di Euro 125.000,00, da restituirsi in 35 anni mediante il pagamento di n. (…) rate mensili posticipate, con la previsione dei tassi d’interesse corrispettivo del 6,30% e moratorio del 9,45% in caso di ritardato pagamento di ogni importo a qualsiasi titolo dovuto e con la previsione, a carico dei mutuatari, delle spese per spedizione ed avviso di pagamento (Euro 2,58), commissione di incasso delle rate (Euro 5,00), ritenevano il mutuo usurario in relazione al tasso d’interesse moratorio pattuito, pari al 9,49996%, superiore al tasso soglia antiusura del 9,450%, evidenziando peraltro la necessità di sommare al tasso degli interessi le spese gravanti sui mutuatari.
La S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del 2/2/2015, chiedeva il rigetto delle avverse domande, con vittoria delle spese di lite.
La convenuta contestava le modalità di determinazione della usurarietà dei tassi d’interesse pattuiti prospettate dalla controparte, rilevando che le spese previste dal contratto di mutuo inter partes erano le seguenti: spese di istruttoria: Euro 250,00, oneri per rimborso premio polizza incendio: Euro 2,25 addebitati sulle rate del mutuo, dando atto che le spese richiamate dagli attori per spedizione ed avviso di pagamento (Euro 2,58) e per commissioni incasso rate presso sportello o altre banche (Euro 5,00) non erano mai state addebitate ai mutuatari. Deduceva che il tasso di interesse annuo era pari al 6,30% ed il TEG previsto era pari al 6,532%, entrambi inferiori al tasso soglia antiusura e che il tasso d’interesse moratorio era stato previsto dall’art. 4 del mutuo in misura pari al tasso soglia antiusura.
Esperiti gli incombenti preliminari ed intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, co. VI c.p.c., il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza dell’11/4/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.
Con particolare riferimento alla causa petendi, (…) e (…) chiedono in primis accertarsi la nullità parziale del contratto di mutuo inter partes, con particolare riferimento al tasso d’interesse moratorio, con conseguente condanna della S.p.A. (…) alla ripetizione delle somme indebitamente pagate dai mutuatari.
Le domande sono infondate.
Risulta per tabulas che la S.p.A. (…), con contratto stipulato in data 3/12/2008 per atto a rogito del Notaio (…), Rep. n. (…), Racc. n. (…), ha mutuato agli attori la somma di Euro 125.000,00, da restituirsi in 35 anni mediante n. 420 rate mensili posticipate, con la previsione del tasso nominale annuo degli interessi corrispettivi pari al 6,300%, pari al tasso effettivo annuo del 6,48513300% e del tasso d’interesse moratorio pari al tasso soglia antiusura, al momento della stipulazione del contratto fissato al 9,45%.
Le questioni giuridiche rilevanti nel caso di specie attengono all’applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso d’interesse moratorio ed al criterio di determinazione del TEG.
Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 2000, conv. da L. n. 24 del 2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).
Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l’uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione ed il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.
Ciò posto, si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti: il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l’applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, comma 2, c.c. e 644, comma 1, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della (…) per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108 del 1996 esige la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura”; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016); la diversa funzione degli interessi moratori – peraltro eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12.11.2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori.
Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall’ambito di operatività della L. n. 108 del 1996, valorizzando il D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, che all’art. 17, comma 1, ha novellato l’art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso – soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, quindi superiore al tasso – soglia (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Vibo Valentia 22.7.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Monza 3.3.2016; Trib. Varese 26.4.2016; Trib. Milano 28.4.2016).
Prevale, tuttavia, in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d’usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29 del 2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso – soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermazione del “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole … non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate).
Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:
a) la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, testualmente disciplina gli “interessi … promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al D.L. n. 394 del 2000);
b) l’art. 644 c.p. statuisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza distinzioni tra tipologie di interessi;
c) i rischi dell’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;
d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora)
Orbene, l’adito giudicante condivide l’ultimo degli orientamenti sopra citati ed i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell’usurarietà degli interessi moratori postula l’analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.
Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.
Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, in cui non si afferma di doversi procedere al cumulo tra i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio ai fini della verifica del rispetto della soglia antiusura, ma solamente che occorre verificare l’usurarietà anche degli interessi di mora, principio già in precedenza affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 5286 del 22/4/2000; Cass. n. 5324 del 4/4/2003).
Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l’interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest’ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto.
Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del “tasso effettivo di mora (T.E.MO.)”, posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito. Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall’altro pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi” (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).
Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d’interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d’interesse non si sommano, in quanto succedono l’uno all’altro; in particolare, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3 giugno 2015).
Non è in contrasto con tali principi la recente ordinanza della Suprema Corte n. 23192/2017, di cui si riporta il contenuto motivazionale: “Considerato che:1. l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e ai sensi dell’art. 1 D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in L. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore;
2. il ricorso è manifestamente infondato; come ha già avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324).
Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)”.
Ebbene, tale pronuncia, oltre a ribadire il principio ormai consolidatosi in dottrina ed in giurisprudenza, secondo cui gli interessi di mora soggiacciono alla disciplina antiusura, censura il ragionamento sotteso alla pronuncia del Tribunale nella parte in cui era stata apoditticamente esclusa l’usurarietà degli interessi per il solo fatto della non applicabilità della sommatoria dei relativi tassi, dovendosi ritenere che la Suprema Corte abbia evidenziato la necessità di verificare in concreto la usurarietà dei tassi d’interesse, ma ciò non implica che debba farsi luogo alla loro sommatoria ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia.
Corrobora l’orientamento sopra espresso il punto 4) dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura e così dispone: “I TEG medi rilevati dalla (…) includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.
Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente.
L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.
Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo, che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.
L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in cui è precisato che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.
Nella specie, il tasso d’interesse corrispettivo, TAN pari al 6,30%, tasso effettivo pari al 6,485133% e ISC pari al 6,510%, se correttamente analizzato con esclusione della sommatoria tra i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio, è stato legittimamente pattuito nel rispetto del tasso soglia antiusura.
Relativamente al tasso d’interesse moratorio, la clausola relativa alla sua determinazione è tale da costituire una c.d. clausola di salvaguardia, che impedisce di considerare usurari gli interessi moratori pattuiti tra le parti, prevedendo la loro riconduzione entro i limiti della legge antiusura.
Si rileva, inoltre, che, conformemente alle indicazioni della (…), gli interessi di mora sono stati sempre esclusi dal calcolo operato per addivenire alla media degli interessi convenzionali praticati dalle banche, proprio perché sono interessi che non attengono alla fisiologia del rapporto ma alla sua patologia. “Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela” ((…), “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013).
I tassi soglia antiusura sono, infatti, determinati attraverso un automatismo stabilito dalla legge che prende in esame i tassi medi di mercato rilevati trimestralmente dalla (…) e pubblicati dal Ministero delle Finanze. Come indicato da queste medesime Autorità, le banche nel riportare i tassi di interesse medi applicati indicano i soli interessi convenzionali e non vi comprendono anche i tassi di mora: è ovvio che se fossero invece inclusi anche i tassi di mora, si avrebbe un innalzamento dei tassi medi applicati, con aumento anche del TEG periodico e dei tassi soglia antiusura. Scelta che è rispettosa sia della natura del rapporto, appunto perché i tassi di mora sono meramente eventuali e patologici, sia delle esigenze dei clienti dato che altrimenti si avrebbe un incremento dei tassi medi di interesse e un corrispondente innalzamento del tasso soglia antiusura. Se, quindi, i tassi convenzionali antiusura non comprendono gli interessi di mora, non è sostenibile, né logicamente né con fondamento normativo, che nell’esame di un contratto si debba procedere alla somma del tasso convenzionale con quello di mora per confrontare tale risultato con il tasso soglia antiusura (determinato, appunto, senza gli interessi di mora).
Non è corretto, inoltre, il confronto indicato tra gli interessi di mora previsti in contratto e il tasso soglia antiusura previsto pro tempore per gli interessi corrispettivi, essendo questi ultimi inferiori a quelli di mora (previsti in misura superiore per la loro diversa funzione: non di corrispettivo per il godimento del denaro ma di risarcimento per il danno causato dall’inesatta restituzione della somma): ne consegue che il limite antiusura previsto all’epoca per gli interessi convenzionali non può essere acriticamente applicato agli interessi di mora, necessariamente maggiori rispetto a quelli convenzionali.
A conferma si evidenzia che, a partire dal Decreto del Ministero della Finanze del 25 marzo 2003 e in tutti quelli successivi, è stato chiarito che “i tassi effettivi globali medi di cui all’articolo l comma 1 del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”. In proposito i medesimi Decreti avevano rilevato che da un’indagine statistica allora condotta dalla (…), era risultato che i tassi di mora applicati dagli intermediari erano mediamente pari a 2,1 punti percentuali oltre il Tasso Effettivo Globale medio. La stessa (…) ha affermato che “in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori”, si possa fare riferimento al “criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo” ((…), Chiarimenti citato del 3.7.2013). Di conseguenza, nel caso di specie l’interesse di mora, in sé considerato e previsto contrattualmente non può essere considerato usurario, non superando il tasso soglia anti – usura calcolato secondo le modalità sopra indicate (TEG medio + 2,1 + aumento previsto dalla disciplina vigente ratione temporis).
Non rilevano, inoltre, ai fini della verifica della usurarietà del tasso d’interesse moratorio, le spese accessorie previste dal contratto di mutuo, non essendo condivisibile la pretesa di configurare un Tasso Effettivo di Mora (T.E.MO.), derivante dalla sommatoria tra spese ed interessi moratori, in analogia con quanto avviene con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), in quanto quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendosi escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che, invece, dipende non dall’erogazione del credito, bensì dall’inadempimento del debitore (Trib. Milano n. 16873/2017).
Il mutuo inter partes si sottrae pertanto alle censure di nullità parziale dedotte dalla parte attrice, con conseguente infondatezza delle pretese restitutorie attoree, strettamente connesse alle domande di accertamento.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo di seguono la soccombenza.
P.Q.M.
visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;
il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione notificato in data 16/10/2014 da (…) e (…) avverso la S.p.A. (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, contrariis reiectis:
RIGETTA le domande proposte da (…) e (…) avverso la S.p.A. (…);
CONDANNA (…) e (…) al pagamento della S.p.A. (…) delle spese processuali, che liquida in Euro 5.500,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 6 luglio 2018.
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2018.